18

Oceanus Magnus

Al largo della Britannia

40 a.C. – 713 ab Urbe condita

Servio Primicerio studiò le carte ancora per qualche istante, poi scosse la testa e grugnì un’imprecazione.

«Avremmo già dovuto essere in prossimità delle coste della Britannia» disse, battendo il dito sul punto in cui era segnato il territorio dei Dumnonii, una tribù di cui non aveva mai sentito parlare.

Quella missione cominciava a risultare più difficile di quanto avesse immaginato. Se seguire le tracce di Cesare e della sua legione non era risultato troppo complicato, trovarsi a navigare su mari sconosciuti e avere a che fare con popolazioni barbare aggressive e poco propense a lasciarsi avvicinare poneva tutta una serie di problemi che a lui piacevano poco. Carte o non carte, il mondo oltre le Colonne d’Ercole era così vasto e misterioso che lui iniziava a dubitare di poter davvero raggiungere il dittatore, prima che scomparisse nei mari ghiacciati del Nord.

Si voltò a guardare Publio Servilio Casca, che sedeva cupo in un angolo della cabina, le mani legate dietro la schiena e tenuto sotto la minaccia costante di due spade puntate al petto. L’uomo era pallido, avvilito e sfinito, eppure Servio sapeva che non si sarebbe mai dato per vinto e che si sarebbe ribellato non appena ne avesse avuta l’occasione. Per questo aveva deciso di rinunciare all’idea di costringerlo a ordinare agli altri comandanti della flotta di seguire la loro nave: non gli avrebbero creduto, e quel pazzo si sarebbe fatto uccidere, piuttosto che prestarsi a un simile tradimento nei confronti del grande Gaio Giulio Cesare.

Sorrise in modo cattivo, all’idea di dover essere fedele a qualcuno non per denaro, o per la promessa di un potere maggiore, quanto per lealtà, per stima, per ammirazione. Lui era al servizio di Marco Antonio solo perché in cambio avrebbe ricevuto ricchezze tali che mai avrebbe potuto raggiungere con una normale carriera militare. Oro, donne, belle case, prestigio: erano questi gli unici valori che avevano senso, nella vita. Ma per uomini come Casca, sembrava che la sottomissione fosse una specie di ricompensa divina che accettavano dicendo persino grazie. Ed erano disposti a morire per coloro ai quali avevano dichiarato obbedienza.

Trattenendosi dallo sputare a terra per il disgusto, Servio si avvicinò a Casca e lo fissò negli occhi.

«La nostra nave è veloce» gli disse, «e da quando ci siamo distaccati dalla tua flotta, stiamo procedendo con grande rapidità.» Indicò le carte aperte sul tavolo. «Perché non li abbiamo ancora raggiunti? Con quale inganno stai cercando di fregarci?»

Casca sostenne con rabbia il suo sguardo, poi si passò la lingua sulle labbra spaccate, dove i suoi uomini si erano accaniti con un certo gusto. Quell’idiota era stato picchiato, e poi lavato e profumato, per fargli capire quale fosse la differenza tra obbedire e dissentire, ma non sembrava essersi ammorbidito più di tanto, e in quel momento non c’era tempo per martoriarlo ancora un po’ e strappargli le informazioni di cui avevano bisogno. Era pur sempre uno tosto, che aveva saputo soffrire in silenzio, in nome della sua causa.

Ma adesso Servio cominciava a infuriarsi, perché sapeva che Marco Antonio attendeva notizie da parte sua. Presto avrebbe dovuto mettere le mani su Cesare, e fare quello che gli era stato chiesto: spiccare la testa dal collo del vecchio dittatore e portarla a Roma.

Visto che Casca restava in silenzio, digrignò i denti e gli disse: «Hai due possibilità. O rispondi alle mie domande, o farò uccidere a uno a uno tutti i tuoi uomini. O almeno quei pochi che sono rimasti su questa nave».

«Sei un essere spregevole, senza alcun codice d’onore» ringhiò Casca sputando bava e sangue come una bestia ferita, tendendosi in avanti mentre le punte delle spade gli premevano sul petto.

Servio trattenne una risata.

«Codice d’onore?» chiese, sinceramente divertito. «Parli tu che ti sei finto morto per imbarcarti in questa stupida avventura? Hai abbandonato Roma, la tua famiglia, il tuo popolo... per cosa? Non certo per un atto di gloria e d’onore.»

«Questo lo vedremo quando torneremo, e...»

Casca s’interruppe, forse rendendosi conto che stava dicendo più di quanto volesse davvero.

Servio lo fissò incuriosito.

«Così pensate di fare ritorno a Roma? E dimostrare a tutti... che cosa? Che vi siete finti morti per conquistare la gloria ai confini del mondo? Ma che assurdità è mai questa? Un romano combatte per Roma! È così che possiamo dimostrare il nostro valore.»

Casca lo guardò in cagnesco, ma non ribatté. Servio comprese che qualcosa gli rodeva dentro, ma era troppo diffidente per sfogarsi con lui, quasi temesse di rivelargli informazioni preziose.

«Non mi interessa quali sono i vostri folli propositi» lo rassicurò. «Io voglio solo raggiungere Cesare. E portargli il messaggio che il suo amico Marco Antonio mi ha affidato.»

Casca sorrise con sarcasmo.

«Come no. Hai ucciso tutti quei soldati romani solo per convincermi a farti portare i saluti di Marco Antonio a Cesare. Molto divertente.»

Servio si raddrizzò con uno scatto, sentendosi inondare dalla rabbia. Cercò di tenere a freno l’impulso che lo spingeva a colpire quell’uomo, e per un momento credette che ci sarebbe riuscito, ma poi sentì partire il braccio come governato da volontà propria, e un manrovescio si abbatté sul volto di Publio Servilio Casca, con tanta forza da farlo crollare a terra.

Le guardie lo rialzarono subito, e Servio osservò il sangue che aveva ripreso a scorrere dalle labbra spaccate e da un taglio profondo sullo zigomo del prigioniero.

«Va bene» gli disse, scrutandolo torvo. «È chiaro che non posso discutere con te. Non mi resta che uccidere i tuoi uomini, e fermarmi solo quando avrai capito che non sto scherzando.»

Fece per voltarsi e uscire dalla cabina di comando, quando Casca lo richiamò.

«Aspetta!»

Servio si fermò e lo fissò, con una smorfia che non ammetteva scuse, e che il prigioniero sembrò comprendere.

«Quello che posso dirti è che avevamo deciso un paio di rotte, incrociando le indicazioni degli antichi navigatori.»

Servio si accigliò. Raggiunse il tavolo con le carte e le guardò. Là sopra era tratteggiata con il carboncino una sola rotta.

«Non troverai traccia della seconda» mormorò il prigioniero. «L’abbiamo memorizzata senza indicarla sulle carte.»

Servio chiuse gli occhi, cercando di tenere a bada la rabbia che lo stava sommergendo.

«Quanto tempo abbiamo perso?» sibilò, sentendo che questa volta avrebbe preso la spada e l’avrebbe affondata fino all’elsa nel ventre di quel bastardo.

«Un mese» rispose Casca. «Forse meno.»

Servio restò immobile per qualche istante, rimuginando su quello che aveva sentito, poi si placò. In fondo non era troppo tempo, potevano ancora raggiungere Cesare e approfittare del fatto che fosse preso con i preparativi per affrontare i territori ghiacciati del Nord per coglierlo di sorpresa.

Si voltò di nuovo verso Casca.

«Slegatelo» ordinò ai suoi uomini. «E portatelo qui. È arrivato il momento di segnare sulle carte la rotta che seguiremo nei prossimi giorni. E prega di non stare mentendo, perché altrimenti soffrirai pene tali che mi implorerai ogni giorno di toglierti la vita, e questo per molto tempo.»

Casca tenne lo sguardo puntato sul pavimento mentre lo facevano alzare e gli slegavano le corde ai polsi. Quando si avvicinò al tavolo afferrò subito il carboncino e tracciò la rotta che Cesare e la sua flotta dovevano avere seguito, mentre loro navigavano invano in altri mari.

Non sapeva se stava fingendo, ingannandoli per portarli chissà dove, ma non aveva scelta, doveva verificare l’ipotesi che stesse dicendo il vero.

Il prigioniero aveva quasi finito quando all’improvviso risuonò l’urlo di un corno di guerra, e l’allarme si propagò per tutta la nave.

«Legatelo!» urlò Servio, poi corse fuori dalla cabina di comando per capire che cosa stava succedendo.

La nave era in balia di una tempesta. Eppure, fino a poco prima non ce n’era stata traccia. Lo sapeva bene Servio Primicerio, che si era recato nella cabina di comando per consultare le carte dopo avere discusso con i suoi tribuni sul castelletto di prora, da cui poteva scorgere l’immenso oceano che li circondava fino a dove poteva giungere lo sguardo. Il mare era piatto, il cielo azzurro, solcato da nuvole bianche e leggere che tutto promettevano tranne che di trasformarsi presto in quelle enormi nubi cariche di pioggia e attraversate da lampi furibondi che vedeva adesso, e che sembravano voler annientare qualsiasi cosa. La loro nave era alla mercé del vento e delle onde che ingrossavano sempre di più.

«Com’è possibile?» gridò al timoniere, che cercava di governare l’imbarcazione dopo avere dato l’ordine di ammainare l’unica grande vela centrale. «Da dove arriva questa tempesta?»

Il suo interlocutore lo fissò con terrore.

«È arrivata all’improvviso, senza nessuna avvisaglia» balbettò. «Non ho mai visto nulla di simile...»

Servio non si lasciò suggestionare e ordinò all’uomo di provvedere per cercare di affrontare in modo adeguato la tempesta. Non se ne intendeva di navigazione, perché aveva sempre preferito muoversi sulla terraferma, però sapeva che quel genere di navi erano in grado di resistere a condizioni di mare terribili, grazie alla leggerezza e all’agilità di manovra.

«Servio, guarda!» lo richiamò all’improvviso una voce alle sue spalle. Si girò e vide che uno dei suoi tribuni stava indicando il cielo, dove alcune nuvole stavano rotolando impetuose verso di loro, per poi aprirsi con uno squarcio dal quale comparve la creatura più terrificante che avesse mai visto. Nella pioggia che cominciò a scrosciare fragorosa, e nelle tenebre quasi assolute, riusciva a distinguere ben poco, però quando un paio di lampi divamparono, rischiarando a giorno il cielo, ebbe la conferma che non si trattava di un’allucinazione.

«Arcieri!» gridò, aggrappandosi ad alcune sartie mentre la nave veniva scossa da un vento impetuoso, forse prodotto dalle ali del mostro che era comparso dalle nubi e che stava puntando verso di loro. «In posizione! In posizione!»

Si guardò attorno furibondo, e si accorse che i suoi uomini erano nel panico: nessuno stava prendendo le armi per cercare di affrontare la creatura alata. Digrignò i denti sfoderando la spada e preparandosi all’attacco.

L’aria vorticò impetuosa tutt’intorno a lui, facendolo cadere a terra e perdere la daga, e quando fece per tirarsi su vide che il mostro con il corpo coperto di piume nere e occhi che brillavano come tizzoni aveva posato le zampe sulla murata della nave, e tenendosi in equilibrio con le immense ali spalancate lo fissava tendendo il collo verso di lui.

Servio aveva smesso di respirare, con il cuore che gli rantolava nel petto e la convinzione che presto sarebbe morto, ma qualcosa di inaudito accadde.

Una figura bianca come il latte, ma dall’aspetto inequivocabile di un uomo, scivolò lungo il collo della creatura e atterrò a pochi passi da lui, per sollevarsi su lunghe gambe magre. Un uomo nudo, dall’aspetto terrificante quasi quanto la creatura che aveva cavalcato, con i capelli lunghi e una barba folta che gli cadeva sul petto scarno.

«Tu sei Servio Primicerio» disse, parlando con uno strano accento che si mischiava con il fragore dei lampi nel cielo. La sua non era stata una domanda, e questo annichilì Servio, che comprese di trovarsi al cospetto di un dio, o forse di un demone degli Inferi, arrivato a prenderlo per qualche oscuro motivo.

Sconvolto dal panico si guardò attorno, vide la spada poco lontano e si tuffò per agguantarla. Quando l’ebbe presa rotolò su se stesso, poi balzò di nuovo in piedi, le mascelle contratte e l’intenzione di combattere con tutte le forze che aveva a disposizione.

«Sei coraggioso» disse lo sconosciuto avanzando verso di lui, disarmato eppure sicuro di sé come una creatura soprannaturale. «Ho bisogno di parlarti. Non ho nessuna intenzione di ucciderti.»

Servio lo fissò mordendosi un labbro, senza abbassare la spada. Il mostro alato alle spalle dell’uomo aveva girato il collo verso alcuni marinai che si erano affacciati dai boccaporti, e sbuffando con le narici enormi li ricacciò tutti nelle profondità della nave.

«Ascoltami» continuò lo sconosciuto avvicinandosi ancora. «Io so dove si trova Cesare. E sono qui per cercare un alleato con cui combatterlo.»

Servio Primicerio, per un istante, non riuscì più a respirare. Nel fragore della tempesta che fischiava e urlava intorno a lui, non era sicuro di avere inteso bene le parole del demone o del dio che lo stava affrontando. E non voleva illudersi.

«Mi hai capito!» ringhiò l’uomo fissandolo come se potesse leggergli nella mente. «Io ti aiuterò a ritrovare Cesare, ma tu dovrai darmi qualcosa in cambio.»

Servio scosse la testa, senza capire.

«Che cosa vuoi?» riuscì a balbettare, sorpreso lui per primo di avere ancora fiato per parlare.

L’uomo digrignò i denti e strinse gli occhi in due fessure.

«Voglio i corpi di tutti gli uomini della legione di Cesare, dopo che li avrete uccisi.»

Anche se non riusciva a comprendere il significato di una richiesta così assurda, Servio si sentì rabbrividire.

«E voglio un uomo» aggiunse il dio «che porterò via con me.»

Servio si riscosse e, stringendo con forza la spada, irrigidì tutti i muscoli del corpo.

«Cesare è mio!» ringhiò. «Voglio la sua testa, e nessuno me la porterà via.»

Il demone lo guardò per un istante, poi scoppiò a ridere.

«Cesare sarà tuo» affermò. «Io voglio Cicerone. E i corpi degli uomini della legione. Accetti il patto?»

Servio sapeva che forse stava commettendo un errore, perché non sapeva chi fosse quell’uomo sbucato da una tempesta sul dorso di un mostro piumato, ma non poteva permettersi di lasciarsi sfuggire quell’opportunità. Sentiva che lo sconosciuto non gli stava mentendo, e che gli avrebbe lasciato la testa di Cesare per portarla a Marco Antonio. Di tutto il resto a lui non importava. Che facesse ciò che voleva, di Cicerone e dei cadaveri della Legio Caesaris.

«D’accordo» disse, gettando a terra la spada e battendosi il braccio sul petto.

L’uomo lo fissò inclinando la testa, come se stesse cercando di capire se poteva fidarsi, poi si avvicinò e allungò una mano verso di lui, mostrandogli quello che reggeva.

«Prendi questa. Nel sacchetto c’è una polvere d’erbe. Respirane un pizzico, quando vorrai entrare in contatto con me.»

Servio allungò la mano e prese la bisaccina di pelle, stentando a capire che cosa volesse dire.

«Quando ci incontreremo di nuovo, saremo alleati contro Cesare» concluse lo straniero ruotando su se stesso e tornando al mostro alato che lo attendeva. Mentre saliva di nuovo in groppa alla creatura, afferrando con forza le enormi piume nere come se fossero briglie, si voltò a guardarlo un’ultima volta. «Respira la polvere, e saprai dove si trova la legione. Io ti raggiungerò.»

Detto questo spronò la sua cavalcatura alata, che con due possenti colpi d’ala tornò a sollevarsi nella pioggia, e in breve scomparve all’interno delle nuvole in tempesta.

Servio restò immobile a osservare il cielo di piombo, cercando di capire se quello che aveva visto era stato reale o solo un sogno, una allucinazione. Ma poi si guardò la mano, e vide che reggeva un sacchettino di pelle con strani simboli incisi sopra. Lo aprì, vi infilò dentro un dito e lo ritrasse sporco di una polvere nera.

«Allora è tutto vero...» mormorò, senza sapere se essere incredulo, spaventato o eccitato per quello che gli era stato detto. Aveva trovato un alleato potente e inaspettato, e grazie a quella sostanza avrebbe potuto rintracciare la legione di Cesare.

Sentendosi attraversare da un brivido sollevò lo sguardo verso il cielo, e si accorse solo in quel momento che aveva smesso di piovere, le nuvole si erano rapidamente ritirate all’orizzonte e il sole stava comparendo di nuovo, mentre le acque si calmavano sotto il ventre della nave.

Con un ghigno soddisfatto, Servio raccolse la spada, si ficcò il sacchetto nella cintola e tornò nella cabina di comando. Aveva bisogno di capire subito se quello che gli aveva rivelato il dio delle tempeste era vero oppure no.

«Sei un pazzo! Non puoi credere a un demone!»

Servio si guardò attorno sorpreso, e vide Publio Servilio Casca davanti a lui.

Era solo, senza più le guardie che avrebbero dovuto tenerlo d’occhio, e che forse se l’erano svignata quando il mostro alato era comparso.

«Credi che basteranno le forze degli Inferi a fermare Cesare?» gridò ancora Casca, con la bava alla bocca per la rabbia. «E tu credi di poter riavere la tua anima, dopo che avrai stretto un patto di morte con quelle creature?»

Servio Primicerio gli si avvicinò, reclinò di lato la testa e lo osservò.

«Adesso non mi servi più» gli disse, aprendo un sorriso.

Prima che Casca potesse ribattere, gli affondò la daga nel ventre, proprio come aveva pensato di fare più di una volta. Lo vide stramazzare al suolo senza vita, pulì la lama della spada sulla sua tunica ed estrasse la piccola bisaccia con la polvere nera.

«Adesso vedremo se il demone aveva ragione» mormorò avviandosi verso il suo cubiculum, dove aveva intenzione di rintanarsi per compiere la stregoneria che gli avrebbe consentito di rintracciare Cesare.

Un potere immenso gli era stato consegnato, e lui cominciò a pensare che forse non avrebbe potuto sfruttarlo solo per compiere la sua missione e compiacere Marco Antonio.

Mentre un ghigno gli si formava sulle labbra, comprese che il demone gli aveva dato un’arma capace di renderlo invincibile, forse per diventare lui il nuovo padrone di Roma. E del mondo intero.