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Lazzari aveva inaugurato l’enoteca già da due giorni quando entrò il primo cliente e con voce risoluta ordinò una bottiglia di Falerno. Era un vino che non si produceva più da almeno millecinquecento anni, a quanto poteva saperne.
Non si era preoccupato di pubblicizzare la nuova apertura e all’inaugurazione di due sere prima aveva invitato soltanto poche persone: la dipendente del Comune che lo aveva seguito nelle pratiche amministrative, un paio di fornitori locali, il muratore e l’elettricista che si erano occupati dei lavori, la sua eclettica padrona di casa, una di quelle donne capaci di risollevarti il morale con una sola parola, il portalettere della zona e il commercialista. Il commercialista non era venuto e al suo posto aveva mandato la segretaria con un mazzo di quindici rose blu.
Il cliente si chinò rigidamente sul decanter che fungeva da vaso, per sentirne il profumo. Indossava un abito tagliato su misura e, appuntato sulle spalle, un cappotto di taglio militare. Si muoveva con la lentezza evasiva e puntigliosa di chi sta per prendere possesso del suo nuovo ufficio e ha tutta l’intenzione di spostare i mobili e modificare ogni cosa.
«Forse intende un Falerno del Massico», gli disse Lazzari, grattandosi la guancia. Non poteva credere che quell’uomo gli stesse davvero domandando un Falernum, il rosso più amato dagli antichi romani.
«Capita sempre così».
«Capita sempre cosa?»
«Si tratta di un comportamento tipico. Speriamo sempre di non avere capito bene, che ci sia stato un malinteso, un errore, che la cartella clinica con la diagnosi fatale non sia la nostra, che il nome chiamato dall’ufficiale sia quello di un altro. Ma non è così, non è mai così».
Lazzari spostò la mano dietro l’orecchio. «Ah no?»
«Sa qual è il punto debole dell’uomo?», domandò lo sconosciuto. Poi, senza concedergli il tempo di rispondere disse: «La prevedibilità».
«Non capisco».
«Ha capito benissimo ciò che ho ordinato».
Fuori passò una bicicletta. Poco lontano il mare rumoreggiava contro il molo e il legno del pontile anneriva sotto le onde; oltre il porto-canale, sull’arenile, compattato dalla pioggia della mattina, una banda di surfisti scaricava le tavole e le mute da due fuoristrada.
«Il vino che mi chiede non esiste più».
«Dice bene, professore».
«Non sono un professore».
«Dice bene per la seconda volta, assistente», confermò l’uomo e si sedette su una seggiola. Poi si tolse l’ingombrante cappotto, lo ripiegò con cura e se lo mise sulle ginocchia. «Non è mai andato oltre quel ruolo, vero?».
Lazzari afferrò una delle bottiglie esposte sul bancone. «Posso offrirle un Aglianico? La provenienza è più o meno la stessa di quel Massico di cui le parlavo».
L’uomo inforcò un paio di occhiali con la montatura di tartaruga e tirò fuori da una delle tasche del soprabito un’agendina rivestita di cuoio. In un angolo, sotto un taglio superficiale, erano cucite in filo d’oro le iniziali C.V.R.
«Lei si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia di Genova a diciotto anni e in appena un triennio sostiene tutti gli esami», attaccò a leggere. «Dopo la laurea, vince una borsa di studio per un dottorato in storia romana presso l’Università degli studi di Milano. Lo completa in tre anni circa con una tesi intitolata Il nome di Roma. Il celebre professor Casini le offre un ruolo da assistente presso la cattedra di storia romana e le fa assegnare tramite una fondazione un’ulteriore borsa di studio. Nel frattempo, infatti, partendo dai dati raccolti durante la tesi, lei ha cominciato a lavorare a un saggio sulla nascita di Roma. I pochi che hanno potuto visionare i materiali di supporto ne parlano in toni entusiastici. Professori di altre facoltà vengono a trovarla. Riviste specializzate ne scrivono. Il clima di attesa cresce». Si interruppe lasciando intendere a gesti che saltava dettagli e traversie secondarie. «Sedici anni dopo lei interrompe di punto in bianco la stesura del saggio, prende la clamorosa decisione di ritirarsi dall’università e...».
L’uomo si tolse gli occhiali, chiuse l’agendina e allargò le braccia. «...Apre che cosa?»
«Un’enoteca», terminò Lazzari.
«Un’enoteca», ripeté l’uomo marcando la parola con disprezzo.
«Credo che lo berrò io, quel bicchiere di Aglianico», disse Lazzari e ne versò un paio di dita in un calice. Poi ci ripensò e colmò il bicchiere fino all’orlo. «Posso conoscere il suo nome?»
«Gli amici mi chiamano Colonnello».
«E i nemici?»
«Non ne ho».
«Viene da parte dell’università? È un agente del consiglio economico o roba del genere? Volete indietro i soldi delle borse di studio? Non li ho più, li ho impiegati per studiare e ricercare...».
«Anche questo è tipico», lo interruppe il Colonnello.
«Ah sì?»
«Non indoviniamo mai perché veniamo convocati. Immaginiamo sempre un motivo diverso da quello reale. Ti arriva una convocazione dall’ufficiale giudiziario e tu pensi a quella volta in cui non hai pagato le imposte».
Lazzari posò la bottiglia che emise un rintocco sordo sul marmo che rivestiva il bancone. «Già, non pensiamo mai a un vino aromatizzato al miele in voga due millenni fa. Siamo davvero privi di immaginazione...».
«Non sono qui per il vino».
Lazzari non sapeva più che smorfia opporre a quelle insensatezze. Ormai non tratteneva neppure il suo sarcasmo. «Ah no? Mi aveva quasi convinto».
«Sono qui per un sogno».
«Lo ha fatto lei?»
«No, lo ha fatto lei».
«Ah sì?»
«Sì, un sogno di nome Roma».
Lazzari rimase in silenzio alcuni secondi. «È stato tanto tempo fa», disse infine e spinse lontano da sé il calice.
«Duemilasettecentosessantaquattro anni fa, per la precisione. Secondo la leggenda, Roma fu fondata proprio il ventuno aprile del 753 avanti Cristo. Per molto tempo gli studiosi hanno tenuto in scarsa considerazione i racconti tradizionali, ma gli ultimi ritrovamenti archeologici hanno rimesso in discussione tutto. I misteri sulla fondazione della più grande città di tutti i tempi hanno ossessionato lei e migliaia di altri che l’hanno preceduta». Il Colonnello tacque alcuni istanti, studiando l’espressione di Lazzari. Infine riattaccò in tono ancora più suadente. «Perché lei non crede, vero, che si tratti soltanto di una leggenda... Lei crede che davvero qualcuno fondò Roma in un certo giorno a metà dell’ottavo secolo avanti Cristo. Non è così?».
Lazzari distolse lo sguardo. Al di là della vetrina un vecchio con un cappello di carta in testa e una tuta bianca sdrucita e tempestata di gocce colorate verniciava una fila di assi. Le pennellate avevano un ritmo costante: rassicuravano, raccontavano di un mondo solido, stagioni che si avvicendavano. «Sì, lo credo», ammise Lazzari con un sospiro.
«Anche le persone che rappresento lo credono».
La voce di Lazzari risuonò assente. «E chi sarebbero?»
«La sua è una domanda non funzionale al nostro discorso. Le basti sapere che le persone che rappresento possono vantare un particolare primato: realizzano sempre i propri sogni. E lei è la persona adatta al nostro scopo».
Lazzari scoppiò a ridere, una risata di gola, cattiva e disturbante. «Stia bene a sentire quello che le dirò...», cominciò, ma si bloccò all’improvviso, perché non esistevano parole da opporre a quel delirio. «All’inferno! Ho ascoltato abbastanza. La prego di uscire. Non abbiamo nient’altro da dirci».
Senza attendere l’eventuale replica si chiuse in bagno e aprì il rubinetto al massimo, affinché il rumore dell’acqua coprisse ogni altro suono. Non voleva sentire nemmeno lo scatto della porta che si apriva e chiudeva. Si frizionò la faccia con vigore. Come faceva quell’uomo a conoscere tutti i particolari della sua vita? Certo, non c’era niente di segreto, e chiunque con un po’ di impegno si sarebbe potuto procurare quelle semplici informazioni. Ma perché? Inoltre l’idea di vedere i suoi fatti personali appuntati su quell’agendina lo disturbava. E disturbato doveva essere anche quell’uomo.
Quando uscì lo ritrovò seduto nello stesso identico posto. «Allora non ci siamo capiti».
«Lo faremo, non si preoccupi».
«Io non so chi diavolo lei sia...».
«Il vero nome di Roma non è Roma, come lei sa bene», lo interruppe il Colonnello. «Tutti conoscono la città più famosa di tutti i tempi, eppure nessuno conosce il suo vero nome. Quello che possiamo chiamare il primo giorno dell’Urbe rappresenta uno dei più strabilianti misteri della storia. Le persone per cui lavoro desiderano venire a conoscenza di questo mistero ed entrare in possesso di un particolare oggetto usato durante il rituale di fondazione di Roma».
«Se queste persone desiderano mantenere immacolato il primato di cui si vantano, quello di vedere compiuti tutti i loro sogni, gli dica di scegliersene un altro. Questo è irrealizzabile».
Il Colonnello indicò con gli occhiali la finestra incorniciata dagli scaffali in legno di betulla. Lazzari seguì il gesto e vide che su alcune bottiglie si era già depositata una lieve pellicola di polvere. «Siamo venuti a conoscenza di una pista che può farci risalire indietro fino a quel giorno fatidico. Abbiamo bisogno di qualcuno che la ripercorra per noi, una guida esperta, la migliore disponibile sul mercato».
Lazzari prese uno strofinaccio e iniziò a passarlo nervosamente sul banco. «Tagliamo corto. Mi sta dicendo che avete un indizio?»
«È curioso di sapere qual è? Glielo dirò».
«No, glielo dirò io», disse Lazzari, che cominciava a detestare quel modo di fare. «Qualcuno è saltato fuori dicendo che se scavate in un tale posto troverete quel tale reperto, la prova inconfutabile che state cercando. Sono centinaia di anni che succede così. Scavate pure, non troverete nulla. E ora sarò felice di offrirle da bere».
«Non è nemmeno curioso di sapere cosa le offriremmo per questo compito?»
«Ho appena rifiutato».
«Sì, ma noi non ritiriamo la nostra offerta», precisò il Colonnello e mise via l’agendina. «Avremmo potuto offrirle un’ingente somma di denaro, una cattedra di storia romana in una delle università più prestigiose d’Europa, la direzione di un potente gruppo editoriale, perfino la conduzione di una trasmissione televisiva di divulgazione scientifica. Ma non avrebbe accettato».
Lazzari smise di strofinare. «Ah no?»
«No», garantì il Colonnello, come se Lazzari fosse un paziente con vaghe pretese di autodiagnosi e lui un medico specialista. «Per questo le offriamo di realizzare il suo più grande desiderio. Ha dedicato i suoi anni migliori a investigare sul mistero di Roma, studiando giorno e notte, rinunciando a una famiglia, sacrificando ogni cosa, senza però giungere alla sospirata scoperta. Ora noi le mettiamo a disposizione gli strumenti tecnici e finanziari per riuscirci, per realizzare il sogno della sua vita. Non si può rifiutare la vita, chi la rifiuta muore».
«Già», si limitò a mormorare Lazzari.
Il Colonnello si alzò e si sistemò il soprabito con un gesto disinvolto. «Ci rivedremo, assistente».
«Cercherò quel Falerno, promesso», fece di rimando Lazzari con tono sarcastico.
«Invocherà il mio ritorno, glielo assicuro».
Lazzari si infilò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. «Come no, ma nel frattempo mi tolga una piccola curiosità Colonnello. Ammesso che non sia tutta una montatura, davvero pensavate di convincermi con quella storiella sul sogno della mia vita?»
«Sì».
«Un po’ poco, non le pare?»
«Ora che mi ci fa pensare, forse ha ragione», ammise il Colonnello, mentre il suo sguardo si illuminava di colpo, come se avesse visto la preda infilarsi nella trappola. Quindi aggiunse in tono vagamente allusivo: «Credo che useremo qualcosa per... come posso dire... rendere il sogno più credibile».