Capitolo ventisette
Stephanie
Michael era più grande di me di soli quattordici mesi. Quando avevo all’incirca otto anni, mia madre aveva ammesso che il mio arrivo era stata una sorpresa, perché lei e mio padre non avevano intenzione di avere altri figli dopo Michael.
«Ma sei stata una bellissima sorpresa», mi aveva detto, baciandomi la punta del naso.
Avevo sempre creduto di non piacere a Michael perché gli avevo sostanzialmente rubato la scena conquistando il ruolo di figlio più piccolo. Crescendo, mi ero resa conto che il suo disprezzo era più ampio, nessuno ne era immune: né i miei genitori né Robbie. Nessuno.
Entrambi i miei fratelli erano dei combina guai cronici, ma Robbie aveva un carattere più allegro. Michael era spigoloso e inflessibile. Le ragazze lo adoravano nonostante le trattasse male. Ero cresciuta pensando a Michael come a una persona senza sentimenti, ma avevo intravisto il suo dolore il giorno in cui mia madre era morta − quando si era chiuso in camera sua e aveva pianto così forte che quel suono orribile era rimbombato per tutta la casa vuota. Diversi giorno dopo, quando Robbie era stato ucciso, Michael aveva gridato contro nostro padre e gli aveva dato del codardo pezzo di merda. Non avevo mai saputo il perché. Michael era sparito poco dopo. Se n’era andato a un mese dal diploma, e mi aveva lasciata da sola ad affrontare il processo di Nick Bransky e l’emarginazione della nostra famiglia.
Sospirai e guardai l’uomo seduto a pochi centimetri da me. Non lo conoscevo affatto.
«Ho sentito che sei in zona da un po’», dissi, cercando di evitare un tono accusatorio.
«Hai sentito bene», rispose Michael mantenendo la voce neutra. «Sono da queste parti da poco più di un mese».
«Ah». Incrociai le gambe e abbassai lo sguardo. Non sapevo come cavolo parlare a quel fratello, non l’avevo mai saputo. «Alonzo lo sapeva?».
Michael si appoggiò allo schienale del divano sgangherato e allungò un braccio. «Alonzo l’ha scoperto qualche ora fa, quando sono venuto qui a scavargli i cazzo di polmoni con un cucchiaino».
Deglutii. «Perché?».
Mi guardò serio. «Lo sai perché, Steffie».
Anche mio fratello mi ha vista nuda e umiliata.
«Non è stata colpa sua», dissi tirando su col naso.
«Be’, non ha mosso un dito per aiutare».
«Non avrebbe potuto fare niente. Le cose mi sono sfuggite di mano, Mike». La voce mi si affievolì. «Non lo volevo fare».
Il viso di Michael si contrasse e chiuse gli occhi. «Lo so. Lo sapevo ancora prima che Alonzo me lo dicesse».
Sentii un brusio di voci da fuori. Da qualche parte, lì vicino, dei pneumatici striderono e una ragazza rise fragorosamente nella notte.
«Dove sei stato tutto questo tempo?».
Mio fratello scrollò le spalle. «In un sacco di posti. Nessuno è durato. Nessuno era importante».
Cercai di non infuriarmi per come aveva ignorato la mia esistenza in quegli ultimi anni. Dopotutto, nemmeno io l’avevo contattato. «Ma quanto ti andava, ti sei fatto sentire. Zio Rocco sembrava sapere bene dov’eri».
«Restare in contatto non sarebbe stato un bene per te, Steffie».
«’Fanculo. Mi sarebbe piaciuto sapere che te ne fregava qualcosa. Sei mio fratello».
Mi guardò per un attimo prima di rispondere. «Lo so. È per questo che ora sono qui. Ho intenzione di esercitare i diritti di fratello maggiore».
«Cosa vorrebbe dire, Michael? Hai intenzione di ammazzare qualcuno perché mi ha fatto un video sconcio contro la mia volontà?»
«No», rispose arcigno. «Ma ho intenzione di fargliela pagare».
«Perché?».
Sospirò. «Perché non ho potuto fare niente per Robbie».
«Per favore, Michael, piantala di parlare per enigmi e dire mezze verità. Sai chi ha ucciso Robbie?»
«No. Ho cercato di scoprirlo ma non ci sono riuscito. Sapevo che papà si era fatto un’idea, ma non mi ha detto un cazzo. Mi ha proibito di vendicare mio fratello, ed è stata l’ultima cosa per cui abbiamo litigato». Incrociò le braccia al petto e vidi la volontà incrollabile che aveva mostrato al mondo per tutta la vita. «Non aveva il diritto di rifiutarmelo».
«Stava cercando di proteggerti».
Il suo sguardo era rivolto lontano. Aveva già preso un’altra strada. «Sai quante cazzo di volte l’ha fatta piangere, Stephanie? Sei sempre stata la principessina di papà, ma ti sei mai resa conto di che uomo fosse? Che cazzo, se Nick Bransky ti dice che fuori c’è il sole, dovresti cacciare la testa fuori dalla finestra e rischiare di farti accecare dai raggi, perché mente a ogni respiro».
«Non lo fare, Michael».
Non posso perdere l’ unico fratello che mi rimane. Ti prego.
Sospirò e distolse lo sguardo. Aveva detto che non aveva intenzione di ammazzare nessuno, ma il suo tono era letale. «Nessuno fa una cosa del genere a mia sorella e poi riprende a farsi i cazzi suoi».
Non sarei riuscita a convincerlo a lasciar perdere. «Allora ti chiedo un’altra cosa: lascia Chase fuori».
«Chase», sbuffò. «L’ho conosciuto dieci minuti fa. Credi che ci metteremo in società e andremo in giro a piantare grane?»
«Credo che vogliate la stessa cosa. E sono spaventata a morte».
Michael annuì distratto. «Non preoccuparti per Chase. Mi è sembrato ti ami di più di quanto vorrebbe spaccare la faccia a qualcuno».
A dispetto della giornata terribile e dell’incertezza sul prossimo futuro, sorrisi.
«Tu che mi racconti, Mike? Ce l’hai la ragazza?»
«Steffie», rispose con un ghigno. «Non ti ricordi un cavolo di me? Ne ho a centinaia».
«Ancora?»
«Sempre».
La conversazione morì più o meno a quel punto. Nonostante il legame di sangue e l’infanzia che avevamo condiviso, in pratica non eravamo che due estranei. Mi sforzai di trovare altro di cui parlare, ma non ero mai stata brava in quel genere di cose.
Quando aprii la porta dell’appartamento di Al, tutti e tre i fratelli Gentry erano dall’altra parte. Chase fece un passo verso di me e andai da lui di buon grado.
«Ora possiamo andare a casa?»
«Sì, tesoro. E ci possiamo restare».
Voleva dire che aveva chiuso con quella storia, che non avrebbe dato la caccia a quegli uomini e che non avrebbe fatto nulla che poteva mettere a repentaglio la nostra storia. Potevamo chiarire il terribile litigio di quella mattina in un altro momento. Non ricordavo neanche per cos’avevamo discusso. La mia notorietà non richiesta avrebbe reso difficili i giorni a venire; avrei avuto bisogno di capire come superare quella situazione, ma con Chase accanto sapevo che ce l’avrei fatta.
Michael salutò con la mano dalla soglia di casa di Alonzo. Non mi aveva promesso niente e non sapevo se o quando l’avrei rivisto. Ricambiai il saluto.
Cord e Creed ci seguirono in silenzio sulle scale, e Chase mi cinse con un braccio.
«Buonanotte, ragazzi», salutò una voce bassa nel buio.
«Buonanotte, Al», rispose Chase in tono piuttosto piatto. Poi sembrò ripensarci e gli porse la mano. «Ci vediamo».
Mentre andavamo al parcheggio, il telefono di Cord squillò e si capì subito che stava parlando con Saylor: aveva un sorriso enorme stampato in faccia.
«Torno a casa presto, tesoro. Ti amo anch’io».
Quando Chase vide che eravamo arrivati con la mia macchina, lanciò le chiavi del furgone a Creed, che per un attimo sembrò restio a muoversi. Restò fermo a guardarmi dritta negli occhi. «Abbi cura di te, Steph», disse in tono quasi amichevole. Poi salì sul furgone e gridò a Cord di staccarsi dal telefono e darsi una mossa.
Chase guidò per il breve percorso che portava a casa mia. Spense il motore e abbassò lo sguardo, esitante.
Gli presi la mano. «Resti con me, stanotte?».
I suoi occhi azzurri mi scrutarono speranzosi. «Sei sicura? Giuro su Dio che non me la prendo se dici di no, Stephanie».
Gli baciai la mano. «Voglio che resti».
Era ancora presto, quindi ci sedemmo sul divano a guardare la televisione. Chase mi tenne stretta a sé, ma sembrava restio a toccarmi, forse per come l’avevo rifiutato prima. Andava bene, perché non ero pronta a farmi toccare. Quando iniziai a sbadigliare, spense la TV e si alzò, porgendomi la mano. Andammo in camera in silenzio e non accese la luce mentre mi spogliavo in un angolo.
Mi aspettò a letto e scostò le coperte per poi coprirmi quando mi infilai dentro.
«Chase», sussurrai, e gli toccai il viso mentre si sporgeva per baciarmi.
Ci baciammo piano e con dolcezza per molto tempo, come se avesse capito che andare oltre sarebbe stato troppo, in quel momento. Il cuore gli batteva all’impazzata e aveva il respiro affannoso, quindi sapevo che sforzo enorme stava facendo per trattenersi anche senza abbassare lo sguardo. Lo amai ancora di più.
Chase mi baciò con passione per un altro minuto e poi si staccò, sospirando contro il mio collo prima di stringersi a me e posare la testa sulla mia spalla. Era il modo perfetto per addormentarsi, e non mi ero mai sentita così del tutto protetta e amata. Non mi sarebbe successo niente mentre ero lì.
Il viaggio nell’abisso era finito. Non stavo più cadendo.