Capitolo quindici
Stephanie
Chase voleva travestirsi per Halloween. Acconsentii perché era molto entusiasta dell’idea, e renderlo felice mi rendeva felice. Quando il giorno prima si era presentato alla mia porta, un’ora dopo essere andato via, era turbato. Non mi aveva detto perché. Mentre ero in camera a scrivere la relazione di economia, lui restò sul divano a guardare la televisione in silenzio, e non era da lui.
Avevo lavorato in fretta, ma poi non ce l’avevo più fatta: dovevo raggiungerlo. Mi aveva abbracciata in automatico, appena mi ero seduta accanto a lui. L’avevo stretto al petto e gli avevo accarezzato il collo, sentendomi protettiva come una leonessa. Era strano, perché Chase era molto più grande e più forte. Mi ero abituata a sentirmi al sicuro tra le sue braccia, ma in quel momento avevo capito che era lui ad aver bisogno di sentirsi al sicuro.
Mi fece sdraiare sulla schiena e si mise sopra di me, ma non era per il sesso. Posò la testa sul mio petto e restò in silenzio. Chase voleva solo che lo amassi. E lo amavo. Disperatamente.
Alla fine mi aveva portata in camera e la passione aveva preso il sopravvento, come sempre. Ma di solito Chase diceva e faceva porcherie. Quella volta, mentre si muoveva dentro di me, l’unica cosa che mi aveva detto era stata: «Guardami, tesoro. Continua a guardarmi».
Avevamo finito così, guardandoci negli occhi. Ansimai quando raggiunsi l’orgasmo, poi lo sentii fremere e fare altrettanto. Mentre passavo le dita sulla sua pelle sudata, avevo pensato a noi due insieme. Non avevo mai creduto possibile di sentirmi così vicina a qualcuno.
Il mattino dopo, Chase era tornato a essere allegro e malizioso. Mi svegliò presto e iniziò a esporre tutto quello che sapeva sulla storia di Halloween. A quanto pareva, le sue conoscenze in merito erano notevoli, quindi mi addormentai per un po’ mentre parlava. Si offese per il mio disinteresse e aprii gli occhi.
Gli scostai la mano e mi sedetti. «Va bene», borbottai. «Mi metterò un vestito da strega del cavolo».
Era incredulo. «Una strega per Halloween? È banale, Stephanie. Puoi fare di meglio. E niente zombie. È roba morta e sepolta. Ahah. L’hai capita?»
«Quindi cos’hai in mente?», gli chiesi dieci minuti dopo mentre eravamo seduti sul pavimento della cucina e facevamo colazione con il gumbo avanzato di Truly.
Prese un pezzo di salsiccia e lo masticò sovrappensiero. «Mi faccio un giro e vedo di trovare qualcosa. A che ora finisci oggi pomeriggio?».
Bevvi un sorso di caffè. «Alle tre. E Truly mi ha scritto un messaggio ieri sera: ho un colloquio con il suo capo alla Gallina Pazza alle 15:30».
«Perfetto. Non mangio lì da una settimana. Mi manca il pollo. Ci vediamo lì alle quattro». Chase mi scostò i capelli dalla spalla e mi sorrise dolcemente. «Che ne dici?»
«E poi?», chiesi, avvicinandomi a lui in ginocchio. «Dolcetto o scherzetto?»
«Molti scherzetti», promise, lanciando via il contenitore del gumbo per potermi bloccare per terra. «E una vagonata di dolcetti».
Cercai di spostarlo ma non si mosse di un centimetro. «Fammi alzare. Qui sotto è freddo e duro».
«Freddo e duro», ripeté, facendomi allargare le gambe. «È tipo lo slogan porno dei non morti. Ora ti dimostro quanto sono rigido ovunque».
Ci stavamo rotolando sul pavimento della cucina quando Truly entrò. Ci guardò in modo strano e scoppiammo a ridere.
Chase si alzò e finse di rimetterselo nelle mutande, anche se in realtà non l’aveva ancora tirato fuori. Truly mi fissò. Ero ancora sdraiata per terra.
«Buongiorno», salutai con la mano. «Abbiamo finito il tuo gumbo. Spero non sia un problema».
«No», rispose, ma la sua espressione era seria. «Ti è arrivato il messaggio, ieri sera?».
Mi feci aiutare da Chase ad alzarmi e andai verso di lei. «Sì. Ci sarò. Grazie, Truly. Sei la sorella maggiore che non ho mai avuto». La abbracciai. Lei sembrò presa alla sprovvista, soprattutto quando Chase corse verso di noi e ci strinse in un abbraccio ancora più forte.
«Per quanto sia divertente», disse senza mollare la presa, «devo andare». Poi lasciò Truly, mi sollevò e mi fece girare prima di rimettermi giù.
«Ciao, tesoro», gli dissi baciandolo. «Ti amo».
I suoi occhi, di una sfumatura di azzurro profonda e particolare, si fecero più intensi. «Ti amo anch’io».
Anche dopo che Chase se ne fu andato, Truly era ancora in piedi in salotto. Dolly si strusciò contro le sue caviglie e la prese in braccio. «La signorina Stephanie si è ricordata di darti da mangiare, ieri sera?»
«No», ammisi, e mi sentii in colpa. «Mi sono dimenticata. Lo faccio subito».
Truly posò la gatta con un sospiro. «Non c’è problema, ci penso io».
La seguii in cucina e la guardai riempire la ciotola di Dolly. «Com’è andata l’esibizione di Creed di ieri sera?»
«Bene», rispose con un sorriso. «Fa sempre faville».
«Be’, ha una voce pazzesca», commentai un po’ malvolentieri perché ero ancora incazzata per come aveva criticato il mio rapporto con il fratello. Eppure immaginai dovessi lasciar correre. Non aveva detto niente da allora, e anche se era distaccato avevo avuto l’impressione che cercasse di mantenere rapporti civili.
Truly si girò con calma verso di me. Capii che aveva qualcosa per la testa.
«Lavo il contenitore del gumbo», dissi, raccogliendolo da terra.
«Non me frega un cacchio del contenitore, Steph». Si mordicchiò il labbro e guardò fuori dalla finestra. «Creed era seccato, ieri sera».
«Non credevo fosse una cosa insolita».
Mi guardò storto.
«Scusa».
Truly sospirò. «Lui e Chase hanno discusso. Si sentiva in colpa, ha detto una cosa che non avrebbe dovuto dire e Chase se l’è presa».
«Riguardava me, vero?».
Annuì. «In un certo senso».
Incrociai le braccia per tenere a bada la rabbia che provavo nei confronti di Creed Gentry. «Allora, che cavolo gli ho fatto, Truly? Perché pensa che sia un demone che vuole rovinare suo fratello?».
Truly sembrava sbigottita. «Creedence ti ha detto così?»
«No, non proprio. Mi ha solo detto che io e Chase non andiamo bene l’uno per l’altra».
«Ah», replicò piano, e guardò di nuovo fuori dalla finestra.
«Truly?», incalzai. «Sei d’accordo con lui?»
«No, dolcezza», rispose subito. «Non giudicherei mai». Poi sorrise. «Sei felice, si vede. E anche lui è felice».
«Allora che c’è? Cos’è che non mi stai dicendo?»
«Tu e Chase…», sospirò. «Siete molto diversi, ma vedendovi insieme ultimamente mi sembrate uguali».
Scossi la testa, irritata. «Non capisco che cavolo vuoi dire».
Si avvicinò. «Stephanie. Siete entrambi miei cari amici, e sono felice che vi siate trovati. Sul serio. Nonostante quello che dice Creed. Ma confesso di essere un po’ preoccupata di quanto sia diventato intenso il vostro rapporto».
«Mi ama», dissi con convinzione. «E io amo lui».
«Lo so. Ma a volte l’amore può trasformarsi in qualcos’altro, un potere che scaccia la ragione. Amatevi, Steph, ma state attenti a non perdere voi stessi».
Durante la giornata feci le solite cose, pensai a Chase e contai le ore che mancavano prima di essere di nuovo con lui. Pensai anche a quello che aveva detto Truly: non stavo perdendo me stessa, ero sempre io. Solo che ero felice. Era da tanto che non mi sentivo così.
Il colloquio con il capo di Truly andò bene. Era il tipico uomo affabile di mezza età, ma avevo capito che aveva una grande considerazione di lei, ed era stato abbastanza per darmi una possibilità anche se non avevo esperienza.
«Puoi iniziare lunedì?», chiese, e ne fui felice. Lo stipendio da cameriera era una miseria rispetto alle entrate delle scommesse sportive, ma era un lavoro onesto. Sarei uscita dall’ombra della storia della mia famiglia e ne sarei rimasta fuori.
Strinsi la mano di quell’uomo e lo ringraziai a lungo.
Quando uscii dal suo ufficio, vidi che Chase era già seduto nel ristorante.
C’era un’altra cameriera che gli girava intorno con la scusa di prendere l’ordinazione. Gli tolse qualcosa dalla manica e lui si infastidì. Quella ragazza aveva le labbra sottili, era magra e sembrava proprio che avesse bisogno che la prendessi a calci in culo.
Chase mi vide e sorrise. Inarcai le sopracciglia e indicai la mia futura collega con uno sguardo disgustato. Il sorriso di Chase si allargò quando si rese conto che volevo marcare il territorio, e aprì le braccia.
«Mi sei mancata», disse, baciandomi in modo così svenevole che quella ragazza non avrebbe potuto fraintendere.
«Posso portarti qualcosa?», mi chiese in tono arrogante.
«Quello che ha ordinato il mio ragazzo», risposi, attivando la modalità da stronza della East Coast. «Devi solo portare il culo in cucina e prendermi la stessa roba».
Appena la ragazza si allontanò, Chase scoppiò a ridere e mi fece il verso. Sorrisi. «L’accento spicca di più quando mi girano le palle».
«Ho notato. Dopo devo ricordarmi di farti incazzare, così lo posso sentire di nuovo».
Diedi un’occhiata alla busta che aveva messo sotto il tavolo. «Cos’hai preso?»
«Costumi», rispose allegramente. «Anche se la scelta era limitata».
«Davvero? Mi stai dicendo che il giorno di Halloween non erano rimasti molti costumi tra cui scegliere?».
Annuì serio. «Già. Chi l’avrebbe mai detto?». Poi fece uno dei suoi sorrisi affascinanti e dovetti baciarlo di nuovo.
Quando la nostra cameriera acida ci portò da mangiare, mi spostai su un’altra sedia. Guardai con più attenzione dentro la borsa: c’erano un vestito rosso corto con un boa di piume e un abito gessato. C’erano anche due pistole giocattolo.
«Ci travestiamo da prostituta e pappone?», chiesi mentre lui attaccava il panino al pollo.
«Bonnie e Clyde», rispose con orgoglio dopo aver mandato giù il boccone.
«Non ne so quanto te di storia, ma non erano due assassini senza cuore che alla fine sono stati crivellati a morte?»
«Sì. Non ti avevo detto che c’era poca scelta? Le opzioni erano assassini americani famosi o due tutine integrali».
«Be’, allora direi che hai scelto bene».
Mi sfiorò il ginocchio sotto il tavolo. «E poi continuo a immaginarti con quel vestitino rosso mentre ti lego al letto con il boa di piume».
«Non sembra abbastanza robusto per l’attività».
«Farò il doppio nodo».
Chase aveva intenzione di passeggiare per Mill Avenue una volta fatto buio. Tornammo a casa mia per cambiarci. Era la sera libera di Truly, quindi quando entrammo lei era a casa. Purtroppo c’era anche Creed.
Salutò ma sembrava a disagio. Notai che guardava Chase con prudenza e mi tornò in mente che Truly mi aveva detto che si sentiva in colpa per il loro litigio. E, anche se Chase non l’aveva detto, doveva essere quello il motivo per cui era così giù la sera prima.
Mentre Truly finiva di prepararsi, noi tre gironzolammo a disagio per la stanza. Chase fissava il pavimento con le mani in tasca, Creed guardava fuori dalla finestra anche lui con le mani in tasca.
«Allora, che programmi avete per stasera?», chiesi a Creed per allentare la tensione.
Mi fece un lievissimo sorriso e lanciò un’occhiata al fratello. «Non lo so. Tutto quello che vuole la signora».
«La signora vuole solo stare tra le tue braccia», disse Truly entrando nella stanza. Era stupenda con il suo vestito di raso nero con il corpetto aderente e la gonna svasata.
Creed la fissò. «E quello dove l’hai preso?».
Lei mi fece l’occhiolino. «Questo straccetto?», chiese facendo la giravolta sui tacchi neri che mettevano in risalto le gambe tornite. «L’ho fatto questa settimana. Ti piace, Creedence?»
«Sì», rispose, e vidi che stava letteralmente sbavando. Quando gli si avvicinò sorrise, e lui le avvolse la vita per poi abbassare la mano e stringerle i glutei. I fratelli Gentry non erano certo timidi.
«Creed», lo rimproverò, ma stava ridendo e non si spostò.
«Ehi», le sussurrai prima che uscisse dalla stanza, «posso prendere in prestito i tuoi trucchi?»
«Fai pure», rispose scrollando le spalle, poi guardò dietro di me. «Ciao, Chase».
Chase guardò il fratello e si fissarono per un lungo istante. «Buon Halloween».
Creed temporeggiò per qualche secondo come se volesse dire qualcosa, oppure sperava lo facesse Chase, ma poi sospirò e seguì Truly.
«Ne vuoi parlare?», chiesi a Chase quando la porta si chiuse.
«No», rispose subito. Poi svuotò la borsa per terra. «Voglio divertirmi un po’».
Mi cambiai in bagno per poter usare i trucchi di Truly. “Poco è meglio” è sempre stata una regola di mia madre quando si trattava di cosmetici, ma quella sera ci si travestiva, si recitava, si fingeva. Mi sentii sexy quando infilai il vestito. Era molto corto. La settimana prima, con l’aiuto di Truly, avevo finalmente ceduto e avevo comprato un paio di scarpe col tacco. Mi ci stavo ancora abituando. Mentre sistemavo i capelli ricci e applicavo una dose abbondante di rossetto rosso, sentii che avevo iniziato a lasciarmi alle spalle le vecchie insicurezze. Ed era tutto merito di Chase.
Quando aprii la porta del bagno, scoppiai a ridere. Chase era in mezzo al salotto con i pantaloni alle caviglie e cercava di chiudere la giacca gessata sul petto muscoloso.
«Non mi sta», si lamentò, poi spalancò gli occhi quando mi vide, e feci girare il boa in modo seducente.
Chase fece cadere il costume per terra e iniziò ad avvicinarsi, leggermente ostacolato dai pantaloni calati. Mi bastò un’occhiata ai suoi boxer per capire quanto apprezzasse il mio aspetto. Lasciai che mi bloccasse contro il muro più vicino e mi sollevasse il vestito.
«Non rovinarmi il trucco, che cavolo», lo rimproverai quando iniziò a farsi aggressivo.
Chase mi abbassò gli slip. «Questi non te li mettere, stasera. E rovinerò un bel po’ di cose». Si allontanò di qualche centimetro, sorridendo mesto. «Ma non ora. Adesso ti porto fuori per sfoggiarti. Guarderò malissimo chiunque osi lanciarti occhiatine, ma sai cosa? Mi ecciterò sempre di più e poi, quando non resisterò più, ti scoperò fino a svenire».
Non riuscivo ancora a credere alle volgarità che uscivano dalla bocca di Chase, né tantomeno riuscivo a credere all’effetto che mi facevano. Ero prontissima e lo volevo subito dentro di me, ma adoravo l’idea di farlo eccitare fino a farlo scoppiare.
Non indossava la camicia, quindi gli passai le mani sul petto – sulla piccola cicatrice nel basso ventre e poi sulle parole tatuate sul torace: Vivo pro hodie. Vivo per l’oggi.
«Ogni giorno», sussurrai.
Amami ogni giorno. Scopami ogni giorno. Tutto quanto.
Chase annuì come se avesse capito cosa intendevo anche se non l’avevo detto ad alta voce. Tirò una spallina del vestito sulla mia spalla e infilò il pollice nel reggiseno sfiorando il capezzolo turgido. La sua voce era roca per l’eccitazione. «Sei la mia fantasia, Steph. Lo sai?».
Ci stuzzicammo per un altro po’ e poi uscimmo. Prendemmo la mia Buick. Mill Avenue era affollatissima. Ci toccò parcheggiare vicino alla A Mountain, una collinetta che sovrastava l’università e che aveva una grossa A sul fianco. I locali erano talmente pieni di gente da essere fastidiosi, quindi ci appoggiammo a un bell’edificio in mattoni alla fine della strada. Ogni tanto pomiciavamo, altre volte guardavamo la gente che passava. I costumi erano praticamente a tema: i ragazzi cercavano di essere stupidi, le ragazze sexy. I tacchi iniziarono a darmi fastidio, quindi tolsi le scarpe e lasciai che Chase mi portasse sulla schiena fino alla macchina.
«Andiamo a fare Dolcetto o scherzetto», disse mettendo in moto.
«È davvero un eufemismo per il sesso?»
«Potrebbe», replicò, infilandomi con nonchalance la mano sotto il vestito per massaggiarmi, o per ricordarmi che non indossavo biancheria intima.
Dopo esserci districati nel traffico del centro di Tempe, osservai le mie scarpe con disgusto. «Non ne capisco il fascino», ammisi. «Non calzavo una cosa del genere da quando andavo alle superiori e sono fuori allenamento. Mi sembrano solo degli strumenti di tortura medievale».
«Be’, non torturati per me», rise Chase. «Mi piaci anche con le scarpe da ginnastica».
«Sei dolcissimo», gli dissi all’improvviso seria quando allungai la mano per sfiorargli la guancia.
«Sei mia», affermò sincero, parcheggiando vicino casa sua.
Ci fingemmo bambini e Saylor aprì la porta con una scodella piena di dolci. Fece un po’ il broncio quando vide che eravamo solo noi e non dei bambini vestiti come i personaggi della Disney.
«Ma cosa credevi?», le chiese Chase prendendo una tavoletta di cioccolato. «Da queste parti ci sono solo universitari, Say. Niente bambini».
Saylor scrollò le spalle, immusonita. Indossava un vestito lungo nero e un mantello. Dedussi dai canini di plastica che aveva in bocca che si fosse mascherata da vampira.
«Oddio!», urlò Chase quando Cord fece capolino. «Quello sì che fa paura!».
«E perché mai, moccioso?», lo sfidò il fratello, infilando la mano nella scodella di Saylor e frugando finché non trovò una bustina di M&M’s che aprì con un sorriso. «Forse perché posso metterti KO con una mano legata dietro la schiena?».
Sembrava che Chase stesse per dare una testata a Cord, che lo placcò. Mi sembrò di stare nel bel mezzo di un documentario di National Geographic. Saylor mi prese a braccetto e mi condusse nel salotto.
«Ragazzi», sospirò mentre in corridoio iniziava la Battaglia dei Gentry. «Tranquilla, se le daranno per un po’ e torneranno qui ridendo».
Saylor mi fece cenno di accomodarmi sul divano accanto a lei. Alle nostre spalle, il muro tremò quando il corpo di uno dei fratelli sbatté contro quello dell’altro.
«Togli quel testone dalle mie palle!», gridò Cord.
«Come cazzo è possibile che le palle ti siano finite qui?», esclamò Chase in risposta.
Un minuto dopo ci raggiunsero in salotto, ridevano e avevano il viso rosso.
«Hai finito di regredire?», chiese Saylor con dolcezza mentre Cord si sedeva accanto a lei.
«Per ora», ribatté, sorridendole e accarezzandole il pancione. Lei si tolse i denti finti e lo baciò.
Sentii il braccio di Chase cingermi le spalle e mi sporsi verso di lui. Saltò di colpo giù dal divano, mi tirò su e mi fece fare un casquè prima di baciarmi con molta passione.
Quando tornai a sedermi, vidi che Cord e Saylor ci stavano fissando. Avevo già avuto modo di conoscere un po’ Saylor prima del matrimonio, ma in quelle ultime settimane avevo conosciuto anche Cord. Cordero Gentry era una via di mezzo tra i suoi fratelli: aveva un po’ della serietà di Creed con uno spruzzo della stupidità impulsiva di Chase. Era devoto a Saylor e sembrava gli piacesse il nuovo ruolo di marito e futuro padre.
«Volete stare soli?», chiese Cord, inarcando un sopracciglio verso Chase.
«Quando sarà ora, lo saprai», rispose il fratello divertito. Poi diede un colpo alla parete alle sue spalle. «Stanotte le fondamenta tremeranno», si vantò.
«E cosa cambierebbe rispetto alle altre notti?», chiese Cord.
«Possiamo andare di nuovo da Steph», disse Chase, «anche se sembrava che tuo fratello avesse in programma di stare lì. Non voglio sporcare i vestiti di sangue, ma se apre di nuovo la bocca succederà».
Dal suo tono, capii che scherzava fino a un certo punto. Cord afferrò al volo e il suo viso si adombrò. Certo, doveva aver saputo delle tensioni tra i due fratelli; mi dispiaceva esserne la causa.
Saylor si schiarì la gola. «Allora, Stephanie, Chasyn continua a dirmi che ti piace leggere libri fantasy».
Rimasi sinceramente sorpresa: non ricordavo di aver mai parlato di libri con lui.
«Infatti», risposi, girandomi verso Chase, che mi passò le dita tra i capelli.
«Non ho potuto fare a meno di notare la collezione di Tolkien sullo scaffale sopra la tua scrivania. Ma l’interesse di Say per i tuoi gusti letterari non è disinteressato: probabilmente ti tormenterà per farle da beta reader per il suo libro».
Saylor gli tirò una barretta di cioccolato, che gli rimbalzò sulla fronte. Cord scoppiò a ridere. Sia Truly che Chase avevano detto qualche volta che Saylor era una scrittrice. Mi avrebbe fatto piacere leggere il suo libro; mi sorrise quando glielo comunicai.
«Sto ancora facendo la revisione», disse, «ma la versione finale sarà presto disponibile».
Cord soffocò uno sbadiglio e Chase lo prese per il culo, chiedendogli come mai fosse così stanco alle nove di sera.
«Non ti stai riposando abbastanza, vecchiaccio?»
«Vecchiaccio?», borbottò Cord. «Sono più grande di te di nemmeno un minuto, testa di cazzo».
«Se tu e Creedence potete chiamarmi “moccioso”, non vedo perché non dovrei approfittare delle allusioni geriatriche».
Cord sbadigliò davvero. «È difficile dormire, ultimamente il letto è troppo affollato».
«Dovremmo comprarne uno più grande», commentò Saylor, guardando accigliata il pancione.
«Dovremmo compare una casa più grande», replicò Cord, e lei lo guardò annuendo.
Chase sospirò e percepii che non gli piaceva molto l’argomento. Ma era ovvio che non potevano più condividere l’appartamento, una volta nati i gemelli.
Gli presi la mano. «Se stasera restiamo qui, devo passare da casa a prendere un paio di cose».
Chase mi posò la mano libera sulla gamba e la fece scivolare piano più in alto. «Hai tutto quello che ti serve», mi rispose con la voce roca.
«Hai ragione», sussurrai, osservando la sua mano andare sempre più su e desiderando di più. «Ho tutto quello che mi serve».
Saylor mi diede la scodella con i dolci e si alzò. «Fammi un favore: rispondi tu alla porta se qualcuno bussa». Poi si girò verso Cord. «Io vedo cosa posso fare per far risposare un po’ il ragazzone».
«Ma è prestissimo», si lamentò Cord. «Sembra sbagliato andare a dormire alle nove di sera, che cavolo».
Saylor si appoggiò al bracciolo del divano e accarezzò il petto di Cord. «Che ne dici di uno stimolo?».
Lui spalancò gli occhi e guardò la moglie con interesse. «E tu sai sempre come stimolarmi, amore».
Gli sorrise. «Lascia che te lo dimostri».
Cord si alzò di scatto e la trascinò verso la loro camera. Si fermò e si girò per sorridere maliziosamente al fratello. «E pensavi che saresti stato tu a far tremare i muri».
«Lo penso ancora», replicò Chase, facendomi l’occhiolino.
Guardai Cord e Saylor sparire insieme nel corridoio.
«Cavolo, sono perfetti», commentai. Intendevo il modo in cui erano insieme: meraviglioso, affettuoso, beato.
«Sì», concordò Chase con una strana nota nella voce. «Lo sono».