Capitolo dodici
Chase
Quando quella sera avevo bussato alla porta di Stephanie, non avevo idea di come sarebbe andata. Sapevo solo che avrei cercato con tutte le mie forze di seguire il consiglio di Saylor e dimostrare a quella ragazza che ero migliore di quel che sembravo.
«Portami a casa e dimostramelo», disse Stephanie, e non stava parlando solo di sesso. E nemmeno io.
La presi tra le braccia e la riportai dov’era parcheggiato il furgone. Tremò mentre la tenevo stretta, e sapevo che avrei potuto portarla in un vicolo e averla subito. Ma volevo darle più di quello, volevo darle tutto.
Non parlammo durante il tragitto. Non ce n’era bisogno. Ma sentivo il suo sguardo addosso. Cristo, non c’erano parole per esprimerlo: trovare una ragazza stupenda e ostinata che mi stimolava nel corpo e nella mente, e entrarle dentro in tutti i modi possibili era incredibile.
«Aspetta», le dissi quando parcheggiai davanti casa sua. Feci il giro e le aprii la portiera. Mi fece un sorriso genuino e di colpo capii che avrei sacrificato tutto per vedere quell’espressione ogni giorno.
Aprì la porta dell’appartamento e fece per entrare, ma la trattenni. La premetti contro il muro e le feci sentire quant’ero eccitato.
«Sei sicura, Stephanie? Perché superata la soglia, non uscirò. Capisci cosa voglio dire, tesoro?».
Volevo dire che, se quella notte fosse successo, di sicuro non si sarebbe liberata di me. Non avevo intenzione di andare da nessuna parte.
Mi passò le braccia intorno alle spalle e aprì leggermente le gambe, inspirando forte quando infilai un ginocchio tra i suoi e mi strusciai. Stephanie annuì e premette la sua intimità contro la protuberanza che avevo nei pantaloni fino a farmi gemere. Mi passò le labbra sul collo e parlò quasi in un soffio: «Passa la notte con me, Chase».
Da come si muoveva contro di me, capii che avrei potuto farla venire subito. Ma sapevo anche di poter fare molto meglio se mi fossi preso il tempo necessario. La sollevai e mi gustai il modo in cui si sciolse tra le mie braccia. Per una ragazza che al primo sguardo appariva così distaccata e controllata, sembrava le piacesse essere dominata. Merda, mi sentii stordito solo a pensare alle possibilità.
Quando arrivammo in camera sua era un po’ esitante: incrociò le braccia e fece un passo indietro. Non avevo intenzione di fargliela passare liscia. Le presi la mano, quella senza fasciatura, e le feci posare il palmo sul mio uccello.
«Lo senti, Steph?», chiesi. «È tuo». Sobbalzò quando spostai la mano tra le sue gambe, ma andai avanti a massaggiare quel calore. «E questa è mia».
«Chase», disse fremendo, il viso arrossato. Sapevo che se avessi infilato anche solo un dito, sarebbe venuta in un attimo.
Allontanai la mano e le tolsi la camicia di flanella dalle spalle. «Non ho intenzione di scoparti subito, Stephanie. Ma ti avrò lo stesso».
Sembrava confusa. Poi, quando iniziai ad abbassarle il vestito, ebbe un fremito. Feci scivolare la stoffa sui fianchi e rimasi a guardarla. Le sganciai il reggiseno e lo lasciai cadere. Non sapevo se sarei riuscito a mantenere la promessa di non affondare in quel bel corpicino sexy.
Stephanie mi posò le mani sul petto quando iniziai a sbottonarmi la camicia. «Faccio io», sussurrò, e finì di sbottonarla per poi lasciarla cadere per terra, dopodiché si morse il labbro e mi abbassò la lampo dei pantaloni.
La strinsi a me e la baciai con trasporto, ma la posai sul letto con cautela: era molto più piccola e delicata di me. Quando la coprii con il mio corpo, provai una strana morsa allo stomaco. Mentre continuavamo a baciarci, nella mia testa vorticavano le più folli fantasie sessuali, ma non volevo solo quello: volevo disperatamente proteggerla, tenerla al sicuro da tutto il caos del mondo.
Le lambii il seno e lei mi strinse la schiena. Continuava a ripetere il mio nome, e quando allungò la mano per toccarmi il viso alzai lo sguardo su di lei. Aveva di nuovo un’espressione timida e insicura.
«È questo quello che volevo», sussurrò con lentezza. «Quella sera a Las Vegas e anche oggi. Volevo stare con te così».
Ero talmente eccitato che mi pulsavano i testicoli, ed ero pronto a entrare dentro di lei nonostante la promessa che avevo fatto. Ma se volevo averla, avrei dovuto darle molto di più di una serie di orgasmi.
La baciai con delicatezza e le scostai i capelli dal viso, poi le posai le labbra sulla fronte. «D’ora in poi, sarà meglio che mi dici sempre quello che vuoi. Ti darò tutto».
Mi baciò di nuovo. Le stuzzicai le labbra e le massaggiai la lingua con la mia. Non ricordavo l’ultima volta in cui avevo baciato una ragazza per così tanto tempo. Forse non l’avevo mai fatto. Mi piaceva la sensazione dei nostri petti che si toccavano; la sua pelle era stupenda. Il mio sesso iniziò a pulsare contro di lei, a tendersi per entrare nel centro caldo del suo corpo.
«Ti voglio più vicino», ansimò Steph mentre cercava di abbassarmi i boxer. Le sue gambe erano avvinghiate intorno ai miei fianchi e mi stavo sfregando sempre più forte contro di lei. Il letto cigolava sotto il nostro peso.
«Ti prego, Chase», gemette, «devo sentirti più vicino».
’Fanculo, ne avevo più bisogno di lei. I suoi fianchi si muovevano sotto di me e non sopportavo più quell’agonia. Con una mossa, le strappai gli slip e allungai una mano verso il pavimento per prendere il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Merda!», esclamai.
Stephanie si appoggiò ai gomiti e mi guardò preoccupata. «Che succede?».
Posai la testa sul suo petto mentre mi stringeva. «Niente, tesoro». A parte il fatto che avevo due preservativi nel portafoglio: uno l’avevo usato con lei a Las Vegas, l’altro l’avevo usato sempre con lei quel pomeriggio. Non li avevo rimessi.
«Niente preservativi», farfugliai, baciandole il seno. Alzai la testa e la guardai. La sua espressione fiduciosa mi stava facendo a pezzi. «Immagino tu non ne abbia…». Non sapevo perché cavolo l’avessi detto. Sapevo che non ne aveva.
Steph scosse la testa con veemenza e allargò le gambe. «Ma non me ne importa niente», disse decisa.
Ridacchiai. «Be’, credo che domani mattina ti importerà parecchio».
Porca vacca, mi stava abbassando ancora i boxer.
«Non tentarmi», ringhiai, abbastanza vicino da sentire quanto fosse bagnata. Lo sforzo per trattenermi era quasi intollerabile.
«Voglio tentarti», disse, premendosi contro di me. Mi tirai su e la tenni ferma sul materasso, facendole allargare di più le gambe.
All’improvvisò cercò di scostarsi, la sua voce era allarmata. «Che stai facendo?».
Le stavo baciando il ventre e scendevo sempre di più. «Cosa ti sembra?». Stava ancora facendo resistenza, quindi la guardai. Era a disagio, cercava di allontanarsi. «Non te l’hanno mai fatto un lavoretto di bocca, Steph?».
Spostò lo sguardo e i capelli le ricaddero sul viso. «Non l’ho mai lasciato fare a nessuno».
La stuzzicai con la lingua. «Be’, a me lo lascerai fare». La leccai in profondità e a lungo, e sentii la tensione allentarsi mentre si lasciava sfuggire un gemito smorzato. Sorrisi e le baciai l’interno coscia. «Di’ che me lo lascerai fare».
«Sì», rispose a bassa voce.
Le stuzzicai il clitoride. «Devo sentire di più».
Spostò le mani sulla mia nuca cercando di sollecitarmi. «Ti faccio fare tutto quello che vuoi».
«A nessun altro tranne me».
«No, Chase, a nessun altro tranne te».
Appena superò l’esitazione, apprezzò tutta l’esperienza quasi quanto me la stavo godendo io. Mentre le tenevo i fianchi fermi, la sentii venirmi in bocca e andai in estasi. Era mia, tutta mia.
Stephanie stava ancora cercando di riprendere fiato, poi finii e mi sdraiai accanto a lei.
«Oh, mio Dio», mormorò con la mano sul viso.
Ce l’avevo ancora duro come una spranga di ferro. «No, tesoro, non Dio. Sono Chase».
La porta di casa si aprì e sentii Creed e Truly entrare. Dovevano essere arrapati, perché andarono dritti in camera. Non avevo idea se si fossero resi conto che eravamo nella stanza accanto.
Stephanie mi fissò quando le feci posare la mano sul mio sesso, facendole capire che volevo che mi toccasse. Poi fece ciò che speravo: si inginocchiò e me lo prese in bocca. Le passai le mani tra i capelli lunghi; le diedi qualche indicazione ma stava andando benissimo da sola.
«Cazzo, Steph», gemetti, sempre più vicino all’orgasmo, e le mossi la testa al ritmo che volevo. «Togliti, tesoro, sto per venire».
Si mosse più veloce, leccando e succhiando nel modo più sconcio e fantastico del mondo.
«Non sto scherzando, Stephanie. Ti sto per venire in bocca». Avevo sempre detto cazzate ai ragazzi su quanto mi piacesse che le ragazze ingoiassero, ma non era vero. Non sarei mai venuto nella bocca di una ragazza.
Ma quella in particolare non demordeva. Succhiò più forte e andò più a fondo, finché non fui scosso dall’ondata di piacere. Le afferrai i capelli e gridai il suo nome mentre venivo nella sua bocca morbida. Stephanie accettò tutto.
«Porca di quella puttana!», gridai quando tolse la bocca. Mi serviva un attimo per calmarmi. Cazzo, mi ci sarebbero volute tre ore per calmarmi. Avevo dimenticato che non eravamo soli finché non sentii bussare forte sul muro. Sentii Truly ridere che cercava di farlo smettere.
«Non riesco a concentrarmi con te che fai così!», gridò Creedence. Ghignai, saltai giù dal letto e avvicinai una sedia alla ventola dell’aria condizionata tra le due camere.
«Cazzo, è stupendo!», urlai nella ventola. «Sì, succhia lì! Succhia di più! Come? È il più grosso che tu abbia mai visto?»
«CHASE!», sbraitò Creed, e me lo immaginai dall’altra parte della parete, nudo e pronto a strozzarmi.
Alle mie spalle, Stephanie ridacchiava, mentre Truly rideva in maniera sguaiata nella camera accanto. Almeno loro due mi trovavano divertente.
Creed bussò di nuovo sul muro. «Tappati quella cazzo di bocca!».
Saltai giù dalla sedia. «Quel ragazzo non apprezza l’arte dell’improvvisazione».
Il viso di Stephanie era rosso per le risate e i capelli le incorniciavano il viso. Era il ritratto della bellezza. Tornai sul letto accanto a lei.
«Sei pazzo», ridacchiò.
«Hai bisogno di un po’ di pazzia», ribattei, abbracciandola da dietro. Mi piaceva che i nostri corpi combaciassero perfettamente.
«Immagino di sì», rispose, e appoggiò la schiena contro il mio petto con un sospiro.
Restammo così per un po’ e ci godemmo la vicinanza reciproca. Mi resi conto che era quello che avevo desiderato da lei dal giorno in cui si era seduta sulla panchina accanto a me in silenzio, solo per farmi sapere che le importava.
Poco dopo, nell’altra stanza iniziarono a sentirsi dei rumori. Sembrava che un gorilla stesse saltando su un tappeto elastico mentre tentava di fare lo yodel con le canzoni della Bohème.
Mi misi a sedere. «Ma che cavolo stanno facendo? Cristo santo, e quello stronzo si lamentava del casino che facevo io».
Stephanie si sporse dal lato del letto e prese il telefono, e un attimo dopo il suono di un temporale coprì il baccano dei nostri vicini.
«È un’applicazione utile», spiegò. «La uso un sacco».
Avevo idee migliori per affrontare quella situazione. Scostai le coperte in cui si era avvolta. «E se invece cercassimo di batterli? Potremmo provare la suddetta creatività».
«Diamoci da fare», rise, mentre scivolavo sopra di lei.
E così fu.