Capitolo tre
Stephanie
«Allora, a che piano vai?». Ero vicinissima al pannello dell’ascensore ed eravamo le uniche persone lì dentro.
Chase lanciò un’occhiata al pannello. «Al nono», rispose con gentilezza. Era il mio piano, avevo già premuto il pulsante.
Mi girai verso le porte e incrociai di nuovo le braccia. Chase a quanto pare non concepiva l’idea di spazio personale: l’ascensore non era particolarmente spazioso, ma non c’era bisogno di stare così vicini da sfiorarsi le braccia. Non avevo intenzione di fargli capire che la cosa mi disturbava, l’avrei solo divertito.
«Come va?», chiese.
«È stato un bel matrimonio. Saylor e Cord sembrano molto felici insieme».
Chase sorrise. «Non hai risposto alla mia domanda». Indossava una camicia azzurra infilata dentro un paio di pantaloni neri e le maniche arrotolate sugli avambracci muscolosi. Il profumo di muschio del suo dopobarba riempì l’ascensore. Non era nauseante, ma bastava a ricordarmi quant’era virile. Come se il calore del suo corpo accanto al mio non fosse stato abbastanza.
«Va tutto bene», dissi.
«E allora perché stai tornando nella tua stanza?»
«Perché tu stai tornando nella tua?»
«Devo pisciare».
«Sotto ci sono i bagni».
Finse che il pensiero non gli fosse mai passato per la testa. «Davvero? Cacchio, non ho pensato di controllare. Ma ormai è tardi, sono qui».
Le porte si aprirono e dall’altra parte c’erano due donne che ridacchiavano: trucco pesante, vestiti di qualche taglia in meno e sembravano anche già mezze ubriache. La bruna guardò subito Chase con interesse, ma lui sembrò non accorgersene e mi seguì nel corridoio.
Mi fermai. «In che stanza sei?».
Si guardò intorno. «Me ne sono dimenticato».
«Non è vero. Che cavolo cerchi di fare?».
Cambiò discorso. «Come te la cavi in psicologia?»
«Cosa? Vuoi parlare di psicologia nel corridoio dell’Excalibur? Ho preso una B, se proprio ti interessa».
Annuì. «Io una A. Potrei darti ripetizioni. Sembri una che ha bisogno di aiuto per analizzare l’Es, l’Io e il Super-io. Sono molto intelligente, sai?»
«Ma davvero? Te l’ha detto tua madre?».
La sua espressione si rabbuiò. «No».
Strinsi le braccia intorno alla vita e il manico della borsa mi scivolò dalla spalla. Prima di potermi muovere, Chase allungò la mano e lo rimise a posto, sfiorandomi il braccio con le dita. Sentii il mio respiro mozzarsi mentre il mio corpo reagiva. Chase l’aveva notato e posò gli occhi azzurri sul mio viso. Scostai il braccio.
«Chase», dissi acida. «Piantala con queste stronzate. Non succederà niente. Non sono una schifosa troietta che ti sarà grata per un’ora della tua attenzione».
Spalancò gli occhi. «Ma che stai dicendo? Posso offrire molto più di un’ora». Si avvicinò ancora e abbassò la voce. «Posso offrirti tutta la notte, dolcezza».
Chiamai a raccolta tutta la mia dignità, ignorai il calore tra le gambe e mi allontanai a grandi passi. Mi resi subito conto che mi stava seguendo, ma decisi di far finta di niente finché non arrivai alla porta della mia camera.
«Perché ieri sera non mi hai fatto entrare?», chiese.
Mi bloccai con la scheda magnetica in mano. «Non so di che cavolo stai parlando».
«Sì che lo sai», rise, togliendomi di mano la tessera. «Ho visto l’ombra dietro lo spioncino. Lo so che hai visto che ero io».
Avevo passato tutto la giornata a soffocare quell’attimo di tentazione della sera prima. L’avevo davvero visto alla porta. Volevo davvero farlo entrare.
Chase teneva la scheda lontano dalla mia portata. Non avevo intenzione di cercare di riprenderla o pregare che me la restituisse: era ciò che voleva, e qualcuno doveva dimostrare a Chase Gentry che non poteva sempre avere quello che desiderava.
«Aspetterò», dissi, appoggiandomi contro il muro.
Si avvicinò, piazzandosi davanti a me e appoggiando le mani ai lati delle mie spalle. Ma non mi toccò.
«Aspetterai cosa, Steph?», chiese lentamente, in tono sensuale.
«Che tu te ne vada. Ti stancherai di questo giochetto del cazzo appena ti renderai conto che non porterà a niente».
Chase sembrò rifletterci, poi si sporse e infilò la scheda nella serratura e aprì la porta.
«D’accordo», sospirò. «Ma sarebbe stato bellissimo».
Non sapevo cosa rispondere. Chase non mi conosceva abbastanza da sapere quanto fosse difficile per me: Truly non poteva avergli detto niente perché non le avevo mai rivelato che avevo emozioni contrastanti riguardo al sesso. Lo desideravo, ci fantasticavo, ma alla resa dei conti mi sentivo troppo a disagio per godermi l’esperienza. A volte mi chiedevo se soffrissi di qualche problema ormonale. Inoltre, grazie a Xavier, ero particolarmente scombussolata: negli ultimi tempi, il solo pensiero di stare nuda davanti a un uomo mi era rivoltante.
Detto con sincerità, ero molto attratta da Chase, per quanto sembrasse essere uno stronzo vanitoso. Ma se avessimo combinato qualcosa, sapevo che non sarei mai stata in grado di stargli dietro, in quel campo. Non riuscivo a mandar giù l’idea di lui che se ne andava in giro a dire quanto facessi pena sotto le lenzuola.
Chase abbandonò l’atteggiamento lascivo mentre teneva aperta la porta. «Senti, devo davvero pisciare. Ti spiace se uso il tuo bagno?»
«Prego», farfugliai, seguendolo dentro.
La prima cosa che feci, fu mettere sulla partita. I Dodgers stavano sempre vincendo, ma il vantaggio era diminuito. I Cubs erano sotto di soli due punti. Nonostante per me non ci fosse niente in ballo, mi ritrovai a tifare per loro: chi non ama un perenne sconfitto?
Chase uscì dal bagno meno di un minuto dopo. Fece un cenno del capo allo schermo e chiese: «A che inning sono?»
«Alla fine dell’ottavo. I Cubs sono sotto di due. Se i Dodgers vincono vanno alle World Series, se vincono i Cubs ci sarà un’altra partita».
Chase ridacchiò. «Lo so come funziona, Steph». Si appollaiò sul bordo del letto, e lo fece in un modo che non sembrava lascivo. Si lasciò cadere come se fosse un posto comodo su cui sedersi.
Io ero ancora a disagio, in piedi davanti alla TV. «Segui il baseball?».
Scrollò le spalle. «Certo. A volte perdo un po’ il filo durante le partite normali, ma guardo sempre i play-off. Senti, ti dispiace se resto fino alla fine della partita?».
Esitai. Avevo paura che se non avessi sbattuto Chase fuori subito, mi sarebbe mancata la forza di farlo dopo. Lo guardai posare i gomiti sulle ginocchia e sporgersi in avanti, facendo cigolare leggermente le molle del letto. Sembrava un ragazzino ed era concentrato sullo schermo davanti a lui.
«Va bene», sospirai. Ma non sopportavo più il vestito che avevo addosso, mi faceva sentire come se stessi partecipando a una qualche ridicola festa in maschera. Volevo solo rimettermi i soliti vestiti. Durante la pubblicità tra i due inning mi avviai verso bagno e presi lo zaino dal pavimento. «Torno subito».
Chase annuì senza spostare lo sguardo dallo schermo.
Appena chiusi la porta, feci un respiro profondo. Chase mi aveva ufficialmente innervosita. Mentre abbassavo la cerniera del vestito, continuavo a immaginare le sue mani al posto delle mie che facevano scivolare il tessuto, che mi stringevano il seno, che scendevano tra le mie gambe…
BASTA!
Mi sentii debole mentre raccoglievo il vestito dal pavimento, appendendolo a un gancio dietro la porta. Quando, per un attimo, mi appoggiai alla superficie fredda del muro, vidi il mio riflesso nello specchio.
Sapevo di non essere brutta. Non mi ero sviluppata abbastanza da attirare l’attenzione della maggior parte degli uomini, ma il mio viso non era male. Avevo i capelli biondo scuro, ricci e lunghi, ed erano l’unica cosa di cui andassi un minimo fiera, anche se erano ingestibili e mi facevano impazzire la metà delle volte. Però li tenevo così da quand’ero piccola, e non avevo mai fatto altro se non spuntarli. Erano anche dello stesso colore di quelli di mia madre. Lei li aveva persi tutti poco prima di morire.
Sospirando per la piega triste che avevano preso i miei pensieri, frugai nello zaino alla ricerca di una maglietta. Sul davanti aveva il logo degli Arizona State Sun Devils ed era da uomo. Mi andava grande. Era così che mi piaceva portare le magliette, larghe e sformate. Indossai un paio di pantaloncini logori e immaginai che in quel modo avrei perso fascino agli occhi di Chase, che se avesse voluto avrebbe potuto tranquillamente scoparsi una schiera di supermodelle.
Quando aprii la porta, rimasi un po’ sorpresa. Poi la sorpresa diventò sospetto: Chase era sempre seduto sul letto, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato, solo che aveva spento le luci. E si era tolto la camicia.
«È iniziato il nono», mi informò senza guardarmi.
Mi avvicinai a lui con le mani sui fianchi. «Che cavolo pensi di fare, ora?»
«Shh. I Dodgers stanno per mandare in campo i battitori migliori».
«E puoi goderti la partita solo a torso nudo?».
Si guardò distrattamente. «Avevo caldo». Alla fine posò gli occhi su di me. Non c’era nient’altro che cordialità nella sua espressione mentre mi osservava. «Siediti. Goditi la fine della partita».
Stava giocando con me. Lo sapevo. Avrei dovuto intimargli di schiodare dalla mia camera e sbattergli la porta in faccia; poteva mandare fuori di testa qualcun’altra. C’era solo un problema.
Non volevo che se ne andasse.
Eppure, non riuscivo a sedermi sul letto con lui. Chase applaudì forte quando il primo battitore fece una battuta alta sulla sinistra del campo. Presi la poltrona che c’era in un angolo e provai a trascinarla dove potessi vedere lo schermo. Era pesante. Chase non si offrì di aiutarmi. Mi sentivo ridicola, quindi mi arresi. Il letto era enorme, quindi sarei riuscita a stargli a quasi un metro di distanza. Mi sedetti con cautela sul bordo.
«Scommetto dieci dollari che questo battitore sarà eliminato», disse, indicando.
«È una scommessa di merda. Siamo già al secondo strike».
Mi lanciò un’occhiata curiosa. «Ho sentito che ne sai».
«Di cosa?»
«Di scommesse. Di partite».
«Può darsi», risposi cupa. Per qualche motivo, mi tornò in mente la risata crudele di Xavier.
Chase si girò verso di me, posando il ginocchio sul materasso. «Non sto chiedendo i segreti del mestiere, ma ti ascolterei se volessi passarmi qualche informazione». Sorrise, ricordandomi quanto fosse figo, nel caso mi fossi dimenticata del petto ampio e tatuato che avevo davanti alla faccia. «Ho un po’ di soldi che potrei investire, se ci fosse la possibilità di farne di più».
«Allora sei un cretino», risposi in tono piatto. «Se gli scommettitori avessero davvero la possibilità di fare soldi, non ci sarebbero gli allibratori. Siamo noi che facciamo soldi, la maggior parte grazie ai coglioni che credono che una o due vincite fortuite dimostrino che sanno cosa cavolo stanno facendo. Non è così. Continuano a tornare pensando di sapere come ribaltare i pronostici, e prima che se ne rendano conto, si ritrovano col culo per terra».
Chase mi stava osservando con attenzione. Per la prima volta, vidi un segno della sua tanto decantata intelligenza. Era nel suo sguardo: era acuto, come se stesse valutando attentamente ogni parola.
«Sai», disse infine, «non hai mai parlato così tanto con me, Stephanie». Fece un cenno verso il televisore senza spostare lo sguardo dal mio viso. «Te l’avevo detto che lo avrebbe eliminato».
«E io ti avevo detto che era una scommessa di merda».
Chase si infilò una mano in tasca e rimasi perplessa quando tirò fuori un mazzo di carte.
Iniziò a mischiarle. «Vuoi fare una scommessa diversa?»
«Te le porti sempre dietro, quelle?», aggrottai le sopracciglia. «Che tipo di scommessa?».
In qualche modo mi si era avvicinato. Divise il mazzo e posò le due metà una di fianco all’altra. «Tipo Guerra, solo che prendiamo solo una carta. Quella più alta vince».
«E qual è la posta in gioco?». Lo sapevo già. Non gli interessavano i soldi, voleva solo una cosa.
«Se vinco io, ti lasci baciare».
«Baciare?». Fui un po’ sorpresa. Credevo che il premio sarebbe stato qualcosa di disgustoso, qualcosa che prevedeva l’uso dei genitali. Un bacio sembrava troppo innocente, e Chase Gentry era tutt’altro che innocente.
Sorrise tranquillo, incatenando il mio sguardo e facendomi sciogliere il cuore. «Sì, voglio solo baciarti».
Non gli credetti neanche per un attimo. «E se invece la carta più alta la trovo io?»
«La stessa cosa», rispose.
Mi ritrovai a fissargli le labbra, chiedendomi come sarebbero state sulle mie. Era da parecchio che non venivo baciata. Al diavolo, potevo far finta di essere come tutti gli altri, almeno per un po’. Posai la mano su uno dei mazzi. «Al tre?».
Annuì. «Uno. Due. Tre».
Girai la mia carta: Regina di cuori. Chase trovò il Re di picche.
«Ho vinto», sorrise.
Deglutii. «Direi di sì».
Sussultai quando mi posò la mano sulla spalla. Poi mi avvolse con l’altro braccio, avvicinandomi a sé. Sentii la sua presa posarsi sul collo, scivolarmi tra i capelli. All’inizio mi baciò con delicatezza; le sue labbra sfiorarono le mie in modo quasi casto. La sua bocca aveva un sapore dolce, mi ricordò lo champagne. Mi mordicchiò il labbro e sentii un lieve ansito sfuggirmi dalla gola mentre rilassavo le labbra, facendolo entrare.
Chase cambiò tattica e si fece più veemente, mi strinse a sé e mi baciò con urgenza, come se capisse esattamente quello che volevo facesse. Era proprio così.
Mi fece sdraiare sulla schiena e sentii il suo peso sopra di me. Sentii anche qualcos’altro: la sua erezione enorme mi premeva contro, cercando di avanzare richieste. Fu abbastanza da farmi andare nel panico.
«Chase», boccheggiai, scostandolo leggermente. «Aspetta, non dovremmo farlo».
Si allontanò di qualche centimetro e inarcò un sopracciglio. «Stiamo solo pomiciando, Stephanie. Tutto qui».
«Tutto qui», ripetei. «Non provare a fare altro, perché giuro che non succederà».
«Okay», sussurrò prima di passarmi la lingua tra le labbra.
Mi successe qualcosa mentre ci baciavamo: desideravo disperatamente andare oltre. La vaga pulsazione che sentivo tra le gambe si era trasformata in dolore vero e proprio, ma quando lo sentii cercare di infilarsi sotto la maglietta lo fermai, gli scostai la mano e scossi la testa. Sembrò leggermente irritato, ma si adeguò e riprese a baciarmi.
Gli avvolsi le spalle, esitante. Chase era tutto muscoli, tonico e liscio. Iniziò a fare qualcosa con le mani senza mai smettere di baciarmi. Qualche secondo dopo, sentii tutta la sua lunghezza e mi resi conto che si era tolto i pantaloni. Aveva addosso ancora i boxer, ma tra noi c’era solo uno strato di cotone. Ma non era abbastanza da impedirgli di trovare il punto più ricettivo del mio corpo, perché iniziò a muoversi a un ritmo regolare. Gemetti quando sentii la forza del suo desiderio.
«Chase», sussurrai, allontanandomi anche se le mie gambe si stavano aprendo.
Mi mise le mani dappertutto e ringhiò. «Cazzo. Lasciamelo fare, Steph. Voglio sentirti».
Mi arresi, cedendo all’estasi del suo tocco. Era meraviglioso e non potevo fare a meno di reagire. Stavo rispondendo a quel bacio con la sua stessa passione.
Le nostre bocche si incollarono un’altra volta quando si girò sulla schiena, portandomi sopra di lui. Stava ancora spingendo contro il punto caldo tra le mie gambe mentre le sue mani forti mi massaggiavano la schiena prima di scendere sempre più in basso e stringermi i glutei, facendo praticamente gridare il mio corpo di piacere. L’istinto stava avendo la meglio sulla ragione, e sentii i fianchi muoversi febbrilmente mentre le sue mani si infilavano sotto l’elastico dei pantaloncini. Le sentii toccare, massaggiare da sopra gli slip, poi scivolarono dentro. Gemetti quando iniziò a muovermi su e giù, dimostrandomi quanto voleva strusciarsi. I muscoli delle mie cosce si contraevano e si rilassavano, facendomi fremere appena. Era incredibile, soprattutto quando mi abbassò rapido i pantaloncini, seguiti dalla biancheria intima. E le sue mani mi afferrarono le gambe e mi tirò a sé per farmi sentire la punta che cercava di entrarmi dentro. L’unica cosa che glielo impediva era la barriera di stoffa dei suoi boxer. Cristo, se solo fossero spariti anche quelli…
Smettemmo di baciarci. Riuscivo solamente ad aggrapparmi a lui lasciandomi coinvolgere in qualsiasi cosa volesse fare. Mi strinse e mi fece allargare leggermente la gambe. Entrambi avevamo iniziato a sudare. Quante volte mi ero svegliata fremente e con il cuore che batteva all’impazzata, mentre il mio subconscio cercava di svelarmi un segreto che da sveglia non avrei mai scoperto. Stavo provando qualcosa di nuovo e non riuscivo a fermarmi. Era incredibile, cazzo. Non avevo mai provato niente del genere, prima di allora. Riuscivo a sentire quanto Chase volesse tutto quello. Mi faceva impazzire l’idea di ciò che mi stava facendo, di quello che io stavo facendo a lui. E poi crollai.
«Cazzo!», ansimai, quasi gridando. Le sue mani erano tra le mie gambe, e quando sentii le sue dita dentro di me girai la testa. Sentivo tutte le imprecazioni che mi stavano uscendo dalla bocca mentre tutto, dentro di me, fremeva e chiedeva di più, sempre di più. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di lui.
«Dillo, Steph. Dillo!». Chase mi afferrò i capelli e mi costrinse a guardarlo negli occhi. La sua voce era bassa, quasi un ringhio. «Voglio sentirtelo dire».
Scopami subito. Porca puttana, ho bisogno di te e lo odio.
Volevo fare tutto con lui. Tutto quanto. Volevo soffocare il buonsenso e lasciarmi andare. Volevo quello che voleva lui.
Chase si posizionò sopra di me. Stavo ancora fremendo per il mio folle desiderio di lui. Non ero mai arrivata a tanto. Mi premette di nuovo contro la sua erezione e rischiai di essere travolta da un’altra ondata di piacere. Il mio corpo aveva finalmente assaporato la dolce beatitudine che faceva impazzire tutti quanti. Non avevo idea di come cavolo si potesse resistere all’impulso di avere di più.
«Tu», sussurrai. «Lo voglio». Un’ora prima avrei preferito morire dopo una lenta agonia piuttosto che dire quelle parole a Chase Gentry. «Ti prego», dissi in un soffio, e gli vidi il fuoco nello sguardo. Era sull’orlo di una passione folle la cui forza mi fece tremare.
Annuì soddisfatto. La sua voce era roca. «Brava ragazza».