Capitolo nove

Stephanie

Non ero sorpresa di non aver sentito Chase da Las Vegas. Nonostante ce l’avessi ancora con me stessa per avergli dato quello che voleva, ero anche grata che a quanto pareva stesse tenendo per sé quello che era successo, almeno al momento.

Truly stava lavorando parecchio e aveva passato le ultime notti da Creed, quindi ero da sola. Avevo cercato di concentrarmi sull’università e riconsiderare il mio futuro. Il programma di studiare giurisprudenza era slittato, dal momento che non avevo più le entrate da allibratrice. Più ci pensavo, più mi rendevo conto che non sarei stata in grado di riprendere in mano le redini. Non lo ero mai stata, non davvero. Avevo fatto finta per tutto il tempo. Xavier lo sapeva. Ormai lo sapevano tutti.

Avevo cercato con tutte le mie forze di non pensare a Chase. C’erano stati momenti strani in cui venivo presa da un lampo di desiderio così forte da stordirmi. Eppure, in qualche strano modo, mi sentivo in debito: Chase mi aveva dimostrato quanto potesse essere bello il sesso. E mi sarei tagliata un braccio piuttosto che dirglielo.

In quegli ultimi giorni, quando ero all’università mi nascondevo per paura di incontrarlo da qualche parte. Il cavolo di problema, però, era che volevo vederlo. Solo che non potevo sopportare di guardarlo girare con altre ragazze, mentre magari mi faceva l’occhiolino. Era quello che mi aspettavo, perché Chase Gentry era così.

Mentre con calma me ne andavo a lezione, presi a calci qualche sasso sul marciapiedi, profondamente irritata per la mia stupidità. Quel giorno mi ero in via eccezionale presa cura del mio aspetto indossando una vecchia maglietta di quando andavo alle superiori. Non era appariscente secondo gli standard della maggior parte delle persone, ma non era la mia tipica maglietta sformata. E, anche se non mi truccavo da anni, mi diedi una passata di rossetto. Non stavo cercando di essere carina per Chase. Era quello che dicevo a me stessa. Era quello a cui volevo credere.

Le ragazze erano attirate da Chase come le mosche al miele, quindi ero già preparata a vedere il suo solito atteggiamento flirtante. Non ne sarei rimasta sconvolta, se non l’avessi permesso.

Tuttavia, quando girai l’angolo e vidi una ragazza strusciarglisi addosso, quasi diedi di matto. Chase mi vide e non disse neanche una parola. Lo superai colpendogli il braccio ed entrai in aula con la mascella serrata e i pugni stretti. Dovevo mantenere il sangue freddo. Dovevo. Avevo già fatto la figura della deficiente a sufficienza.

Ma Chase non aveva intenzione di mollare tanto facilmente. Mi seguì. Si sedette nel cazzo di posto vicino al mio e… restò… . Mi respirava addosso. Mi sfiorò il braccio e mi invitò ad andare fuori di lì. Non sapevo per quale motivo. Credeva forse che gli avrei fatto un pompino nel vicolo dietro l’edificio?

L’avrei fatto?

«Hai già abbastanza amiche, Chase», sussurrai. «Non hai bisogno di me, che cazzo».

Era evidente che Chase Gentry voleva umiliarmi. Parlò forte, con ironia.

«Sì che ho bisogno di te, Steph. Ti voglio».

Tutti i presenti in quella cavolo di aula si girarono a fissarci. Anche il professore si fermò e ci guardò con curiosità. Presi lo zaino e corsi fuori, ben consapevole del fatto che Chase mi stesse seguendo.

«Porca miseria», sibilò. «Piantala con queste cazzate e fermati, Stephanie».

«Non dirmi cosa fare. Sei proprio uno stronzo».

Si fermò e mi afferrò il braccio. «Perché cavolo sarei uno stronzo?».

Mi liberai dalla sua presa. «Perché sei già saltato in un altro letto e vuoi ancora giocare con me come se fossi a disposizione».

Chase iniziò ad arrabbiarsi. «Non sono saltato da nessuna parte. Ti stavo aspettando».

«Allora ti fai distrarre facilmente». Mi girai. «L’hai detto a qualcuno, Chase? Sei andato in giro a vantarti?».

Assottigliò gli occhi. «Lo sai che non l’ho fatto, porca puttana. Che ne dici di concedermi almeno il beneficio del dubbio, Stephanie?»

«Quindi non l’hai detto a nessuno?».

La sua espressione si fece colpevole. «Solo a Cord. Ma giuro che non lo andrà a dire in giro. Cristo santo, non guardarmi così. Non è che l’ho scritto in cielo sopra il Tempe Beach Park».

Se avessi serrato la mascella un altro po’, me la sarei spaccata. Ribollivo di rabbia.

«Come ho detto, sei uno stronzo!». Qualcuno ci guardò quando alzai la voce. Non me ne fregava un cazzo.

Venti minuti dopo, ero a casa. Buttai a terra lo zaino e mi lasciai andare sul divano. Dolly, la gatta di Truly, mi guardava a distanza, come se stesse valutando quanto potesse stare vicino al fuoco senza bruciarsi. Mi sentii incredibilmente stupida. Per fortuna Truly non era a casa, altrimenti avrebbe cercato di fare la sorella maggiore e non ero dell’umore per parlare di come avevo lasciato che il dito di Chase entrasse dentro di me per poi supplicarlo di scoparmi. Una volta avevo visto un film in cui la gente pagava per farsi cancellare dei ricordi. Mi venivano in mente un po’ di persone che avrei voluto cancellare; Chase Gentry sarebbe stato il primo della lista.

Sentii qualcuno bussare alla porta e lo ignorai. Ogni tanto passavano venditori porta a porta, a volte anche missionari. Chiunque stesse bussando era insistente, continuava con quel bang bang bang regolare che iniziava a darmi sui nervi. Saltai giù dal divano. Se erano lì per invitarmi nel Regno dei cieli, avevo pronte un paio di risposte volgari che gli avrebbe fatto cambiare idea.

Spalancai la porta. Dall’altra parte c’era Chase.

«Non sono uno stronzo».

«Va bene, non sei uno stronzo». Feci per richiudere la porta, ma lui mi fermò con il piede. «Che vuoi?»

«Posso entrare?»

«No».

«Va bene». Entrò lo stesso.

«Mi hai seguita?»

«Non ce n’era bisogno, so dove abiti».

«Be’, è strano e inquietante, considerando che sono sicura di non avertelo mai detto».

Chase inarcò le sopracciglia. «Ti sei dimenticata che la tua coinquilina è la ragazza di mio fratello?»

«No». In realtà, per un attimo l’avevo dimenticato davvero.

Chase si sedette sul divano. Dolly, quella piccola traditrice, gli salì subito sulle gambe e iniziò a fare le fusa. «Siediti», disse con un gesto, come se fossimo a casa sua e non nella mia.

Chiusi la porta e mi misi a sedere.

«Che cavolo hai che non va?», mi chiese.

Non risposi. Restai lì a fissarlo in silenzio finché non iniziò a muoversi a disagio.

Sospirò e accarezzò Dolly. «L’ho capito che sei una di quelle ragazze sempre arrabbiate. A dirla tutta, è eccitante da morire». Mi fece un sorriso malizioso. «Per quello ci tenevo tanto a sentirti venire. E, cavolo, se sei venuta».

Feci una smorfia e distolsi lo sguardo. Non ci volevo pensare.

«Ehi». Mi sfiorò il braccio e andò avanti. «Stephanie. Senti, mi dispiace. Insomma, sembrava fossi presa dalla situazione. Presa davvero».

«Infatti», risposi in tono piatto.

«Potresti almeno guardarmi in faccia, per favore?». Mi girai piano. Aveva le sopracciglia aggrottate e i suoi occhi azzurri erano preoccupati. «Mi dispiace di averlo detto a Cord. Non lo dirà a nessuno, e io non ne parlerò con nessun altro, okay?»

«Sì, sembri uno così degno di fiducia…», borbottai, rendendomi conto di essere ingiusta. Forse non era davvero lo stronzo che pensavo, ma non me la sentivo ancora di essere gentile. Chase aveva ragione: dovevo avere qualcosa che non andava.

Mi mise una mano sulla spalla e la strinse leggermente. «Allora, siamo a posto?»

«Immagino di sì».

«Bene. Ora puoi metterti a cavalcioni su di me per un po’?».

Gli lanciai uno sguardo assassino e scoppiò a ridere.

«Scherzavo! Cavolo, dovresti proprio rilassarti un po’».

«Magari succederà al prossimo incontro sessuale».

Il sorriso di Chase sparì. «Oh, cazzo», disse piano, guardandomi all’improvviso con terrore.

Lo fissai. «Che c’è?»

«Cazzo», ripeté, «insomma, avevo capito che eri fuori dal giro da un po’, ma cavolo, Stephanie, non sapevo fossi vergine».

Mi sentii avvampare. «Non lo ero!».

Mi guardò sollevato. «Davvero? Sei sicura?»

«Ma scherzi? Sì, Chase, direi proprio che sono sicura. Tranquillo, non sei stato il primo, e non avrei dovuto prendermela con te. È che è stata la prima…». Mi staccai quasi la lingua a morsi per non finire la frase.

Ma lui si incuriosì. «Cosa?»

«Niente».

«Invece sì. Dimmelo».

«No».

«Steph». Mi scostò i capelli dal viso e mi squadrò con sincera preoccupazione. «Forza, resterà tra noi».

Non volevo dirglielo. Stavo per buttarlo fuori dall’appartamento e avrei passato il resto della giornata a ingozzarmi di gelato.

Chase mi prese la mano e mi guardò ostentando pazienza.

«È stata la prima volta che… mi è piaciuto». Sentii le parole uscirmi dalla bocca e avrei voluto morire. Pregai che il divano si animasse in qualche modo e mi inghiottisse.

Chase mi guardò a bocca aperta per qualche secondo, poi sul viso gli si aprì un sorriso sempre più ampio. «È stata la prima volta che sei venuta, tesoro? Porca vacca. È questo che mi stai dicendo?».

Era terribile. Assolutamente terribile. «Sì», squittii, e mi sentii la sfigata più triste dell’emisfero occidentale. Non riuscivo a credere di aver appena ammesso davanti a questo stronzo ghignante che mi aveva fatto finalmente capire ciò per cui il resto del mondo andava pazzo. E perché cavolo doveva essere così bello?

Chase naturalmente era soddisfatto di sé. Se ne stava lì seduto sul mio divano a pavoneggiarsi come Miss America.

«Se non la smetti di sorridere», ringhiai, «ti faccio smettere io».

«Davvero?». Si avvicinò, il sorriso sempre più ampio. «E come hai intenzione di farlo, Stephanie?»

«Piantala di dire il mio nome».

«Stephanie. Ti sta bene. È sexy. Non te l’ha mai detto nessuno?»

«No».

Chase mi accarezzò il braccio. Riconobbi quella mossa esperta, ma fui comunque scossa da un brivido.

«Lo sei davvero», disse con la voce bassa e roca.

«Sono cosa?»

«Sexy. Non devi nemmeno impegnarti come fanno le altre. Lo sei e basta».

«Fottiti. Le tue stronzate con me non funzionano. Sono sexy tanto quanto quel cavolo di tavolino».

Chase rise. «Cavolo, quanto sei tesa». Era riuscito ad avvicinarsi abbastanza da far toccare le nostre gambe. Mi tirò piano una ciocca. Mi sarei potuta alzare dal divano, dargli un calcio sullo stinco e buttarlo fuori da casa mia, invece gli permisi di toccarmi la coscia e salire più su.

«Quindi ti è piaciuto, eh?»

«Era una bugia. Non mi è piaciuto per niente».

Mi posò la mano sotto il mento e mi fece girare il viso verso di lui. Il suo sguardo era serio. «Hai la minima idea di quanto cazzo sia eccitato in questo momento, Stephanie?».

Mi dimenticai come si parlava. L’altra mano di Chase era salita sulla mia coscia. Sentii le gambe aprirsi leggermente e lui le fece allargare di più, afferrandomi con una tale sicurezza da farmi mozzare il fiato. Prese a massaggiare, il pollice premeva.

«Lo vuoi scoprire?», chiese piano. «Te lo faccio vedere, tesoro. Tutte le volte che vuoi».

Il mio corpo mi aveva tradita. I fianchi si muovevano lenti verso il suo tocco e il dolore che sentivo tra le gambe aveva messo a tacere tutti i miei pensieri. Annuii.

Chase mi baciò. Mi stuzzicava passando le labbra sulle mie con dolcezza, sfiorandomi a malapena con la lingua. Poi mi afferrò di colpo la nuca e mi attirò a sé con forza. Sapevo che stavo rispondendo a quel bacio con altrettanta urgenza. Lo volevo tanto quanto lo voleva lui, forse anche di più. Chase si fermò per alzarsi dal divano e prendermi tra le braccia. Stavo bene lì.

«Qual è la tua?», chiese, fermandosi nel corridoio oltre la cucina.

Indicai la mia stanza e Chase richiuse la porta alle nostre spalle con un calcio. Mi posò e si tolse subito la maglietta. Lo fissai: era un dio. Una cazzo di divinità. E lo sapeva anche lui. Si tolse i pantaloni senza esitare e rimase con addosso solo la biancheria intima. Allungò una mano verso di me, e non c’era più niente di ironico nel suo atteggiamento.

«Toglitela», ordinò, tirando l’orlo della maglietta.

Mi scostai e incrociai le braccia al petto. Chase mi guardò in modo strano.

Perché non ci riuscivo? Perché non riuscivo a spogliarmi, aprire le gambe e godermi l’esperienza? Volevo farlo.

«Ehi», disse Chase piano, attirandomi a sé. «Non c’è fretta. Possiamo andare con calma». Mi tenne stretta a sé, le sue braccia forti mi avvolgevano la schiena. Lo sentivo tra le gambe, era duro e pronto.

Mi guardò in faccia mentre faceva scivolare piano le mani sotto la mia maglietta. Quando iniziò a tirarla su, sollevai lentamente le braccia in modo da farla scivolare sopra la testa. Chase gemette.

«Cavolo, sei stupenda». Mi spinse con delicatezza sul letto. Avevo ancora addosso il reggiseno di cotone. «Ora», sorrise, abbassando le spalline, «devi farmi vedere tutto il resto».

Mi mordicchiai il labbro e mi appoggiai sui gomiti. «Non c’è molto, temo».

Mi sganciò il reggiseno e gemette di nuovo. «Cazzate. Ho intenzione di succhiarti quelle belle tettine fino a svenire». Si avventò su un seno e poi sull’altro, passando la lingua sui capezzoli finché non furono sull’attenti. Gli posai le mani sulla testa, incerta, e poi sulla schiena. Chase aveva un corpo perfetto. La vista delle sue spalle larghe e muscolose sotto le mie mani, senza contare la sua bocca sul mio seno, rese quasi insopportabile il dolore che sentivo tra le gambe. Non avevo mai desiderato nessuno così. Tornò a occuparsi delle mie labbra e mi baciò a lungo, mentre si posizionava tra le mie gambe. Mi tolse i jeans e premette contro la sottile barriera dei miei slip, prima piano e poi in modo sempre più deciso. Si era liberato dei boxer e la mia biancheria era l’unica cosa che c’era tra noi. Stava diventando più aggressivo; mi aveva bloccata sotto di sé e si stava abbandonando alla passione.

«Sei stupenda», disse, spingendo più forte contro di me. «E so già quanto ti faccio bagnare. Cazzo, sarà bellissimo».

«Sì», sussurrai, a malapena in grado di respirare.

Sentivo il suo respiro caldo sul collo; la sua voce era roca e seducente. «Sì cosa, tesoro? Vuoi che ti scopi?».

Gli allacciai le gambe intorno ai fianchi cercando di farlo avvicinare. «Sì!».

«Ne ho tutte le intenzioni, Steph. Ti farò venire finché non saprai più in che anno siamo». Sentii le sue mani abbassarmi gli slip e mi inarcai sotto di lui. Non potevo farci niente, di lì a poco avrei iniziato a supplicarlo.

«Chase», ansimai, «adesso».

«Un attimo».

Ero pronta a obbligarlo a entrare dentro di me, se fosse servito per avere un po’ di sollievo. Abbassai lo sguardo e vidi che si stava infilando il preservativo. Mi sorrise quando vide che lo stavo osservando. Poi mi fece sollevare i fianchi. Si fermò; la sua lunghezza premeva contro la mia intimità e iniziai a fremere per la frustrazione. Scivolò piano dentro di me e allargai di più le gambe per accoglierlo tutto.

Chase spostò le mani sul letto per sorreggersi mentre affondava dentro di me. Iniziò prima lento, andando fino in fondo e poi quasi uscendo. Gli stavo fissando il petto, quel petto ampio e stupendo con la frase in latino tatuata.

«Guardami, Stephanie», disse, e non si trattava di una richiesta. Quel tono autoritario mi fece tremare e desiderai che spingesse forte di nuovo, talmente tanto da farmi gridare.

«Così», sussurrò, i suoi occhi azzurri non più allegri. Chase Gentry desiderava tantissimo una cosa, e la voleva da me. «Ci hai pensato, eh?»

«A cosa?», ansimai, sperando che iniziasse ad aumentare il ritmo.

Non sorrideva. Il buffone che palpava il culo delle ragazze e faceva battute sconce non c’era più. Avevo già visto quell’intensità in Chase, ed era stata l’ultima volta che mi ero trovata sotto di lui.

«A me, Steph. Hai pensato a me». Mi afferrò le braccia e me le bloccò ai lati del corpo, tenendomi i polsi con le mani grandi. Chase era forte. Sapevo che non mi avrebbe fatto del male, ma la sua era una deliberata dimostrazione di forza; voleva farmi sapere che era lui a dirigere le danze. Affondò di un altro centimetro e inarcai la schiena, cercando di farlo arrivare al punto che volevo disperatamente fargli raggiungere. Ma non aveva ancora sentito tutto quello che voleva sentire. «Voglio che lo dica. Ammettilo, Stephanie, e ti darò quello che vuoi».

Quella frase mi bloccò. Per quanto desiderassi provare la stessa estasi che avevo già provato con lui, si sbagliava di grosso se pensava di potermi dominare così facilmente. Col cazzo.

Un lampo di sorpresa gli attraversò lo sguardo e la sua espressione si fece confusa. Era ancora a metà dentro di me. Lo desideravo tantissimo.

«No», dissi, cercando di allentare la sua presa. «Non voglio fermarmi, ma non sono un maledetto gioco, Chase».

La sua espressione si addolcì e mi baciò. «Lo so che non lo sei, Steph».

Poi spostò di nuovo le mani sotto di me e mi sollevò. Con la spinta successiva entrò completamente e gridai, aggrappandomi alle sue spalle e stringendogli le gambe intorno alla vita.

Chase mi baciò il collo. «Dimmi quanto ti piace, tesoro». Stava spingendo forte, mantenendo un ritmo regolare che mi stava facendo avvicinare sempre di più all’estasi. «Forza, dimmelo».

«Cha cavolo, Chase! Sì, mi piace!».

«E nessuno ti ha mai scopata così».

«No, mai».

«Dillo. Nessuno ti hai mai fatta venire, prima».

«No! Solo tu, Chase! Oddio, sto per venire».

«Proprio così. Ti sento. Lasciati andare. Cazzo, non hai idea di quanto sei sexy».

Stavo tremando. Avevo gli occhi chiusi e mi morsi il labbro quando sentii il casino che stavo facendo. Il ritmo di Chase si fece frenetico e smise di parlare. Si lasciò sfuggire un gemito e mi strinse talmente forte che ero sicura non saremmo più riusciti a separarci. Sentii gli spasmi attraversargli il corpo e lo avvolsi, cercando di provare più piacere possibile. Spinse un’ultima volta e posò la testa sulla mia spalla.

«Steph», sussurrò, uscendo. Ero consapevole che stava trafficando con il preservativo, ma restai girata. Si allungò verso il cestino della spazzatura vicino alla mia scrivania e tornò sopra di me. Scoppiò a ridere.

Cercai di spingerlo via ma non si mosse di un centimetro. «Che cavolo c’è di così esilarante? E sei pesante, porca vacca!».

«Sono i muscoli», si pavoneggiò flettendo il braccio.

«Coglione».

«Un coglione che riesce a farti venire. L’unico che riesce a farti venire».

«Ma che cavolo, la pianti di dirlo?»

«Perché? È vero».

Era fin troppo fiero di sé stesso, e mentre stava sopra di me quel suo ghigno del cazzo era ricomparso.

«Fammi alzare», borbottai.

Lui fece come se non mi avesse sentita. «Facciamoci una doccia».

«Cosa?»

«Sì», annuì. «Una doccia. Forza, siamo sudati e voglio guardarti un altro po’. Poi torniamo qui, tu vieni, io vengo, oppure veniamo insieme».

Afferrai le coperte. Volevo coprirmi ma lui non me lo permetteva.

«Oppure possiamo fare sesso selvaggio nella doccia». Si appoggiò su un gomito e mi passò pigramente la mano sul petto. «L’hai mai fatto nella doccia?». Scosse la testa e rispose alla sua stessa domanda. «No che non l’hai fatto. Cavolo, non vedo l’ora di essere creativo con te. Ho una fervida immaginazione e ho provato di tutto. Pensa a me come il tuo insegnante».

«Stai zitto».

Tornò subito serio. «Ti stavo solo prendendo in giro, Steph».

«No», sibilai, «volevo dire che devi stare zitto! Truly è a casa».

Sembrava fosse in cucina. La sentivo parlare con Dolly.

«Che succede, dolcezza? Ha bisogno di un po’ d’affetto?»

«Io ho bisogno di un po’ d’affetto», si lamentò una voce bassa e roca. Quando Chase la sentì, iniziò a tremare per la risata trattenuta. La voce in questione era di Creed.

«Ti ho dato affetto neanche un’ora fa», rispose Truly, ma si capiva che era divertita.

«Allora tira fuori le tette e ti lascio in pace».

L’idiota nudo accanto a me stava ridendo così tanto da essere diventato viola.

«Be’, ma magari non voglio essere lasciata in pace», ribatté Truly, e immaginai che da un momento all’altro si sarebbero di nuovo saltati addosso. L’appartamento non era grande e i muri non erano spessi, quindi a quel punto mettevo sempre della musica per sentire qualcosa che non fosse vietato ai minori.

Chase, però, era deliziato. Mi tirò il braccio. «Andiamo a vedere».

«Cosa?», esclamai a bassa voce. «Sei un bastardo malato».

«Consideralo un porno gratis», e fece per scendere dal letto. Non avevo detto niente a Truly di quello che era successo a Las Vegas, e in quel momento non volevo rispondere a nessuna domanda. Di sicuro non volevo spiegare la presenza di Chase Gentry nella mia camera da letto nel bel mezzo del pomeriggio. Chase mi fece l’occhiolino e sembrò stesse per scendere dal letto e uscire dalla stanza come la mamma l’aveva fatto. Lo tirai ma sembrò divertirsi un po’ troppo. Rise più forte e cercò di fare la lotta con me, anche se non c’era gara dal momento che per batterlo ci sarebbero volute quattro me. Non avevo notato quanto fossi vicina al bordo del letto finché non scivolai giù, trascinando Chase con me. Atterrammo con un tonfo e sbattei forte la mano per terra cercando di attutire la caduta. Feci una smorfia quando sentii un dolore lancinante al polso sinistro.

«Steph?», mi chiamò Truly da dietro la porta.

«Va tutto bene!», gridai. «Cioè, sto bene. Stavo solo spostando i mobili».

Chase decise di approfittare dell’occasione per incollare la bocca al mio seno.

«Andiamo», disse all’improvviso Creed in tono aspro.

Posai le mani sulle spalle di Chase cercando di spingerlo via, ma il risultato fu che succhiò più forte.

Truly era confusa. «Ma siamo appena arrivati».

«La tua cavolo di gatta mi sta fissando di nuovo. Andiamo a casa mia».

«Siamo arrivati da lì».

«Ci voglio tornare».

«Cosa stracavolo ti prende, Creedence?».

Creed doveva essersi stancato di discutere e decise di usare altri metodi di persuasione. Sentii dei rumori leggeri e niente più proteste da parte di Truly.

«Va bene», disse, con il respiro leggermente affannato. Bussò di nuovo. «Vuoi venire con noi stasera?»

«No», le risposi.

«Sì», sussurrò Chase, staccandomi la bocca dal petto e coprendomi con il suo corpo. «Vuoi venire stasera».

Aspettai che Truly e Creed fossero usciti di casa prima di imprecare e spingere via Chase.

«Levati dal cazzo!».

«Ma non sono su un cazzo», scherzò, ma quando gli lanciai uno sguardo assassino alzò gli occhi al cielo e si allontanò.

Presi la coperta dal letto e mi ci avvolsi.

Chase mi stava fissando. «Che cos’hai?».

Gli sbottai contro. «Per essere tanto intelligente, sei proprio tardo. Davvero non capisci perché non voglio sbandierare quello che abbiamo appena fatto?».

Si rimise i pantaloni. «Piantala di gridare, donna. Volevo dire che cavolo hai alla mano».

Mi tenevo il polso sinistro con la mano destra. Si stava già gonfiando. «Niente. Ho i polsi grossi».

Sorrise appena. «Fa’ vedere». Prima di dire qualcosa, mi aveva già preso il braccio e stava esaminando il polso. Digrignai i denti quando premette l’articolazione e la piegò con cautela. «Non è rotto», affermò.

«Grazie, dottor Chase».

Poi, quando la mia irritazione arrivò al massimo, fece un gesto dolce che mi portò a pensare che forse non era un totale pezzo di merda: mi guardò negli occhi e mi sfiorò il polso gonfio con le labbra.

«Ti prendo del ghiaccio», disse, e andò in cucina. Lo sentii aprire il freezer e trafficare. Mi sentivo molto stupida con solo il lenzuolo addosso, quindi iniziai a rivestirmi freneticamente. Chase tornò in camera mentre stavo cercando di infilarmi la maglietta. Pensavo avrebbe detto qualche porcheria, ma si limitò a porgermi il ghiaccio che aveva messo in uno strofinaccio. Sorrise.

«Scusa. Di solito il sesso con me non finisce con danni fisici».

«An, no?». Feci una smorfia, premendo il ghiaccio sul polso.

Chase scrollò le spalle e si sedette sul letto. «A meno che non conti la passera indolenzita. Come sta la tua, a proposito?»

«Perché cavolo devi fare così?»

«Così come?»

«Essere volgare».

Rise per un po’. «Ma chi vuoi prendere in giro? Sei volgare il doppio di me senza nemmeno sforzarti».

«Non sono volgare, dico solo tante parolacce. Tu sei offensivo».

Si stava divertendo. «Ti ho offesa? Quando?»

«Lascia stare. Non mi hai offesa. Adoro sentirti parlare di tutte le vagine che hai conquistato con il tuo ariete».

«Non parlavo di tutte, tesoro, solo della tua».

Come cavolo fai a farmi sentire così sexy e mortificata nel giro di una maledetta ora?

Chase mi seguì quando entrai in salotto.

«Che vuoi fare stasera?», sbadigliò stiracchiandosi.

Mi lasciai cadere sul divano e tenni il ghiaccio premuto sul polso. «Cos’è, facciamo coppia fissa?».

Si sedette accanto a me. «No. Ma mi piaci». Mi posò la mano sul ginocchio con sicurezza. «Voglio portarti fuori, Steph. Sarebbe ora».

Fissai la mano che teneva sul mio ginocchio. Non riuscivo immaginare di mettermi in tiro e sedermi a un tavolo con Chase Gentry, a mangiare grissini e parlare della politica locale o fare quel che fa la gente quando esce.

«Non posso», risposi. «Ho troppo da studiare».

Chase mi tolse la mano dal ginocchio. Mi fissò. La sua espressione era quasi ferita, ma immaginai fosse capace di fingere con facilità. Sapevo benissimo quante ragazze gli ronzavano intorno; se si sentiva solo, avrebbe potuto prenderne una per i capelli e trascinarla nella sua caverna.

Cercò di sorridere. «Senti, non ti romperò più le palle e non proverò neanche a portarti di nuovo a letto. Possiamo parlare di psicologia o di sport o dell’instabilità dei mercati mondiali». Mi posò delicatamente una mano sotto il mento. «Giuro che so essere un bravo ragazzo».

Mi tornò in mente il pomeriggio e il modo in cui quella ragazza lo teneva stretto, sorridendogli. «No, non è vero», ribattei pentendomene subito. Si girò, ma vidi comunque che l’avevo ferito. Non sapevo ancora perché. Cosa importava a Chase Gentry quello che pensavo? Era un porco.

No, era solo il suo orgoglio a essere ferito: era troppo abituato a ottenere quello che voleva.

«Fai come ti pare», disse scostante, e si alzò. Si mise lo zaino in spalla e se ne andrò senza guardarsi indietro.

Restai seduta in silenzio a lungo e mi sentii una merda. Mi pulsava la mano, il ghiaccio si stava sciogliendo colandomi addosso e non riuscivo a scacciare il ricordo del corpo di Chase, della sua bocca, delle sue mani.

Ma niente di tutto quello importava. Ciò che importava era il pensiero continuo nella mia testa.

E se mi sbagliassi su di lui ?