DALLA SPAGNA
Ci buttiamo sui letti. «Senti un po’...» fa lui. «Due anni fa in primavera stavamo facendo un giro della Spagna in macchina, io e Maurizio Filangieri... un mio amico carissimo di Napoli... Non lo conosci, è morto in un incidente di macchina quest’autunno... E ci siamo fermati parecchi giorni alla Veremunda, è un’immensa proprietà fra Ronda e Siviglia dei parenti di Desideria. La mamma di Simon è spagnola, lo sapevi, no? La Ninon... la piccola Ninon... Ma è famosa! Amica di Cocteau, di Poulenc... Adesso avrà ottant’anni, ma ha avuto casa a Parigi per tanto tempo... con degli Schiaparelli storici e dei Balenciaga di tutti i colori... Anche de Falla, alla Veremunda, ci passava dei mesi... Ci ha scritto dei pezzi di quell’Atlàntida che dànno adesso alla Scala, diretta da Tommy Schippers, e con mia madre naturalmente già lì pronta... Perché proprio non riuscivano a starci dentro, lui de Falla e la sorella non sposata e il piano verticale... o la sorella verticale e il piano non sposato... in quei due buchi di stanze che avevano a Granada, e me li han fatti ben vedere passando... meno della metà d’una villetta da ferrovieri!...
«O forse saranno dei Doucet e Poiret, che ha lei... ma meravigliosi, ancora oggi... e lei ha novant’anni... Ancora adesso trovi lì dei baritoni bizzarri, svizzeri, che van dietro ai bambini e dopo cena cantano delle parole un po’ in libertà che piacciono molto, tipo “Camembert... my foot!... tête de Turc... Montevideo!...”.
«Una vecchia sempre vestita di rosso in casa, comunque, che fiuta incensi sulle pelli di tigre... obesa... obesissima... dentro stanze da vecchio Palace d’un sinistro difficile da descrivere... Tutti i Picasso attaccati sopra gli arazzi... E ne ha tantissimi, anche due suoi ritratti, fatti a quarant’anni di distanza... E questi arazzi antichi e moderni, inchiodati sopra un chintz a fiordalisi e papaveri che copre i cuoi cordovani a pezzi... Drappeggi fitti-fitti e vecchi, tipo bomboniera... Lucidi, ammaccati, polverosi... Starle vicini a tavola può fare anche un po’ paura... Saranno anche Chanel, però sempre sporchi... beige... mauve... vecchissimi, unti... con quella gran pancia sbieca a pallone, perché ha un fibroma e ha paura a farselo togliere... E lì a tavola ti guarda con quegli occhietti semichiusi, ti fissa... sempre con la lingua fra le labbra, e se le lecca... guardandoti con un occhietto solo... sotto due riccioli tirabaci di fil di ferro arrugginito: pare un lupo cattivo di Walt Disney... Però magari è solo una golosità per dei vecchi formaggi lì in tavola...
«Alleva pavoni, che porteranno male... Allevano tori, cavalli, fanno del buonissimo sherry, anche... secchissimo... che lei non beve: solo vodka... Mentre la versa magari si scopre un moscone nella caraffa... anche bello grosso... “Voilà une mouche” fa lei... Ma continua a versare... E tutti loro che bevono, e non so se poi fa bene... La proprietà è un piccolo stato... Molto nemici di Franco, loro, sempre... E anche la casa è grandissima... con un altro palazzo per gli ospiti, e due palazzine, una per i servizi e una per i domestici degli ospiti... Desideria non la vedevo quasi mai... Era anche molto occupata con un bambino o una bambina... piccoli, appena nati mi pare... Ma non so se erano suoi o di quella pazza della cognata colombiana di lui... Non le si può parlare: basta che tu nomini un qualunque negozio o ristorante o teatro, e lei subito attacca “anche a Bogotá” o “però a Bogotá” o “a Bogotá invece noi”...
«... E poi, di un’altezzosità, devo dire... Da non riconoscerla proprio, sai?».
«La colombiana?».
«Desideria: qui la vedi in fondo cordiale, normale... Ride, parla, fa come tutti... Ma là?... un’altra!... freddissima!... superba, distante... E la sua parte della grande casa, per esempio, è così: fuori, la tomba di Carlo Quinto, cancellate colossali, ferri battuti, grovigli di lance, Luchino, e sopra tante bougainvillee e rincospermi che ricoprono le inferriate. Subito dentro, un grosso salotto rosa, di broccati e damaschi vecchi, non so se antichi, con le sue poltrone e i suoi divani, le sue tavoline habillées, tanti ritratti di bambini anche dell’Ottocento, e quattro cannoni. Ma non cannoni storici tipo Castel Sant’Angelo; a me parevano proprio cannoni recenti da Guerra di Spagna ultima, che è passata di lì. Fra le poltrone rosa e gli abat-jour rosa, con le loro munizioni. L’assedio dell’Alcázar, hai presente?
«Su per la scala, primo pianerottolo: grande collezione di asinelli. Di legno, di latta, di cartone, di gesso, da presepio, di tutti i paesi e tutte le dimensioni. Credo di lui, no?
«Secondo pianerottolo: la saracinesca. Una vera vecchia saracinesca, da ristorante o da calzoleria, per rinchiudersi forse quando si ha paura, o in caso di insurrezioni.
«Più su ancora, i collages fatti con le scatole di fiammiferi: centinaia, migliaia, di tutti gli alberghi e ristoranti e night-clubs, formando una serie di paraventi a pannelli. Regali di Ninon: elementare, no? Affangarde! Affangarde! E lì dietro sta lei, con un paio di mobili molto contadini e molto décapés, e come sola decorazione delle teche di plexiglas alle pareti, con dentro una collezione di decine e decine di saponette, di tutte le forme e di tutti i colori, tutte un po’ usate e numerate, disposte come tavole pitagoriche».
«Tutte le mattine a cavallo. Prestissimo. E tutti quanti. Ci buttavano giù dal letto entrando nelle stanze che era ancora buio, me e Maurizio. Per delle ore, poi, con Simon che voleva insegnarci a saltare gli ostacoli... Hanno dei grooms di rara bellezza, sai? Alti, tutti; bruni; e tenuti come schiavi. Non li lasciano uscire né di giorno né di sera... Sempre nudi, dai calzoni in su, anche di notte... per il caldo: si era verso i primi di giugno...».
«Ne hai fatti?».
«Tutti. Mi venivano dietro con una simpatia incredibile, bei cappelli di paglia... Di sera, nei giardini: così semplici, si profumavano le mani... Simon se ne dev’essere accorto quasi subito, da come mi guardavano... E poi come parlavano fra di loro, senza malizia, la mattina...».
«Ma quanti erano?».
«Quattordici, quindici... Una sera me ne sono volati addosso tre o quattro insieme... C’era un tea-house di paglia, dietro la piscina: s’andava sempre a finir lì dentro fra le salviette, mi venivan dietro loro... sorridendo... con questi occhi scuri così seri...».
«Sarà stato doloroso, eh?».
«Me la son vista brutta... per modo di dire, perché erano piuttosto rispettosi... Ma non ho fatto in tempo a renderli felici, è arrivato lui!».
«Simon?».
«Con una di quelle fruste... Ha cominciato a picchiare come una bestiaccia! Con una ferocia, alla cieca...».
«Hai gradito la percossa?».
«Li avevo addosso tutti! Se le son prese loro, uffa!».
«Ma cosa diceva lui? Cose anche sconvenienti?».
«Niente. È qui il bizzarro. Immagina da noi: le parolacce, gli strilli, i vaffanculo, i gemiti per niente... Invece lì neanche una parola: né lui, né gli altri. E allora, neanch’io!».
«E il giorno dopo? Pene e affanno, amor tiranno?».
«Macché. Zitti zitti, piano piano. Come niente, senza meno. Siamo andati a cavallo come gli altri giorni. Però lui con me la testa l’ha persa subito».
«Come mai?».
«Cosa vuoi che ti dica? O troppo, o niente: mai una via di mezzo di buon senso, si direbbe dalle nostre parti. Mi arriva lì in camera un pomeriggio, dice che non ha mai provato, lo vuol subito assolutamente tutto, e in tutte le posizioni, comprese quelle scomode che non si usano mai».
«Ma per esigenze teoriche? O non c’entrerà l’amor di simmetria?».
«Le smanie della completezza! Mia nonna che dice: hai voluto incominciare una cosa? adesso la fai bene fino in fondo!... Però fa l’amore molto bene, è uno che si applica!».
«E la Contessa? Donn’Anna? Susanna? Tutta panna?».
«Dice che non la vuol più vedere, solo star con me. Innamorato di colpo, sul serio».
«Or si fa lo scoprimento? Vi sarà uno svenimento? Vo il sedile a preparar?».
«Io invece amore niente, no sir. Mi divertiva molto l’intrigo, quello sempre. Ma a me, guarda, dovresti saperlo, è sempre piaciuto sia il lui sia la lei, mai avuto pregiudizi tipo questo sì o questo no, questo qui ci penserò... Lo si è imparato da piccoli col Turco in Italia, quante volte!... “Non si dà follia maggiore / che l’amare un solo oggetto / noia arreca e non diletto / il piacere d’ogni dì”... E lì, le occasioni erano eccitanti sul serio, con questi che aspettavano in giardino... gran brillantina in testa, e anche giù... Li mettevo in fila... in una specie di teatro di verzura...».
«Taddeo, che brutto affar?».
«Di tutto, ha invece fatto lui, perché io e Maurizio lasciassimo la Veremunda al più presto. Ma l’ho capito dopo, il perché. Appena lì in Italia me lo vedo capitare addosso giovanotto sciolto! Lo sapeva che ci saremmo fermati a Venezia per il compleanno di Cristina. Appena al Lido neanche riposati arriva lì lui con questo macchinone grigio, una Cadillac da dodici milioni. Ne esistono solo cinque in tutto il mondo, una cosa da indiani!
«Ad ogni costo, ha voluto che mi trasferissi all’Excelsior con lui. Il giorno dopo è arrivata la piccola Ninon. Non so se abbia fatto apposta. Forse no, c’era un ballo con tanti francesi. Arrivava gente da tutte le parti. Siamo partiti di volata. Ho visto, quando gliel’ha detto il portiere, che sua madre aveva una suite. Ha cambiato colore. Ero lì...».
«E dove siete andati, poverini?».
«A Portofino. Era fine giugno, oramai. Parecchia gente di Milano, quindi, puoi immaginare... conoscenze di mia madre... Anche lì nell’albergo... sulle barchette... Molto divertente, se uno un pochino se ne fotte, no?... Maurizio è tornato a Napoli solo, ha guidato tutto lui in un giorno. Ma noi si stava soprattutto con degli americani e degli inglesi lì con le barche, di quelli che ti ripetono ancora la storia del vecchio Churchill: arriva lui, e manda a dire a Anna Bonomi che vorrebbe visitare il suo castello a Paraggi, e Anna gli fa rispondere che sarà welcome se e quando va lì a trovar lei...
«Sai, finisci per usare sta vecchia Portofino come una tua Giamaica o Bermuda... Lui poi adora sta Liguria come mia madre: tutti glieli abbiamo sconsacrati, alla Gazzaniga, i suoi più cari angolini, panoramici e no, dove per anni e anni mi son sentito ripetere “che vista! che tinte! respira forte l’aria buona!”, mentre sapevo ben io dove avrei voluto essere... Proprio tutti i classici, abbiamo ripassato: “Hai perduto la lingua?... Fammi vedere cos’hai in mano!... Apri la bocca, e chiudi gli occhi!... Voltati perché stavolta le meriti!...”. E che successo, si vede che non gliel’avevano mai fatto. Non sapeva neanche il “guai a te se ne lasci andar per terra soltanto una goccia!...”. E lì, tramonti, Paraggi... L’ho tirato su proprio bene, direbbe la Gazzaniga».
«Edipo ci cova?».
«Sssì, al Cova! “Edipo & il suo Complesso” era la piccola band della nostra scuola, ma adesso ha aperto un negozio di borsette in via Spiga, dove va appunto mia madre... Però lì a Paraggi si conoscono poi tanti altri... di quelli più svelti che appena ti vedono lì da solo un momento subito t’invitano a bordo per un tè e t’infilano di tutto su per il naso senza star lì a parlar della Callas... Fuori tutte le sere!».
«In quei posti lì dove si andava da piccoli, no?... Vela ogni giorno, festine sulle barche senza metterla tanto giù sul mondanù, ma con delle occasioni anche niente male appena uscendo dai giri... Non ci sarà la regina dei salotti però hai lì qualche subacqueo dei cantieri... Siamo anche andati e tornati per colazione da Cannes, con una barca stupenda, d’una donna simpaticissima, sposata, con una figlia di sette anni dietro e marinai quasi tutti di Viareggio... Il marito nei petroli tedeschi, non s’è capito... E lei oltre tutto baronessa in qualche anagrafe bombardata di Zagabria, e adesso anche col problema di dover fornire l’erede oltre che la piccina... Ma intanto, con una Lotus verde a terra, e una Mercedes di servizio con frigorifero e cucinetta. Guidava lei. Cantava oltre tutto bene, nei locali; e giocatrice pazzesca. Mi scopava anche quand’ero stanco, anche dentro quella macchina; e ci riusciva tutte le volte: merito suo, chapeau bas! perfino una volta sotto la pioggia battente, in quel buco che è Tahiti Plage dietro St-Tropez!».
«E che ne disse il Conte?».
«Gelosissimo, proprio al punto della villania. Sulla spiaggia, di giorno, fra pochi metri quadri pieni di milanesi, tu fa’ conto che ci si mettesse d’accordo per la sera, anche solo per far dieci passi e mangiare un pesce. La sera niente, lui rifiutava di uscire. Ma proprio tappandosi in camera a chiave, e con la sofferenza. Senza mangiare, né dormire, né room service, né niente. Lì al buio con gli occhioni aperti; e questo culone stupendo per aria: dove ci vorrebbe uno Spartacus, altro che la vispa Teresa. Lo trovavo furibondo, tristissimo, quando tornavo indietro. Perché naturalmente io con lei uscivo, e scopavo: non si può essere così scortesi, una volta preso un impegno. Lui la chiamava “la ammazzamusulmani”, perché è vedova in prime nozze di un cugino dell’Aga Khan. E si divertiva abbastanza, lei, anche perché se una slava non capisce al volo il casinetto mio, allora cessa lo scopo e può stare a far la gelataia al suo paese».
«Una volta che torno alle cinque della mattina, tutto bagnato e proprio morto de sonno, lo trovo lì vestito, da basso, con la cravatta, che m’aspetta fra tutte le valigie pronte, anche le mie, fatte su benissimo dal cameriere. “Partiamo subito!” mi fa. “Adesso?”. “Sì, certo”. “Ma son stanco. Stanco morto...”. Ero sincero, m’era toccato scopare per ore... “Fa niente. Si va”. Ma vaffanculo. “E dove?”... “Niente: a Roma!”. A Roma io infatti tre volte scemo gli avevo detto che dovevano darmi una parte in teatro, e fra l’altro era vero, in una sacra rappresentazione per Ostia Antica che poteva anche bloccarmi tutta l’estate, una Donna del Paradiso... una di quelle jacoponate del Dugento fatte da povere disgraziate che non si sa d’inverno come sopravvivono... A Roma, a Roma, quindi: nel peggio del peggio della stagione, mentre mia madre offre Cordon Rouge a Bodrum... “Ma... e Patricia?” gli faccio, per agitarlo. “Siamo d’accordo che ci si vede in spiaggia!”... “Patricia niente! siamo d’accordo niente!” risponde lui secco. “Le telefoni a mezzogiorno, se proprio vuoi, dal posto dove saremo”.
«Basta dormire! “Guido io!”. Le ho poi telefonato, infatti, quando ci siamo fermati a far colazione, ma eran quasi le due. Lì lui si è sentito male. “Sto poco bene, sto poco bene”, aveva continuato a lamentarsi per tutta la strada, infatti. Ma io credevo che facesse apposta, un po’ di scena perché io dormivo e lo lasciavo guidare per tutto il tempo. Ma ero stanco! E se andavo fuori strada col coccolone? Non m’aveva lasciato dormir niente... Appena seduto al tavolo però comincia a guardare un pomodoro, e frana subito. “Vado alla toilette” dice. Appena al cesso, sento un gran colpo. S’era chiuso dentro. Vedo che corrono i camerieri, buttan giù questa porta di compensato, lui era caduto per terra, svenuto. Volo io con la macchina a chiamare un medico, e ordina di metterlo a letto subito. Disturbi di cuore, dice. Lo mettono fra i gravissimi...».
«Ma quanti anni ha?».
«Ventinove. Quasi trenta».
«Ma a ventinove anni... un uomo che non prende sostanze! O ne prendeva? Andiamo!».
«No, caro mio, non son storie. Me l’aveva già detto Desideria in Spagna che soffriva di qualche cosa alle coronarie, e non potevano operarlo. Si era fatto vedere da una quantità di specialisti, figurati: anche il cardiologo di Eisenhower... Perfino in Russia erano stati, più di tre mesi, con quel vostro amico Raimondo, no? Ma assolutamente non si poteva operare. Me l’ha detto subito anche il medico lì, che era bravo: era stato troppo tempo in stato di incoscienza. Un altro collasso come quello, e ciao. Volo a prendere le medicine...».
«Ma dove eravate?».
«Lì a Viareggio, no? Così, subito in albergo al Principe, facendo spostare come minimo qualche Duca di Bergamo o Teramo, tutte queste altezze della Croce Rossa che loro tirano dentro e fuori...».
«E ci siete stati?...».
«Un due o tre settimane. E sai com’è finita? Lui naturalmente non poteva scendere troppo in spiaggia; e anche in camera non s’alzava mica tanto dal letto. Figurati come mi stufavo io! Sempre in spiaggia, quindi: camerieri intorno, che poi rivedevi di notte in pineta con le loro lambrette, comunque materassini e ombrelloni di gente da piangere, altezze reali giusto per la mia mamma quando la dà i numeri... C’era un bagnino però della nostra età...».
«Creatura?».
«Molto grazioso, ciglia lunghe, un otto. M’è venuto sotto lui, subito. Simon cominciava già a alzarsi, e veniva giù in spiaggia anche lui. Però, sai bene quell’ora morta dopo colazione, quando passano gli angeli... Lui a quell’ora lì voleva sempre che stessi di sopra, ma una volta ho fatto finta d’andare a dormire nella mia stanza, e son filato giù. Era lì davanti alla cabina come se m’aspettasse...
«Subito però se ne è accorto, Simon. E sai da cosa? Da come il bagnino m’ha salutato la mattina. Veniva lì tutti i momenti, con la scusa di mettere a posto l’ombrellone. Sempre lì intorno, sto scemo... Così lo ha preso ancora quella smania di scappar via subito. “Ma Simon, ragiona!” gli facevo io, con buon senso lombardo. Non stava ancora bene, e lo sapeva benissimo. Ma non c’è stato verso. Ha chiesto subito il conto, appena rientrando dalla spiaggia, e senza neanche fare un pisolo siam corsi via, che sembravamo la volpe e il gatto».
«Sarebbe peggio la volpe e l’uva, al mare...».
«Qui, però, sono forse stato io un po’ iena. Ho fatto come per scendere in spiaggia un momento, quando s’era già lì fuori con la macchina pronta. “A far cosa?” s’è inquietato lui, impaziente com’è sempre. “Ma a salutare il bagnino!” gli ho detto, ridendo però. Lui ha avuto uno scatto che m’ha messo paura... per la prima volta, veramente, e così non ho fatto storie. Subito, siam partiti. Ma appena fatti neanche dieci chilometri, lui ha cominciato il tormentone. “Davvero volevi salutare il bagnino?” mi chiede. Sì, certo, gli rispondo; e anche dargli la mancia. Cosa dovevo rispondere? “Vuoi che ritorniamo indietro?” mi fa lui. “Cosa vuoi...” gli faccio. “Oramai dove lo volti, sto macchinone?”...
«“Guarda che se vuoi ti riporto subito indietro” insiste lui. Aveva di sicuro gli occhi pieni di lacrime, dietro questi occhiali neri meravigliosi, ma mi faceva impressione specialmente la voce. “Se tu vuoi, guarda, giriamo indietro e fra meno di mezz’ora siamo ancora là... facciamo il bagno...” continuava a ripetere. E io a ripetergli che non valeva la pena... che del resto è la verità, quando una cosa è fatta e conclusa. Cosa te ne importa?
«Ma lui, a insistere. “Perché non lo vuoi ammettere, insomma, basta che tu me lo dica. Una parola sola: torniamo. E torniamo subito, facciamo come vuoi tu. Ti lascio star con lui, fate tutto quello che volete, io non vi guardo e vado a Pisa”.
«Un po’ seccante, no? Chi ci pensava più al bagnino, ormai? Già oltre Lucca?... Sì, perché si andava verso Firenze, volevo vedere il mio amico Norman, è il mio migliore amico... Sta in una villa sopra la città. Ma a Simon ho detto che andavo a trovare un mio zio musicista, così non mi veniva dietro dappertutto. Appena a Firenze, lo lascio al Grand Hôtel, esco, telefono a Norman, ma non c’è, perché è a Siena da sua nonna.
«Faccio un giro dei cinema. Mi prendo un tè da Leland tra fior di belli, poi telefono all’albergo per sentire come sta lui. “Sto poco bene” mi fa. Torno indietro, e gli faccio: “Senti, mentre tu stai qui e ti riposi io faccio un salto d’un giorno a Siena da questi miei cugini. Vado in treno, non ci metto niente, e non me ne importa niente, sono pochi chilometri e dopodomani torno”.
«Prendo un treno della sera, ti raccomando la stazione a quell’ora perché non so se è una cosa che dura, e la prima cosa che vedo a Siena è la sua macchinona davanti a un Excelsior o Continental con intorno i vigili. Il giorno dopo anche per consiglio di Norman andiamo a salutarlo; e per due o tre giorni stiamo sempre con Norman e la nonna, andando in giro per il Chianti. Loro lì hanno delle proprietà, che affittano soprattutto a stranieri. Mangiamo dappertutto benissimo; Norman però è ormai spentissimo. Erano più simpatici gli altri ospiti: tutti inglesi. E lì, progetti di prendere una qualche torre; ci sarebbe anche una bella badia per poco: frantoi, pappardelle, bottiglie di Brunello. Lui sempre gentilissimo, sereno, quieto».
«Intanto però siamo già alla fine di luglio, e per questa Donna del Paradiso devo pur presentarmi. Le prove cominceranno... Così si va giù a Roma.
«Lì lui prende un attico subito a via del Riguardo, ma io immediatamente ho trovato una scusa per non passarci mai tutta la notte. Mi sono installato con metà valigie in casa d’un mio amico che sta a via del Sedano, a un passo da piazza del Popolo. Due stanze, sai? non di più; e inoltre passava di lì a cambiarsi un suo cugino che fa il diacono a Sant’Agata in Suburra, e un altro militare. Ma molto in alto, senza ascensore, scale ripidissime, e così ho fatto credere a Simon che era un appartamentino preso da mia madre per noi studenti. Tutte le notti, quindi, verso l’una o le due lo lasciavo su, prendevo un taxi e andavo a dormire giù, che dormivo anche meglio.
«Allora lui lascia via del Riguardo e ti prende uno studio nel parco di Villa Bembo, immenso, fra gli alberi, in affitto per sei mesi ammobiliato. Come parco è splendido, ci sei mai stato? Una foresta proprio centenaria di lecci, nel cuore della città. A pochi passi da piazzale Flaminio, che è sempre pieno di cinghialotti ancora biondi, molto più che al nord: i famosi burini. Una razza stranissima: molto selvatici e molto biondi; tarchiati; e con degli occhietti di un celeste proprio immeritato, maledizione. Lo studio poi sarebbe una casina da contadino del Cinquecento, con un gran silenzio vero. Simon ha cominciato a far rifare l’arredo. Velluti rossi fin sui soffitti...».
«Ma quanto tempo ci han messo, per metterlo a posto?».
«Oh, un paio di settimane... han fatto presto gli arredatori, un va-e-vieni per prendere i soldi... Sì, un quindici giorni compresi gli specchi in bagno. Ma per Ferragosto era già finito, dovevano andar via tutti. Quadri, statue, mobili di valore, sai? Tappeti cinesi, pelli d’animali che tenevano anche un caldo, due enormi divani beige vis-à-vis... per noi due soli, poi... Le pelli di leopardo le aveva ordinate la piccola Ninon per la Veremunda, veramente, ma le ha ritirate lui da Fendi e se le è tenute. In via del Babuino, tutti i quadri con romani antichi e Pompei. Cominciavo a avere un po’ di paura. I soldi che spendeva... Vedevo io: centinaia di migliaia di lire al giorno. Bastava che dicessi “mica male”, e comprava: scarpe, parures da sera da Bulgari, cuscini di cuoio assurdi, un’infinità di camicie, le pantofole di pelliccia per l’inverno, il più bel magnetofono... Passavamo la mattina in Via Condotti...».
«Ma... e Desideria?».
«Era tornata a Londra. Si telefonavano quasi tutti i giorni verso le otto del pomeriggio, quand’era nel bagno. Ma lui aveva già deciso di non veder più nessuno della famiglia. Già informato il loro avvocato, il medico, tutti. “Non ho mai provato niente di simile,” continuava a ripetermi “non capisco proprio come sia capitato, però adesso è capitato e non voglio più vivere con nessuno di loro”. Non voleva più veder neanche sua madre... sai?... che è stata a Roma, con tutti i suoi Balenciaga, e un suo amico libanese che produce il miele, per un gran ballo...».
«Sotto Ferragosto?».
«... che poi non c’è stato... cosa c’entra?... Non c’è stato perché è morto improvvisamente il suocero di qualcuno... Adesso non ricordo più chi... Uno ch’era stato presidente di un circolo per tanti anni, sotto il fascismo... Ed era ospite a Palazzo Adamoli di qualcuno, la piccola Ninon... quindi, neanche lontano da noi... Ma lui non ha proprio voluto vederla, neanche a colazione... Non è neanche andato al vernissage della sua mostra... Fa dei quadrini piccoli piccoli, con dei cardinalini... Sai che la piccola Ninon è stata l’amante di un cardinale, quand’era ebrea... ma proprio per pochi momenti... Stava addirittura per prendere la cittadinanza italiana!... Ma poi c’è stata la famosa entrata in guerra, e a Parigi l’avrebbero internata subito, figurati se interveniva il Duodecimo per la sua bella faccia... Da allora porta sempre del pungitopo fresco dentro i reggipetti, per mortificare la carne... Me l’ha detto Simon».
«Veramente, fino a un certo punto m’aveva divertito fare il ragazzo-squillo da un milione al colpo... Ma dopo un po’ non c’è più senso, andiamo... Cercavo un pretesto per liberarmene, ma sapessi le difficoltà... È arrivato perfino a minacciarmi d’uccidermi, praticamente, sai... E tutto perché quando voleva sapere chi vedevo rispondevo sempre “i soliti”, perché non si preoccupasse per delle facce nuove... Persa completamente la testa, completamente. Ma lì si era messo in moto chissà cosa di non giusto.
«Le mie prove intanto erano cominciate: ci andavo tutti i giorni. Ma lui continuava a telefonare al ninfeo. Ogni giorno arrivava lì a prendermi. Quella macchina enorme sempre lì davanti a Villa Giulia... con tutte le iene della prosa a far commenti...
«Il regista era Franco Venditti, lo si conosce: bravo, ma insomma... Simon ha voluto farselo presentare, invitarlo continuamente a pranzo; e lì nuovi imbarazzi, figurarsi le iene... Lui poi pretende che si stia a Roma per queste prove, però se provo per due giorni di seguito si stufa e si vuol muovere... Quindi praticamente un giorno sì e un giorno no mi toccava telefonare al ninfeo che non potevo andare alla prova, perché lui voleva portarmi a Sabaudia per la giornata o a Sperlonga, era un gran bel periodo per Sperlonga... Franco a un certo punto ha cominciato a chiedermelo, dove avevo la testa. Ero preoccupato, poi, dormivo poco».
«Ma cosa facevate, di giorno, di sera?».
«Te l’ho detto. Di giorno al mare, quindi bagno. E di sera in giro nei locali, anche piuttosto fuori, in tutti quei posti freschi su per la Flaminia e la Cassia... A Grottaferrata, più d’una volta; a Zagarolo, che è intatto; ma anche a Sacrofano, a Campagnano. Ci siamo fatti tanti amici...».
«Ma che tipo d’amici trovavate, d’estate?».
«Così... gente che capitava di conoscere... che conosceva lui... che mi presentavano... stranieri che abitano a Roma... Una volta vien lì con un ungherese, un profugo di Budapest. Biondo, biondissimo. Quasi bianco. Ma non sono tutti scuri, di solito? Un bellissimo ragazzo, fra l’altro, di ventidue anni, che era stato in prigione coi russi e faceva vedere ancora i segni. Me lo porta lì, e mi fa: “Ecco, Renato. Adesso sarai contento, con uno in casa per te tutto il giorno”.
«Qualche giorno prima m’aveva preso anche un cane, ma non m’andava: una bestia lunga, grigia... che non mi piaceva niente; di brutto carattere. Dietro la casa, diviso dal parco padronale, si aveva un pezzetto di giardino privato, nostro. Una specie di ortino del parroco; con dei tavolini di pietra, delle statue da piscina; e qualche mobiletto di vimini che aveva fatto portar lì lui. Ecco, sempre lì fuori, lo lasciavamo, questo cane. Ma non era neanche capace di fare un po’ di guardia. Era stato proprio l’uomo che ce l’aveva venduto, fra l’altro, a mettermi in mente che Simon fosse un matto.
«Non l’ho mai visto litigare con tanta furia come quella volta. Ma aveva ragione lui, però. Senti. Da questo qui dunque lui aveva preso il cane quando si stava ancora a via del Riguardo, ma là non lo si poteva tenere e così l’abbiamo ritirato solo dopo che ci eravamo trasferiti a Villa Bembo. Una settimana, metti... poco più... e quello oltre al prezzo del cane mi pare che volesse anche altre cinquecentomila lire di canile e mantenimento, per poco più d’una settimana. Non l’ho mai visto così arrabbiato.
«O forse solo un’altra volta: altra mania. Escono su un giornalaccio delle mie foto fra l’altro bellissime, sorpresi uscendo dall’84, io abbracciato con Florence Pomméry, “nuova coppia dell’estate”, e Gloria un momento dietro. Ne faccio prendere un po’ di copie da regalare; e lui furibondo! “E io, che figura ci faccio? quando tutta l’Europa sa che Florence è la petite amie di Gloria!”».
«Ma con l’ungherese, ho capito quel che doveva essere successo. Simon l’ha trovato in Piazza Navona con uno zainetto, e l’ha portato a mangiare. Son quasi sicuro che gli ha chiesto se voleva andare in letto con lui; e l’ungherese deve avergli detto che non gli piacevano gli uomini. E forse per questo Simon me l’aveva preso come custode. Invece l’italo augello gli piaceva, e come. Dovevi vedere come mi girava attorno tutta la giornata, a parlar di tutto... e il modo di sfiorarmi... E poi, quando mi veniva a portar la colazione a letto, la mattina, come mi si sedeva lì, e giù la mano con qualunque pretesto sotto le coperte... Una volta giocando m’è capitato uno stiramento... I massaggi alla spalla che mi faceva...».
«E Simon non c’era?».
«Era andato a Parigi per delle sue trame. Devono avere delle fondazioni che gli amministrano dei patrimoni per quando arriva ai trent’anni, e fra poco ci siamo. Ma è tornato quasi subito. Una sera invita lì dei ragazzi, e c’era anche la fidanzata dell’ungherese...».
«Ma allora gli piaceva di tutto?».
«Certo, anche le donne. Simon infatti gli dice di farle l’amore insieme lì davanti a noi; niente, avevamo preso un po’ di roba...».
«Ma di dov’era sta ragazza?».
«Di Roma. Però ho capito il programma di Simon. Si è spogliato, ha fatto spogliare anche me; e poi stava a vedere dove girava l’ungherese dopo aver bevuto un po’. Lui lì fermo, invece».
«E tu?».
«Ah, senti: l’amore in tanti era forse la prima volta, ma da spogliati preferivo ancora l’ungherese. Molto ben messi, cari miei, nella puszta! Mi son messo a far lo spiritoso!».
«E Simon?».
«È andato nell’altra stanza, e si è vestito subito, con la cravatta. Prima s’era detto di far quelle sciarade come da Luchino, riconoscendosi dalle stoffe al buio; ma non ha più voluto e li ha mandati via. Però io credo che qualche giorno dopo si sia messo anche lui a far chissà cosa con l’ungherese, perché una mattina, senti: l’ungherese vien fuori con me, perché voleva fare un regalo a questa ragazza. M’ha detto di andargli insieme per sceglierlo, e vedo che tira fuori una gran quantità di soldi: metti, cinquanta o sessantamila lire sciolte in tasca. Ma scusa! Uno che fa il cameriere e non aveva niente... Ho pensato che glieli avesse dati Simon».
«E cos’hai detto?».
«Niente, figurati. Son soldi suoi».
«E il regalo?».
«Ma cosa vuoi mai! Una scatola di cioccolatini al liquore. Molto grossa, questo sì. Una ragazza che lui conosceva solo da pochi giorni... Fin troppo! Un’altra sera invece dovevamo andare a pranzo con diversi amici...».
«Amici come?».
«Amici di lui. Spagnoli al Grand Hôtel. Mentre son lì che mi vesto, vien lì l’ungherese, e mi dice che ne approfitta per portar fuori anche lui questa ragazza. E mi domanda quali sono i locali notturni belli a Roma. Mah, lo Chez Nous, la Rupe Tarpea, il Belvedere delle Rose, gli dico, tanto per dire. Però ci vorrebbe un abito scuro, e lui aveva solo il suo beige di tutti i giorni. Mi sono offerto di prestargli una mia giacca. No, no, m’ha risposto, non importa; vado così anche in chiaro. Va bene, dico io. Noi poi dopo gli spagnoli andiamo a ballare; e verso l’una o le due passando per Porta Pia lo vediamo che scende da un taxi con su un abito nero di Simon, cravatta sua, orologio suo a brillantini...».
«Ma voi come passavate di lì?».
«Così, tornando a casa in macchina... per caso. Lì poi non c’è niente!».
«E come avete fatto a capitargli sopra?».
«Puro caso... Lui fa per scappare, infatti. Si mette a correre. Ma Simon fa in fretta a prenderlo. Capirai: con quella macchina... Gli fa tutto un discorso. Gli dice: senti, se me li avessi chiesti non ci sarebbe stato niente di male; lo sai che te li prestavo, abiti e tutto. Ma questo è proprio un genere che non posso tollerare in casa. Lo riporta indietro con noi. Gli fa mettere giù tutto. E lo licenzia. Proprio: via immediatamente dalla casa».
«Il giorno dopo, a colazione, mentre si era al ristorante, telefonata di questo ungherese, ancora».
«Ma come faceva a sapere dove eravate?».
«Al Cesarione? Ci andavamo quasi tutti i giorni. Lui telefona dalla stazione, dice che gli spiace e parte; e tanti saluti. Cercava di tornare a casa sua a Budapest o lì per lì, dice. Noi si doveva andare a Santa Marinella. Andiamo. E quando torniamo, troviamo la casa svaligiata. Portato via tutto. Tutto!».
«Un danno di quanto?».
«Venti... venticinque milioni... No, di più! Si fa presto... Tutti i vestiti di Simon... Tutto il guardaroba, completo. Camicie, scarpe, cravatte, anelli, gioielli. Il portapillole che aveva comprato per regalo a Desideria... Gliel’avevo detto io, a Siena: ma perché non prendi un regalo a tua moglie, che è così simpatica?... mentre eravamo lì dall’orefice; e ho visto io quando l’ha pagato, lì con la nonna di Norman: tre milioni e rotti. La radio, poi, la televisione... dei piatti d’argento con certe grandi zuppiere del Settecento romano... Ma cosa dico? cento, duecento milioni almeno!».
«Avete fatto denuncia?».
«In un primo tempo era incerto. Poi si è deciso. Ha pagato non so quanto perché non venisse fuori sui giornali, ma poi è uscito lo stesso. Su tutti. Io sulla camionetta della Celere...».
«Cosa c’entravi?».
«Sì, perché sapevo dove stava la ragazza...».
«Una vita molto violenta?».
«In fondo al Tiburtino Tuscolano. Siamo andati con la polizia in una casa di sardi, ma c’era solo la madre che non sapeva niente. Ha detto che erano appena usciti».
«Avete aspettato?».
«Un pomeriggio intero. Altra prova saltata. Franco giustamente non ne poteva più. Gli ho telefonato lì dalla casa dei sardi. Ho telefonato anche a Simon, mentre s’aspettava, ma non c’era. Era andato a Fiumicino a prendere Desideria che arrivava da Londra. Finalmente verso sera sono arrivati, e so che c’è stata un po’ di sparatoria, ma io m’ero già fatto chiamare un taxi per tornare indietro».
«E Desideria?».
«È arrivata la mattina dopo, a mezzogiorno. Aveva perso l’aereo. Invece l’ungherese e questa Patrizia, quando sono arrivati lì alla casa, subito lui s’è accorto della polizia e s’è messo a correre. Non l’han mica più preso, sai? Venti-venticinque milioni come minimo!».
«E la ragazza?».
«Ma figurati! Ha detto che non sapeva niente! E le han creduto. Forse però era vero. In casa, quello che s’era guardato in giro più di tutti, se ben ricordo, era un ex-carabiniere. Dall’aeroporto, il giorno dopo, Simon e Desideria sono venuti direttamente alle prove al ninfeo, a prendermi per colazione. Mi ricordo che era il giorno di Ferragosto, ma si provava lo stesso perché il debutto a Ostia era verso la fine della settimana. Un caldo: lasciamo perdere; un umido, un soffoco... E tutti gli altri, in Turchia. Si va a Antalya, domani? Vuoi ancora un po’ di champagne, o le tombe licie?
«Desideria però aveva già capito tutto da un pezzo, secondo me. Come donna è intelligente. E alla Veremunda, poi, m’aveva visto, anche in costume da bagno. La storia del furto l’aveva già letta sul “Messaggero”, ma a Roma pareva tutt’un’altra persona. Gentilissima, devo dire. E mica solo con me: semplice, piena di cordialità, con tutti, nei negozi, fin coi camerieri. Finito quel gelo della Spagna. Arie da Grace Kelly, niente. Ma soprattutto, cambiano molto loro, fuori dal lugubre di quella casa, con quei brutti mobili, quelle tende... Quell’atmosfera da fantasma nella stanza vicina, da delitto prossimo, o un brutto mistero che non bisogna dire... E là anche loro prendono quest’aria opprimente, che poi in giro non hanno affatto... perché sono veramente molto carini tutt’e due...
«Andiamo a colazione, anche se la prova era cominciata da meno di mezz’ora; ed è lì che Franco m’ha sostituito. M’ha detto in bei modi che non era possibile arrivare alla prima in quelle condizioni, ma del resto me ne rendevo conto benissimo anch’io: avevo la testa via, che m’andava da tutte le parti... Mi dimenticavo le battute... Come quando per tener tranquillo Simon gli dicevo che non era vero, qualunque cosa mi domandasse che avevo fatta... perché se neghi sempre tutto e non ammetti mai niente, all’altro viene il dubbio che tu stia dicendo la verità, no?».
«Franco è stato molto gentile, però. M’ha promesso che faceva la prima col sostituto, ma poi se alle repliche me la sentivo mi ridava la parte».
«Che parte facevi?».
«Ah, uno dei discepoli... Senti. Dunque Desideria va al Grand Hôtel, lui molto gentile con me e con lei, e sempre insieme tutt’e tre dappertutto. Sai, non so se sei mai stato a Roma di Ferragosto, ma è molto piacevole. C’è pochissima gente, quasi solo stranieri; fa più fresco che in giugno e luglio; e niente traffico; ma proprio nientissimo. Si va in giro benissimo. Quante fotografie!».
«Voi tre in gruppo? Dando la macchina a un turista gentile?».
«No: me ne ha fatte far lui un’infinità, molto professional, perché voleva farmi fare questo film. Ci siamo informati bene sui costi, e si era già avanti nelle trattative...».
«Con quale produttore?».
«Col regista... con gli sceneggiatori...».
«Franco Venditti?».
«Ma no, Franco è di prosa! Con Venturello Venturelli... bravo, no? Quante foto! Ma centinaia e centinaia! Ne ho ancora degli scatoloni, te le farò vedere. Ce ne sono delle bellissime specialmente a cavallo e al Golf. Voleva stabilirsi per sempre a Roma, sai, lui? Abbiamo visto un paio di ville dietro la Cassia... piuttosto belle, anche...».
«Da che parte?».
«Subito dopo i vivai Sgaravatti, prima dell’Olgiata, c’è una specie di vallata che non si vede... Un pomeriggio Desideria mi telefona a Villa Bembo. Mi dice se posso andar subito da lei, al Grand Hôtel, che mi deve parlare».
«Ci sei andato?».
«Ma certo, era lì prigioniera, perché allo stesso Grand Hôtel c’era anche la piccola Ninon, era tornata improvvisamente con un nipotino della colombiana che compiva gli anni, e ha fatto riaprire Bulgari perché si scegliesse un regalo. Ma questo nipotino è molto tifoso di calcio, e voleva una Coppa Rimet. Ci voleva qualche giorno per farne una identica alla vera, e così loro aspettano passando il tempo fra il Grand Hôtel e la Vecchia Pineta. Ma Desideria, figurati che voglia di rischiare d’incontrarli entrando o uscendo.
«Appena lì, subito lei mi dice che si rende conto benissimo della situazione e vorrebbe vederla più in chiaro. “Capisco benissimo” mi fa “che Simon sta scoprendo nuovi orizzonti e nuovi argomenti, e non sarà la prima volta né l’ultima che a qualcuno càpita”. Mi fa: “tu Renato probabilmente sei il tipo di ragazzo italiano che va bene per lui, perché sei per bene, non venale, non interessato, capisci quando hai a che fare con un signore”...
«Un imbarazzo, io! Stavo lì lì per dire: “avevo appunto già deciso di regalarvi per Natale tutti i disegni del Tanzio che ha mia madre su per le scale in campagna, perché in fondo siete due simpatici”... Però non ho potuto proprio fare a meno di dirle, invece, che a me in fondo di Simon importava abbastanza poco, dopo tanto tempo, sempre per l’immortale principio che noia arreca (e non diletto) il piacere d’ogni dì: cosa che noi della Scala sappiamo, e loro magari no. E anzi mi faceva ancora un piacere se lo riportava indietro in Inghilterra. Cioè la verità: ero un po’ stufo di sentirmi chiedere a tutte le ore da uno dove son stato e cosa ho fatto e con chi. Alla nostra età, in un nido di memorie!
«Ma lei non era affatto di quel parere lì. La vedeva più seria. Comincia intanto a dirmi che già Simon le aveva raccontato sul ridere la vecchia storia standard di collegio: frugoletti inglesi a consumo... mentre a me diceva che era la primissima volta e non sapeva neanche da che parte si comincia, col signorino... Comunque, lei credeva tutto finito con la nozza. E allora adesso vedendo la ripresa, bisognava organizzarsi. Alla mia età!... La cosiddetta sistemazione!... Altro che la mia mamma.
«D’altra parte, mi fa... mi dava un po’ del tu e un po’ del lei... “lei può volergli bene sì o no, anche se lo conosce poco... ma io so bene di cosa ha bisogno e di cosa è capace sul serio tra una sciocchezza e una tenerezza e un joke... E sono disposta a qualunque livello di moralità dove c’è un minimo di qualità, pur di non abbandonarlo al suo io, anche se c’è chi dice che il n’était pas mon genre”...».
«Ma siamo nel magico mondo del Filo del Rasoio! Lo raccontava anche meglio la Twentieth Century-Fox... Ed egli?».
«Era andato al cinema. Credeva che avessi ancora le prove... Insomma, lei dice che vorrebbe mettere a posto la situazione. Due modi ci sarebbero, mi fa; ma in tutt’e due, via subito da Roma. O tutt’e tre insieme nel castello che hanno su in Scozia; e spostandosi continuamente fra i vari interessi che hanno nei petroli in parecchi paesi, con le trivellazioni per lo più in Libia; e sempre insieme. Pare che lui ci debba andare spessissimo...».
«E una volta lì, suonate il disco della Sagra di Giarabub?».
«L’alternativa era “Di Provenza il mare e il suol”, però con la sua buonuscita, non come quel tirchissimo papà Germont che non offre nemmeno una pianta alla poverina, e si aspetta che lei faccia delle cose pazzesche tutte gratis!».
«E la povera scema non risponde neanche “vediamoci dal notaio”, l’unico linguaggio che capisce quella borghesia lì!... Tutte le volte che la vedo lì vittima, mi vien da gridare “dite di nooo!”, come fa Leporello quando Don Giovanni tende la mano al Commendatore».
«Io mi ricordo però da bambino la famosa Traviata di Luchino, con la mia mamma alla Scala: e quando il baritono si avvicinava alla Maria in giardino, gran bell’uomo non truccato da vecchio, e lei aveva come un trasalimento perché il tenore invece non era fico... E tutte le madame nel palco: vedi come sono ancora meglio i padri, se solo si tengono un po’ su... Con me, invece, d’accordo con la piccola Ninon, mi facevano avere una grossa somma, io sparivo, non mi facevo più vedere neanche se mi cercava, giravo con una Florence per quel popoloso deserto che appellano Parigi...».
«E tu, poverino? La mano a me date, movetevi un po’, se voi non parlate, per voi parlerò?».
«Non ho fatto in tempo a dir niente. È tornato lui dal cinema, passava dalla mamma, ha fatto lì un salto e ci ha trovati insieme come Arcibaldo e Petronilla, e naturalmente ha capito tutto, non è mica stupido. S’è arrabbiato parecchio, una scena tremenda: lei buttata su tutte le trapunte della Ciga, la filodiffusione che faceva l’inferno per non lasciarci sentir fuori, lui che profferiva oscure minacce, vaticini usciti dalle veggenti che non predissero certo un serto al capo mio... Lei però sembrava innamorata tanto, di quel martuffo!».
«A che ora è finita?».
«L’ho fatta finire io, perché ho tirato su il becco e me ne sono andato. Ho detto che non volevo mai più vederli né l’uno né l’altra, che erano due bambini, e sono uscito nella grande maniera! Un po’ di regìe della Wallmann, da piccoli, nella vita servono sempre!».
«E loro?».
«Lui m’ha telefonato più d’una volta in via del Sedano. Ma io ho sempre risposto che ero ben contento del lieto fine perché sono una brava persona, e che faceva meglio a starsene con sua moglie. Son partiti dopo un paio di giorni, e m’han telefonato, tutt’e due questa volta, se non volevo andarli a salutare».
«Ci sei andato?».
«Perché no, m’avevano invitato... Ma senza regalino, i negozi ormai erano tutti chiusi. Un imbarazzo... Una colazione noi tre soli, su in stanza, in questo Grand Hôtel, come se si combinassero degli affari... proprio un paio d’ore prima della partenza... Lei molto simpatica, molto gentile... Le ho dato, così, un bacio; m’ha ripetuto per ridere la famosa frase “you do this to me?”... M’ha invitato a andare a casa loro a Beirut...».
«Perché Beirut?».
«Andavano lì... non so... hanno delle proprietà di un’altra mamma... Mi ha anche regalato un bel giradischi...».
«E poi? È l’intreccio terminato? Non finisce con un big bang?».
«Cosa pretendi... Lui ha continuato a telefonare e a scrivere da tutte le parti... da Parigi, da Londra, dal Libano... Qualche volta scrive in francese, non so perché... Anche lei ha mandato delle cartoline dai vari musei. M’hanno perfino invitato a passare il Natale con loro a Gstaad, ma io non volevo perdere la nuova Medea con la Callas che sarà l’ultima. E poi, mia madre, a Natale e a Santo Stefano...».
«Quando si sono separati?».
«Qualche mese dopo, l’ho saputo per caso da tutt’altra gente. Lui, so che è sempre in giro. Il Libano, pare che vada benissimo. E lei, l’ho rivista quest’estate a Roma, al mare; ma c’eri anche tu, no? Naturalmente non m’ha mai dato la colpa di quel ch’è successo. Anzi, se mi si è attaccata un po’ andando in giro credo che sia in un certo senso perché abbiamo questi ricordi, sempre il vecchio nido di memorie, uffa. Non fa che parlarmi di lui...».
![e9788845971877_i0002.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Fratelli-D-Italia/OEBPS/Images/e9788845971877_i0002.jpg)
Renato esce per andare a farsi tagliare i capelli in Curzon Street: «Un negozietto deliziosissimo frequentato da Oscar Wilde, e forse ancora con gli stessi lavoranti. Mi faccio anche una provvistina di dopobarba al lime, e già che son lì mostro un bel culo italiano alle spie di Sua Maestà».
Spiega subito che sale da un suo amico, in un albergo a fianco della centrale dell’Intelligence, quella famosa MIMI-16 così celebrata in tutti i vari bestseller sui servizi segreti, «e piena di vecchi froci di Cambridge». Al pianterreno non una porta né una finestra, su Curzon Street. E invece, su all’ultimo piano, «tendine bianche da zie di Camilla Cederna, molto bon ton bon genre», che si smuovono vorticosamente ogni volta che lui apre la finestra, si tira giù calzoni e mutande, sporge il didietro fuori dal davanzale, mentre questo Bruce dalla finestra vicina scatta un po’ di foto per ridere.
Ma Antonio, appena gli riferisco l’intera storia spagnola: «Non crederai a una sola parola di quel mitomane. Come dice una nostra illustre amica, mente anche quando pronuncia l’articolo “il” e la congiunzione “e”!... La Spagna come fondale di tutte le inverosimiglianze! Ma andiamo! Miracolo a Saragozza! Gli inganni in pieno sole! Aspettavano proprio voi!». Ci ripensa, però. «E poi, e poi sarebbero meraviglie delle meraviglie troppo fuori del tempo... Una capacità simile di voler bene ancora oggi, e anche condensando tante riverite situazioni en abyme... Ma mi faccia il piacere!».
Avanti l’Ombra del Dubbio... «Ma certo! La vostra letteratura di routine sta in tinello con le sciorette e i centrini, lo dite sempre: parla col televisore e si intrattiene col gatto, no?». (Non posso fare a meno di voltar la frittata). «Però, intanto, fuori, nella vita vera, la gente vera vede case bellissime, o no? E cerca di fare le vacanze “favolose”, va negli alberghi “leggendari”, mangia nei ristoranti “mitici”, e magari non lo racconta in giro, oppure non è vero e me lo sogno? E quanti si rifiutano di guardare le foto della gente bella sui giornali? Quanti sostengono che i bei vestiti sono brutti? E andare alle feste è peggio che guardare i film coi delinquenti e i delitti? Chi, se non è proprio obbligato, preferisce le piccinerie e le miserie e le tristezze? Queste, staranno benissimo a casa loro nei romanzi e nei film, cioè nell’alienazione e nel non-autentico. Nella vita autentica e non falsa, parecchia gente dice Viva le Ferrari e Viva Christian Dior!».
«Se fosse vera solo una piccola parte, allora si capirebbe come lei abbia fatto di tutto per non perderlo, e verrebbe voglia di conoscerlo subito, quello scemo. Il guaio è che non ci può essere niente di vero. Renato, si sa che inventa le cose, e sappiamo cosa si racconta di lui: sono gli ultimi mitomani milanesi, ma ormai nessuno riesce più a farla franca dal momento che non c’è proprio più mistero, tutto si svolge in pubblico e qualunque minima storia va a finire nelle apposite rubriche, ingrandita... E poi, proprio Desideria, andiamo! Quando mai è stata una Vanessa da fumetti come vorrebbe far credere lo sciagurato... Nel tuo cuor s’annida Scarpia?».
«Però, come fa, lo sciagurato, a inventare? Non è intelligente, fantasia non ne ha. Non lo senti com’è terra terra quando racconta qualunque cosa dell’altra sera dove c’eri anche tu?».
«Un amour de Swann l’avrà tutt’al più letto la sua mamma in barca, con qualche Borletti. Lui, escludo».
«Ma se ho continuato a fargli delle domande da commissario di pubblica sicurezza... E neanche una contraddizione: tutto a posto, proprio come se ricordasse. Tu saresti altrettanto pronto nei particolari?... Saresti capace di inventarne tanti senza incertezze?... E tutte queste cose di tormento e passione! Bisognerebbe essere narratori, no?».
«Avrà trovato sotto qualche cuscino una sceneggiatura di Vadim o Chabrol», quando non sa cosa dire. Va al “London Magazine”, ma il veleno l’ha roso? Io torno a dormire, sono stanchissimo, basta.
A letto coi miei giornaletti presi a Leicester Square; e sempre fra questi ammassi d’appunti che lascia fuori in mezzo ai suoi ritagli: nuovo, quindi, come espediente. “Note in vista di un romanzo? O un romanzo in forma di note?”.
Qualche foglietto da infilargli dentro subito, per farlo soffrire un po’...
«Quando mai questo romanzo?»...
«Debussy fa hommages a Rameau e a Watteau. And you?».
«M. Verdurin – con tutto quello che ha sotto il naso in casa propria – perché mai quando scrive compone un saggetto su Whistler?».
«Farete la fine di Sade, un vecchino maniaco e mitomane che insiste a fare dei moralismi insensati, e si diverte molto meno dell’allegro camionista?».
«Come si fa a fingere che Hofmannsthal non abbia mai scritto La lettera di Lord Chandos? e che le mode ideologiche non stiano deprimendo la letteratura di qualità?... Le critiche di moda che scoprono e ricordano se i dettagli delle maniche sono presi da questo o da quello, quando mai vi dicono “è bello”, o no?...».
«Le valigie di marca sono “alla sua portata”: ce le fa vedere ogni giorno. Ma quali marche di letteratura saranno “al suo livello” stasera?».
«E non c’è qualche sindacalista della letteratura che la difende, quando le tolgono bellezza e piacere e la caricano di compiti impropri, facendola diventare troppo noiosa e cheap?...».
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