VIA APPIA
Per ora, intanto, non pare che abbiano poi molto oltre a questo titolo depositato e registrato, L’Italia si chiama Amore: non si può più cambiare, se lo devono tenere, vi dovrete divertire. E la storia, bisogna che sia assolutamente estiva, molto sentimentale, una grande vacanza dolce-amara con tanti Vesuvi e tante gondole, e colori-colori-colori. Naturalmente, siccome dovrebbe andare in tutto il mondo con aspettative di incassi, occorrono i personaggi internazionali, almeno una canzone di successo, la scena-madre in trattoria, la simpatica cialtroneria italiana, e tutto. Magari anche il giochino di società da lanciare: se non addirittura il ballo dell’estate prossima. Perciò si sta qui ad aspettar quei due, in tourist class.
Jean-Claude, Antonio lo conosce da Parigi, quando studiava scienze politiche in rue St-Guillaume, e abitava in un alberghino sopra i giardini del Luxembourg, proprio nella stessa rue de Fleurus di Gertrude Stein, e mi ricordo come deperiva e soffriva tra la gente e le facce di St-Germain-des-Prés, con quei dentacci, quei mantellucci. E non sexy.
Questo Jean-Claude, lo stesso. Bastava – è sempre bastato – sentir le parole «Sartre» o «esistenzialismo» o «engagement» o «moda culturale» o «ruolo dell’intellettuale» o «militante»... per deprimerlo e affliggerlo: me lo spiega subito, come prima cosa, perché è lui che mi dànno da portare in macchina, senza praticamente mangiare, mentre Antonio va avanti con l’altro che pare meglio, tedesco, ma vissuto molto negli Stati Uniti per questi ultimi anni, quasi dieci – Let’s be buddies, I’m an Indian too!... E mi domando in che modo possano essere stati amici per tanto tempo, lui e questo Jean-Claude, e parlando di cosa, poi, su chissà quali tavolini stretti di bistrots fra musini e salsine “minables”, quando tutto pare dividerli, dalle idee politiche al modo di pigliare la vita al sex. Sarà stato abbastanza, portarlo per la prima volta al museo dimenticato di Gustave Moreau, o fargli vedere degli Odilon Redon quando la pittura simbolista era fuori moda, e Antonio ripeteva che non gli era ancora scattato il senso della vista, ed era vero?
Adesso, invece, qui a Roma, sembrano capaci tutti. Dall’altro autunno, tutto un movimento di Erodiadi e di Eliogabali, nelle loro casine. Cassetti anche di cucina pieni di crisopazi, chimoni, chimere. Comprano magari per pochissimo Sansebastiani e Sardanapali con Melisende e con Dalile, prima ancora dei tappetini da bagno e della napoletana per il caffè. Via tutti i Piranesi: sono da dentista. Via le bottiglie quadrate che «fanno Morandi»: durate poco, bianchicce, out. E dentro i romanzi neri con le rose mistiche e i garofani verdi, nei vasetti Gallé senza mercé. A Porta Portese fanno incetta di Salomè e Meduse e Sfingi, «mille lire l’una! duemila per tre!», strappandosi le Psichi e le Iridi, nugoli di tremendine industriose che si alzano prestissimo (non come noi!), già cariche prima delle undici di annegate e di ignote frementi e dolenti nelle Bretagne defunte e nelle Venezie sprofondanti, fra Botticelli e Carpaccio e Bisanzio e Tahiti e Re Artù e la Regina Taitù... La “sora” che viene a far pulizia una volta alla settimana, subito ribattezzata Hortensia o Praline... E pensare che fino a poco fa andando al mare la domenica si vedevano alle fermate dell’autobus queste nidiate di inferior decorators con le braccia cariche d’angiolotti dorati e bottiglie a testa di Garibaldi e opaline celesti della nonna, dicendo ovvìa...
Qui basta una colazione all’anno alla Trattoria Romana, per noi di fuori, e ci si mette al corrente di tutto, in un momento: arpe, Atlantide, Aulide, Aubrey Beardsley, anthurium... Ma anche questo, appena sceso dall’aereo, nemmeno bagnato il becco, neanche andato al cesso, e subito via con la Cosa Celtica evanescente e languente nei boschetti d’amor birichino ove danza il satiro meridiano: a me! E passando per Pomezia, poi!... Hop, hop, col suo mattutino benedettino dopo la mezzanotte satanica («ma non la gradirebbe mitraica, dottore?»), e tutte le emaciate ispirate con gli agapanti e gli acanti in processione crepuscolare dietro le beghine birbone sui canali viola delle città d’acque morte piene d’Ofelie e d’Isotte “en folie”, e le gondole fantasma delle Rosaure dei cioccolatini e degli amaretti sempre dietro alle Ondine e Titanie col loro Pierrot!
Però qui, sul rettilineo pontino, l’elefante si ribella: il povero clown triste, no! Il povero clown triste, non si può! Deve uscir solo sui piattini e i cuscini, e abat-jour, con lo spazzacamino dal cuore che sanguina mentre la mia cugina Pina impazza! Nella sua villona sopra Ascona tutta voluttà e crudeltà, molto lusso, calma niente, caveaux di Ciba-Geigy e Brown-Boveri, e sul Monte Verità sarabande, baiadere, messe nere in nomine Parsifal, con Santa Cecilia e Suor Messalina alle tastiere dell’hashish gregoriano... nel più profondo Canton Ticino... Magica Bellinzona!
Un po’ di paura, gliel’avrò messa, anche facendo finta di guidare all’italiana malissimo? Bene: alta scuola, la belva è qui per questo! Ma oltre tutto ne ho visti pochi, anche in collegio, quando la sera si fanno tutti gli scherzi, di lui a cui piacciono tanto le lei (non parla d’altro, e sgranando gli occhioni da faraona), che abbiano un’allure da damina del Settecento come questo noiosino di biscuit. Come certi Don Giovanni spiriti-non-forti che razzolando tra profumi e balocchi si arrendono al merletto e diventano quei cicisbei dei quali i mariti (chissà perché?) non erano mai gelosi, però mai che un libro di scuola ce l’abbia contata veramente giusta, e men che meno l’abate Parini... Anche tenendo conto del fatto che questo è francese, poveretto: colto, la sintassi a posto, il torace e le spalle e i capelli e la pelle un po’ meno, le scarpe e i denti lasciamo perdere... A modo suo anche intelligente, va bene, va bene: M. de Fontenelle, M. de Montgolfier.
Qualche anno fa, quando l’ha conosciuto Antonio e intrattenevano da Lipp le milanesi in visita, faceva il redattore di “Arts-Spectacles”, e poi di un paio di quotidiani che partivano con tanti soldi e un cocktail ma duravano poco. Adesso però gli ho parlato, e mi par di vedermele qui davanti le cosine “insolenti” che avrà scritto: leggerine, proustine, un gran garbo, e un po’ stolte. I “propos” che leggono le mie zie sulla “Gazette de Lausanne” per avere un’idea dell’“air de Paris” senza dover ricorrere alla loro amica Maria che va là dalla figlia sposata e torna con le novità... Piangiamo un pochino?... Intanto – scommetterei – qualche figlia brutta di duchessa un po’ povera da tirare in giro fra la petite noblesse. Anche una qualche vecchia importante e sola da stare a sentir gridare «cet imbécile!» e «détestable!» e «quelle horreur!» tutti i pomeriggi in casa e per i negozi, finché una volta al mese, il premio! Colazione da Maxim’s, nella sala giusta!, con ambasciatori e accademici, novant’anni per gamba, hanno conosciuto Puvis de Chavannes, Mounet-Sully, Pétain da piccolo, che disse «un mot remarquable!» a Paul Valéry.
Soldi certamente pochi, sua madre chissà che fatica, il capitaletto non si tocca e neanche la minuscola rendita! E lo ripeteva anche troppo che voleva fare un romanzo «bello e tradizionale», lo diceva a tutti, perfino a Venezia con trentacinque all’ombra: è stato descritto, in un frou-frou di piccioni, sbattendo le ciglia e dimenticando la bocca aperta coi denti storti (mai messo il costoso apparecchietto) e il cucchiaino del gelato per aria al Florian.
L’ha poi scritto e anche pubblicato, par proprio di capire. Ma io non chiedo: non dev’essere andato mica tanto bene, forse avrà rivisitato la Princesse de Clèves anche lui come tutti, d’estate a St-Tropez. Non ne parla volentieri. Il giornalismo insolente l’ha piantato lì quasi subito, dice: perché non gli piaceva più. Probabilmente, perché non riesce a dar delle unghiate nella realtà, e neanche dei graffi: si vede subito.
Non fa presa, non è capace di mordere. E poi è anche ignorante, non legge mai i giornali. Mai conosciuto uno che viva murato più di questo nella colombaia sospesa del castello in aria senza aprir gli occhi per vedere come girano le cose nelle sue diverse lande romanzesche, tipo il Garda e il Chianti, terre di enigmi e di chimere e non già di proprietà agricole in conflitto con giunte di sinistra che negano il permesso per la piscinetta dietro la cipressaia, dove si farà invece la fabbrichetta di laterizi con la sua polvere... Davvero, nemmeno Antonio proprio agli inizi, rapito da tutti i salmoni e le anguille affumicate del Nord (questi italiani sempre in ritardo di una mayonnaise o di un kren). Bloccato dalla trasognatezza. Tutto rinchiuso nei suoi corridoi segreti. Immobilizzato dentro un’irrealtà coi soffitti bassi. E pieno di difese; con tante inibizioni e altrettante aspirazioni, ma sempre piccoline, noccioline, peanuts, in direzioni disparate... gli archivi delle ville lucchesi, le fontane con bocche grottesche, le sete di San Leucio, magari l’antiquariato degli ex-voto... E neanche un fondamento stabile, neanche un gesto di slancio, appena si sale un po’. I Fasti Farnesiani? Sì, sì, però... per Stendhal, in fondo, Parma è «d’ailleurs ville assez plate». E provando a buttargli là Elisabetta Farnese?... «Ma questo è l’ovvio!».
Invece di darsi da fare, intanto, appena ha un po’ di soldi smette di lavorare. È il suo “sistema”, lo racconta lui. E si prende certe vacanze lunghissime, finché ce la fa. Va in qualche bel posto che gli piace. Ma sempre solo, evidentemente. E lì scrive... compone... Sempre in casa di qualcuno, o in un suo alberghino, che sa lui solo... Rilegge i classici... i romantici... O cosa mai farà... Sogna... Dorme... Trasale... Ricorda l’infanzia, l’adolescenza... certe strade di Parigi, certi appartamenti di cugini, certe colazioncine al bistrot, piccoli teatrini, piccoli alberghetti di stazione pieni di mistero, la magìa di certi negozietti d’ortopedico, librerie antiquarie con insegne bizzarrissime... Scampagnate lungo i boulevards meno noti, anche d’estate... Certi sguardi sotto una luce, e certi riflessi di capelli sotto una luce un po’ diversa, magari ancora a scuola... Mappe e diagrammi onirici tracciati sul retro del conto della brasserie, à la terrasse... dove tra gallerie abbandonate e labirinti di navi di pietra involontariamente viene sempre fuori, dopo una mattinata di combinazioni e coincidenze al Parc Monceau, la Città Proibita, o il Palazzo d’Estate... o il Messico...
E magari anche mesi e mesi in posti fuori stagione, posti dove non c’è ragione di fermarsi più di due giorni, anche posti italiani: Vérone, Crémone, Mantoue, Padoue, Lucques... nomi come talismani assaporati come caramelline da succhiare in una cappella, su un sarcofago, nella morte saison mediterranea, fra una passeggiatina attonita e un incontro estatico... la Diana di Fontanellato, la badessa Piacenza... Quando si era piccoli, ci davano da leggere Charles Morgan, Ritratto in uno specchio, Nel bosco d’amore: buongiorno Ilaria, come sta Guidarello?... Ah, la rue Mouffetard rammemorata in novembre a Ravenna... e viceversa... E un’intermittenza o anzi un tuffo di Buttes-Chaumont a San Vigilio, al Tempio Malatestiano, al Caffè Pedrocchi... con una pizzetta al posto della madeleine...
Non si riescono mai a capire, questi innamorati ostinati dell’Italia: con dei sensi probabilmente diversi dai nostri... Questo viene davvero continuamente, appena può, magari facendo dei viaggi tremendi in treno, e dorme in chissà quali pensioni fffetide. Negli ultimi tempi, evidentemente, non ha fatto altro e non ha avuto altro in mente: comprando anche vecchi libri di storia che poi non riesce a leggere perché non capisce la lingua. E della Francia è stufo, è deluso, non ne può più della vita a Parigi. Ma di questo non gli si può parlare. Se no, soffre. Comunque sta dipingendo, piuttosto.
Quadri vagamente surrealisti, adesso? Parrebbe di capire, così, chiacchierando, un po’ belgi: i mobili Secondo Impero passeggiano mascherati da cuochi sotto un lampione che fa buio e non chiaro, le sculture cicladiche mostrano la cistifellea alla stazione di Ostenda, le pendole da camino si fanno dispetti con spine e con zampe, in un crepuscolo tutto pulviscolo, su un tavolo da ping-pong grande come un campo da tennis, con una rete d’occhi pieghevoli «come nei presse-papiers a mille fleurs»... O-my-God, nooo, vuol farmi vedere le giraffe molli che attraversano le pietre dure, ha dietro le foto nella valigetta, in ordine, fra i pigiami, questo porta ancora i pigiami, ragazze, e se non la smette gli chiedo se è lui che ha ballato con Antonio una famosa valse chaloupée finita male ai bei tempi della Montagne Sainte-Geneviève, prima della nostra epoca...
Una valigetta di Mito Magìa & Mistero, appunto. Come se i nostri Paesi Bassi non li avessimo battuti per anni in tutte le piegoline, anche librerie antiquarie e rigattieri di ballerine in marmo e bronzo Art Déco, e cineseria da strapazzo per cucina, fino in fondo al budello della Cave du Roy sempre vuota dove il barista anacronista (identico a Fred Astaire) ripete «ils sont partis, mais ils vont revenir», e quando non arriva nessuno, «quelle chance pour moi»... «Un giovane elegante allievo dell’Académie de Droit International usciva in grisaille dall’Hôtel des Indes con una lettera di presentazione affidatagli dal tenebroso segretario ungherese della volubile duchessa madre Lo Presti-Wessex, collezionista di dubbie Artemisie e di Maddalene eccentriche, e recentemente scomparsa dalla sua piscina rotonda con sala da musica barocchetta a Bocchignano Romano, per un curator del Mauritshuis alla discreta caccia d’una copia scomparsa del “Yellow Book” con gli sconosciuti “disegni innominabili” di “A.B.” sui margini...». Oppure: «Intraprese lunghi viaggi anche oltremare a proprie spese per vedere o intravvedere le assenze, le non-presenze, le cancellazioni, i nullismi, al di là delle falsificazioni dell’inconscio, del camp, e del cheap...».
Comunque le duchesse e le viscontesse apparentemente fanno degli acquisti, e qualche bijoutier anche, alle sue mostrine recenti di sfingi e di gatti: il gatto Edipo, il gatto Pelléas, la gatta Giselle, la sfinge Tatjana, la Semiramide d’Angora, la micia Jackie, la soriana Medea...
Ah, ma poi vive per lo più anche tra uno château délabré e una gentilhommière appartenuta almeno a un nipote della Duchesse d’Abrantès o del Prince de Ligne, tra le reminiscenze di una festina d’infanzia forse soltanto fantasticata. Rimembranze di maschere fffavolose, di bambine-vecchiette un po’ fuligginose, nanetti nascosti in armadi polverosi... di sbrendoli spennacchiati... E tra una malattia e un disturbo spirituale prima o poi un prete col quale si poteva parlare di tutto perché era ebreo, libanese, e magari anche un po’ culo... Ma il mio mistero è chiuso in me, et que sera sera... anche in un mulino rimodernato e riscaldato... nei pressi natürlich di Montfort-l’Amaury...
... Con quell’aria incantata, conoscendo e nominando tantissima gente: come se questa che doveva sposare quello fosse familiare a chiunque... Tutte quelle cose detestabili da Tout Paris, la parlerie, i superlativi, i punti esclamativi, tutto ravissant, tutto délirant, anche formidable e admirable, e prodigieux, e furieux, e inouï, e su-per-be! e tutto sempre sullo stesso piano... Ogni settimana, perdere la testa tutti insieme per una novità che è una sciocchezza ma non si può rimandare e non si parla d’altro e non si può applaudire altro... Tutti lì: ravissant, admirable, su-per-be!... La settimana dopo, nuovi entusiasmi, tutti insieme, altra moda, di corsa!... Però delle vacanze lunghissime, poi, sempre. «Sono partito in vacanza, torno ora da una vacanza...». Passa dei mesi sulla Costa Azzurra o la Costa Brava, in ogni stagione, per stagioni intere, in casette d’amici, in casette di pescatori, in casine di giardinieri, in un piccoliiissimo faro senza gite...