SPIAGGIA
È spaventoso questo mare vicino a Roma. Si esce di casa, mai prima di mezzogiorno passato, perché il sonno incombe. Un salto all’Europa delle Cancellerie, ma i visti dell’Est non ci sono ancora, e gli impiegati sembrano carcerieri attoniti perché questi mentecatti tentano di penetrare nella loro fortezza di tovagliette e tendine. Mitteleuropa, adieu? Un’ora persa, ogni mattina, nel traffico dei lungoteveri, e poi su e giù per questi orrendi Parioli. «Ma non potresti telefonare?». «Cosa vuoi ottenere, sono antichi... Se non vai lì di persona...». Non si ottiene niente lo stesso, mi pare.
Fumi, polveri, scappamenti, tossi.
Cielo grigio, caldo afoso, non si respira, si passa all’Eur davanti alla battuta del Duce: «La terza Roma si espanderà oltre i colli fatali fino alle spiagge del Tirreno», miao.
Poi, sulla Cristoforo Colombo, come niente. Si fanno i centocinquanta all’ora: la stessa velocità di James Dean quando s’è ammazzato in Porsche. Ma inebriante proprio non direi: è la solita velocità di tutte le spider di serie.
Nell’acqua, tanto, non ci siamo mai prima dell’una e mezza o le due.
Il mare è biancastro, sabbioso, tante volte sporco, con sabbia quasi nera e delle erbe ripugnanti che vengono su per le gambe, che schifo. Un giorno sì e uno no la spiaggia è addirittura piena di meduse morte. Eppure tirano su le telline di sotto la sabbia, se le magnano, e poi sostengono che la colite è un disturbo psicosomatico perché questa è una stagione d’amori e tremori. E prendono i fermenti lattici.
Però lo stabilimento è piuttosto divertente, suddiviso come si presenta in sezioni che si costeggiano senza confondersi. “Catene invisibili”.
Appartati e con le rughe unte, i grandi mondani dell’età di Ciano, le vecchie bellezze con la gambotta corta sotto la panciotta da Italia piccola, le checcone grigiastre col sorriso figé e lo stomaco tirato in dentro... Sarà lo spirito del Circolo del Golf 1938 e di Capri 1947 conservato intatto a titolo di social documentary per le generazioni del dileggio (chiamato quest’anno “sbertulo”)?... Tutto un trionfo dell’olio di noce trentennale, che riscuote il suo tardivo scotto: labbra e palpebre e colli che nulla hanno più di umano sotto quei capelli da materassaio... Massaggi infruttuosi ai fianchi su pelli troppo abbronzate e quindi secche... Dolorosi interventi non ben riusciti perché in epoche di pionierismo per la chirurgia estetica... Si sente continuamente arrivare, puntualissimo: «Un piiiccoliiissiiimo pranzo!», traducendo subito «ammadonna, tre ore in trappola a guardar l’orologio»...
«Facciamo musical chairs!»... sulla sabbia, poi... E a portata di voce oltre i gruppi una qualche sorella nubile senza trucco e senza riposo conosce tutti e saluta romanamente, però rimane pallida sotto il suo ombrellone a curare le bimbe d’una grande frivola che sarà in India ad assistere con bellissimi ombrellini di pizzo e guantini i bimbi dei famosi lebbrosi di un celebre “swami”. O a fumare a Bangkok.
Meraviglie su meraviglie. Una si chiama davvero Guelfa, l’altra Sveva, l’altra Selvaggia, l’altra Orsetta. Non si può non sentire i quattro nomi continuamente ripetuti da zia Violante col thermos, all’apertura di un gran cesto di vimini col picnic: uova sode, pesche, formaggini, tutto un voile nero da estate che sventola ancor oggi per una nonna Polissena morta molti mesi fa. Il tono generale viene forse un pochino buttato giù dall’orfano del famoso gerarca, un nano che ripete volentieri: «A’ mà, qua sò tutti frosci tranne io!». Ma si sente un’aura di lealtà fortissima che forse è lealismo: non appena si nomina un amico, subito viene difeso da tutti esclamando «ma no, che non è un coglione! non è affatto coglione!», molto risoluti. Per un turista, meglio che al cabaret.
Tutto a parte il giro delle Belle con vent’anni meno e gamba molto più lunga, l’intera fioritura (stupenda) degli anni Cinquanta: tutte amiche, parecchie nemiche tra le anni Trenta, nessuna che non sia almeno principessa, anche due volte. Tutte sposate, quasi tutte storicamente separate, quasi nessuna praticamente che fa la sarta. Non tanto sportive, poco al sole («la “tintarella”?... fa Racconti Romani solo il termine orrendo!»), molto orientate sull’Inghilterra, poco o niente sull’America, se non le più vecchie e le meno sveglie. Dicono i biografi, sotto gli ombrelloni: arrivate appena in tempo agli ultimi grandi balli; spesso in difficoltà con le famiglie e le eredità e le divisioni, tutti quei piatti e bicchieri che non serviranno più; vittime indifese del sarto-fanciullo e del disturbo psicosomatico che rasenta il dramma, se non il peggio. Ma drammaticamente issate sul proprio principato per difesa individuale e corporativa.
Qui riposa in costumini a disegnini il vecchio barone napoletano che rappresenta la continuità con le generazioni precedenti perché per decenni ha accompagnato le celebrità in via Condotti e su tutte le barche. Detto spesso “il Famoso Donatore” perché chiacchierando di Bellezze Assenti ricorda volentieri anche la bellezza della mamma o della nonna, in qualche modo collegate a un Duca d’Aosta tra Positano e Posillipo; e poi soggiunge «mi ridate il suo indirizzo?», con subbuglio di carte e biro sulla sabbia, lasciando intendere che manderà subito in dono alla Bellezza un mosaico minuto “di casa” o uno smalto o una gouache (e invece, pare, mai che sia poi capitato)...
Siede fra le belle, dopo aver riverito quella di cui «non si riesce a credere che sia mai stata così bella, vero? ma io ricordo!». E vengono spesso rievocati i “mots” sui pranzi di magro coi monsignori dell’École Française: gli uccelletti che si cibano solo di pesciolini, sono leciti nei timballi del Venerdì Santo?... E fra i consigli mondani, come far discretamente rilevare a un vescovo americano al seguito del Cardinal Spellman che la croce pettorale si porta centralizzata, e non in un taschino esterno o interno soprattutto a tavola?... E quando proprio a New York un cardinale napoletano vide parecchi vescovi con le mani tese per stringergliela, e disse allarmato «non facciamo la croce! porta male!»... «E dopo, vallo a spiegare agli americani»... Per le nuove generazioni riordina le famose massime che si risentono intatte ogni giorno: «Un gentiluomo muore ma non tace». «Tutto ciò che mi racconti qua (indicando l’orecchio) statte sicuro che esce di là» (additando la bocca)... Ma quasi altrettanto “popular”, fra gli olii solari, sembra l’arredatore capitonné «però bruttino», famoso perché in via Condotti si china sulle carrozzelle, guarda il piccino, e dice appunto «però, bruttino» alle mammine. E viene trovato spiritosissimo. Mai si riuscì tuttavia a convincerlo a dire il medesimo «però, bruttino» anche a Luchino, o a Giorgio e Romolo, dopo un loro spettacolo, nel pieno dei «diviiino!» fra i camerini.
Pochi metri, e un abisso vocale e sociale, davanti al settore delle sarte, che è anche un angolo televisivo e di rivista, perché sono sarte industriosissime nel costume di scena e nel cocktail per il coreografo. Lì alligna molto la radiolina portatile, ma sontuosa; e il rotocalco, però a mucchi; e il cicaleccio a proposito del nido perché hanno or ora scoperto la Vecchia Roma che prima faceva povero, con le scale interne, il mobile antichizzato, la cucina ancestrale, la camera da letto della nonna. Qui c’è il Figlio Snaturato: ha appena preso col mutuo un attico a via del Corso, ci ha messo la mamma tra maniglie e rubinetterie sfolgoranti, e lei telefona a tutti che è senza cuore. Si lamenta: «In alto, mi ha chiusa! Una signora! Invece che a un primo piano signorile, dove una signora può affacciarsi, guardare in strada, osservare il movimento delle altre signore... Mi farà morire!».
Ultima arrivata la parola-chiave «Charles Dix» attraversa il gruppo a ventate, ogni pochi minuti. Forse è una malvagità di Visconti per gettarli nel panico; deve aver detto a qualcuno che una casa senza un Charles Dix è da pezzenti. Come quando il famoso Avvocato fa sapere ai suoi imitatori che una Rolls senza i sedili Louis XV autentici è da parvenus, e quando i parvenus lo chiamano col primo radiotelefono da macchina a macchina fa rispondere: l’Avvocato è su un’altra linea.
Ma qui saltella fra i gruppi anche «Chiamatemi Alienazione», una figuretta caratteristica e “chummy” come se ne potevano incontrare per lo più fra i cari Marziale e Giovenale e Persio (essendo noi magari dei romantici Catulli alle terme venuti di lassù)... «Datemi del matto! Ditemi stravagante! Chiamatemi pure Alienazione!... Ma volendo andare in montagna, sempre meglio Cortina di Fregene!... Volendo portare degli ospiti all’opera, meglio la Scala che un ristorante!... E volendo pranzare – chiamatemi Alienazione! – sempre meglio un ristorante che una clinica!»... È “un numero”: e viene ripetuto continuamente, sempre con gran successo, fra le sarte. (E se si venisse assaliti, in un domani, col Neogotico? Ci si è attrezzati col quiz: qual è il neogotico più “in” di Roma? Si vedrà quanti sanno rispondere subito: il piccolo Sacro Cuore del Suffragio sul Lungotevere Prati).
A metà strada, sull’orlo dell’abisso, e franando giù da tutte le parti – perché conoscono tutti, troppo – gli attori con villa e sauna e i letterati sceneggiatori con macchine sport e macchina da scrivere portatile dietro, ugualmente vistosi. Coi materassini più colorati, camicie nuove di Palazzi, gli accappatoi che costano di più in via Condotti. E preziose merende che vengono fuori sulle ciniglie a frange dai bauletti-thermos Louis XVI imbottiti di ghiaccio: il caviale rosso, il salmone in busta, le terrine e il pâté preparati da una loro donnina bravissima, la pera farcita di camembert. E continue esaltazioni del nido proprio e anche altrui: i termini più frequenti, statisticamente e anche senza volere, sono sempre boiserie e Guttuso e moquette, misurando a metri quadrati il segno esteriore del successo commerciale celebrato alla Titanus e alla Rai. E lì, non appena si vedono spossati e orgogliosi per il Charles Dix appena raggiunto, si incomincia a buttar là che a Milano con Gianni Testori e Vittorio Olcese si sta comprando piuttosto Otto Dix.
La cosa più divertente è veder muovere intorno certi allegri marchettoni scuri di pelle e storti di gamba che arrivano qui come al mercato. Vengono fuori dalla landa cespugliosa della spiaggia libera, dove si sa che nella macchia mediterranea nidifica di tutto, nello smisurato crepitìo degli «ahò» sommessi come bollicine in una gran pentola calda, fra i continui «zzz» di «cazzzo», «bacherozzzi», «monnezzza», o semplicemente «tzzz»... Fanno vedere un po’ di cose sfiorando i diversi gruppi, si dànno qualche grattata per sentire se ce l’hanno ancora o si è perso; e spariscono di nuovo tra la forra e l’anfratto, in una vegetazione già tanto calpestata dagli avanti-e-indietro in ciabattine di corda che fra poco non crescerà più niente, sarà Mar Morto. Ma per chi non è di qui, è tutto cinema.
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«È l’ultimo anno anche qui, poi basta, finito» ride poco allegro Antonio, quando si illustra al visitatore la geografia sociale dello stabilimento rispetto al passato. «Mai più d’una volta la stessa spiaggia. Come forse è anche giusto, del resto. L’ho già visto succedere con almeno altri due bagni, in tre anni. I primi segnali ci sono già. Arrivano le sarte. La strada diventa un parcheggio. I giornali di bad reputation cominciano a parlarne e a fare i nomi di chi ci va, c’è il rischio dei fotografi mentre stai facendo chissà cosa. E purtroppo succede lo stesso con quei pezzi di spiaggia dove non c’è nessuno che si conosce, e si andava solo per un po’ di perfetta letizia in fretta. Adesso, anche lì tutto un fitto intrecciarsi di richiami: Cinzia-porcoddio, Sabrina-taccittua, Patrizia-vaffanculo, arriva la vita di famiglia...».
«D’altra parte, non sono proprio i Romani che hanno inventato la volgarità?».
«Ma poi l’hanno trasformata in cialtroneria!».
«Però, prima di loro, nel mondo antico, ci sarà stata? In Egitto, in Grecia, in Oriente?».
«Comunque, la novità di quest’anno sono i Mister Muscolo inglesi...».
Ce ne sono lì sei, immensi, coi capelli lunghi chiari, tutti di Londra o intorno a Londra, che mangiano delle tristi insalate al formaggio, serissimi, senza guardarsi intorno. Lavorano nei film mitologici, col loro finto sangue e i loro macigni di pezza: se ne girano più di venti in città, in questo momento.
Due li abbiamo sorpassati, dentro una Consul rococò opaca, venendo, che discorrevano molto carinamente fra loro. Noi, degli urli, dalla macchina aperta... Non si sono neanche voltati. E intanto non si appurerà mai se quel piccolo cosino a punta così imbarazzante che hanno loro si è rattrappito nel corso degli allenamenti, o se invece è proprio questa carenza che li decide a sviluppare tutti gli altri muscoli per rivalsa, fin da età precocissime. Causa, effetto o sintomo? Sono dilemmi penosi e pensosi.
«L’anno prossimo nessuno riprende la cabina qui, son sicuro... L’estate scorsa si era pochissimi, in confronto... Quante volte abbiamo fatto colazione con Desideria qui vicino al juke-box... Non lo vedo più adesso, l’avranno rotto. Ma per più di un mese non abbiamo fatto altro che sentire quelle canzoni che ti sembrano così meravigliose quando sono di stagione... Sempre le stesse due: un Mina, deliziosissimo, che si chiama Folle banderuola; e A place in the sun... te la ricordi anche al Nord? Ma là non è la stessa cosa, per quel genere americano tutto-struggente: ci vogliono le palme... Dopo è venuta Where the boys are, giustamente una nuova ogni anno verso maggio-giugno... e per tutta l’estate ti versano addosso lunone piene, appunto gran palme, ma devi averne qualcuna anche lì vicina... mare d’oro e d’argento, l’onda che fa ciaff-ciaff... technicolor, manina nella manina, corse nella sabbia, tuffo nei miei bermudas di Bloomingdale’s che qui nessuno capisce... La California si chiama Amore... e romance, romance, romance...».
«Ma la conoscevi? Era già in Italia l’anno scorso?».
«Non sta quasi più negli Stati Uniti. Abbiamo mangiato insieme parecchi risi e più di un pesce bollito, lì sotto, con Raimondo o degli altri. Non sono più venuti, fan bene... Questo posto...».
«Ma com’è? È davvero simpatica?».
«Affascinante... Da perder la testa, sul serio! Ma è difficile parlarne...».
«Ha tanti soldi?».
«Non so negli Stati Uniti, cosa t’interessa? Ma qui certo: palazzi e palazzetti, non è una famiglia travolta da quelle vendite atroci a Roma e in Veneto, per armar le flotte della Serenissima o fare il cinema muto mentre diventava parlato... Credo ancora parecchie terre nelle Marche...».
«Ma qui da voi non siete mai capaci di valutare normalmente l’ordine di grandezza dei patrimoni, in lire o in dollari...».
«Non ne ho idea, non me ne importa niente, cosa cambia? Ti vedresti chiedere a un conoscente quanti soldi ha questo o quella? Non è come l’età, che si impara dai compagni di scuola...».
«Ma è anche intelligente?».
«Sì, sì, senz’altro... almeno credo. Tutto me lo fa pensare. Molto spiritosa, molto. Prontissima. E ha letto tutto, sai, ma ti rendi conto? Tutti i libri giusti!».
«E niente alle fettuccine e alle penne? Possibile?».
«Non hai neanche un’idea dell’eccezione inverosimile che è lei in quell’ambiente lì... Non per niente parecchi non le vogliono molto bene... Un po’ li disprezza... e molto molto dall’alto... E ogni tanto invece, gentilezze esagerate, addirittura strazianti... e si vorrebbe sperare, per lei, almeno un po’ finte... Se ti dico... incredibile...».
«Ma la conosci un po’, o no?».
«Le ho parlato, te l’ho detto, più d’una volta... ma sempre con tanta altra gente lì».
«Quanti anni avrà?».
«Non l’ho chiesta alle compagne! Ma non tanto tanto giovane, credo: ventisette... ventotto?... sei mesi o un anno più o meno di me?».
«Era sposata?».
«Credo, ma non saprei... Ti assicuro, non lo so».
«Beh, mi pare un po’ grossa, questa».
«Ma io non vado in giro a guardare le partecipazioni o a chiedere le storie. Glielo vuoi domandare tu, che dici tanto?».
«Ma si dovrebbe sapere la cerimonia; scusa: ci sono i suoi amici... E poi dal nome, se non altro!».
«Ci si perde fra i predicati e le infante... rami lontani dove si chiamano Mimì Nunziante sia le sorelle e sia i fratelli, o Budino di Semolino in tre o quattro, però uno ha la Beata Antelmina nel cimitero pensile e l’altro si è venduto pure la culla di Giacinta Murat... “Fratelli nell’Aldilà, tutti certamente! cugini su questa terra, mai!”... Il nome, niente: è uno dei suoi da ragazza. Sabino? Etrusco? Le ricerche falle semmai tu, dopo me le racconti. Ma devo dire che è un tour de force, riuscire a reggere tanto Pietro da Cortona come fa lei senza mai un’ombra di eccesso o di impaccio... E i suoi amici, puoi non crederci, ma si rifiutano di discuterla. Piccoli clan crescono, ancora oggi! Prova con Raimondo, sono gelosissimi!... sebbene ci si conosca da tanti anni, con lui, da Milano, andavamo sulle giostre... Però dovrebbe esser stata sposata, non in Italia, certo».
Riflette un po’, come pensandoci per la prima volta. «La realtà è che i suoi amici... tutti quelli che le stanno intorno... la nascondono, la coprono... Anche fra loro, sono poi gelosi: non si dicono le cose, fanno intuire misteri... tempeste in una tazza di lapsang souchong... Non ne ha mai meno di tre o quattro, insieme, vedrai... sempre... Non la lasciano avvicinare, come se avesse bisogno d’essere protetta...».
«Ma non stai provando una sceneggiatura?... Finte Scaltre e False Astute, a Spoleto?... Mi sembra di risentire certe solfe di St. Moritz: “Elle était... ravissante, elle recevait d’une façon superbe, dans une maison admirable, la conversation y était tout-à-fait spirituelle”... Ma è il minimo che dicono di tutte, quei babbioni: cinquanta “ravissantes” per volta... Quando mai una loro conoscenza aveva un cuoco non sublime e qualche serata magari fiacca?... Ma poi, come sarà stata la ravissante numero 27 o 34?... Dalle fotografie, mah».
«E i testimoni di salotti spiritosissimi, ma incapaci del minimo bon mot!... Viene spontaneo chiedere: parlavano tutti come te, là dentro?».
«È sposata?» domando più tardi a Jean-Claude.
«Non so, non facciamo Elsa Maxwell» risponde lui, a bocca e occhi spalancati, come se non se lo fosse mai chiesto. Non dicono quello che sanno? Vedono cose che poi non raccontano?
«Ma non fai neanche un bagno, oggi?».
«Forse vorrei trovarmi adesso davanti a quell’incantevole golfo di Rapallo... ti pare bello, qui?... O in uno di quei piccoli caffè invernali e deserti alle Zattere, dove si beve un piccolo vino bianco locale... così delizioso...».
«Antonio... ma a casa sua ci sei mai stato?».
«Non ha casa, attualmente... Quando invita, lo fa in casa d’una zia o di un’altra... Spaventose, recluse, mai viste».
«Padre e madre vivono?».
«Mah, ch’io sappia. È piena di queste zie e prozie... tantissime... molto vecchie, tutte... in ogni città dell’Italia centrale... Eredita certamente tutto lei... O quasi tutto: Perugia, Pesaro, la Bagnarella... Da una ci sono stato, centenaria in un villino sui lungoteveri con interno barocco: tutto scurissimo, pareti verde-cupo o rosso-tetro, vetrine di porcellane e ventagli, ritratti di napoletani in parrucche atroci, nature morte di pesci putrefatti, babà, supplì... tanti vecchietti in piedi a fatica tra le consoles... tante aranciate... molte paralitiche, per lo più generiche... Ma poi ce n’è un’altra americana che non ho mai visto... Mi pare a Palazzo Costaguti... Più di novant’anni, puro Henry Maria James: venuta in Europa proprio con tutte le Isabelle di Boston... C’è andato Raimondo una volta: m’ha raccontato tutta una giga di novantenni e centenari...
«Metti, ex-ambasciatori francesi a San Pietroburgo, Berenson, un nunzio pontificio molto criticato perché regala allo Stato italiano la cappella di famiglia affrescata da Cimabue, l’inviato speciale del “Times” alla rivolta dei Boxers, un paleo-Zen valtellinese che aveva passato l’alba in una cripta dell’Aventino per sentire un canto gregoriano valdostano che si esegue solo in certi solstizi e certi mitrei, con una traduttrice esperta di erbe antiche... A un certo punto è mancata la luce... Hanno portato delle candele... Una paura...».
«Sta al Grand Hôtel, in questi giorni» dice Jean-Claude.
«Sì, di solito sempre, quando è a Roma» fa Antonio.
«Ma non mi pare davvero che abbia una casa sua, da nessuna parte. In America, non c’è più nessuno? Sento che passa molti mesi in Scozia...».
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Ecco Marcello e le sue splendide salviette, con passamaneria e iniziali e frangia. Abbraccia Antonio e per poco anche me. «Come si fa allora con questo treatment? Christian ha cominciato a rompermi tutti i giorni. Mi tormenta a tutte le ore, e per di più lo incontro dappertutto. Si lamenta, mica ha torto. Dice che non riesce mai a trovarti in casa. La segretaria continua a chiamarti».
«Ma se ci siamo sempre...».
«Insomma, non ti trova. Perché non gli parli tu? È qui, sai, cosa credi... Fra cinque minuti l’abbiamo addosso. Vuol far colazione con noi».
«Cielo, che rompi! Ma siam qui in tanti... Avete voglia di far tavolata? Con chi è, lui? È qui solo?».
«Ma che se la figuri!... Ha insieme la Judy, la famosa Judy... grande faccia-di-merda».
Sarebbe questo loro produttore. Dopo un momento è lì. «Come va sciagurati?» fa, tutto allegro, ridendo. Gran colpi sulle spalle a tutti, da sobbalzo; anche qualche carezza in faccia tirando la punta del naso; e a me niente. Ma è splendido! Un libanese chiaro come un olandese, molto molto grosso, e poi alto. Subito, me lo porterei a casa, anche se l’età militare l’avrà passata da una decina d’anni e ha quella cosa libanese tremenda, il baffo. Va col bastone – una storta – però con una vitalità pazzesca, aggressiva, da giovanottaccio che sta appena incominciando a inquartarsi, e simpatico: se lo tocca continuamente, dev’essere abituato a farne di tutti i colori fin da piccolo, poi quando aumenta il peso si sa che cresce la fantasia. Quindi una gran voglia di rozzezze in cabina, e in numero naturalmente dispari: prova a sederti su questa bella faccia, brutta bestia!
«Famoso maschiaccio, scopatore protervo, sta’ attento a non buttarti a quattro zampe, un minimo d’orgoglio e di tenersi su» mi fa Antonio in fretta. Lui pare molto contento, sta domandando cosa hanno fatto di tutti i soldi che ha tirato fuori, e quando si decidono a metter giù qualche riga su un cartoncino di sigarette Turmac.
«Una fff...! Ma una fff...!» soffia, improvvisamente; e in poche parole e molti gesti comincia a raccontare una corsa in Ferrari fino a Padova – e ritorno, dalla sera all’alba – per questa fff... «fon-da-men-ta-le!» detta «alla grande!». Ma lo parla molto bene, l’italiano, anche i verbi. «Non ho dormito da ieri mattina!» dice, molto soddisfatto. Ma alla svelta. Come descrizione rimane grandiosa e vaga. Viene lì questa Judy, e cerca di capire di cosa si stava parlando? Forse l’incantato mondo della fica? E senza di lei?
Non proprio faccia-di-mmm, lei. Però fa ridere: una Madonnina del Dugento, un fondo oro-pallido, genere senese. Però di Liverpool. E non le piacciono i Beatles! Come si permette! Di quelle brave-di-bocca magari frenetiche, perché l’esangue labbro ingordo fa in fretta a tradirsi; ma sul Capodimonte, come tono, damina, biscuit. Vestita abbastanza da “bien”, ma disperatamente sul sofisticato-a-tutti-i-costi in via Belsiana. Capelli quasi bianchi, mèches decolorate, calzoni bianchi; camicia da uomo, nera. Avrà già sui venticinque anni, anche uno o due di più. Molto amica della frase fatta: «fishing for compliments» e roba del genere. Collana fin troppo Margutta di conchiglie e sassi d’artista, molto sonante, che potrebbe costare anche un millecinquecento lire; e pesare chili. Questo bocchino d’oro lunghissimo, con tutti certamente i carati; e tutto un giocare con questo bocchino, a labbra strette, e i capelli buttati su una spalla, facendo degli oh-oh-oh da Stanlio e Ollio.
Tira le mèches, le lascia andare. Si prende la punta del naso. Tutto un toccare qualunque cosa, dolorosamente, col suo ditino, mentre i gomiti palpitano. Si guarda le unghie allontanando tantissimo le mani dalla faccia, un po’ controluce. E giù i capelli. E indietro i capelli. E una tirata alle labbra. E un allungamento del collo. E la pupilla improvvisamente assente. E i capelli che ridiscendono di qua. E poi passano di là. «Chiamatemi Alienazione?». «Mi fanno male i capelli?». Una sensibilità da tagliarsi col coltello. Da tesi e tesine in Fenomenologia, alla Statale di Milano: ed essa non lo sa!
Fredda, figlia del tedio; piuttosto arrogante, e non solo coi camerieri. Di tanto in tanto gli «oh-oh-oh» rapidi per una sorpresa improvvisa, ha fatto una scoperta stronza e non riesce a tenerla per sé: un insetto, un berretto, un fil di fumo, l’origano. Anche presagi d’angoscia sopra l’insalata caprese di mozzarella, pomodori, e basilico. Avevamo all’università una disgraziata simile che si faceva accompagnare alla stazione perché aveva paura di incontrare i treni, e appena lì puntava il dito con tutto il braccio dietro e faceva «binari... binari?... dove andate, binari... dove correte, nella sera?...». Ha smesso, a furia di chiederle quante corriere doveva prendere per arrivare alla sua cascina.
Sempre, comunque, con l’aria d’essersi incontrata lì sulla spiaggia con Christian un attimo prima, così per caso. E fa ridere proprio perché la targa di Liverpool si fa una gran fatica a tirargliela fuori, sfoggiando delle Londre efferate e mai viste. Ci riesce Antonio, molto malvagiamente riciclando quella fumosa storia di quando abbiamo quasi certamente sentito i Beatles che però non erano ancora i Beatles, sulla Reeperbahn di Amburgo qualche estate fa, dove semmai io passavo le sere nei camerini dei live shows. Li sentiva sempre sulla sua radiolina attaccata all’orecchio il mio marittimo Jimmy che era appunto di Liverpool e stava sempre con noi a terra mentre riparavano la sua petroliera rotta: a Casablanca, l’altro Natale, e sono forse cose che non torneranno mai più?... C’era un albero di Natale così misero al circolo dei marinai stranieri di Casablanca; e il mio Jimmy, stupendo come un cagnone, ma anche lui col suo amico mostrino sempre dietro, come tutti loro, era diventato triste l’ultima sera, quando ha capito – ma non gliel’avevamo detto – che andavamo a Tangeri la mattina dopo... Vedo che questo insiste, dandole dei dispiaceri, dopo che lei non ha fatto altro che trattare di case e parties di Londra; ma da mezza-calza effettiva. Tutto sommato conosce la città e la gente meno di lui (che le fa dei quiz infernali tipo il Charles Dix, però).
È chiaro che questa sa i nomi per sentito dire, avrà visto qualche fotografia sul “Daily Express”, però cita continuamente delle Arabelle come se si trattasse di intime o di Classici, e dunque s’arrabbia a ogni domanda di «quale Arabella?». Ah, ci fosse qui Paul McCartney: «Arabella, who?».
Christian non se ne accorge? Ma si capisce, e secondo me si diverte parecchio. Sono venuti con questa Ferrari nera carica di Topi Gigi – l’ammirazione del parcheggio – ma lei lo tratta con una ieneria mai vista; e lui, dietro le signorilità e durante le Arabelle, segnala alla tavolata con tutte le dita un vortice indicandosi la bocca, e diverse cifre con zeri additando il culo di lei. Le spende dietro dei soldi, è chiaro. Ma lei, sempre con questo sorrisino un po’ sprezzante da segretaria nordica in crociera, davanti al levantino che non si sa come ha fatto i soldi. «A Oxford...» fa lui a un certo punto. «Sssì... la Oxford di Beirut...» soffia fuori la Judy pronta, col fumo della sigaretta.
Qui però lui è ammirevole. Non le rivolge mai una risposta diretta. Parla con noi, d’altro. Tranquillo. Lei può essere ironica, altezzosa, noiosa, sferzante, può far tutto quello che vuole, combinare giochi di parole che nelle sue intenzioni dovrebbero riuscire pungenti, sfottenti, magari spiritosissimi, mai in meno di due o tre lingue, e sempre guardandosi le unghie. Lui non le bada. Assolutamente. Va avanti a parlare di tutt’altro, con questa gran sicurezza simpatica da emiro che sa benissimo come va a finire tutte le sere, con un harem di ingorde lì sotto a chiedere. E allora, «slacciami le stringhe coi denti». Direi proprio che lui lo fa molto scendere dall’alto, con questa: tutto un aspettare, speriamo, e tutta una mortificazione, per farle scontare queste arie da demoiselle élue che in vita sua mai si lasciò scappare un ditino fra i bottoni d’una braghetta. Almeno, se non è fatuo e sciocco, voglio sperare che farà dei bei numeri tipo «brutta stronza, vieni qui a chiederlo coi bei modi»... E se invece lei, falsa e fantasiosa Begum, gradisse proprio questo tipo di teatrino incomprensibile ai più? Pulisci qui, asciuga là, sai cosa faccio adesso per terra?... E lui, simpaticamente, acconsentisse anche per bontà d’animo? Un vero cavaliere, gran gentiluomo, però non si può star tranquilli!
A tavola, per tutta la colazione, lui non fa altro che accarezzarsi i peli sul petto, e strizzarsi i capezzoli, con la mano tutta dentro nella camicia. Molto sviluppati, qui è da una vita che glieli tirano. Tutti ci siamo messi su un qualche cosa per sederci a tavola; ma lui la tiene aperta fino alla pancia, di fronte a lei, le mostra l’ombelico, se lo gratta ogni tanto, e le mostra la lingua, anche con su un po’ di rucola. Braccia e spalle molto molto bene.
Lo faccio notare a Antonio, che hot number. «Ah, sì?» mi fa lui, mezzo svanito dal caldo. Ma come! «Non te ne sei mai accorto?... Buona parte della scena che sta facendo è del cock-teasing da gattone, per darvi dei dispiaceri. Non vedi?». «Non lo conosci. Macché». «Già. Guarda che è difficile che mi sbagli!... Ho visto subito che era tutto sul dispetto. Forse più smorfioso lui di lei, a modo suo». «Ma allora, Tantalo ignora il suo supplizio? Concettualmente, non sta in piedi!». «Fa del suo meglio, secondo me benissimo. E voi non gli date neanche una soddisfazione! Un artista che si prodiga per un pubblico che non lo merita! Non siete gente di spettacolo!». «Oh, insomma, finiscila. Ce n’è tanti... L’eventuale fiction erotica col termine “capezzolo”!... Guarda che le dame anni Trenta dicono ancora “maschione” e “proboscide”, e “il Verga!”». Ma insomma, come si mangia male, in questo posto. «La spada di Damocle talvolta è un simbolo fallico, vero?». Sì, domani...
La figlia del tedio sta facendo tutta una questione col cameriere che le ha condito l’insalata non con le cose che voleva lei. Avrà cambiato ordinazione dieci volte, in un posto dove è già tanto se hanno l’olio di semi, e comunque lo servono coi piedi. Ma c’è lì gente intorno con secoli di storia patria sulle spalle e un bravo cuoco a casa, e ci riescono tutte a mangiar senza tante storie il prosciuttino doloroso e le insalatine scondite anche se fanno sempre un po’ schifo con l’oliera alla sabbia in questi posti di mare male organizzati. Non bisogna venirci più: solo rimedio. Anche non chiedere mai carne, mai risi di nessun tipo, paste il meno possibile, vino loro e antipasti di mare neanche a morire... Ma lei sola batte per venti minuti il ditino sulla tovaglia tenendo lì il cameriere al tavolo, e ogni volta rinfacciandogli una cosa che lei gli avrebbe detto e lui non avrebbe capito, con frasi mal tradotte dall’inglese che tutte incominciano «il mio punto è questo», anche sull’origano, tutto un broncio sfiduciato e compassionevole.
Christian la ignora così vistosamente che si direbbe lo faccia apposta. Fra grandi risate mi racconta, col caffè e dandomi del tu, com’era cominciata la sua carriera romana. Una grande golosa di Hollywood, una sera, in un locale di Via Veneto che adesso hanno chiuso, è andata nel gabinetto degli uomini non meno d’una ventina di volte, a scegliere, con una ventina di tipi uno dopo l’altro, perché prima di decidere con uno voleva vedere e toccare con tutti; e si sentiva gridare «call me putana» fin dal bar di sopra. Alla fine s’è portato via lui giovane, tra i fotografi, e hanno passato una settimana a Grottaferrata. Poi è tornata dal marito, che fra l’altro è un bravissimo attore, ha divorziato e si è messa a bere.
«Non mi vedrai mai, sui giornali,» mi fa «che esco con l’una o l’altra di queste stronze». Confidenze da macho a macho. «È solo l’entrare, con ste stracciacule, che m’interessa!».
A un certo punto si nomina spensieratamente sua moglie. Vanno molto d’accordo, sembra. «È molto simpatica, Elsa, molto chic» dice poi Marcello, che è amico di lei e stanno anche vicini di casa. «Però non si vedono mai in giro tutt’e due insieme, anche se sono rimasti amici e pranzano spesso a casa e lui si fa parecchie amiche di lei, e lei qualche figlio d’amici di lui negli autosaloni. Però lo si sa tutti, per certo, l’amore insieme loro due non lo fanno da almeno due anni, neanche se ci sono degli altri presenti».