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L'attacco
«Sì, Rivolto al Sole?» domandai, lieta che quella mano alzata interrompesse la lezione. In cattedra non mi sentivo a mio agio come al solito. La mia forza più grande, l'unica vera credenziale che avessi - la mia ospite, fuggiasca dagli anni della prima adolescenza, era piuttosto scarsa, quanto a educazione - era l'esperienza personale, da cui traevo i miei insegnamenti. Ma quella di cui parlavo nel nuovo semestre era la prima storia della quale non avessi ricordi diretti. E i miei studenti se n'erano accorti.
«Mi scusi se la interrompo, ma...» L'uomo dai capelli bianchi fece una pausa, in cerca delle parole giuste. «Credo di non aver capito. Gli Assaggia-fuoco... ingeriscono davvero il fumo, dopo che hanno bruciato i Fiori Mobili? Come fosse cibo?» Cercava di nascondere l'angoscia della sua voce. Non stava alle anime giudicare le altre anime. Ma non ne fui sorpresa: aveva vissuto sul Pianeta dei Fiori, ed era logico che reagisse così di fronte al destino di una forma di vita simile, su un altro mondo.
Trovavo sempre stupefacente che certe anime si immergessero negli affari del mondo in cui abitavano e ignorassero il resto dell'universo. Detto questo, poteva anche darsi che Rivolto al Sole fosse in ibernazione, negli anni in cui il Mondo di Fuoco era sulla bocca di tutti.
«Sì, dal fumo ricavano le sostanze nutritive indispensabili. Questo è il dilemma, la controversia fondamentale che riguarda il Mondo di Fuoco, nonché il motivo per cui il pianeta non è stato chiuso, malgrado la colonizzazione sia iniziata da tempo. La percentuale di trasferimenti è ancora alta.
«Quando scoprimmo il Mondo di Fuoco, ipotizzammo che gli assaggia-fuoco, la specie dominante, fossero l'unica forma di vita intelligente sul pianeta. Gli Assaggia-fuoco non ritenevano i Fiori Mobili loro pari - un pregiudizio culturale -, perciò fu soltanto in seguito, dopo la prima ondata di insediamenti, che le anime si resero conto di avere assassinato creature senzienti. Da quel momento gli scienziati del Mondo di Fuoco si sono concentrati sulla ricerca di un surrogato, nella dieta degli Assaggia-fuoco. A questo scopo hanno richiesto l'importazione di un certo numero di Ragni, ma il pianeta di questi ultimi e il Mondo di Fuoco distano centinaia di anni luce. Quando avremo superato tale ostacolo, e sono sicura che ciò avverrà presto, la speranza è di assimilare anche i Fiori Mobili. Nel frattempo abbiamo diminuito il tasso generale di violenza. Il... bruciare vive le vittime, per esempio, e altri comportamenti simili.»
«Ma come si permettono...» La voce di Rivolto al Sole, incapace di terminare la frase, si affievolì.
Un altro studente completò i suoi pensieri: «È un ecosistema molto crudele, direi. Perché il pianeta non è stato abbandonato?».
«Ovviamente anche di questo si è discusso molto, Robert. Ma noi non abbandoniamo tanto facilmente i pianeti. Moltissime anime considerano il Mondo di Fuoco la propria casa. Non si lasceranno sradicare contro la loro volontà.» Tornai con lo sguardo agli appunti, nella speranza che la parentesi si chiudesse.
«Ma è una barbarie!»
Fisicamente, Robert era più giovane di quasi tutti gli altri studenti, il più vicino alla mia età. E sotto parecchi punti di vista, ancora un bambino. La Terra era il suo primo mondo - anche sua Madre aveva abitato la Terra, prima di sacrificarsi - e la sua prospettiva più limitata di chi aveva più anni e viaggi sulle spalle. Doveva essere nato con le sensazioni e le emozioni opprimenti di questi ospiti senza nessun'altra esperienza che dia equilibrio. Di certo era più difficile essere obiettivi. Cercai di tenerne conto e di portare pazienza, mentre gli rispondevo.
«Ogni mondo è un'esperienza unica. Finché non ci si vive di persona, è impossibile capire davvero...»
«Ma tu non hai mai vissuto sul Mondo di Fuoco» mi interruppe. «Secondo me anche tu la pensavi come me... se no, perché evitare quel pianeta, visto che sei stata quasi ovunque?»
«Scegliere un pianeta è una decisione molto intima e privata, Robert, forse un giorno te ne renderai conto anche tu.» Il tono della mia voce chiuse definitivamente la discussione.
"Perché non glielo dici? Anche tu pensi che sia una barbarie, una crudeltà inutile. Il che suona piuttosto ironico, se vuoi saperlo... ma credo tu non voglia. Che problema c'è? Ti vergogni a essere d'accordo con Robert? Perché è più umano degli altri?"
Melanie, trovata la propria voce, stava diventando insopportabile. Come facevo a concentrarmi sul mio lavoro con il sottofondo continuo delle sue opinioni?
Dietro Robert, un'ombra scura si mosse.
La Cercatrice, nel suo solito abito nero, si sporse in avanti, per la prima volta incuriosita dal tema della discussione.
Soffocai l'istinto di guardarla in cagnesco. Non volevo che Robert, già in imbarazzo, pensasse che ce l'avevo con lui. Melanie borbottò qualcosa. Lei desiderava che non mi trattenessi. Aveva capito una cosa, da quando la Cercatrice ci pedinava giorno e notte: non ero io che odiava più di ogni altra cosa al mondo.
«La lezione è quasi terminata» annunciai con sollievo. «Ho il piacere di comunicarvi che martedì interverrà un relatore particolare, che rimedierà alla mia ignoranza della materia. Guardiano di Fiamme, nuovo arrivato sul nostro pianeta, ci fornirà un racconto di prima mano dell'insediamento sul Mondo di Fuoco. Sono certa che lo accoglierete con la stessa gentilezza che dimostrate nei miei confronti, e che lo tratterete con rispetto malgrado la giovanissima età del suo ospite. Grazie dell'attenzione.»
Gli alunni uscirono lenti in fila, perdendosi in chiacchiere mentre raccoglievano le proprie cose. Ripensai al discorso di Kathy sull'amicizia, ma non sentii il desiderio di attaccare bottone con nessuno. Erano degli sconosciuti.
Di chi era la colpa? Mia o di Melanie? Difficile stabilirlo. Forse la mia asocialità era innata. E la mia storia personale ne era la prova. Non avevo mai intrecciato un legame abbastanza forte da trattenermi su un pianeta per più di una vita.
Notai Robert e Rivolto al Sole fermi sulla porta dell'aula, presi da una discussione vivace. Facile intuirne l'argomento.
«Le storie del Mondo di Fuoco fanno rizzare i capelli.»
Scattai, sorpresa.
La Cercatrice era in piedi al mio fianco. Di solito annunciava la sua comparsa con il rapido battere dei tacchi. Abbassai lo sguardo e notai che, per una volta, indossava scarpe sportive... nere, ovviamente. Senza i centimetri extra era ancora più minuta.
«Non è la mia materia preferita» affermai, disinvolta. «Preferisco condividere le esperienze di prima mano.»
«Certi studenti ne sono rimasti colpiti.»
«Già.»
Mi guardò impaziente, come se aspettasse un ulteriore commento. Raccolsi gli appunti e mi voltai per infilarli nello zaino.
«Anche tu, mi sembra.»
Riposi le carte nello zaino con cura, senza girarmi.
«Chissà come mai ti sei rifiutata di rispondere alla domanda.»
In silenzio, attese la mia reazione. Che non arrivò.
«Dimmi... perché non hai risposto?»
Mi voltai, senza nascondere la mia espressione irritata. «Perché non era materia di lezione, perché Robert deve imparare le buone maniere, e, se permetti, perché sono affari miei.»
Zaino in spalla, puntai dritta verso la porta. Lei mi seguì di corsa per stare al mio passo. Percorremmo il corridoio in silenzio. Soltanto all'esterno, nella luce pomeridiana che accendeva il pulviscolo nell'aria, riprese a parlare.
«Pensi che riuscirai mai a fermarti, Viandante? Magari su questo pianeta? Sembra che tu abbia una certa affinità con i loro... sentimenti.»
L'insulto nascosto tra le righe mi fece adombrare. Per vaga che fosse, era un'offesa intenzionale. Melanie ebbe un moto di disgusto.
«Non ti seguo.»
«Parliamoci chiaro, Viandante. Provi compassione per loro?»
«Per chi?» domandai, impassibile. «I Fiori Mobili?»
«No, gli umani.»
Restai immobile, e rapidamente lei mi si affiancò. Eravamo a pochi isolati dal mio appartamento, avevo camminato di fretta nella speranza di liberarmi della Cercatrice, che molto probabilmente era decisa ad autoinvitarsi. Ma la domanda mi colse in contropiede.
«Gli umani?»
«Sì. Ti fanno compassione?»
«A te no?»
«No. Erano una specie brutale e niente più. Solo la fortuna gli ha concesso di sopravvivere tanto a lungo a loro stessi.»
«Non erano tutti cattivi.»
«Era una predisposizione genetica. La brutalità faceva parte della specie. Ma pare proprio che a te facciano compassione.»
«È brutto perdere tutto questo, non credi?» Allargai le braccia. Ci trovavamo in una specie di parco, un giardinetto tra due dormitori invasi dall'edera. Il verde scuro delle foglie era un piacere per gli occhi, soprattutto per il contrasto con il rosso sbiadito dei vecchi mattoni. L'aria era luminosa e leggera, il profumo dell'oceano aggiungeva un che di salato alla fragranza dolce e mielosa dei fiori tra i cespugli. Una brezza leggera carezzava le mie braccia nude. «Nelle tue vite precedenti non puoi aver sentito nulla di così vitale. Non riesci a provare compassione per chi è stato privato di tutto questo?» Lei, imperturbabile, non batté ciglio. Cercai di coinvolgerla, di farle considerare un altro punto di vista. «Su quali altri mondi hai vissuto?»
Incerta, drizzò le spalle. «Nessuno. Vivo da sempre sulla Terra.»
Restai sorpresa. Era una bambina, come Robert. «Solo un pianeta? E hai scelto subito di essere una Cercatrice?»
Annuì, a testa bassa.
«Ah. Be', sono affari tuoi.» Ripresi a camminare. Forse se avessi rispettato la sua privacy mi avrebbe restituito il favore.
«Ho parlato con la tua Consolatrice.»
"O forse no" pensò Melanie, acida.
«Cosa?» esclamai.
«Ne ho dedotto che il tuo problema non è la semplice incapacità di accedere alle informazioni di cui ho bisogno. Hai valutato la possibilità di provare con un altro ospite, magari più malleabile? Te l'ha consigliato lei, no?»
«Kathy non è una spia.»
La Cercatrice rispose compiaciuta. «Non ho nemmeno aspettato che rispondesse. Sono molto brava a leggere le espressioni degli umani. Mi accorgo di quando le mie domande sfiorano un nervo scoperto.»
«Come hai osato? La relazione tra un'anima e la sua Consolatrice...»
«È sacrosanta, certo; conosco la regola. Ma nel tuo caso sembra che i metodi di indagine ortodossi non funzionino. Devo essere creativa.»
«Credi che ti stia nascondendo qualcosa?» domandai, troppo infuriata per mascherare il disgusto. «Credi che ne abbia parlato con la mia Consolatrice?»
La mia rabbia non la scalfì. Forse era abituata a reazioni del genere.
«No, penso che tu mi stia riferendo ciò che sai... Ma secondo me non cerchi abbastanza a fondo. So come funziona. Stai entrando in sintonia con la tua ospite. Lasci che, inconsapevolmente, siano i suoi ricordi a guidare i tuoi desideri. Temo che ormai sia troppo tardi. E che per te sia meglio lasciar perdere e cedere il compito a qualcuno che abbia più fortuna.»
«Figuriamoci!» strillai. «Melanie se lo mangerebbe vivo!»
Restò impietrita.
Malgrado fosse riuscita a strappare qualcosa a Kathy, non aveva capito nulla. Pensava che l'influenza di Melanie venisse dai ricordi, che fosse inconscia.
«Trovo molto interessante il fatto che parli di lei al presente.»
La ignorai e finsi di non aver notato il lapsus. «Se pensi che penetrare nei suoi segreti sia una questione di fortuna, ti sbagli.»
«C'è solo un modo di scoprirlo.»
«Hai già un candidato?» domandai, con voce gelida e ostile.
Sorrise. «Io ho avuto il permesso di fare un tentativo. Non mi ci vorrà molto. Conserveranno la mia ospite.»
Sentii di dover respirare a fondo. Tremavo, e Melanie era talmente piena d'odio da non saper cosa dire. L'idea che la Cercatrice prendesse il mio posto fu così ripugnante che mi sentii addosso la stessa nausea della settimana prima.
«Mi dispiace per le tue indagini, ma non sono una che se la squaglia.»
La Cercatrice strabuzzò gli occhi. «Be', in questo modo non farai altro che prolungare all'infinito la mia missione. La storia come materia non mi è mai piaciuta granché, ma temo che dovrò seguire l'intero corso.»
«Hai appena detto che forse è troppo tardi per scoprire altro nei suoi ricordi» commentai, sforzandomi di restare calma. «Perché non torni da dove sei venuta?»
Scrollò le spalle e abbozzò un sorriso. «Sono sicura che sia troppo tardi... per le informazioni volontarie. Ma se tu non collabori, potrebbe essere lei a darmi qualche indizio.»
«In che modo?»
«Quando lei prende il controllo, quando tu non sei tanto diversa da quel codardo, un tempo Canzone che Corre, oggi Kevin. Te lo ricordi? Quello che aggredì la Guaritrice.»
La fissai a occhi sbarrati.
«Probabilmente è soltanto questione di tempo. La tua Consolatrice non ti ha parlato di statistiche, eh? Be', anche se l'avesse fatto, non avrebbe potuto darti informazioni aggiornate quanto le nostre. Meno del venti per cento dei casi simili al tuo - quelli in cui l'ospite umano è refrattario - si risolve bene, a lungo termine. Ti aspettavi una percentuale così bassa? Stanno modificando le informazioni riservate ai potenziali colonizzatori. Non offriranno più nessun ospite adulto. Il rischio è troppo alto. Stiamo perdendo anime. Tra poco lei inizierà a parlare con te e, attraverso te, a controllare le tue decisioni.»
Non mi ero mossa di un centimetro. La Cercatrice si avvicinò, alzandosi sulle punte per guardarmi negli occhi. La sua voce si fece bassa e vellutata, nel tentativo di risultare suadente.
«È questo ciò che vuoi, Viandante? Perdere? Svanire, cancellata da un'altra coscienza? Diventare un banale corpo ospite?»
Ero senza fiato.
«Non farà che peggiorare. Non sarai mai più te stessa. Lei vincerà, tu scomparirai. Magari qualcuno interverrà... e ti trasferiranno, come Kevin. E diventerai una bambina di nome Melanie, a cui piace trastullarsi con le auto anziché comporre musica. O qualsiasi cosa faccia.»
«Il tasso di successi è meno del venti per cento?» sussurrai.
Lei annuì, sforzandosi di non sorridere. «Ti stai smarrendo, Viandante. Tutti i mondi che hai visto, le esperienze che hai collezionato... non serviranno a nulla. Nella tua cartella ho visto che sei idonea alla Maternità. Se scegliessi di diventare una Madre, perlomeno, tutto questo non andrebbe sprecato. Perché vuoi buttarti via? Hai mai considerato la Maternità?»
La allontanai bruscamente, rossa in viso.
«Mi dispiace» farfugliò, rabbuiandosi a sua volta. «Sono stata maleducata. Come non detto.»
«Vado a casa. Non seguirmi.»
«Devo, Viandante. È il mio lavoro.»
«Perché vi importa così tanto dei pochi umani rimasti? Perché? Come giustificate il vostro lavoro adesso? Abbiamo vinto! È ora che rientriate nella società e facciate qualcosa di produttivo!»
Le mie domande, le accuse implicite, non la scalfirono.
«Ovunque i confini del loro mondo tocchino i nostri, c'è morte.» Parlò con grande tranquillità, e per un istante sul suo viso colsi il riflesso di una persona diversa. Capii con sorpresa che credeva profondamente in ciò che faceva. Una parte di me ipotizzava che avesse scelto di cercare perché assetata di violenza. «Se per colpa del tuo Jared o del tuo Jamie perdiamo anche soltanto un'anima, è già troppo. Finché su questo pianeta non regnerà la pace totale, il mio lavoro sarà legittimato. C'è bisogno di me, per proteggere la nostra gente dai Jared sopravvissuti. Dalle Melanie che rubano anime sotto il nostro naso...»
Mi voltai e puntai verso l'appartamento, a passi lunghi; se voleva seguirmi, doveva mettersi a correre.
«Non smarrirti, Viandante!» strillò. «Il tuo tempo sta per scadere!» Una pausa, e urlò ancora più forte. «Avvertimi quando inizierai a farti chiamare Melanie!»
La sua voce svanì con l'aumentare della distanza. Sapevo che mi avrebbe seguita. I fastidi della settimana precedente - vedere il suo volto nelle ultime file a ogni lezione, sentirla sgambettare alle mie spalle sul marciapiede ogni giorno - non erano niente a confronto di ciò che aveva in serbo. Era decisa a rovinarmi la vita.
Avevo la sensazione che Melanie rimbalzasse con violenza contro le pareti interne del mio cranio.
"Incastriamola. Di' ai suoi superiori che ha compiuto un gesto inaccettabile. Che ci ha aggredite. La nostra parola contro la sua."
"Non siamo nel mondo degli umani" le ricordai, quasi rattristata dall'impossibilità di non poter fare una simile denuncia. "Non esistono superiori come li intendi tu. Tutti lavorano insieme, alla pari. Ci sono quelli a cui bisogna rendere conto, che tengono in ordine le informazioni, e assemblee che decidono in base a tali informazioni, ma nessuno le revocherà la missione, se è lei a desiderarla. Vedi, funziona come..."
"Cosa importa come funziona, se non ci serve a niente? Lo so... uccidiamola!" E l'immagine delle mie mani che stringevano la Cercatrice alla gola mi riempì la testa.
"Ecco, è proprio il motivo per cui è meglio che sia la mia gente a controllare questo posto."
"Abbassa la cresta. Ti divertiresti quanto me." Riecco l'immagine del volto della Cercatrice, paonazzo, accompagnato da un'ondata di piacere e soddisfazione.
"Quella sei tu, non io." Era la verità; quell'immagine mi dava la nausea. Ma era anche una bugia: avrei molto gradito che la Cercatrice sparisse per sempre.
"E ora che facciamo? Io non mi arrendo. Tu non ti arrendi. E quella schifosa Cercatrice non si arrenderà mai, maledetta!"
Non le risposi. Non avevo una risposta pronta.
Per un po' la mia mente tacque. Che bella sensazione. Desiderai che potesse durare. Ma c'era un solo modo di comprare un po' di pace. Ero disposta a pagarne il prezzo? Mi era rimasta altra scelta?
Melanie, lentamente, si calmò. Entrai in casa, chiudendo anche con le serrature che non avevo mai usato - manufatti umani inutili, in un mondo pacifico - e la sentii persa in chissà quale meditazione.
"Non avevo mai pensato a come propagate la vostra specie. Non sapevo fosse così."
"Come puoi immaginare, prendiamo la cosa molto seriamente. Grazie per l'interessamento." L'ironia dei miei pensieri non la sfiorò neppure.
Era ancora occupata a riflettere sulla propria scoperta, quando accesi il computer e iniziai a cercare un volo. Dopo pochi istanti lei si accorse di me.
"Dove andiamo?" Il pensiero portò con sé un fremito di panico. Sentii la sua coscienza sorgere tra i miei pensieri, una presenza che mi sfiorava con la morbidezza di una piuma, in cerca di ciò che immaginava le nascondessi.
Decisi di risparmiarle la fatica. "Vado a Chicago."
Il panico divenne più che un presentimento. "Perché?"
"Vado a trovare il Guaritore. Non mi fido di lei. Voglio parlargli prima di prendere una decisione."
Attese qualche istante prima di parlare.
"La decisione di uccidermi?"
"Sì, quella."