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La trasformazione

Il campanello che annunciava l'entrata di un altro cliente squillò. Allarmata, chinai la testa per nascondermi dietro uno scaffale.

"Smettila di comportarti da ladra" suggerì Melanie.

"Ma che ladra!" replicai svelta.

Avevo le mani sudate ma fredde, malgrado il caldo del locale. Dalle vetrate entrava troppo sole, e l'aria condizionata faticava a stare al passo.

"Quale?" domandai.

"Quella più grossa" rispose.

Afferrai una borsa di tela che sembrava in grado di contenere molto più di quanto fossi in grado di trasportare. Poi girai l'angolo, diretta allo scaffale delle bottiglie d'acqua.

"Possiamo prenderne una decina di litri. Così avremo tre giorni a disposizione per trovarli."

Feci un gran respiro, cercando di convincermi che non sarei andata fino in fondo. Ciò che volevo era soltanto strapparle altre informazioni, tutto qui. Ricostruita la storia, avrei rintracciato qualcuno - magari una Cercatrice diversa, meno ripugnante di quella che mi era stata assegnata - a cui riferirla. Era un semplice eccesso di zelo.

Il goffo tentativo di autoingannarmi fu così patetico che Melanie non se ne preoccupò nemmeno. Probabilmente, come aveva detto la Cercatrice, per me era troppo tardi. Forse avevo sbagliato a non prendere l'aereo per Tucson.

"Troppo tardi? Magari!" borbottò Melanie. "Non riesco a farti fare niente che tu non voglia. Neanche alzare una mano!" aggiunse frustrata.

Abbassai lo sguardo sulla mia mano, che restava inerte sul fianco anziché allungarsi a prendere l'acqua, come desiderava lei. Sentivo la sua impazienza, il desiderio quasi disperato di mettersi in moto. Ancora in fuga, come se la mia esistenza fosse niente più che una breve interruzione, tempo sprecato che si era finalmente lasciata alle spalle.

Percepii il suo moto di irritazione, poi lei ricominciò. "Sbrighiamoci! Tra poco sarà buio."

Con un sospiro tirai verso di me l'ultima confezione di bottiglie rimasta. Rischiai di farla cadere dallo scaffale. Avevo la sensazione che le braccia mi si fossero staccate dalle spalle.

«Stai scherzando!» esclamai ad alta voce.

"Zitta!"

«Scusi?» disse un uomo tozzo e basso, l'altro cliente, dall'altro capo del corridoio.

«Ehm... niente» mormorai, senza incrociare il suo sguardo. «Pesa più di quanto credessi.»

«Ha bisogno d'aiuto?» propose lui.

«No, no» replicai in fretta. «Ne prenderò una più piccola.»

L'uomo tornò a concentrarsi sulle patatine.

"Invece no. Ho trasportato carichi più pesanti di questo" mi garantì Melanie. "Ci hai rammollite, Viandante" aggiunse irritata.

"Scusa" le risposi, stupita che per la prima volta mi avesse chiamata per nome.

"Aiutati con le gambe."

Lottai con la confezione d'acqua, certa di non riuscire a reggerla a lungo. Alla fine riuscii a portarla fino alla cassa e con gran sollievo la sistemai sul banco. Sopra le bottiglie posai la borsa e aggiunsi anche una scatola di barrette di cereali, una di ciambelle e un pacchetto di patatine prese dall'espositore più vicino.

"L'acqua è molto più importante del cibo, nel deserto, e non possiamo trasportare più di tanto..."

"Ho fame" la interruppi. "E queste sono leggere."

"La schiena è tua" disse lei controvoglia, poi ordinò: "Prendi una cartina".

Piazzai sul bancone una mappa topografica della contea.

Il cassiere, un uomo dai capelli bianchi e dal sorriso pronto, registrava i codici a barre.

«Ci diamo al trekking, eh?» domandò, educato.

«La montagna è bellissima.»

«Il sentiero inizia proprio là...» disse, e fece per indicarmelo.

«Lo troverò» risposi svelta, spostando il carico pesante e in equilibrio precario dal banco.

«Torna giù prima che faccia buio, cara. Se no ti perderai.»

«Certo.»

I pensieri di Melanie a proposito del commesso erano di fuoco.

"È stato solo gentile. È sinceramente preoccupato per il mio bene" le ricordai.

"Siete tutti così inquietanti" ribatté acida. "Nessuno ti ha mai detto di non parlare con gli sconosciuti?"

Risposi, presa da un improvviso senso di colpa. "Non ci sono sconosciuti tra la mia gente."

"Ancora non mi sono abituata al fatto che le cose non si paghino" disse per cambiare argomento. "Che senso ha leggere il codice a barre?"

"Per l'inventario, ovviamente. Vuoi costringerlo a tenere tutto a mente fino a quando dovrà ordinare nuove scorte? E poi, che senso hanno i soldi in un mondo nel quale tutti sono onesti?" Mi interruppi, e sentii di nuovo il senso di colpa, così forte da trasformarsi in dolore vero. "Tutti tranne me, certo."

Melanie rifuggì i miei sentimenti, preoccupata dalla loro intensità, nel timore che potessi cambiare idea. Si concentrò sul proprio desiderio impellente di andarsene, di viaggiare verso la meta. La sua ansia trapelò fino a me, facendomi accelerare il passo.

Portai l'acqua fino all'automobile e la posai per terra accanto alla portiera del passeggero.

«Lasci che l'aiuti.»

Mi alzai di scatto e vidi l'altro cliente del negozio, fermo accanto a me con una borsa di plastica in mano.

«Ah... grazie» riuscii a rispondere, mentre il cuore mi rimbombava nelle orecchie.

Restammo in attesa, Melanie in tensione, pronta a scattare, mentre l'uomo caricava sull'auto i nostri acquisti.

"Non temere. Ci sta solo facendo un favore."

Lei continuò a osservarlo, diffidente.

«Grazie» ripetei, mentre chiudeva la portiera.

«Di niente.»

Si voltò e tornò al suo veicolo senza più badare a noi. Salii in auto e afferrai il pacchetto di patatine.

"Guarda la cartina" disse lei. "Aspetta che se ne vada."

"Nessuno ci sta spiando" le garantii. Sospirando spiegai la mappa, mentre con una mano mangiavo. Tutto sommato era una buona idea rendermi conto di dove stessimo per dirigerci.

"Dove stiamo andando?" le domandai. "Abbiamo trovato il punto di partenza. E adesso?"

"Guardati in giro" ordinò. "Se non la troviamo qui, cercheremo dall'altro lato della montagna."

"Troviamo cosa?"

Fece apparire l'immagine che aveva memorizzato: uno zig zag frastagliato, quattro tornanti stretti, il quinto stranamente morbido, come spezzato. Capii cosa doveva essere in realtà: una catena di quattro vette appuntite, più una quinta che sembrava spezzata...

Controllai il profilo dell'orizzonte da est a ovest. Fu incredibilmente facile, come se avessi visualizzato l'immagine dopo aver visto le sagome delle alture che si stagliavano a nordest.

"Eccola." Melanie quasi cantava per l'entusiasmo. "Andiamo!" Voleva che scendessi dall'auto, che mi muovessi subito.

Scossi la testa e mi chinai sulla mappa. La catena montuosa era così lontana che non capivo quanti chilometri la separassero da noi. Non ero intenzionata a uscire da quel parcheggio e camminare nel deserto, a meno che non fosse l'unica possibilità.

"Siamo razionali" suggerii, e seguii con il dito un nastro sottile sulla mappa, un sentiero senza nome che incrociava la statale pochi chilometri a est, e continuava in direzione delle montagne.

"D'accordo" ammise. "Ma prima è, meglio è."

Trovammo il sentiero sterrato senza difficoltà. Somigliava a una cicatrice pallida di sabbia che attraversava cespugli bassi e radi, larga a malapena quanto un'auto. A chiuderne l'accesso c'era una catena arrugginita, avvitata a un palo di legno e annodata alla bell'e meglio all'altro palo. Con gesti rapidi sciolsi il nodo e gettai la catena ai piedi del primo palo, scattando verso l'auto accesa, nella speranza che nessuno si fermasse ad aiutarmi. La statale era vuota, allorché deviai sullo sterrato e scesi per rimettere la catena.

Quando l'asfalto si perse alle nostre spalle, ci rilassammo entrambe. Ero lieta di non dover più mentire a nessuno, con le parole o con il silenzio. In solitudine, il tradimento pesava meno.

Melanie si trovava perfettamente a proprio agio in mezzo al nulla. Conosceva i nomi di tutte le piante spinose che incontravamo. Ne canticchiava i nomi, salutandole come vecchie amiche.

"Creosoto, ocotillo, cholla, fico d'India, mesquite..."

Lontano dalla statale, dalle trappole della civiltà, sembrava che il deserto desse nuova vita a Melanie. Gradiva il lento procedere dell'auto traballante - ogni buca del terreno mi ricordava che le sospensioni non erano adatte a quella deviazione - ma soprattutto moriva dalla voglia di camminare, di immergersi nel rifugio ardente del deserto.

Sapevo che presto ci sarebbe toccato andare a piedi, ma quando fu il momento, dubitai che le fosse bastato. Capii qual era il suo vero desiderio. La libertà. Muoversi alla velocità familiare del suo passo svelto, guidata soltanto dall'istinto. Per un istante mi resi conto che vivere senza il proprio corpo poteva essere una condanna. Trasportata da esso ma incapace di influenzarlo. Intrappolata. Senza facoltà di scelta.

Ebbi un sussulto e tornai a concentrarmi sulla strada dissestata, nel tentativo di scrollarmi di dosso il misto di compassione e terrore. Nessun ospite mi aveva mai fatto sentire così in colpa per ciò che ero. Ma d'altronde, nessun altro ospite si era trattenuto per lamentarsi della situazione.

Il sole aveva quasi raggiunto la cima delle colline occidentali, quando scoppiò il nostro primo litigio. Le ombre lunghe disegnavano strane sagome, ed era più difficile evitare le rocce e le buche.

"Eccola!" Fu il grido di vittoria di Melanie, quando ci accorgemmo di un altro ammasso montuoso a est: un'onda regolare di roccia, interrotta da uno sperone che si protendeva come un dito lungo e magro verso il cielo.

Fosse stato per lei, avremmo deviato istantaneamente tra i cespugli, con tanti saluti all'auto.

"Forse prima dovremmo raggiungere il secondo punto di riferimento" osservai. Lo sterrato serpeggiava più o meno sempre nella stessa direzione, ed ero terrorizzata di doverlo abbandonare. In che modo sarei tornata alla civiltà, altrimenti? Sarei mai tornata?

In quel momento, mentre a occidente il sole toccava il profilo a zig zag dell'orizzonte, immaginai la Cercatrice. Cos'avrebbe pensato, non vedendomi arrivare a Tucson? Un accesso di gioia scatenò la mia risata. Anche Melanie gradì l'immagine della Cercatrice irritata e furiosa. Quanto avrebbe aspettato prima di tornare a San Diego e verificare che il mio non fosse stato che uno stratagemma per allontanarla? E che strada avrebbe preso, non trovandomi là e da nessun'altra parte?

L'unica immagine chiara era il luogo in cui io mi sarei trovata, a quel punto.

"Guarda, un fiume in secca. È largo abbastanza per la macchina: seguiamolo" insistette Melanie.

"Secondo me non dobbiamo andare subito in quella direzione."

"Tra poco farà buio e dovremo fermarci. È tempo sprecato!" strillò in silenzio, frustrata.

"Oppure risparmiato, se ho ragione io. E poi, è mio il tempo, no?"

Non rispose. La sentii quasi allungarsi, sporgersi verso il letto del fiume.

"La decisione è stata mia, perciò si fa a modo mio."

Melanie replicò con un moto di collera silenziosa.

"Perché non mi mostri le altre linee?" suggerii. "Potremmo controllare se ce n'è qualcuna nei dintorni, prima di sera."

"No" sbottò. "Con quelle si fa a modo mio."

"Sei infantile."

Evitò di rispondere. E tenne il muso, mentre proseguivo verso le quattro cime aguzze.

Quando il sole scomparve dietro le cime, la notte inondò il panorama all'improvviso; nel giro di un minuto il deserto passò dall'arancio del tramonto al nero. Rallentai, armeggiando con i comandi del cruscotto, in cerca del pulsante dei fari.

"Sei impazzita?" sibilò Melanie. "Ti rendi conto che i fari si vedranno dappertutto? Prima o poi qualcuno si accorgerà di noi."

"E allora che facciamo?"

"Augurati che il sedile sia reclinabile."

Mi fermai con il motore acceso, in cerca di alternative al dormire in auto, circondata dal vuoto buio del deserto di notte. Melanie aspettava paziente, certa che non ne avrei trovate.

"È una pazzia, lo sai" dissi, spegnendo il motore ed estraendo le chiavi dal quadro. "Tutta questa faccenda è una pazzia. Non c'è nessuno quaggiù. Non troveremo nulla. E se proseguiamo, ci perderemo senza scampo." Avevo la vaga percezione dei pericoli concreti a cui ci esponevamo vagando sotto il sole senza una soluzione alternativa né la certezza di poter tornare indietro. Sapevo che Melanie vedeva il pericolo ancora più chiaramente, ma mi risparmiò i dettagli.

Non reagì alle mie accuse. Nessuno di quei problemi la preoccupava. Ovvio, preferiva vagabondare da sola nel deserto per il resto dei suoi giorni, piuttosto che tornare alla vita che io avevo vissuto. Era meglio così, anche senza la minaccia della Cercatrice.

Reclinai il sedile al massimo. Era tutt'altro che comodo. Dubitavo di riuscire a dormire, ma con tutti i limiti che imponevo ai pensieri, la mia mente era ormai vuota. Anche Melanie taceva.

Chiusi gli occhi e sprofondai nell'incoscienza con facilità inaspettata.