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Il disgusto

Rallentai quando sentii le prime voci. Ero troppo lontana dall'ambulatorio per riconoscere Doc. Gli altri stavano per venirmi incontro. Mi appiattii contro la parete di roccia e strisciai in avanti più silenziosa che potevo. Dopo la corsa avevo il respiro affannoso, perciò mi coprii la bocca con le mani per attenuare il rumore. «... Perché ci ostiniamo a insistere» si lamentava qualcuno.

Non ero certa di riconoscere la voce. Forse Violetta? Il tono depresso fugò ogni dubbio, non mi ero inventata niente.

«Doc non voleva. Stavolta l'idea è stata di Jared.»

A parlare era stato Geoffrey, la voce gravata da un malcelato fastidio. Era uscito in missione con Trudy.

«Pensavo fosse l'oppositore più deciso verso questo genere di cose, no?»

Si trattava di Travis, forse.

«Ora è più... motivato» rispose Geoffrey con tono irato.

Passarono a meno di una spanna dall'angolo in cui mi ero rannicchiata. Immobile, trattenni il respiro.

«Per me è roba da pazzi» borbottò Violetta. «Disgustoso. Non funzionerà mai.»

Camminavano lenti, i passi appesantiti dallo sconforto.

Aspettai che il rumore dei passi si affievolisse, ma non potevo permettermi di ritrovarmi Ian alle spalle.

Strisciai in avanti più veloce che potevo, e ripresi a correre finché non sentii il rumore di singhiozzi soffocati e mi fermai ad ascoltare.

I singhiozzi non cessavano. Andavano quasi a tempo con un altro rumore ritmico e smorzato.

«Dai, calmati.» Era la voce di Jeb, gonfia di emozione. «È tutto a posto, a posto, Doc. Non prendertela così.»

Nella stanza qualcuno camminava in silenzio, più di una persona. Fruscio di lenzuola. Come se stessero facendo le pulizie.

C'era un odore che non avevo mai sentito, là. Strano... non esattamente metallico, ma diverso da ogni altro. Non mi era familiare e tuttavia avevo la strana sensazione che dovesse esserlo.

Avevo paura di girare l'angolo.

Cosa possono farci di male? commentò Mel. Mandarci via?

Hai ragione.

Le cose erano senz'altro cambiate, se non potevo aspettarmi di peggio, dagli umani.

Respirai a fondo - percependo di nuovo quell'odore strano, sbagliato - e passai oltre la soglia rocciosa che portava all'ambulatorio.

Nessuno si accorse di me.

Doc era inginocchiato a terra, il viso nascosto tra le mani, le spalle tremanti. Jeb, chino su di lui, gli dava pacche sulla schiena.

Jared e Kyle stavano posando una barella improvvisata accanto a una delle due brande al centro della stanza. L'espressione di Jared era irrigidita; durante la lontananza, la vecchia maschera era tornata.

Le brande non erano vuote: qualcosa, nascosto sotto lenzuola verde scuro, le occupava entrambe, in tutta la lunghezza. Qualcosa di lungo e irregolare, curve e sagome familiari...

Il tavolo improvvisato di Doc era stato spostato a un capo delle brande e scintillava di argento - bisturi lucenti e un repertorio di vecchi strumenti chirurgici a cui non sapevo dare un nome.

E accanto a essi, frammenti di argento luminoso disposti sul tavolo, piegati in spirali contorte... strisce sottili d'argento, nude, strappate e sparpagliate... macchie di liquido argenteo sul tavolo, sulle lenzuola, sulle pareti...

Il silenzio fu infranto dal mio urlo. La stanza intera iniziò a girarmi attorno rendendomi impossibile la fuga. Le pareti macchiate d'argento si alzavano a sbarrarmi la strada, dovunque mi voltassi.

Qualcuno gridò il mio nome, ma non riconobbi chi era. Il mio urlo era troppo forte. Mani pesanti mi tennero ferma.

«Doc, aiuto!»

«Che le è successo?»

«Ha perso i sensi?»

«Cos'ha visto?»

«Niente, niente. I corpi sono coperti!»

Che bugia! I corpi erano orrendamente esposti, costretti a contorsioni impressionanti. Mutilati, smembrati, torturati, divisi in brandelli grotteschi...

Avevo visto con chiarezza le vibrisse vestigiali ancora attaccate alla sezione anteriore strappata dal corpo di un piccolo. Un piccolo! Un bambino! Un bambino fatto a pezzi e sparpagliato sul tavolo macchiato del suo sangue...

Il mio stomaco si capovolse, come le pareti poco prima, e sentii qualcosa di acido invadermi la gola.

«Wanda? Mi senti?»

«È lucida?»

«Temo che stia per vomitare.»

L'ultima voce aveva ragione. Qualcuno mi bloccò la testa, mentre l'ondata di acido saliva violenta dallo stomaco.

«Che facciamo, Doc?»

«Tenetela ferma, impeditele di farsi del male.»

Tossii e sputai, cercando di sfuggire alla presa.

«Lasciatemi!» riuscii finalmente a biascicare, tra un colpo di tosse e l'altro. «Statemi lontani! Via, mostri! Torturatori!»

Strillai ancora, senza parole, dimenandomi tra le braccia che mi bloccavano.

«Calmati, Wanda! Calma! È tutto a posto.» La voce di Jared. Per una volta, non contava nulla che fosse lui.

«Mostro!» gli urlai.

«È isterica» disse Doc. «Tenetela stretta.»

Un colpo secco e pungente mi colpì al viso.

Sentii un respiro affannoso, lontano dal caos che mi circondava.

«Cosa state facendo?» ruggì Ian.

«Le è venuto un colpo, o qualcosa del genere, Ian. Doc sta cercando di farle riprendere coscienza.»

Mi fischiavano le orecchie, ma non per colpa dello schiaffo. Era l'odore - l'odore del sangue argenteo che colava dalle pareti - l'odore del sangue delle anime. La stanza mi girava attorno come fosse viva. La luce si piegava in sagome strane... curva nelle sagome di mostri che appartenevano al mio passato. Un Avvoltoio aprì le ali... un mostro dalle grandi chele sventolò le sue pinze pesanti verso il mio volto... Doc sorrise e mi venne incontro, le mani gocciolanti d'argento...

La stanza girò ancora una volta, lentamente, e tutto sprofondò nel buio.

Non rimasi a lungo priva di sensi. Impiegai forse pochi secondi per riprendere coscienza ma desiderai poter tornare ancora un po' nell'oblio.

Mi muovevo, dondolavo avanti e indietro, e c'era buio pesto. Grazie al cielo l'orribile odore se n'era andato. L'aria muffosa e umida delle grotte era quasi un profumo.

La sensazione di essere trasportata e cullata era familiare. Dopo che Kyle mi aveva ferita, avevo viaggiato così per settimane, tra le braccia di Ian.

«... pensato che avrebbe intuito le nostre intenzioni. Evidentemente mi sbagliavo» mormorò Jared.

«Pensi che sia andata così?» La voce di Ian irruppe nel silenzio della galleria. «Che si sia spaventata vedendo le anime estratte da Doc? Che temesse per la propria incolumità?»

Jared restò in silenzio. «Tu no?»

Ian si schiarì la voce. «No. Disgustato come sono, dopo che avete portato a casa altre... vittime per Doc, e proprio adesso! Per quanto mi venga la nausea solo a pensarci, non è ciò che dici ad averla sconvolta. Come puoi essere così cieco? Non ti rendi conto di cosa può aver visto là dentro?»

«Sono sicuro di avere coperto i corpi, prima...»

«Erano i corpi sbagliati, Jared. Ah, sono sicuro che Wanda si lascerebbe sconvolgere anche da un cadavere umano, è troppo dolce; la violenza e la morte non fanno parte di lei. Ma penso al significato di ciò che ha visto sul tavolo.»

Jared rimase ammutolito. «Ah.»

«Sì. Se io o te avessimo assistito a una vivisezione umana, con arti strappati e sangue schizzato ovunque, non avremmo reagito alla stessa maniera. Sono cose che abbiamo già visto, persino prima dell'invasione, nei film dell'orrore. Ma scommetto che in tutte le sue vite lei non si è mai trovata di fronte a una scena del genere.»

Mi stava tornando la nausea per colpa delle sue parole. La scena. L'odore.

«Lasciami andare» sussurrai. «Mettimi giù.»

«Non volevo svegliarti. Mi dispiace!» Fu un'esclamazione sincera, una scusa che riguardava ben altro.

«Lasciami andare.»

«Non ti senti bene. Ti porto in stanza.»

«No. Mettimi giù subito.»

«Wanda...»

«Subito!» gridai. Mi strinsi al suo petto e contemporaneamente scalciai per liberare le gambe. La violenza della mia ribellione lo sorprese. Mollò la presa, e io mi lasciai andare, rannicchiandomi a terra.

Balzai in piedi e iniziai a correre.

«Wanda!»

«Lasciala andare.»

«Non toccarmi. Wanda, torna qui!»

Sembrava stessero lottando alle mie spalle, ma non rallentai. Ma certo che stavano lottando. Erano umani, per loro la violenza era un piacere.

Quando sbucai alla luce non mi fermai. Attraversai di corsa la caverna grande senza degnare di uno sguardo nessuno dei mostri che vi trovai. Sentivo i loro occhi addosso, ma non mi importava.

Non mi importava nemmeno di sapere dove stessi andando. Qualsiasi meta, pur di restare sola. Evitai le gallerie occupate da umani, e mi infilai nella prima che vidi vuota.

Era il tunnel orientale. Quel giorno vi ero entrata due volte. Prima felice, poi terrorizzata. Difficile rievocare la felicità nata dopo il ritorno dei razziatori. Tutto era cupo e minaccioso, ormai, compreso il loro ritorno.

Ma quella era la scelta migliore. Nessuno aveva motivo di seguirmi nella galleria deserta.

La percorsi tutta, fino a sbucare nella notte fonda della stanza dei giochi, vuota. Possibile che fino a poco prima avessi giocato con loro proprio lì? E avessi creduto ai loro sorrisi, senza accorgermi di quali bestie fossero...

Continuai fino a sprofondare i piedi nelle acque oleose della sorgente buia. Cercai di allontanarmene, tastando le pareti con la mano. Quando trovai una parete di roccia scabra - ruvida, al contatto con le dita - mi infilai nella conca al di là della sporgenza, raggomitolandomi a terra.

"Non è come pensavamo. Doc non stava facendo male a nessuno di proposito; stava solo cercando di salvare..."

"Esci dalla mia testa!" strillai.

Nel momento in cui la allontanai - imbavagliandola, così da non doverne ascoltare le giustificazioni - mi resi conto di quanto si fosse indebolita in tutti quei mesi di amicizia. Di quanto l'avessi tollerata e incoraggiata.

Zittirla era diventato fin troppo facile. Facile come avrebbe dovuto essere sin dall'inizio.

Ero soltanto io. E soltanto miei erano lo spavento e l'orrore a cui sapevo di non poter sfuggire. Non avrei mai più rimosso quell'immagine.

Non sapevo come piangere quelle anime. Quei piccoli, fatti a pezzi sul tavolo.

Sull'Origine non avevo mai pianto nessuno. Non sapevo come si facesse, nella vera casa della mia specie. Perciò optai per il lutto dei Pipistrelli. Mi sembrava il più appropriato, laggiù dove tutto era buio e cieco. Il lutto dei Pipistrelli era silenzioso: cessavano di cantare per settimane, finché il vuoto creato dall'assenza di musica non pesava più del dolore della perdita di un'anima. Tra loro avevo imparato cos'è la perdita. Un amico colpito da un albero caduto di notte, e scoperto troppo tardi per salvarlo dal corpo stritolato del suo ospite. "Ascesa... Spirale... Armonia": questa era la traduzione del suo nome nella lingua degli umani. Non ci fu alcun orrore nella sua morte, soltanto dispiacere. Fu un incidente.

Incrociai le braccia sul petto e piansi il piccolo, e l'altra anima morta con lui. Fratelli. Membri della mia famiglia. Se avessi trovato una via d'uscita da quel luogo, se avessi avvertito i Cercatori, i loro resti non sarebbero rimasti sparpagliati in quella stanza zuppa di sangue.

Volevo piangere, levare il mio lamento funebre e addolorato. Ma era una reazione da umani. Perciò serrai le labbra e mi rannicchiai nell'oscurità.

Ma il mio silenzio fu violato.

Li sentii cercare, sentii le loro voci riecheggiare nelle lunghe gallerie. Mi chiamavano, sperando in una risposta. Perché non mi lasciavano sola con il mio lutto?

Sentii un sospiro di sollievo quando il fascio luminoso di una torcia elettrica mi scovò.

«L'ho trovata! Dite agli altri di tornare dentro! Alla fine è rimasta qui!»

Riconobbi la voce, ma non le diedi un nome. Era solo un mostro come gli altri.

«Wanda? Wanda? Stai bene?»

Non alzai la testa né aprii gli occhi. Ero in lutto.

«Dov'è Ian?»

«Meglio chiamare Jamie, no?»

«Non è il caso di coinvolgerlo.»

Rabbrividii al nome di Jamie. Il mio Jamie. Anche lui era un mostro come tutti gli altri. Il mio Jamie. Pensare a lui era una sofferenza.

«Dov'è?»

«Qui, Jared. Non... reagisce.»

«Non l'abbiamo toccata.»

«Dammi la torcia» disse Jared. «Ora, voialtri, andatevene subito. Fine dell'emergenza. Lasciatela respirare, okay?»

Il rumore di passi strascicati non andò lontano.

«Dico sul serio, gente. Così non servite a nulla. Via. Andate.»

Jared attese che tornasse il silenzio.

«Bene, Wanda, siamo solo io e te.»

Attendeva una risposta.

«Senti, immagino che sia stato... brutto, davvero. Mai avremmo voluto mostrarti una cosa del genere. Scusa.»

Scusa? Geoffrey aveva detto che l'idea era stata sua. Voleva tagliuzzarmi, farmi a pezzettini, far schizzare il mio sangue sulle pareti. Era disposto a smembrarci una per una, pur di riprendersi il suo mostro preferito.

Restò in silenzio, in attesa di una mia reazione.

«Forse vuoi stare sola. D'accordo. Posso tenerli lontani, se è ciò che vuoi» disse.

Restai immobile.

Qualcosa mi sfiorò la spalla. Mi ritrassi, urtando contro le rocce affilate.

«Scusa» mormorò.

Lo sentii alzarsi, e la luce - rossa dietro le mie palpebre chiuse - iniziò ad affievolirsi mano a mano che si allontanava.

Sulla soglia della stanza incontrò qualcuno.

«Dov'è?»

«Non vuole vedere nessuno. Lasciala stare.»

«Non impicciarti mai più, Howe.»

«Credi che voglia farsi consolare da te? Da un umano?»

«Io non ho partecipato...»

Jared rispose a mezza voce, ma sentii l'eco delle sue parole. «Non ricominciare. Sei uno di noi, Ian. Suo nemico. Hai sentito cos'ha detto, in ambulatorio? Ha urlato "Mostri". È così che ci vede. Non se ne fa niente della tua compassione.»

«Dammi la torcia.»

Calò il silenzio. Trascorso un minuto, sentii passi lenti percorrere il perimetro della stanza. All'improvviso, una sventagliata di luce riempì di rosso le mie pupille.

Mi raggomitolai ancora di più, nel timore che mi toccasse.

Sentii un sospiro smorzato, e poi il rumore di qualcuno che si sedeva sulla pietra.

Uno scatto, e la luce svanì.

A lungo, in silenzio, attesi di sentirlo parlare, ma restò muto come me.

Rinunciai ad aspettare e tornai al mio lutto. Ian non mi interruppe. Immobile, nel cuore di quell'anfratto buio, piangevo le anime perdute con un essere umano al mio fianco.