19

L'abbandono

«Chi è la Cercatrice in nero? Perché non ha abbandonato la ricerca?» L'urlo di Jared era assordante, e mi circondò con la sua eco.

Mi coprii la testa con le mani, in attesa che mi colpisse.

«Ehm... Jared?» mormorò Ian. «Forse è meglio che mi lasci...»

«Non t'impicciare!»

La voce di Ian si fece improvvisamente vicina, lo sentii sfregare la roccia mentre tentava di seguire Jared nello spazio ristretto. «Non vedi che è troppo spaventata per parlare? Lasciala stare per un sec...»

Sentii qualcosa grattare per terra quando Jared si mosse, e poi un tonfo. Ian imprecò. Sbirciai tra le dita e vidi che Ian era sparito, e Jared mi dava le spalle.

Ian sputò per terra, lamentandosi. «Con questo sono due» grugnì, e capii che il colpo diretto a me era stato deviato dalla sua intrusione.

«Il terzo è già pronto» borbottò Jared, e si voltò verso di me prendendo con sé la lanterna; l'aveva afferrata e usata per colpire Ian. Dopo tanto buio, la caverna parve quasi accendersi.

Jared riprese a parlare, guardandomi bene in faccia grazie alla nuova illuminazione, scandendo per bene ogni parola. «Chi è la Cercatrice.»

Lasciai cadere le mani e incrociai il suo sguardo spietato. Non volevo far soffrire qualcun altro a causa del mio silenzio, nemmeno colui che già aveva cercato di uccidermi. Non era così che funzionava la tortura.

L'espressione di Jared cambiò quando si accorse della mia.

«Non voglio farti del male» disse piano, poco sicuro di sé. «Ma esigo una risposta.»

Non era la domanda giusta... né un segreto che dovevo proteggere a tutti i costi.

«Parla» insistette, lo sguardo cupo di frustrazione e sconforto.

Ero così codarda? Mi sarebbe piaciuto crederci, credere che la mia paura del dolore fosse più forte di tutto. La vera ragione che mi spinse ad aprire bocca era molto più patetica.

Volevo fare contento l'essere umano che tanto mi odiava.

«La Cercatrice» dissi, con voce secca e rauca.

Lui mi interruppe, impaziente. «Sappiamo già che è una Cercatrice.»

«No, non è una qualsiasi» sussurrai. «È la mia Cercatrice.»

«In che senso tua?»

«È assegnata a me, segue me. È il motivo della...» riuscii a interrompermi prima di pronunciare la parola che avrebbe potuto condannarmi a morte. Prima di poter dire «nostra». La verità definitiva, che lui avrebbe scambiato per la bugia definitiva... un colpo basso ai suoi desideri più oscuri, al suo dolore più intimo. Non avrebbe mai capito che il suo desiderio poteva avverarsi. Mi avrebbe considerata una bugiarda pericolosa, che lo guardava con gli occhi che un tempo lui stesso aveva amato.

«Di cosa?» insistette.

«Il motivo della mia fuga» sospirai. «Il motivo per cui sono venuta qui.»

Non era la verità, ma nemmeno una bugia.

Jared mi fissò a bocca mezza aperta, mentre cercava di dare un senso alle mie parole. Con la coda dell'occhio vidi Ian sbirciare di nuovo dall'apertura, gli occhi azzurri accesi e sbarrati dalla sorpresa. Sulle sue labbra pallide c'era una macchia di sangue scuro.

«Sei scappata da una Cercatrice? Ma se sei una di loro!» Jared cercò di ricomporsi e di tornare all'interrogatorio. «Perché ti avrebbe inseguita? Cosa voleva?»

Deglutii in modo innaturale e rumoroso. «Voleva te. Te e Jamie.»

La sua espressione si irrigidì. «E tu hai cercato di portarla qui?»

Scossi la testa. «No... io...» Come potevo spiegarglielo? Non avrebbe mai accettato la verità.

«Cosa?»

«Io... non volevo dirglielo. Non mi piace.»

Sbatté gli occhi, confuso. «Sbaglio o voi dovreste andare tutte d'accordo?»

«In teoria sì» confessai, e arrossii di vergogna.

«Chi ti ha guidata fin qui?» domandò Ian, dietro la spalla di Jared. Jared aggrottò le ciglia, ma continuò a guardare me.

«Nessuno; non sapevo... ho soltanto seguito le linee. Le linee sull'album. Le ho disegnate alla Cercatrice... ma non sapevamo cosa fossero. Secondo lei sono strade, percorsi.» Non riuscivo a smettere di parlare. Cercai di rallentare il discorso, per evitare lapsus.

«Cosa vuol dire che non sapevate cosa fossero? Ora sei qui.» La mano di Jared mi si avvicinò, ma cadde prima di percorrere la breve distanza.

«Io... ero in difficoltà con i miei... con i... suoi ricordi. Non capivo... c'erano cose a cui non potevo accedere. C'erano dei muri. Perciò mi hanno assegnato la Cercatrice, in attesa che sbloccassi ciò che mancava.» Troppo, troppo. Mi maledissi per aver parlato tanto.

Ian e Jared si scambiarono uno sguardo. Quel che stavo raccontando non aveva precedenti. Non si fidavano, ma volevano credere che fosse possibile. Lo desideravano troppo. E ciò li impauriva.

La voce di Jared fu una sferzata improvvisa e feroce. «Sei riuscita ad accedere alla mia casetta?»

«Mi ci è voluto parecchio.»

«E l'hai detto alla Cercatrice.»

«No.»

«No? Perché?»

«Perché... quando me ne sono ricordata... non ho voluto dirglielo.»

Lo sguardo di Ian era impietrito.

La voce di Jared cambiò e si fece bassa, quasi tenera. Molto più pericolosa di quando aveva urlato. «Perché non hai voluto dirglielo?»

Serrai forte la mascella. Non era il segreto, ma per lui restava un segreto importante. In quel momento, più che con l'istinto di sopravvivenza, la mia determinazione a tapparmi la bocca aveva a che fare con uno stupido e involontario senso d'orgoglio. Non ero disposta a confessare il mio amore all'uomo che mi disprezzava.

Vide lo sguardo di sfida lampeggiarmi negli occhi, e forse capì cosa gli occorreva per ottenere una risposta. Decise di lasciar perdere, o forse di risparmiarsi per un altro momento, conservare il tentativo nel caso non potessi aggiungere ulteriori risposte all'interrogatorio.

«Perché non sei riuscita ad accedere a tutto? È... normale?»

Altra domanda pericolosa. Per la prima volta raccontai una bugia spudorata.

«È stata una brutta caduta. Il corpo era danneggiato.»

Per me non era facile mentire, e il tentativo non andò a segno. Sia Jared che Ian furono insospettiti dalla mia voce. Jared chinò la testa di lato; Ian alzò un sopracciglio, nero come l'inchiostro.

«Perché la Cercatrice non ha rinunciato come gli altri?» domandò Ian.

All'improvviso mi sentii esausta. Sapevo che avrebbero potuto resistere per tutta la notte, che volevano farlo, a patto che continuassi a rispondere, e che prima o poi avrei commesso un errore. Mi accasciai contro il muro e chiusi gli occhi.

«Non lo so» mormorai. «Non è come le altre anime. È... fastidiosa.»

Ian fece una risata... che mi sorprese.

«E tu? Tu sei come le altre... anime?» domandò Jared.

Aprii gli occhi e lo guardai, stanca, per qualche istante. Che domanda stupida, pensai. Poi strinsi forte gli occhi, posai la testa tra le ginocchia e la coprii con le braccia.

Forse Jared capì che ne avevo abbastanza di parlare. Grugnì qualcosa, si allungò verso l'uscita della caverna prendendo con sé la lampada, e poi si stiracchiò sbadigliando piano.

«Non l'avrei mai detto» sussurrò Ian.

«Bugie, dalla prima all'ultima» rispose Jared a mezza voce. Sforzandomi riuscivo a sentirli. Probabilmente non si rendevano conto di quanto l'eco risuonasse nella mia grotta. «Però non riesco ancora a capire cosa voglia farci credere... dove voglia portarci.»

«Secondo me non ha mentito. Be', a parte una cosa. Te ne sei accorto?»

«Fa parte del numero.»

«Jared, hai mai incontrato un parassita capace di mentire? Esclusi i Cercatori, ovviamente.»

«E lei è una di loro.»

«Dici sul serio?»

«È la spiegazione più logica.»

«Questa ragazza... questa creatura non somiglia a nessuno dei Cercatori che conosco io. Se un Cercatore sapesse come trovarci, verrebbe qui con un esercito.»

«E non troverebbe niente. Invece lei... la creatura, ce l'ha fatta, no?»

«Ha rischiato la vita già una dozzina...»

«Però respira ancora, no?»

Calò un lungo silenzio. Talmente lungo che iniziai a pensare di allungarmi, ma non volevo fare rumore. Ero esausta e desideravo che Ian se ne andasse, per poter dormire.

«Penso che ne parlerò con Jeb» sussurrò infine Ian.

«Oh, idea grandiosa.» La voce di Jared era gonfia di sarcasmo.

«Ti ricordi la prima notte? Quando si è messa tra te e Kyle? Assurdo, eh?»

«Cercava soltanto di sopravvivere, di scappare.»

«Permettendo a Kyle di ucciderla? Bel piano.»

«Ha funzionato.»

«Il fucile di Jeb ha funzionato. Dici che lo ha sentito arrivare?»

«Ci stai pensando troppo, Ian. Così fai il suo gioco.»

«Secondo me ti sbagli. Non so perché... ma secondo me in fondo vuole che la ignoriamo.» Sentii Ian alzarsi. «Sai qual è la cosa davvero assurda?» domandò.

«Cosa?»

«Mi sento in colpa - da morire - quando vedo che cerca di difendersi da noi. Con quei segni neri sul collo.»

«Non puoi lasciarti influenzare.» A un tratto, Jared sembrava irritato. «Non è umana. Non dimenticarlo.»

«Non sarà umana, ma ciò non significa che non sente il dolore» commentò Ian mentre la sua voce si perdeva in lontananza. «Che non soffra come una ragazza dopo che qualcuno - noi - l'ha picchiata.»

«Datti una calmata» sibilò Jared alle sue spalle.

«Ci vediamo, Jared.»

Dopo che Ian se ne fu andato, a Jared occorse parecchio per rilassarsi; per un po' passeggiò in circolo davanti alla grotta, poi si sedette tra me e la luce, mormorando qualcosa di incomprensibile. Rinunciai ad attendere che prendesse sonno e mi stiracchiai quanto potevo sul fondo circolare della cella. Il rumore lo fece scattare, e riprese a borbottare in solitudine.

«In colpa» mormorò, con aria di disprezzo. «Si sta facendo influenzare. Come Jeb, come Jamie. Non può andare avanti così. Che stupidaggine lasciarla vivere.»

Sentii la pelle d'oca sulle braccia, ma cercai di ignorarla. Lasciarmi prendere dal panico ogni volta che lui meditava di uccidermi mi toglieva qualsiasi briciolo di tranquillità. Mi sdraiai prona per piegare la schiena all'insù, lui fece un altro scatto, poi sprofondò nel silenzio. Ero certa di sentirlo ancora brontolare, quando finalmente cedetti al sonno.

Al mio risveglio vidi Jared seduto sul tappetino, con la testa appoggiata alle ginocchia.

Avevo la sensazione di non aver dormito per più di un paio d'ore, ma ero troppo indolenzita per riprendere sonno. E poi ero crucciata per la visita di Ian, preoccupata che Jared si adoperasse ancora di più per isolarmi, dopo la strana reazione dell'amico. Perché mai sprecare quelle parole sul senso di colpa? Se era capace di un sentimento simile, perché andava in giro a strangolare le persone? Anche Melanie era arrabbiata con Ian, e incerta sulle conseguenze dei suoi scrupoli.

Pochi minuti dopo, il nostro tormento ebbe fine.

«Sono io» annunciò la voce di Jeb. «Non agitarti.»

Jared puntò il fucile.

«Dai, ragazzo, uccidimi pure. Dai.» Di parola in parola, la voce si avvicinava.

Con un sospiro, Jared abbassò l'arma. «Per favore, vattene.»

«Devo parlarti» disse Jeb, sedendosi e sbuffando di fronte a Jared. «Ehilà» disse, con un cenno verso di me.

«Sai che non ti sopporto quando fai così» borbottò Jared.

«Già.»

«Ian mi ha detto dei Cercatori...»

«Lo so. Ne ho appena parlato con lui.»

«Bene. Cosa vuoi, allora?»

«Non è questione di cosa voglio io. Ma delle necessità di tutti. Siamo quasi a corto di provviste. C'è bisogno che qualcuno vada a fare scorta.»

«Ah» borbottò Jared; si aspettava una discussione diversa. Dopo una breve pausa, rispose: «Manda Kyle».

«Okay» rispose Jeb tranquillo e si appoggiò al muro, pronto a rialzarsi in piedi.

Jared fece un sospiro. Forse il suo consiglio era stato un bluff. Quando vide che Jeb lo aveva preso sul serio, si rimangiò le parole. «No. Kyle no. È troppo...»

Jeb ridacchiò. «Ha rischiato di combinare un bel guaio l'ultima volta che è uscito da solo, eh? Non è il massimo della prudenza. Che ne dici di Ian?»

«Ian è fin troppo prudente.»

«Brandt?»

«Non è adatto ai viaggi lunghi. Poche settimane, e gli viene il panico. Fa troppi errori.»

«Okay, allora dimmi tu chi.»

I secondi passavano; di tanto in tanto sentivo Jared prendere fiato, come fosse sul punto di rispondere, e ogni volta sbuffava e stava zitto.

«Ian e Kyle assieme?» propose Jeb. «Potrebbero compensarsi a vicenda.»

Jared grugnì. «Come l'ultima volta? Va bene, ho capito, tocca a me.»

«Sei il migliore» commentò Jeb. «Il tuo arrivo qui ci ha cambiato la vita.»

Io e Melanie annuimmo; la cosa non ci sorprendeva.

"Jared è un mago. Io e lui siamo stati perfettamente al sicuro, finché ci siamo lasciati guidare dal suo istinto; non abbiamo mai rischiato che ci prendessero. Se fosse andato lui a Chicago sono sicura che avrebbe annusato la trappola."

Jared mi indicò con un gesto della spalla. «E di lei...?»

«La terrò d'occhio io appena posso. E suppongo che porterai Kyle con te. Per facilitare le cose.»

«Allontanare Kyle e tenerla d'occhio quando puoi non basterà. Prima o poi questa... creatura scapperà.»

Jeb scrollò le spalle. «Farò del mio meglio. Più di così non posso.»

Jared annuì lentamente.

Calò il silenzio. Dopo qualche minuto, Jeb iniziò a fischiettare qualcosa a mezza voce.

Infine, Jared sbuffò con tutto il fiato che aveva.

«Parto stasera.» Parlò con lentezza e sollievo. La sua voce cambiò, non sembrava più sulla difensiva. Forse stava tornando a ciò che era prima di rivedermi. Pronto a togliersi il peso di una responsabilità per accoglierne un'altra, più gradita.

Rinunciava a salvarmi la vita, lasciava che la natura - o forse la giustizia sommaria - facesse il proprio corso. Tornato lui, e morta io, non avrebbe accusato nessuno. Non avrebbe portato alcun lutto. Questo significavano le sue parole.

Conoscevo la metafora sproporzionata con cui gli umani descrivevano la tristezza: «cuore spezzato». Melanie stessa ricordava di averla usata. L'avevo sempre ritenuta un'iperbole, una convenzione. Perciò non mi aspettavo di provare dolore al petto. La nausea sì, il respiro mozzato in gola sì, e anche le lacrime che mi bruciavano gli occhi. Ma cos'era lo squarcio che sentivo all'altezza del petto? Una reazione insensata e irrazionale.

Non solo mi sentivo squarciata, ma anche strapazzata, sballottata in tutte le direzioni. Perché anche il cuore di Melanie si spezzò, e fu una sensazione distinta dalla mia, come se un organo in più fosse spuntato a compensare la nostra doppia consapevolezza. A doppia mente, doppio cuore. E doppio dolore.

"Se ne va" singhiozzò. "Non lo rivedremo mai più." Nemmeno lei lo dubitava: stavamo per morire.

Avrei voluto piangere con lei, ma qualcuno doveva pur mantenere un po' di lucidità. Mi morsi una mano per stroncare i singhiozzi.

«Penso sia la cosa migliore» disse Jeb.

«Ho bisogno di organizzarmi...» La mente di Jared era già lontana, lontanissima da quel corridoio claustrofobico.

«Qui ci penso io. Fai buon viaggio, e stai attento.»

«Grazie. Ci vedremo quando ci vedremo, Jeb.»

«Già.»

Jared restituì il fucile a Jeb, si alzò, si spolverò i vestiti, distratto. Poi se ne andò, percorrendo il corridoio con il suo solito passo svelto, distratto da chissà cosa. Nessuno sguardo verso di me, nessun pensiero al mio destino.

Restai ad ascoltare il rumore dei suoi passi finché non svanirono. Poi, senza badare alla presenza di Jeb, mi coprii la faccia con le mani e scoppiai a piangere.