14
La disputa
Fu insopportabile rivederlo, dopo aver accettato che non lo avremmo incontrato mai più ed esserci convinte di averlo perso per sempre. Restai impietrita, incapace di reagire. Avrei voluto lanciare uno sguardo allo zio Jeb, capire il perché della sua risposta straziante nel deserto, ma non riuscivo a distogliere gli occhi. Incredula, fissavo il viso di Jared.
La reazione di Melanie fu diversa.
«Jared» urlò, ma dalla mia gola arida uscì una specie di gracidio.
Mi sospinse in avanti, come quando aveva preso il controllo del mio corpo immobile nel deserto.
Non riuscii a fermarla in tempo.
Mi trascinò verso di lui gettandogli le braccia al collo. La richiamai mentalmente, ma non mi ascoltava. Si accorgeva a malapena della mia presenza.
Nessuno cercò di bloccarla, mentre barcollava verso Jared. Nessuno tranne me. Con le braccia tese a pochi centimetri da lui, non vide ciò di cui io mi ero accorta. Non capì che l'espressione di Jared, nei lunghi mesi di lontananza, si era indurita, che i tratti del suo viso erano mutati. Il sorriso che non lo abbandonava mai non si addiceva più a quel volto. Soltanto una volta l'aveva visto farsi cupo e pericoloso, e quell'espressione era niente in confronto a ciò che era diventato. Melanie non capiva, o forse non le interessava.
Le braccia di Jared erano più lunghe delle mie.
Prima che Melanie potesse sfiorargli le dita, con un gesto improvviso mi schiaffeggiò la guancia. Il dorso della sua mano mi colpì così forte da sollevarmi da terra e farmi cadere sbattendo la testa sul pavimento roccioso. Ascoltai il rumore sordo del mio corpo che cadeva a peso morto, ma non sentii l'impatto. Mi si annebbiò la vista, e un ronzio mi riempì le orecchie. Combattei contro la vertigine che stava per sopraffarmi.
"Stupida, stupida" piagnucolai. "Ti avevo detto di non farlo!"
"Jared è qui, Jared è vivo, Jared è qui." Ripeteva la cantilena insensata come fosse il testo di una canzone.
Cercai di rimettere a fuoco la scena, ma lo strano soffitto mi accecava. Voltai la testa, e soffocai un gemito quando sentii l'agonia del movimento pungermi la guancia.
Sopportavo a malapena il dolore di quel singolo colpo, vibrato d'impulso. Che speranza avevo di sopravvivere a un assalto continuo e determinato?
Sentii un rumore di passi al mio fianco; d'istinto alzai lo sguardo verso la minaccia, e vidi lo zio Jeb. Sembrava che mi offrisse una mano, incerto, lo sguardo altrove. Alzai la testa di un centimetro, con un altro gemito, per capire cosa guardasse.
Jared veniva verso di noi con la stessa espressione dei barbari che avevo incontrato nel deserto, ma nella sua furia era bello, anziché spaventoso. Mi sentivo ridicola, con il cuore in gola e il battito irregolare. Che importanza aveva che fosse bello e che lo amassi, ora che stava per uccidermi?
Gli sguardi di Jeb e Jared si incrociarono per alcuni istanti. Jared digrignava i denti, l'espressione di Jeb invece era calma. Il confronto silenzioso terminò quando Jared sbuffò di rabbia e fece un passo indietro.
Jeb mi offrì una mano e con l'altra mi aiutò a sollevarmi cingendomi la schiena. La testa mi girava e faceva male; lo stomaco era tutto un sobbalzo. Se non fosse stato vuoto da giorni, probabilmente avrei vomitato. Mi sembrava di non toccare nemmeno terra. Dondolai e mi sbilanciai in avanti. Jeb mi tenne ferma, poi mi afferrò un gomito per aiutarmi a stare in piedi.
Jared osservava la scena con rabbia. Come una sciocca, Melanie insisteva per riavvicinarsi a lui. Ma ormai avevo superato lo shock della sua ricomparsa, ed ero meno instupidita di lei. Non ce l'avrebbe fatta, a sfuggirmi di nuovo. La isolai dietro tutte le barriere mentali che potevo.
"Stai zitta. Non vedi quanto mi disprezza? Qualsiasi cosa tu dica, peggiorerai la situazione. Siamo morte."
"Ma Jared è vivo, Jared è qui" intonò a voce bassa.
Il silenzio nella grotta svanì; da ogni angolo si levò un brusio innescato da chissà quale segnale segreto. Non riuscivo a cogliere il significato di quel mormorio sibilante.
Lanciavo occhiate alla folla di umani, tutti adulti; tra loro non spiccava nessuna sagoma più minuta o giovane. Quell'assenza mi spezzò il cuore, mentre Melanie insisteva per pronunciare la domanda. La misi a tacere con fermezza. In quel luogo non c'era niente da vedere, nient'altro che rabbia e odio sui volti sconosciuti e su quello di Jared.
Un altro uomo si fece strada nella calca. Era alto e slanciato, con le ossa sporgenti. Il colore dei capelli era slavato, tra il marrone chiaro e un biondo scuro indefinibile. I suoi lineamenti erano secchi e scarni, come il corpo. La sua espressione catturò il mio sguardo: non vi era traccia d'ira.
Gli altri lasciarono passare quell'uomo all'apparenza comune come se detenesse chissà quale potere. Soltanto Jared non mostrò deferenza; restò dov'era, inchiodandomi con lo sguardo. L'uomo alto e magro gli girò attorno senza badargli, come se sul suo cammino avesse incontrato un tumulo di pietre.
«Okay, okay» disse, con tono stranamente allegro, mentre mi si avvicinava lasciandosi Jared alle spalle. «Sono qui. Cos'abbiamo?»
Fu la zia Maggie a rispondere, spuntandogli al fianco.
«Jeb l'ha trovata nel deserto. Una volta era Melanie, nostra nipote. A quanto pare ha seguito le indicazioni che le ha dato lui.» Lanciò un'occhiataccia a Jeb.
L'uomo alto e ossuto mormorò qualcosa, e mi studiò con curiosità. C'era un che di strano nel modo in cui mi scrutava. Sembrava contento di vedermi. Le sue ragioni mi erano oscure.
Il mio sguardo si spostò da lui e individuò un'altra donna, una ragazza che sbirciava da dietro la sua spalla, posandogli una mano sul braccio. Ad attirare la mia attenzione era stata la tinta vivace dei capelli.
Sharon! urlò Melanie.
La cugina capì che l'avevo riconosciuta, e la sua espressione si irrigidì.
Senza pensarci troppo ricacciai Melanie in un angolo della mia mente. "Zitta!"
Lo spilungone annuì e rimuginò qualcos'altro. Allungò una mano verso il mio viso, e parve sorpreso di vedermi ritrarre, per rifugiarmi verso Jeb.
«Stai tranquilla» disse, con un mezzo sorriso di incoraggiamento. «Non ti farò del male.»
La sua mano tornò ad avvicinarsi. Cercai di usare Jeb come riparo, ma lui mi spinse in avanti. Lo spilungone mi afferrò per il collo, sotto le orecchie, e con dita più delicate di quanto mi aspettassi mi fece voltare la testa. Sentii le sue dita percorrere il solco sulla nuca, e capii che stava esaminando la cicatrice della mia inserzione.
Con la coda dell'occhio vidi l'espressione di Jared. Era ovviamente scosso dai gesti dell'uomo, e la ragione mi era chiara: chissà quanto odiava quella riga dritta e rosea alla base della mia testa.
Mi guardava accigliato. Appariva confuso.
Lo spilungone mi lasciò andare e si allontanò, le labbra tese e gli occhi accesi da chissà quale sfida.
«Mi sembra in discreta salute, a parte l'esaurimento fisico, la disidratazione e la cattiva nutrizione degli ultimi giorni. Con tutta l'acqua che le avete dato, la disidratazione non darà problemi. D'accordo.» Con le mani fece un gesto strano, come se le stesse lavando. «Iniziamo.»
Poi capii il senso delle sue parole e degli sguardi: quell'uomo dall'aria gentile, che aveva appena giurato di non volermi fare del male, era il dottore.
Lo zio Jeb fece un gran sospiro e chiuse gli occhi.
Il dottore mi offrì una mano e mi invitò ad afferrarla. Io strinsi i pugni e li nascosi dietro la schiena. Mi diede un'altra occhiata scrupolosa, misurando il terrore nei miei occhi. La bocca era contratta, ma non sembrava arrabbiato. Stava valutando come procedere.
«Kyle? Ian?» disse, e allungò il collo per cercare tra la folla i due che aveva chiamato. Sentii le ginocchia cedere, quando vidi spuntare i due fratelli grossi, dai capelli scuri.
«Mi servirà un po' d'aiuto. Dovreste trasportare...» iniziò il dottore, che non sembrava più così alto accanto a Kyle.
«No.»
Tutti si voltarono a guardare da dove venisse quel rifiuto. Io non ne ebbi bisogno, conoscevo la voce.
Le sopracciglia di Jared erano basse sui suoi occhi; la bocca contorta in una strana smorfia. Tante emozioni gli attraversavano il viso. Rabbia, insolenza, confusione, odio, paura... dolore.
Il dottore lo guardò, stupito e incredulo. «Jared? C'è qualche problema?»
«Sì.»
Tutti restarono in attesa. Accanto a me Jeb sembrava sforzarsi di trattenere un ghigno. Aveva un senso dell'umorismo davvero strambo.
«E sarebbe?» domandò il dottore.
Jared rispose a denti stretti. «Ecco qual è il problema, Doc: che differenza c'è tra lasciarla in custodia a te o farle sparare un proiettile in testa da Jeb?»
Tremai. Jeb mi carezzò il braccio.
Il dottore sbarrò di nuovo gli occhi. «Be'...» fu la sua unica risposta.
Jared continuò. «La differenza è che se non altro, se ci pensa Jeb, sarà una morte pulita.»
«Jared.» La voce del dottore era suadente, con lo stesso tono che aveva usato con me. «Ogni volta impariamo qualcosa di nuovo. Magari questa è quella buona...»
Jared gli rise in faccia. «Non vedo tutti questi progressi, Doc.»
"Jared ci proteggerà" fu il pensiero fievole di Melanie.
Difficile trovare la concentrazione sufficiente per pensare qualche parola. "No, proteggerà soltanto il tuo corpo."
"È così vicino..." La sua voce sembrava giungere da chissà dove, fuori dalla mia testa pulsante.
Sharon fece un passo avanti, a nascondere parzialmente il dottore. Una posizione stranamente protettiva.
«Non ha senso sprecare un'occasione» disse fiera. «Ci rendiamo tutti conto che per te è difficile, Jared, ma in fin dei conti non sei tu a dover decidere. Bisogna pensare a ciò che è più utile alla maggioranza.»
Jared le lanciò un'occhiataccia. «No» ringhiò.
Malgrado fosse tutt'altro che un sussurro, quella parola risuonò debole nelle mie orecchie. All'istante, tutti i rumori si smorzarono. Le labbra di Sharon si muovevano, il suo dito puntava cattivo contro Jared, ma non sentivo altro che un fruscio basso.
Vidi i due fratelli dai capelli scuri avvicinarsi a Jared, infuriati. La mia mano cercò di alzarsi in segno di protesta, ma fu soltanto un breve spasmo. Il volto di Jared si accese, le sue labbra si aprirono e gli si gonfiò il collo, come se stesse urlando, ma io non sentii nulla. Jeb mi lasciò il braccio, e vidi il grigio opaco della canna del fucile oscillare al mio fianco. Mi allontanai dall'arma, benché non fosse puntata contro di me. Così persi l'equilibrio, e vidi la sala inclinarsi molto lentamente.
«Jamie» sussurrai, mentre la luce roteava via dai miei occhi.
Improvvisamente il volto di Jared mi fu vicinissimo, era chino su di me e mi guardava sprezzante.
«Jamie?» sibilai di nuovo. «Jamie?»
La voce burbera di Jeb rispose da lontano.
«Il ragazzo sta bene. Jared l'ha portato qui.»
Guardai l'espressione tormentata di Jared sparire in fretta nella nebbia scura che mi riempiva gli occhi.
«Grazie» sussurrai.
E poi sprofondai nel buio.