26

Il ritorno

Senza mai dare il mio assenso, finii per diventare un'insegnante, come voleva Jeb.

Le mie «lezioni» erano informali. Rispondevo alle domande ogni sera dopo cena. Scoprii che era l'unico modo per potermi concentrare sui miei doveri durante il giorno, senza che Ian, Doc e Jeb mi disturbassero. Ci ritrovavamo sempre in cucina; mi piaceva dare una mano a impastare il pane, mentre parlavo. Era una buona scusa per fare una pausa prima di rispondere alle domande difficili, e un modo per distogliere lo sguardo quando non volevo incrociare occhiate inopportune. Sembrava un buon compromesso; talvolta li disturbavo con le parole, ma con le azioni li aiutavo.

Non volevo ammetterlo, ma Jamie aveva ragione. Ovviamente non piacevo a nessuno. Impossibile: non ero una di loro. Jamie mi voleva bene, ma dietro c'era una specie di alchimia tutt'altro che razionale. Anche Jeb mi voleva bene, ma lui era matto. Gli altri non avevano alcun motivo di apprezzarmi.

No, non piacevo a nessuno. Ma le cose cambiarono dopo che iniziai a parlare.

La prima occasione in cui me ne accorsi fu dopo aver risposto alle domande di Doc, a cena; ero nella vasca buia a lavare i vestiti con Trudy, Lily e Jamie.

«Per favore, Wanda, mi passi il sapone?» domandò Trudy alla mia sinistra.

Una scossa percorse il mio corpo quando sentii una voce femminile pronunciare il mio nome. Intontita, le passai il sapone e mi sciacquai la mano per alleviare il bruciore.

«Grazie» aggiunse.

«Prego» mormorai. La mia voce si spezzò sull'ultima sillaba.

Il giorno dopo, mentre andavo a prendere Jamie prima di cena, incrociai Lily, in corridoio.

«Wanda» disse, con un cenno del capo.

«Lily» risposi, con la gola secca.

Di lì a poco, non furono più soltanto Doc e Ian a farmi le domande, di sera. Fui sorpresa di scoprire chi fossero i più coinvolti: lo stanco Walter, il viso coperto da un'inquietante ombra grigia, si innamorò dei Pipistrelli del Mondo che Canta. Heath, che di solito taceva e lasciava che fossero Trudy e Geoffrey a parlare per lui, era restato affascinato dal Mondo di Fuoco, e malgrado fosse una delle storie che amassi di meno, mi fece una valanga di domande, finché non ebbi chiarito ogni dettaglio che conoscevo. Lily era curiosa di meccanica e volle sapere delle astronavi che ci trasportavano di pianeta in pianeta, dei loro piloti, del carburante. Fu a lei che spiegai l'utilizzo dei crioserbatoi, oggetti che tutti avevano visto ma di cui non conoscevano l'utilizzo. Il timido Wes, che di solito si sedeva accanto a Lily, non domandò nulla degli altri pianeti, ma soltanto del suo. Come funzionava? Non c'erano più soldi né ricompense per il lavoro: come faceva la società delle anime a non crollare? Cercai di spiegargli che non era molto diverso dalla vita nella caverna. Non lavoravamo anche noi senza soldi, dividendoci equamente il frutto delle nostre fatiche?

«Sì» mi interruppe scuotendo la testa. «Ma qui è diverso: Jeb usa il fucile con chi batte la fiacca.»

Tutti guardarono Jeb, che fece l'occhiolino, e scoppiarono a ridere.

Jeb presenziava a quasi tutte le discussioni serali. Senza partecipare: si sedeva pensieroso in fondo alla stanza, e sorrideva di tanto in tanto.

Quanto al piacere dell'intrattenimento, aveva visto giusto: per certi aspetti, la situazione mi faceva pensare a quando ero tra le Alghe. Sul quel pianeta avevo ricevuto un titolo simile a quello di «Guaritore», «Consolatore» o «Cercatore»: ero una «Narratrice», e ciò mi aveva facilitato la transizione verso il ruolo di insegnante sulla Terra. In cucina, scesa l'oscurità, tra l'odore del fumo e del pane in forno, era quasi la stessa cosa. Tutti stavano immobili, quasi avessero le radici. Le mie storie erano una novità, qualcosa in più a cui pensare, rispetto al solito... le solite mansioni, uguali e cicliche, le solite trentacinque facce, gli stessi ricordi di altre facce che portavano con sé sempre lo stesso dolore, la paura e la disperazione che ormai erano compagne familiari. Così, la cucina divenne la sede delle mie lezioni improvvisate. Soltanto Sharon e Maggie si facevano notare per la propria testarda assenza.

Durante la mia quarta settimana da insegnante informale, la vita nelle caverne cambiò per l'ennesima volta.

La cucina era affollata come sempre. Jeb e Doc erano gli unici assenti, oltre alle solite due. Sul bancone, vicino a me, c'era una teglia di pagnotte lievitate. Erano pronte per il forno, occupato da un'altra teglia. Ogni cinque minuti Trudy controllava la cottura.

Spesso, quando capitava una delle storie che Jamie conosceva bene, cercavo di farlo parlare al mio posto. Adoravo guardare la sua espressione entusiasta, e il modo in cui gesticolava disegnando immagini nell'aria. Quella sera Heidi chiese di sapere qualcos'altro sui Delfini, perciò domandai a Jamie di rispondere alle domande, se se la sentiva.

C'era sempre un che di triste nei discorsi degli umani a proposito della nostra acquisizione più recente. Nei Delfini rivedevano le loro vicende durante i primi anni di occupazione. Gli occhi scuri di Heidi, affascinanti sotto la frangia di capelli biondo paglierino, si riempirono di compassione, quando fece le proprie domande.

«Più che a dei pesci somigliano a enormi lucciole, vero Wanda?» Jamie chiese subito conferma, ma non aspettò nemmeno che rispondessi. «Però la loro carne è coriacea, con tre, quattro, cinque paia di ali, a seconda dell'età, vero? Quindi, più o meno, è come se volassero nell'acqua: è acqua più leggera della nostra, meno densa. Hanno cinque, sette o nove zampe, a seconda del sesso, vero Wanda? Sono di tre sessi diversi. Hanno mani lunghissime con dita solide, forti, capaci di costruire qualsiasi cosa. Fabbricano città subacquee sfruttando certe piante dure, simili ad alberi. Ma non sono ancora al nostro livello, vero, Wanda? Non hanno mai fabbricato navi spaziali, o cose tipo i telefoni, per le comunicazioni. Gli umani erano più progrediti.»

Trudy estrasse la teglia di pagnotte cotte, e io mi chinai per infilare quelle lievitate nel buco caldo e fumoso. Mi occorse una piccola acrobazia per restare in equilibrio.

Mentre sudavo, davanti al forno, sentii l'eco di un trambusto proveniente da un altro punto delle caverne che riecheggiò in cucina e lungo il corridoio.

«Ehi!» urlò Jamie alle mie spalle, e mi voltai appena in tempo per vederlo correre fuori dalla porta.

Mi raddrizzai e feci per seguirlo, come mi suggeriva l'istinto.

«Aspetta» disse Ian. «Tornerà. Raccontaci dei Delfini.»

Ian era seduto sul ripiano accanto al forno e da quella posizione po chinarsi e sfiorarmi. Ritrassi la mano da quel contatto inaspettato, ma restai dov'ero.

«Che succede là fuori?» domandai. Sentivo ancora del chiacchiericcio e mi sembrava di riconoscere anche la voce agitata di Jamie.

Ian fece spallucce. «Chi lo sa? Magari Jeb...» e aggiunse una seconda scrollata di spalle, come se non gli interessasse granché scoprire il mistero. Ostentava tranquillità, ma nei suoi occhi c'era una tensione che non comprendevo.

Prima o poi avrei capito, perciò anch'io scrollai le spalle e iniziai a spiegare l'incredibile complessità dei rapporti familiari dei Delfini, mentre aiutavo Trudy a riempire di pane caldo i contenitori.

«Secondo la tradizione, sei dei nove... nonni, per così dire, restano accanto alle larve durante le prime fasi dello sviluppo, mentre i tre genitori lavorano insieme a sei dei propri nonni alla costruzione di una nuova ala dell'insediamento di famiglia, che i giovani occupano quando sono in grado di muoversi» risposi, quando sentii un'esclamazione all'altro capo della stanza. Continuai con la frase successiva, mentre osservavo i presenti. «E di solito, i tre nonni che restano vengono impiegati...»

Tutte le teste erano voltate verso l'uscita buia.

La prima cosa che vidi fu la sagoma slanciata di Jamie, stretto al braccio di qualcuno. Qualcuno ricoperto di fango dalla testa ai piedi, tanto che quasi si confondeva con la parete della grotta. Qualcuno di troppo alto per essere Jeb; e d'altronde, alle spalle di Jamie c'era proprio Jeb. Malgrado la distanza, vidi Jeb torvo, una smorfia sul viso, come in preda all'ansia, emozione rara, per lui. Allo stesso modo, notai sul viso di Jamie un'espressione di gioia pura.

«È arrivato il momento» mormorò Ian accanto a me, la sua voce appena udibile nel crepitio delle fiamme.

L'uomo a cui Jamie era ancora stretto fece un passo avanti. Alzò lentamente una mano, come fosse un riflesso involontario, e strinse il pugno.

Dalla sagoma sporca uscì la voce di Jared, impassibile, priva di qualsiasi inflessione. «E questo che significa, Jeb?»

Mi si chiuse la gola. Cercai di respirare senza risultato. Il mio cuore martellava irregolare.

"Jared!" L'esultanza di Melanie esplose in un grido silenzioso di soddisfazione. Riprese a pulsare nella mia mente. "Jared è tornato!"

«Wanda ci sta spiegando com'è l'universo» balbettò Jamie impaziente, forse inconsapevole della furia di Jared, o forse troppo entusiasta per prestare attenzione.

«Wanda?» ripe Jared con una voce bassa che era quasi un ringhio.

Altre sagome sporche gli si affiancarono in corridoio mormorando di disapprovazione.

Una testa bionda spuntò dalla folla impietrita. Paige si alzò in piedi. «Andy!» gridò e si fece strada, malsicura, tra chi le era seduto accanto. Uno degli uomini sporchi passò davanti a Jared e la prese al volo mentre quasi cadeva addosso a Wes. «Oh, Andy» singhiozzò, e il tono della sua voce mi ricordò quello di Melanie.

Lo scatto di Paige cambiò l'atmosfera per qualche istante. La folla silenziosa iniziò a mormorare e quasi tutti si alzarono in piedi. Era il brusio di benvenuto dei presenti che andavano a salutare i viaggiatori di ritorno a casa. Cercai di leggere le loro strane espressioni, mentre si sforzavano di sorridere e mi lanciavano occhiate furtive. Dopo pochi ma interminabili istanti capii che quelle strane espressioni erano di colpa.

«Andrà tutto liscio, Wanda» mormorò Ian sottovoce.

Gli lanciai uno sguardo inquieto e vidi la tensione nei suoi occhi accesi, mentre fissava i nuovi arrivati.

«Che diamine succede, gente?» tuonò un'altra voce.

Kyle - facilmente riconoscibile, malgrado il fango, per via della stazza - si fece strada sgomitando, passò davanti a Jared e venne verso... di me.

«Vi siete lasciati abbindolare dalle sue bugie? Siete impazziti? Oppure ha portato qui i Cercatori e adesso siete tutti parassiti?»

Tante teste si abbassarono, impaurite. In pochi ebbero il coraggio di sostenere lo sguardo: Lily, Trudy, Heath... e persino il fragile Walter.

«Calma, Kyle» disse quest'ultimo con la sua voce debole.

Kyle lo ignorò. Mi venne incontro a passi decisi, gli occhi cobalto luminosi come quelli del fratello e accesi di rabbia. Non riuscivo a guardarli, però, tornavo di continuo alla sagoma scura di Jared, cercando di leggerne l'espressione.

L'amore di Melanie mi invase come un lago che sfonda una diga mentre il barbaro infuriato si avvicinava.

Ian mi scivolò accanto per proteggermi. Allungai il collo per non perdere di vista Jared.

«Le cose sono cambiate durante la vostra assenza, fratello.»

Kyle si bloccò, incredulo. «Sono arrivati i Cercatori, Ian?»

«Non è pericolosa.»

Kyle serrò i denti, e con la coda dell'occhio lo vidi frugarsi in tasca.

Trasalii, nel timore che estraesse un'arma. «Non metterti in mezzo, Ian» dissi.

Ian non batté ciglio. Fui sorpresa di sentirmi così in ansia. Non era lo stesso istinto che mi faceva desiderare di proteggere Jamie o Jared, ma sentivo che Ian non doveva farsi male nel tentativo di salvarmi.

Kyle sparò un fascio di luce sul viso di Ian per qualche istante. Ian non si spostò di un centimetro.

«E allora?» domandò Kyle, riponendo la torcia nella tasca. «Non sei un parassita. Cosa vi è successo?»

«Calmati e te lo spiegheremo.»

«No.»

Non era stato Kyle a parlare, ma qualcuno alle sue spalle. Vidi Jared camminare lento verso di noi, in mezzo agli spettatori muti. A mano a mano che si avvicinava, con Jamie ancora aggrappato al suo braccio e sbalordito, ne percepii l'espressione nascosta dalla maschera di fango. Neanche a Melanie, malgrado il delirio di felicità di poco prima, sfuggì il suo sguardo disgustato.

Jeb aveva sprecato tempo concentrandosi sulle persone sbagliate. Non importava nulla che Trudy o Lily mi parlassero, che Ian fosse disposto a difendermi da Kyle, che Sharon e Maggie non azzardassero gesti ostili nei miei confronti. L'unico che andava convinto aveva ormai fatto la sua scelta.

«Non credo che sia il caso di calmarsi» disse Jared a denti stretti. «Jeb» aggiunse, «dammi il fucile.»

Il silenzio che seguì le sue parole fu carico di tensione.

Nel momento in cui decifrai la sua espressione, capii che era finita. Sapevo quale fosse il mio dovere, ormai; Melanie era d'accordo con me. In silenzio, mi allontanai da Ian quanto bastava. Poi chiusi gli occhi.

«Adesso non ce l'ho con me» biascicò Jeb.

Sbirciai Jared mentre si voltava di scatto a controllare che Jeb non mentisse.

Era furioso. «Bene» mormorò. Fece un altro passo verso di me. «Così sarà più lento, però. Sarebbe più umano se trovassi in fretta quel fucile.»

«Per favore, Jared, parliamone» disse Ian, impalato e deciso a non muoversi, malgrado conoscesse già la risposta.

«Abbiamo già parlato abbastanza» ruggì Jared. «Jeb mi ha lasciato la responsabilità, e ho deciso.»

Jeb si schiarì la gola rumorosamente. Jared si voltò di nuovo verso di lui guardandolo di sottecchi.

«Che c'è?» domandò. «La regola l'hai stabilita tu, Jeb.»

«Be', sì, è vero.»

Jared tornò a me. «Ian, spostati.»

«Alt, alt, aspetta un secondo» aggiunse Jeb. «Se non ti ricordi male, la regola dice che è chi ha dei legami con il corpo ospite a prendere la decisione.»

«E allora?» La vena sulla fronte di Jared pulsava.

«Penso che tra noi ci sia qualcuno che gode dei tuoi stessi diritti. Se non di più.»

Jared fissò il vuoto davanti a sé, pensieroso. Dopo alcuni istanti, capì e aggrottò le sopracciglia. Abbassò lo sguardo verso il ragazzo che ancora gli stringeva il braccio.

La gioia svanì dal volto di Jamie, che restò pallido e terrorizzato.

«Non puoi, Jared» esclamò. «Non è giusto. Wanda è buona. È amica mia! E Mel! Che ne sarà di Mel! Non puoi ucciderla! Ti prego! Devi...» Si interruppe, disperato.

Chiusi di nuovo gli occhi nel tentativo di cancellare dalla mente l'immagine del ragazzo che soffriva. Era quasi impossibile non corrergli incontro, ma non sarebbe servito.

«Perciò» disse Jeb, fin troppo disinvolto in un momento come quello, «vedi anche tu che Jamie non è d'accordo. Penso che abbia motivi validi quanto i tuoi.»

La risposta tardò ad arrivare.

Jared osservava l'espressione preoccupata e impaurita di Jamie.

«Come hai potuto lasciare che accadesse, Jeb?» sussurrò.

«C'è proprio bisogno di discutere» rispose Jeb. «Perché non ti fai una pausa, prima? Forse dopo un bagno ti sentirai più in vena di conversazioni.»

Con uno sguardo Jared trafisse il vecchio, con gli occhi pieni della sorpresa e dello sbalordimento di chi si sente tradito. Quello sguardo aveva eguali soltanto tra gli umani: Cesare e Bruto, Gesù e Giuda.

La tensione insopportabile proseguì per un altro minuto, finché Jared non scrollò via la stretta di Jamie.

«Kyle» abbaiò, dopodiché si voltò e uscì a grandi passi dalla stanza.

Kyle salutò il fratello con una smorfia e seguì Jared.

Gli altri membri della spedizione se ne andarono con loro in silenzio; soltanto Paige rimase a braccetto di Andy.

Quasi tutti gli altri umani, quelli che avevano chinato la testa vergognandosi di avermi ammessa in loro compagnia, uscirono alla spicciolata. Restarono soltanto Jamie, Jeb e Ian accanto a me, e poi Trudy, Geoffrey, Heath, Lily, Wes e Walter.

Nessuno aprì bocca finché l'eco dei passi non svanì nel silenzio.

Ian sospirò di sollievo. «Che rischio. Bella pensata, Jeb.»

«Ispirata dalla disperazione. Ma non siamo ancora fuori pericolo.»

«Vuoi che non lo sappia? Spero che tu non abbia lasciato il fucile in un posto scontato.»

«Certo che no. Sapevo che prima o poi sarebbe andata così.»

«È già qualcosa.»

Jamie tremava. Circondata da quelli che potevo considerare amici, mi sentii autorizzata ad avvicinarmi a lui. Mi cinse i fianchi con un abbraccio, e sfiorai la sua schiena con mano tremante.

«Va tutto bene» mentii, sospirando. «Va tutto bene.» Anche uno stupido si sarebbe accorto di quanto fosse falsa la mia voce, e Jamie non era stupido.

«Non ti farà del male» disse con voce rotta e lottando contro le lacrime. «Non glielo permetterò.»

«Stai tranquillo» mormorai.

Ero sconvolta. Jared aveva ragione: com'era possibile che Jeb avesse permesso tutto ciò? Se mi avessero uccisa il primo giorno, prima che Jamie mi vedesse... Oppure quando Jared mi teneva isolata da tutti, prima che io e Jamie diventassimo amici... O se avessi tenuto chiuso il becco a proposito di Melanie... Ormai era troppo tardi. Strinsi forte a me il ragazzo.

Melanie era altrettanto turbata. "Povero piccolo."

"Te l'ho detto che era una cattiva idea rivelargli tutto" le ricordai.

"Come la prenderà, quando moriremo?"

"Sarà terribile. Resterà traumatizzato, ferito, devastato..."

Melanie mi interruppe. "Basta. Lo so, lo so. Ma noi, cosa possiamo fare?"

"Evitare di morire, direi."

Pensammo alle possibilità di sopravvivenza, disperate.

Ian diede una pacca sulle spalle a Jamie.

«Non crucciarti troppo, ragazzo» disse. «Non sei solo.»

«Sono soltanto spaventati.» Riconobbi il contralto della voce di Trudy. «Quando riusciremo a spiegare, capiranno le nostre ragioni.»

«Ma quali ragioni? A uno come Kyle?» sibilò qualcuno.

«Sapevamo che sarebbe accaduto» mormorò Jeb. «Dobbiamo sopportare. Passerà la tempesta.»

«Forse è meglio che tu recuperi il fucile» suggerì calma Lily. «Può darsi che sia una lunga notte. Wanda può stare con me e Heidi.»

«Secondo me è meglio nasconderla da un'altra parte» commentò Ian. «Che ne dite dei tunnel meridionali? La terrò d'occhio io. Jeb, mi dai una mano?»

«Laggiù non la cercheranno.» La frase di Walter fu un lieve sospiro.

Wes si sovrappose all'ultima parola di Walter. «Vengo anch'io con te, Ian. Sono in sei.»

«No» riuscii finalmente a dire. «No. Non è giusto. Non dovete combattere fra di voi. Questa è casa vostra, Vivete assieme. Non dovete litigare per colpa mia.»

Mi sciolsi dall'abbraccio di Jamie, stringendogli i polsi quando fece per fermarmi.

«Ho bisogno di stare un po' da sola» dissi, ignorando gli sguardi che sentivo addosso. Mi voltai verso Jeb. «E per voi è meglio discutere senza che vi ascolti. Non è giusto parlare di strategia davanti al nemico.»

«Non fare così» disse Jeb.

«Ho bisogno di riflettere.»

Mi allontanai da Jamie. Qualcuno mi strinse una spalla, spaventandomi.

Era soltanto Ian. «Non è una buona idea vagabondare tutta sola.»

Mi chinai verso di lui, cercando di parlare a bassa voce per non farmi sentire da Jamie. «Perché posticipare l'inevitabile? Sarà più dura o più facile per lui?»

La risposta pensavo di conoscerla. Sfuggii alla presa di Ian e iniziai a correre verso l'uscita.

«Wanda!» urlò Jamie alle mie spalle

Qualcuno lo zittì all'istante. Non sentivo passi dietro di me. Forse avevano avuto il buon senso di lasciarmi andare.

Il corridoio era buio e deserto. Con un po' di fortuna e con l'aiuto dell'oscurità sarei riuscita a tagliare lungo il bordo della grande piazza coltivata senza farmi vedere.

In tutto il tempo trascorso là sotto, l'unica cosa che non avevo mai scoperto era l'uscita. Avevo la sensazione di avere percorso ogni galleria, di aver esplorato ogni fenditura, spinta dalla curiosità. Ci ripensai, mentre strisciavo negli angoli più profondi della caverna più grande. Dov'era l'uscita? Se l'avessi scoperta, sarei riuscita ad andarmene?

Non trovai nulla per cui valesse la pena di scappare, di sicuro non il deserto, ma nemmeno la Cercatrice, il Guaritore, né la Consolatrice o un'esistenza che ricordavo così vuota. Tutto ciò di cui mi importava davvero era a portata di mano. Jamie. Persino Jared, lo stesso che voleva uccidermi. Non riuscivo a immaginare di abbandonarli.

E poi Jeb, e Ian. Ormai avevo degli amici. Doc, Trudy, Lily, Wes, Walter, Heath. Strani esseri umani capaci di vedere oltre ciò che ero, e di capire che nessuno li obbligava a uccidermi. Forse erano soltanto curiosi, e tuttavia decisi a difendermi dal resto della famiglia di sopravvissuti a cui appartenevano. Scossi la testa, incredula, mentre sfioravo la roccia nuda con le mani.

All'altro capo della caverna sentivo gli altri. Non mi fermai; non potevano vedermi, e avevo trovato la fenditura che cercavo.

Dopotutto, mi restava soltanto un luogo in cui rifugiarmi. Mi ci sarei nascosta anche se avessi azzeccato la via d'uscita. Strisciai nell'oscurità più profonda che potevo immaginare, sempre più svelta.