Epilogo
Il nuovo inizio
La vita e l'amore continuarono, nell'ultimo avamposto umano sul pianeta Terra, ma qualcosa era cambiato.
Io per prima.
Non ero mai nata due volte nella stessa specie. Il cambiamento mi risultò molto più difficile della transizione fra pianeti, perché nutrivo già certe aspettative nei confronti dell'esistenza umana. Inoltre avevo ereditato parecchi tratti da Petali Aperti alla Luna, e non tutti erano pregi.
Avevo ereditato un dolore sconfinato per Tessitrice di Nuvole. Sentivo la mancanza di una madre che non avevo mai conosciuto, e compiangevo la sua sofferenza. Forse era impossibile ottenere la gioia, su questo pianeta, senza provocare un dolore che andasse a compensare qualcos'altro.
Ereditai limitazioni impreviste. Ero abituata a un corpo forte, veloce e alto, capace di correre per chilometri, fare a meno di cibo e acqua, sollevare carichi, e raggiungere i ripiani più distanti. Il mio nuovo corpo era più delicato, non soltanto fisicamente. Provava fitte di timidezza paralizzante ogni volta che mi veniva un dubbio, il che avveniva con una certa frequenza.
Ereditai un ruolo diverso nella comunità degli umani. Ora gli altri trasportavano i carichi al posto mio e mi lasciavano entrare per prima nelle stanze. Mi affidavano i compiti più leggeri, e finivano quasi sempre per occuparsene di persona. E peggio ancora, avevo bisogno del loro aiuto. I miei muscoli erano deboli, disabituati al lavoro manuale. Mi stancavo in fretta, nessuno prestava fede ai miei tentativi di nasconderlo. Probabilmente non sarei riuscita a correre per più di due chilometri senza fermarmi.
Non era soltanto la mia debolezza fisica a garantirmi un trattamento di riguardo, però. Ero abituata a un viso bello, ma capace di scatenare paura, sfiducia, persino odio in chi lo guardava. Il mio nuovo volto annullava simili emozioni.
Tutti mi sfioravano spesso le guance, o mi alzavano il mento con un dito per guardarmi meglio. Ricevevo un sacco di carezze sulla testa (a portata di mano, perché ero la più bassa, esclusi i bambini), e mi sentivo accarezzare i capelli così spesso che finii per non accorgermene più. In questo non c'era differenza tra i miei amici e chi non mi aveva mai accettata. La stessa Lucina abbozzò solo una debole protesta quando i suoi figli iniziarono a seguirmi come due cuccioli adoranti. Freedom in particolare mi saltava in braccio ogni volta che poteva, e affondava il viso tra i miei capelli. Isaiah era troppo grande per certe dimostrazioni d'affetto, ma gli piaceva tenermi per mano - grande come la sua - mentre chiacchierava entusiasta di Ragni, Draghi, calcio e missioni. I bambini non osavano ancora avvicinarsi a Melanie; a suo tempo, la madre li aveva spaventati a dovere, e le sue rassicurazioni non valsero più nulla.
Persino Maggie e Sharon, malgrado cercassero di non rivolgermi mai la parola, non riuscivano a restare rigide come un tempo, in mia presenza.
Il mio corpo non fu l'unico cambiamento. Il monsone, in ritardo, raggiunse il deserto, per la mia felicità.
Non avevo mai sentito l'odore della pioggia e del creosoto - avevo un vago ricordo, ereditato da Melanie, un barlume debolissimo - e ora quel profumo inondava le grotte umide, riempiendole di una fragranza fresca e quasi speziata. Mi si appiccicava ai capelli e mi seguiva ovunque. Lo sentivo anche in sogno.
Inoltre, Petali Aperti alla Luna era cresciuta a Seattle, perciò le distese di azzurro ininterrotto del cielo e il calore soffocante pesavano sul mio organismo - quasi lo tramortivano - come i cieli nuvolosi e gonfi di pioggia sugli abitanti del deserto. Le nuvole erano divertenti, un bel cambiamento rispetto al celeste banale e anonimo. Avevano profondità e movimento. Disegnavano immagini nel cielo.
Le grotte di Jeb andavano riorganizzate dalla prima all'ultima, e il trasferimento nella grande stanza dei giochi - trasformata in dormitorio comune - fu un preludio ben accetto ai cambiamenti definitivi in arrivo.
C'era bisogno di tutti gli alloggi, nessuna stanza poteva rimanere vuota. Tuttavia, soltanto le nuove arrivate, Candy - che aveva finalmente ricordato il proprio nome - e Lacey, accettarono di occupare il vecchio alloggio di Wes. Provai compassione per Candy, vista la coinquilina che si ritrovava, ma la Guaritrice non mostrò alcun dispiacere.
Terminate le piogge, Jamie si sarebbe trasferito in un angolo libero nella grotta di Brandt e Aaron. Melanie e Jared l'avevano cacciato e costretto a trasferirsi da Ian prima della mia rinascita; Jamie non era più così piccolo da godere di attenuanti.
Kyle stava cercando di ampliare la stretta fenditura che aveva fatto da stanza a Walter, in tempo per il ritorno della stagione secca. Poteva contenere una persona, ma Kyle non era intenzionato a viverci da solo.
Di notte, nella stanza dei giochi, Sole si raggomitolava contro il petto di Kyle, come un gatto amico di un cagnone, un rottweiler di cui si fidava ciecamente. Sole era sempre assieme a Kyle. Non ricordavo di averli visti lontani, da quando avevo aperto per la prima volta i miei occhi d'argento.
Kyle sembrava sempre sulle nuvole, troppo distratto dalla sua relazione impossibile per concentrarsi o prestare attenzione a qualcos'altro. Non intendeva rinunciare a Jodi, ma quando Sole gli si faceva accanto, la teneva stretta con il più delicato degli abbracci.
Prima delle piogge, ogni spazio era occupato, perciò rimasi con Doc nell'ambulatorio di cui non avevo più paura. Le brande non erano comode, ma era un luogo molto interessante. Candy ricordava i particolari della vita di Alba Melodiosa meglio della propria; l'ambulatorio era diventato un luogo di miracoli.
Dopo le piogge, Doc avrebbe smesso di dormire in ambulatorio. La prima notte nella stanza dei giochi, Sharon aveva avvicinato il proprio materasso a quello di Doc senza proferire parola. Forse era stato il fascino che la Guaritrice esercitava su Doc a farla decidere, ma dubito che Doc si fosse mai accorto di quanto fosse carina quella donna già matura; ad affascinarlo erano le sue fenomenali conoscenze. O forse, Sharon era semplicemente pronta a perdonare e dimenticare. Speravo che fosse così. Era bello pensare che persino Sharon e Maggie potessero ammorbidirsi, con il tempo.
Neanch'io sarei tornata in ambulatorio.
La conversazione cruciale con Ian non sarebbe mai avvenuta, non fosse stato per Jamie. Ogni volta, mi bastava pensare di affrontarla per sentirmi seccare la bocca e sudare le mani. E se i miei sentimenti, in ambulatorio, quei brevi momenti di certezza che avevano seguito il mio risveglio, fossero stati una semplice illusione? Se i miei ricordi fossero stati sbagliati? Sapevo che per me non era cambiato niente, ma come potevo essere certa che anche per Ian fosse così? Il corpo di cui era stato innamorato era ancora presente!
Mi aspettavo che fosse disorientato, come tutti. Se era difficile per me, un'anima abituata a simili cambiamenti, quanto poteva esserlo per gli umani?
Mi sforzavo di mettere da parte ciò che restava della gelosia che ancora provavo per Jared. Ian era il compagno giusto per me, ma talvolta mi sorprendevo a fissare Jared, e mi sentivo confusa. Avevo anche visto Melanie sfiorare il braccio o la mano di Ian e poi ritrarsi come ricordandosi chi fosse all'improvviso. Persino Jared, che aveva minor margine di dubbio, a volte incrociava il mio sguardo confuso con le sue occhiate curiose. E Ian... ma certo per lui era difficile. Lo capivo bene.
Eravamo sempre assieme, quasi come Kyle e Sole. Ian mi sfiorava di continuo le guance e i capelli, mi teneva per mano. Agli altri sembrava un semplice rapporto platonico: non mi aveva più baciata come il primo giorno.
Forse non riusciva ad amarmi, nel mio nuovo corpo, malgrado il fascino che sembravo esercitare su tutti gli altri umani.
Sentivo quella preoccupazione pesarmi sul cuore, la notte in cui Ian trasportò la mia branda - era troppo pesante per me - nella grande e buia stanza dei giochi.
Era la prima pioggia dopo più di sei mesi. Tra risate e lamentele, tutti sbattevano i propri materassi umidi e si preparavano al sonno. Vidi Sharon accanto a Doc, e sorrisi.
«Quaggiù, Wanda» esclamò Jamie, e con un cenno indicò il luogo in cui aveva appena depositato il proprio materasso, accanto a quello di Ian. «C'è spazio per tutti e tre, ora.»
Jamie era l'unico che mi trattava quasi come prima. Si mostrava comprensivo con il mio fisico esile, ma non sembrava mai sorpreso di vedermi entrare in una stanza, o stupito che le parole di Viandante uscissero dalle mie labbra.
«Non dirmi che vuoi restare su quella branda, eh? Scommetto che se uniamo i materassi possiamo starci tutti e tre.» Jamie mi sorrise e scalciò un materasso contro l'altro senza aspettare il mio consenso. «Tu non occupi tanto spazio.»
Prese la branda da Ian e la allontanò. Poi si allungò sul bordo del materasso più lontano da noi e ci voltò le spalle.
«Oh, dimenticavo, Ian» aggiunse senza girarsi. «Ho parlato con Brandt e Aaron, penso che mi trasferirò da loro. Be', io sono esausto. 'Notte, ragazzi.»
Fissai la sagoma immobile di Jamie per qualche istante. Ian era altrettanto immobile. Cercava una maniera di districarsi da quella situazione?
«Spegnere le luci» tuonò Jeb dall'altro capo della stanza. «Chiudete la ciabatta, che ho bisogno di fare un pisolino.»
Tutti risero, ma come sempre lo presero sul serio. Una dopo l'altra, le quattro lampade si spensero, e nella stanza calò il buio.
La mano di Ian trovò la mia; era calda. Aveva notato quanto fosse fredda e sudata la mia pelle?
Si lasciò cadere in ginocchio sul materasso, attirandomi a sé con delicatezza. Lo seguii, e mi allungai tra un materasso e l'altro. La mia mano nella sua.
«Tutto bene?» sussurrò Ian.
«Sì, grazie» risposi.
Ian era più vicino di quanto immaginassi. Con un sussulto impercettibile lo sfiorai, poi cercai di fargli spazio. All'istante mi circondò con un braccio e mi strinse a sé.
Era la più strana delle sensazioni; sentirmi abbracciare da Ian in quel modo sensuale mi ricordò della mia prima esperienza con l'Anti-dolore. Soffrivo senza rendermene conto, e il contatto con lui cancellò ogni patimento.
E con esso, la mia timidezza. Mi voltai in modo da averlo di fronte a me, e lui aumentò la stretta.
«Tutto bene?» sussurrai.
Mi baciò la fronte.
«Più che bene.»
Per qualche minuto restammo in silenzio. Quasi tutte le altre conversazioni si erano spente. Avvicinò le labbra al mio orecchio sussurrando più piano di prima. «Wanda, pensi che...?» Si interruppe.
«Cosa?»
«Be', a quanto pare ho una stanza tutta per me. Non è giusto.»
«No. È grossa abbastanza solo per te.»
«Non voglio restare solo. Però...»
Perché non me lo chiedeva? «Però cosa?»
«Sei riuscita a pensarci un po' su? Non voglio metterti fretta. So che sei confusa... a proposito di Jared...»
Impiegai un istante a capire cosa voleva dirmi, e reagii con un risolino soffocato. In genere, Melanie non si lasciava andare, Luna invece sì, e il suo corpo mi tradiva nei momenti meno opportuni.
«Che c'è?» domandò Ian.
«Ero io ad aspettare che ci pensassi su» bisbigliai. «Non volevo metterti fretta, perché so che sei confuso. A proposito di Melanie.»
Un sobbalzo impercettibile, di sorpresa. «Pensavi...? Ma Melanie non sei tu, non mi sono mai sentito confuso.»
Sorridevo nel buio. «E tu non sei Jared.»
Rispose circospetto. «Resta pur sempre Jared. E tu lo ami.»
Era ancora geloso? Non avrei dovuto lasciarmi lusingare da un'emozione negativa, ma dovevo ammettere che mi gratificava.
«Jared è il passato, un'altra vita. Tu sei il mio presente.»
Tacque per un momento. Quando riprese a parlare, la sua voce era gonfia di emozione. «E il tuo futuro, se lo vuoi.»
«Sì, te ne prego.»
Mi baciò nella maniera meno platonica possibile, in mezzo alla calca, mentre ripensavo con eccitazione alla mossa smaliziata e spontanea con cui avevo aggiunto un anno alla mia età.
Terminata la stagione delle piogge, Ian sarebbe diventato il mio compagno, nel vero senso della parola. Era una promessa, un impegno al quale non mi ero mai sottoposta, in tutte le mie vite. Ripensarci mi riempiva di gioia, di ansia, di timidezza e di impazienza... mi faceva sentire umana.
Presa quella decisione, io e Ian diventammo più inseparabili che mai. Perciò, quando venne il giorno di mettere alla prova il mio nuovo viso tra le anime, ovviamente mi seguì.
La missione fu un sollievo, dopo settimane interminabili e frustranti. Oltretutto, il mio nuovo corpo era debole e pressoché inutile nelle caverne; non potevo credere che gli altri non volessero lasciarmelo sfruttare nell'unica attività per cui era tagliato.
Jared aveva approvato la scelta di Jamie proprio grazie a quel volto ingenuo e vulnerabile di cui nessuno poteva dubitare, a una costituzione delicata che tutti avrebbero voluto proteggere, ma persino lui dovette sforzarsi per mettere in pratica le sue teorie. Ero certa che uscire in missione, per me, sarebbe stato facile come sempre, ma Jared, Jeb, Ian e gli altri - tutti tranne Jamie e Mel - ne discussero per giorni, in cerca di un'alternativa al mio impiego. Fu ridicolo.
Li vidi adocchiare Sole, che però era un'incognita di cui non ci si poteva fidare. Soprattutto, la ragazza non aveva la minima intenzione di mettere il naso all'esterno. La parola «missione» la riempiva di terrore. Kyle non ci avrebbe accompagnati; quando gliene aveva parlato, Sole aveva avuto una reazione isterica.
Alla fine, il buon senso la ebbe vinta. C'era bisogno di me.
Era bello sentirsi desiderati.
Le scorte stavano diminuendo; il viaggio sarebbe stato lungo e difficoltoso. Jared guidava la pattuglia, come sempre, il che implicava la presenza di Melanie. Aaron e Brandt si offrirono volontari; non che avessimo davvero bisogno di muscoli, ma non ne potevano più di restare al chiuso.
Partivamo per il nord: non vedevo l'ora di conoscere posti nuovi, e di sentire il freddo.
Nel nuovo corpo, l'entusiasmo spesso mi sopraffaceva. Mentre di notte raggiungevamo la frana che nascondeva il furgone e il camion mi sentivo agitata e su di giri. Ian rise di me perché non riuscivo a stare ferma, mentre caricavamo i vestiti e il resto delle provviste. Disse che se non mi avesse tenuta per mano sarei volata via.
Improvvisamente, accadde qualcosa.
Ero stata troppo rumorosa? Troppo distratta? No, certo che no. Non era colpa mia, e non potevo farci niente. Era una trappola, e quando vi entrammo era già troppo tardi.
Restammo impietriti di fronte ai fasci di luce sottili che sbucarono dall'oscurità, puntati sul volto di Jared e Melanie. Il mio volto, i miei occhi, quelli che avrebbero potuto aiutarci, rimasero al buio, nascosti nell'ombra delle spalle larghe di Ian.
Non fui accecata dalle torce, e al chiaro di luna si vedeva distintamente che i Cercatori erano più numerosi di noi, otto contro sei. Percepii lo scintillio delle armi che stringevano, alzate e puntate contro di noi. Contro Jared e Mel, Brandt e Aaron - il nostro unico fucile non ancora sfoderato - più una proprio al centro del petto di Ian.
Perché avevo lasciato che venisse con me? Perché doveva morire anche lui? Le domande disperate di Lily riecheggiarono nella mia testa: Perché l'amore e la vita continuano? Che senso ha?
Il mio cuore piccolo e delicato si infranse in un milione di pezzi, e cercai svelta la capsula che tenevo in tasca.
«Fermi tutti, e restate calmi» disse l'uomo al centro del gruppo dei Cercatori. «Aspetta, aspetta, non ingoiare niente! Santo cielo, datevi una calmata! No, guardate!»
L'uomo puntò la torcia verso i propri occhi.
Il suo volto era abbronzato dal sole e segnato come una pietra erosa dal vento. I capelli neri, con ciocche bianche sulle tempie, formavano un cespuglio di riccioli spettinati. E i suoi occhi erano marrone scuro. Soltanto marrone scuro, niente di più.
«Visto?» disse. «Okay, voi non sparate a noi, noi non spariamo a voi. Visto?» Puntò il fucile verso terra. «Forza, ragazzi» disse, e i suoi compagni infilarono le armi nelle fondine, sui fianchi, sulla schiena, sulla caviglia... erano armati fino ai denti.
«Abbiamo trovato il nascondiglio - molto intelligente, è stato un colpo di fortuna - e deciso di aspettarvi, per fare la vostra conoscenza. Non capita tutti i giorni di scoprire un altro gruppo di ribelli.» Rise di gusto, soddisfatto. «Ma guarda che facce! Che? Pensavate di essere gli unici rimasti a darci dentro?» esplose in un'altra risata.
Non ci eravamo spostati di un millimetro.
«Mi sa che sono sotto shock, Nate» disse un altro uomo.
«Li abbiamo quasi ammazzati di spavento» aggiunse una donna. «Cosa ti aspettavi?»
Attesero impazienti una nostra reazione.
Jared fu il primo a riprendersi. «E voi chi siete?» sussurrò.
Il capogruppo rise di nuovo. «Io sono Nate, felice di conoscerti, e scusa se ti abbiamo spaventato. Questi sono Rob, Evan, Blake, Tom, Kim e Rachel, accanto a me.» Indicò i componenti del gruppo, e gli umani annuirono man mano che li presentava. Notai un uomo, in disparte, su cui Nate non si soffermò. Aveva capelli crespi di un rosso brillante, che spiccavano anche perché era il più alto del gruppo. Sembrava l'unico disarmato. Per di più, mi fissava curioso, e fui costretta a distogliere lo sguardo. «Ma in tutto siamo ventidue» aggiunse Nate. E allungò una mano.
Jared trasse un lungo respiro e fece un passo avanti. Quando lo vedemmo muoversi, ci rilassammo tutti.
«Io sono Jared.» Strinse la mano a Nate, e abbozzò un sorriso. «Questi sono Melanie, Aaron, Brandt, Ian e Wanda. In tutto siamo trentasette.»
Quando Jared pronunciò il mio nome, Ian si spostò in modo da nascondermi alla vista degli altri umani. Solo in quel momento mi resi conto di trovarmi nello stesso pericolo, in cui sarebbero stati loro davanti ai Cercatori. Come pochi istanti prima. Cercai di restare perfettamente immobile.
Nate fu stupito dalla rivelazione di Jared e sbarrò gli occhi. «Caspita, è la prima volta che qualcuno mi batte.»
Toccò a Jared rimanere stupito. «Ne avete trovati altri?»
«Per quanto ne sappiamo ci sono altre tre cellule, oltre alla nostra. Gli undici di Gail, i sette di Russel e i diciotto di Max. Siamo in contatto. Di tanto in tanto riusciamo persino a fare qualche scambio.» Di nuovo la risata. «La piccola Ellen, di Gail, ha deciso che voleva fare compagnia al mio Evan, e Carlos è andato con Cindy, che sta da Russell. E ovviamente, tutti hanno bisogno di Burns, quando capita...» Si interruppe di scatto e lanciò uno sguardo imbarazzato, come se avesse detto una parola di troppo. Il suo sguardo corse all'uomo dai capelli rossi nelle retrovie, che non staccava gli occhi da me.
«Tanto vale che ne parliamo subito» disse l'uomo minuto e scuro accanto a Nate.
Nate diede uno sguardo sospettoso al nostro piccolo schieramento. «Okay. Ha ragione Rob. Affrontiamo la questione.» Respirò a fondo. «Ora, rilassatevi e stateci a sentire. Con calma, per favore. Qualcuno potrebbe restarci male.»
«Come sempre» mormorò l'uomo di nome Rob. La sua mano corse alla fondina all'altezza della caviglia.
«Cosa?» domandò Jared imperturbabile.
Nate sospirò e fece un cenno all'uomo dai capelli rossi. Quello avanzò, con un sorriso imbarazzato sulle labbra. Aveva le lentiggini, come me, ma erano migliaia. Talmente fitte che la sua pelle diafana sembrava più scura. I suoi occhi erano neri, o forse blu profondo.
«Questo è Burns. È uno dei nostri, quindi non perdete la testa. È il mio migliore amico, mi ha salvato la vita un centinaio di volte. È uno di famiglia, e non ci piace che si tenti di ucciderlo.»
Una delle donne estrasse lentamente un fucile dalla custodia e lo puntò verso la sabbia.
Il rosso aprì bocca e per la prima volta parlò, con una voce tenorile, educata e distinta. «No, Nate, non preoccuparti. Vedi? Ne hanno una anche loro.» Indicò deciso me, e Ian si irrigidì. «A quanto pare non sono l'unico a essersi trasformato in un indigeno.»
Burns mi sorrise, attraversò lo spazio vuoto, la terra di nessuno fra le due tribù, e mi offrì una stretta di mano.
Io passai oltre Ian, e nella mia improvvisa sicurezza ignorai l'avvertimento che cercò di trasmettermi.
Mi piaceva la definizione. Ero un'indigena.
Burns si fermò davanti a me, chinandosi quanto bastava a compensare la notevole differenza di altezza. Presi la sua mano - dura e callosa, in confronto alla mia - e la strinsi.
«Brucia Fiori Viventi» si presentò.
Sbarrai gli occhi. Veniva dal Mondo di Fuoco... che sorpresa.
«Viandante» risposi.
«È... straordinario fare la tua conoscenza, Viandante. E dire che pensavo di essere l'unico.»
«Ti sbagli» risposi, pensando a Sole, giù nelle caverne. Forse eravamo più numerosi di quanto pensassimo.
Alzò un sopracciglio, incuriosito dalla risposta.
«Davvero?» disse. «Be', vuol dire che c'è ancora speranza per questo pianeta.»
«Che mondo strano» mormorai, più a me stessa che all'altra anima indigena.
«Sì, il più strano di tutti.»
FINE