31
L'agonia
Restai impietrita e controllai che non ci fosse nessuno alle mie spalle.
«Gladys era sua moglie» fu il sussurro appena percettibile di Jamie. «Non è riuscita a fuggire.»
«Gladys» disse Walter, ignorando la mia reazione. «Ci credi che mi è venuto il cancro? Non l'avresti mai detto, eh? Mai preso un giorno di malattia in tutta la vita...» La sua voce svanì, ma le labbra continuavano a muoversi. Era troppo debole per alzare la mano; mosse faticosamente le dita verso il bordo del lettino, verso di me.
Ian mi diede una spintarella.
«Cosa devo fare?» sussurrai. Il sudore mi imperlava la fronte.
«... Il nonno è morto a centouno anni» sibilò Walter. «Nessun mio parente ha mai avuto il cancro, nemmeno i cugini. Era tua zia Regan quella con il tumore alla pelle?»
Sperava in una mia risposta. Ian mi pizzicò la schiena.
Farfugliai qualcosa.
«Forse era la zia di Bill» commentò Walter.
Lanciai uno sguardo spaventato a Ian, che scrollò le spalle. «Aiuto» bisbigliai.
Mi indicò di prendere la mano di Walter.
La sua pelle era bianca e trasparente. Riuscivo a cogliere le pulsazioni deboli del sangue, sul dorso delle mani. Ne sollevai una con cautela, preoccupata delle ossa sottili che secondo Jamie erano tanto fragili. Sembrava troppo leggera, persino vuota.
«Ah, Gladdie, è stata dura senza di te. Qui si sta bene; ti piacerà, anche senza di me. Un sacco di persone con cui parlare... so che ti piace chiacchierare...» La sua voce si affievolì fino a perdersi, ma con le labbra sillabava le parole che voleva affidare a sua moglie. La bocca continuò a muoversi anche quando Walter chiuse gli occhi e chinò la testa di lato.
Ian afferrò un panno umido e lo strofinò sul suo volto sudato.
«Non sono brava a... fingere» sussurrai, senza farmi sentire da Walter. «Non voglio deluderlo.»
«Non devi dire niente» mi rassicurò Ian. «Non è abbastanza lucido per capire.»
«Le somiglio?»
«Neanche un po', ho visto la foto. Rossa e tarchiata.»
«Dai, lascia fare a me.» Ian mi passò il panno, e iniziai a detergere il sudore dal collo di Walter. Tenermi impegnata mi aiutava a rilassarmi. Walter continuò a borbottare. Mi parve di sentirlo dire: «Grazie, Gladdie, così va meglio».
Non mi accorsi che Doc aveva smesso di russare. All'improvviso sentii la sua voce familiare alle spalle, troppo delicata per spaventarmi.
«Come va?»
«Sta delirando» sussurrò Ian. «Colpa del brandy o del dolore?»
«Più del dolore, temo. Darei un braccio per avere della morfina.»
«Magari Jared sfodera un altro miracolo» suggerì Ian.
«Magari» sospirò Doc.
Accarezzai il volto pallido di Walter, attenta alla conversazione, ma di Jared non parlarono più.
"Non è qui" sussurrò Melanie.
"Cerca aiuto per Walter" confermai.
"Da solo" concluse.
Ripensai al nostro ultimo incontro, al bacio, alla convinzione... "Forse voleva stare un po' da solo."
"Spero che non si sia nascosto chissà dove a convincersi che sei soltanto una superba Cerca-attrice..."
"Anche questo è possibile."
Ian e Doc parlavano a bassa voce senza un filo logico; più che altro Ian aggiornava il dottore sulla vita quotidiana nelle caverne.
«Cosa è successo alla faccia di Wanda?» sussurrò Doc.
«Il solito» rispose Ian circospetto.
Doc schioccò la lingua infastidito.
Ian gli raccontò della mia ultima, goffa lezione, e delle domande di Geoffrey.
«Se Melanie fosse stata posseduta da un Guaritore avremmo potuto cavarcela» commentò Doc.
Trasalii, ma erano alle mie spalle e probabilmente non se ne accorsero.
«È già una fortuna averla con noi» mormorò Ian per difendermi. «Nessun altro...»
«Lo so» lo interruppe Doc, bonario come sempre. «Forse avrei dovuto dire che è un peccato, che Wanda non si sia mai interessata di medicina.»
«Mi dispiace» mormorai. In effetti, era stata una leggerezza godere di una salute perfetta senza mai cercare di capirne le cause.
Una mano mi sfiorò la spalla. «Non devi dispiacerti di nulla» disse Ian.
Jamie non apriva bocca. Lo cercai con lo sguardo e lo vidi raggomitolato sulla barella dove Doc si era riposato.
«È tardi» commentò il dottore. «Walter continuerà così fino a mattina. Fossi in voi andrei a dormire.»
«Torneremo» promise Ian. «Facci sapere se vi serve qualcosa.»
Posai la mano di Walter e la carezzai con cautela. Spalancò gli occhi, mettendomi a fuoco con un filo di lucidità.
«Te ne vai?» sibilò. «Già devi andare?»
Ripresi la sua mano. «No, non devo.»
Sorrise e chiuse gli occhi. Strinse debolmente le sue dita intorno alle mie.
Ian sospirò.
«Puoi andare» gli dissi. «Non è un problema. Accompagna Jamie a letto.»
Ian si guardò attorno. «Aspetta un attimo» disse, e afferrò la branda più vicina. Non era pesante: la sollevò facilmente e la sistemò accanto a quella di Walter. Mi inarcai più che potevo per consentirgli di farla scorrere sotto di me senza abbandonare la mano del malato. Poi Ian mi afferrò con altrettanta scioltezza e mi fece accomodare sul lettino. Lo sguardo di Walter rimase assente. Io boccheggiavo, presa in contropiede dal gesto spontaneo di Ian che mi aveva afferrata come fossi umana.
Ian osservò la mano di Walter intrecciata con la mia. «Pensi di poter dormire così?»
«Sì, certo...»
«Allora buonanotte.» Sorrise, si voltò e sollevò Jamie dalla branda. «Andiamo, ragazzo» mormorò, trasportando il giovane come fosse un bambinetto. I suoi passi silenziosi svanirono in lontananza.
Doc sbadigliò e andò a sedersi a una scrivania improvvisata, fatta di casse di legno e di una porta di alluminio, portando con sé la lampada. Non c'era abbastanza luce per vedere il viso di Walter, e la cosa mi innervosì. Come se fosse sparito davvero.
Doc iniziò a frugare tra certi documenti, canticchiando tra sé. Mi abbandonai al fruscio delicato dei fogli.
Walter mi riconobbe il mattino dopo.
Si svegliò soltanto quando Ian tornò a prendermi; bisognava strappare le piante vecchie dal campo di grano. Promisi a Doc che, prima di andare a lavorare gli avrei portato la colazione. L'ultima cosa che feci fu sciogliere le dita, ormai indolenzite, dalla presa di Walter.
Lui aprì gli occhi e sussurrò: «Wanda».
«Walter?» Non sapevo quanto a lungo mi avrebbe riconosciuta, o se ricordasse qualcosa della sera precedente. Afferrò il vuoto, perciò gli offrii la mia mano sinistra, quella ancora reattiva.
«Sei venuta a trovarmi. Che gentile. Certo che... tornati gli altri... dev'essere difficile... per te... Il tuo viso...»
Sembrava in difficoltà nel pronunciare le parole, e i suoi occhi perdevano e ritrovavano lucidità di continuo. Era tipico di lui mostrarsi così preoccupato.
«Va tutto bene, Walter. Tu come stai?»
«Ah...» mugolò piano. «Non tanto... Doc?»
«Sono qui» mormorò il dottore accanto a me.
«C'è dell'altro liquore?» ansimò.
«Certo.»
Doc era già pronto. Avvicinò il collo di una bottiglia di vetro spesso alle labbra smorte di Walter, e con cautela, lentamente, versò il liquido marrone scuro. Ogni sorsata che gli bruciava la gola lo faceva sussultare. Se ne rovesciò qualche goccia sulle guance e sul cuscino. L'odore mi pizzicava il naso.
«Meglio?» domandò il dottore dopo pochi sorsi lenti.
Walter grugnì. Non sembrava un assenso. I suoi occhi si chiusero.
«Ancora?» chiese Doc.
Walter gemette.
Doc imprecò sottovoce. «Dov'è Jared?» mormorò.
Mi irrigidii. Melanie ebbe un sussulto e tornò al suo silenzio.
Le guance di Walter si afflosciarono. Chinò la testa sul petto.
«Walter?» bisbigliai.
«Il dolore gli leva lucidità. Lascialo stare» disse Doc.
Sentii un nodo in gola. «Cosa posso fare?»
Doc rispose desolato. «Quel che posso fare io. Cioè niente. Non servo a niente.»
«Non fare così, Doc» sentii mormorare Ian. «Non è colpa tua. Il mondo è cambiato. Nessuno si aspetta di più, da te.»
Mi strinsi nelle spalle. Sì, il loro mondo era cambiato per sempre.
Un dito mi tamburellò sul braccio. «Andiamo» sussurrò Ian.
Annuii e feci per ritrarre la mano.
Walter aprì gli occhi di scatto, senza vedere nulla. «Gladdie? Sei tu?» implorò.
«Ehm... sì» abbozzai, lasciando che intrecciasse le sue dita alle mie.
Ian scrollò le spalle. «Vado a prendervi da mangiare» sussurrò e sparì.
Aspettai con ansia che tornasse, snervata dalle allucinazioni di Walter. Continuava a bisbigliare il nome di Gladys, ma non sembrava voler niente da me. Dopo un po', forse mezz'ora, iniziai a chiedermi perché Ian impiegasse tanto a tornare.
Doc restò tutto il tempo alla scrivania a fissare il vuoto, le spalle cadenti. Era facile intuire quanto si sentisse inutile.
A un certo punto sentii qualcosa, ma non erano passi.
«Che succede?» domandai a Doc sottovoce; Walter si era calmato, forse aveva perso conoscenza. Non volevo disturbarlo.
Doc si voltò a guardarmi, chinando il capo per ascoltare.
Il rumore era un tamburellare strano, veloce e sordo, a un volume che pareva aumentare e poi diminuire.
«Curioso» disse Doc. «Sembra quasi...» Tacque, la fronte corrugata dalla concentrazione, mentre il rumore svaniva.
Attenti com'eravamo, ci accorgemmo dei passi quando erano ancora lontani. Non somigliavano al ritmo regolare del ritorno di Ian, che attendevamo. Era una specie di trotto, anzi, una vera corsa.
Doc scattò immediatamente: quel rumore significava guai. Andò svelto incontro a Ian. Anch'io avrei voluto controllare cosa succedeva, ma non volevo spaventare Walter abbandonandolo. Tesi le orecchie.
«Brandt?» sentii esclamare Doc, sorpreso.
«Dov'è? Dov'è?» chiese l'altro, senza fiato. I passi di corsa si fermarono per un secondo, e ripresero più lenti.
«Ma chi?» chiese Doc, che stava tornando indietro.
«La parassita!» sibilò Brandt impaziente, ansioso, mentre sfrecciava sotto l'arco dell'entrata.
Brandt non era corpulento come Ian o Kyle; era qualche centimetro più basso di me, tarchiato e coriaceo come un rinoceronte. Il suo sguardo saettò per la stanza; per meno di un secondo trafisse il mio volto, poi passò alla sagoma ignara di Walter, di nuovo alla stanza e infine tornò a me.
A quel punto Doc lo raggiunse, e le sue lunghe dita lo afferrarono mentre stava per avvicinarsi.
«Che ci fai qui?» chiese Doc, mai così vicino a ruggire come in quel momento.
Prima che Brandt potesse rispondere, tornò lo strano rumore, che da smorzato passò a roboante e di nuovo a impercettibile, con una velocità che ci lasciò impietriti. I battiti si susseguivano velocissimi, talvolta così forti da far tremare l'aria.
«È... un elicottero?» sussurrò Doc.
«Sì» rispose Brandt. «È la Cercatrice, la stessa che avevamo visto cercare quella.» Con un cenno mi indicò.
All'improvviso sentii un nodo alla gola. Avevo le vertigini.
"No. Non ora. Per favore."
"Ma che problema ha?" ringhiò Mel nella mia mente. "Perché non ci lascia stare?"
"Dobbiamo fermarla!"
"Ma come facciamo?"
"Non lo so. È tutta colpa mia!"
"Anche mia, Wanda. Nostra."
«Sei sicuro?» chiese Doc.
«Kyle l'ha osservata bene con il binocolo mentre planava. E l'ha riconosciuta.»
«E vuole venire qui?» La voce di Doc si riempì di orrore. Si voltò e lanciò un'occhiata verso l'uscita. «Dov'è Sharon?»
Brandt scosse la testa. «È in perlustrazione. Fa avanti e indietro da Picacho. Non sembra concentrata su un obiettivo preciso. Ha girato un po' attorno a dove abbiamo lasciato la macchina.»
«Sharon?» chiese di nuovo Doc.
«È con i piccoli e Lucina. Stanno bene. I ragazzi stanno facendo le valigie nel caso tocchi andarcene stanotte, ma secondo Jeb è improbabile...»
Doc fece un sospiro di sollievo e tornò alla scrivania, dove si lasciò cadere, esausto come un maratoneta. «Niente di nuovo, quindi» mormorò.
«No. Dovremmo stare tranquilli per un paio di giorni» lo rassicurò Brandt. Il suo sguardo corse di nuovo per la stanza, soffermandosi di continuo su di me. «Hai della corda a portata di mano?» chiese. Alzò l'orlo del lenzuolo di una branda vuota, per esaminarlo.
«Corda?» ripeté Doc perplesso.
«Per la parassita. Kyle mi ha ordinato di tenerla d'occhio.»
I miei muscoli si irrigidirono e la mia mano strinse quella di Walter troppo forte, e lui emise un gemito. Mi sforzai di rilassarmi, mentre fissavo l'espressione dura di Brandt. Impaziente, aspettava la risposta di Doc.
«Sei qui per tenere d'occhio Wanda?» disse Doc, aspro come poco prima. «E cosa vi fa pensare che sia necessario?»
«Su, Doc, non scherzare. Qui è pieno di fessure, e di metallo che riflette la luce.» Brandt indicò uno schedario lungo la parete. «Basta la minima distrazione, e questa può mandare un segnale alla Cercatrice.»
La sorpresa mi mozzò il respiro; nella quiete della stanza, entrambi se ne accorsero.
«Visto?» disse Brandt. «Ci ho azzeccato in pieno.»
Ero disposta a farmi seppellire sotto a un masso, pur di sfuggire agli occhi sporgenti e invadenti della mia Cercatrice, e lui credeva che volessi attirarla. Condurla a uccidere Jamie, Jared, Jeb, Ian... Mi veniva il vomito.
«Vattene pure, Brandt» disse Doc, gelido. «Wanda la tengo d'occhio io.»
Brandt alzò un sopracciglio. «Che vi è successo? A te, Ian, Trudy e gli altri? Sembrate tutti ipnotizzati. Se i vostri occhi non fossero a posto, direi che...»
«Di' pure quello che ti pare, Brandt. Ma vattene.»
Brandt scosse la testa. «Ho un compito da svolgere.»
Doc si avvicinò a Brandt, e si fermò tra lui e me. Incrociò le braccia.
«Tu non la tocchi.»
Le pale dell'elicottero ricominciarono a sussultare in lontananza. Restammo immobili, trattenemmo il respiro sino a che non scemarono.
Tornato il silenzio, Brandt scosse di nuovo la testa. Non aprì bocca; si avvicinò alla scrivania e afferrò la sedia di Doc. La avvicinò alla parete dove stava lo schedario, la sbatté a terra con violenza e la occupò con un gesto deciso. Si chinò in avanti, le mani sulle ginocchia, e iniziò a fissarmi. Come un avvoltoio in attesa che la lepre morente cessi di muoversi.
Doc serrò i denti.
«Gladys» borbottò Walter, riaffiorando dal sonno allucinato. «Sei qui.»
Troppo nervosa per parlare, risposi sfiorandogli la mano. Con gli occhi annebbiati cercò il mio viso, e i lineamenti che solo lui vedeva.
«Fa male, Gladdie. Fa tanto male.»
«Lo so» sussurrai. «Doc?»
Mi era già accanto. «Apri, Walter.»
Il suono dell'elicottero rimbombò sordo, ma non abbastanza lontano. Doc ebbe un sussulto e mi rovesciò qualche goccia di brandy sul braccio.
Fu una giornata orribile. La peggiore da quando vivevo sulla Terra, peggio anche del primo giorno nelle caverne e dell'ultima, calda e secca giornata nel deserto, a poche ore dalla morte.
L'elicottero non smetteva di girare. A volte, tra un passaggio e l'altro trascorreva più di un'ora, e pensavo che fosse finita. Ma poi tornava, e rivedevo l'espressione testarda della Cercatrice, i suoi occhi sporgenti che setacciavano il deserto in cerca di segni umani. Cercai di non pensarci, concentrandomi sui ricordi della piana anonima e incolore del deserto, nel tentativo di rassicurarmi del fatto che nemmeno lei potesse vederci altro.
Brandt non staccò mai il suo sguardo diffidente da me. Le cose migliorarono un poco quando Ian tornò con colazione e cena. Era coperto di terra, dopo aver partecipato ai preparativi per la possibile evacuazione. Quando Brandt gli spiegò il motivo della sua presenza, Ian gli lanciò un'occhiataccia degna di Kyle. Poi spostò un'altra branda vuota accanto alla mia, così da coprirgli la visuale.
L'elicottero e la guardia diffidente di Brandt non erano poi grossi problemi. In una giornata normale - ammesso di poterla ancora vivere - mi avrebbero mandata in crisi. Quel giorno, non significavano nulla.
A pranzo Doc diede a Walter l'ultima goccia di brandy. Pochi minuti dopo lui iniziò a contorcersi, gemere e cercare aria. Le sue dita graffiavano e tiravano, ma se mollavo la presa i gemiti si trasformavano in urla. Fui costretta ad allontanarmi una volta sola, per usare la latrina; Brandt mi seguì, Ian sentì il bisogno di fare altrettanto. Quando tornai - dopo aver corso per quasi tutto il tragitto - le grida di Walter erano disumane. Il volto di Doc, spento, ne rifletteva l'agonia. Walter si calmò soltanto quando riuscii a convincerlo che sua moglie gli era accanto. Fu una bugia facile, una gentilezza. Brandt grugnì qualcosa, irritato, ma sapevo che non aveva il diritto di irritarsi. Niente importava di fronte al dolore di Walter.
Al tramonto Jamie venne a cercarmi, portando cibo per quattro. Non gli permisi di restare; ordinai a Ian di tornare in cucina a mangiare con lui e gli feci promettere di tenerlo d'occhio per tutta la notte, così che non sgattaiolasse a raggiungermi. Walter non riuscì a non urlare quando, a furia di agitarsi, spostò la gamba rotta; il suono della sua voce fu quasi insopportabile. Jamie non meritava che quella notte gli restasse impressa nella memoria, come sarebbe accaduto a me e a Doc. Forse anche a Brandt, per quanto si sforzasse di ignorare Walter tappandosi le orecchie e intonando una melodia stonata.
Doc non prese le distanze dalla tremenda sofferenza di Walter: al contrario, soffrì con lui. Le urla del malato gli scavavano rughe profonde sul volto.
Era strano vedere Doc, un essere umano, provare una compassione tanto profonda. Fui costretta a cambiare l'opinione che avevo di lui. La sua compassione era così grande che sembrava lacerarlo. Era impossibile credere che fosse una persona crudele; quell'uomo non poteva essere un torturatore. Cercai di ricordare perché lo avessi temuto tanto: qualcuno l'aveva accusato chiaramente? Non mi pareva. Forse era stato il terrore a farmi giungere a conclusioni sbagliate.
Dopo quella giornata da incubo fui certa di potermi fidare di lui. Tuttavia, l'ambulatorio continuava a sembrarmi un posto orribile.
Quando le ultime luci del giorno svanirono, se ne andò anche l'elicottero. Restammo al buio, senza osare accendere nemmeno la torcia azzurra. Soltanto dopo qualche ora ci convincemmo che forse la battuta di caccia era finita.
«Logico che se ne sia andata» mormorò Brandt, sgattaiolando verso l'uscita. «Di notte non c'è niente da vedere. Prendo la tua torcia, Doc, così la parassita domestica di Jeb non può combinare niente, e me ne vado.»
Doc non reagì, non degnò di uno sguardo quell'uomo così astioso.
«Fallo smettere, Gladdie, fallo smettere!» mi implorò Walter. Gli asciugai il sudore dalla fronte mentre mi stritolava la mano.
Il tempo parve rallentare fino a fermarsi; scese una notte buia e interminabile. Le urla di Walter si fecero sempre più frequenti e strazianti.
Melanie era lontana, conscia di non potersi rendere utile. Anch'io mi sarei nascosta volentieri, se Walter non avesse avuto bisogno di me. Ero tutta sola con i miei pensieri, esattamente ciò che un tempo avevo desiderato. Mi sentii smarrita.
Alla fine, una luce fioca e grigia filtrò dalle fenditure del soffitto. Ero a un passo dall'addormentarmi, sentivo Doc russare alle mie spalle. Ero lieta che fosse riuscito a prendersi almeno una pausa.
Non mi accorsi quando Jared entrò. Mormoravo deboli parole di conforto cercando di calmare Walter.
«Sono qui, sono qui» bisbigliavo, mentre chiamava sua moglie. «Shh, tutto bene.» Parole senza senso.
Non so quanto tempo Jared restò a guardare me e Walter. Ero sicura di aver scatenato la sua rabbia, ma quando parlò, la sua voce era calma.
«Doc» disse, e sentii spostare la branda dietro la mia. «Doc, svegliati.»
Liberai la mano, impaurita, disorientata, per guardare il viso della persona cui apparteneva quella voce inconfondibile.
Jared scuoteva le spalle di Doc addormentato e mi guardava. Impossibile leggere nei suoi occhi alla luce fioca. Sul suo volto, nessuna espressione.
Melanie riprese conoscenza di scatto.
«Gladdie! Non andartene! No!» Lo strillo di Walter fece sobbalzare Doc, che quasi cadde a terra assieme alla branda.
Tornai da Walter, e restituii la mia mano indolenzita alle sue dita bramose.
«Shh! Shh! Walter, sono qui. Non me ne vado. Non vado, te lo prometto.»
Si tranquillizzò, gemendo come un neonato.
«E lei che c'entra?» mormorò Jared dietro di me.
«È il miglior sedativo che sono riuscito a trovare» disse Doc stanco.
«Be', ti ho trovato qualcosa di meglio di una Cercatrice addomesticata.»
Mi si chiuse lo stomaco, e Melanie sbottò nella mia testa. "Stupido, cieco e testardo!" ruggì. "Non ti crederebbe nemmeno se gli dicessi che il sole tramonta a est."
Ma Doc non badò a come mi aveva definita. «Hai trovato qualcosa!»
«Morfina. Non è tanta. Sarei tornato prima, se non avessi avuto la Cercatrice alle costole.»
Doc si mise subito all'opera. Lo sentii armeggiare con qualcosa di cartaceo ed esultare. «Jared, sei l'uomo dei miracoli!»
«Doc, aspetta un...»
Ma il dottore era già al mio fianco, il viso smunto acceso d'impazienza. Prese una piccola siringa. Infilò l'ago nel braccio di Walter all'altezza del gomito. Mi voltai. Mi pareva un'orrenda intrusione pungere qualcuno così.
Ma non potei contestare il risultato. Nel giro di mezzo minuto il corpo di Walter si rilassò, trasformandosi in una massa di carne molle adagiata sul materasso sottile. Il respiro si fece da rauco e veloce a un sussurro regolare. La sua mano si rilassò e mi lasciò libera.
Mi massaggiai la mano sinistra con la destra, cercando di riattivarne la circolazione.
«Ehm, Doc, in realtà non ne abbiamo abbastanza» mormorò Jared.
Distolsi lo sguardo dal volto di Walter, finalmente in pace. Jared mi dava le spalle, ma riuscii a vedere l'espressione sorpresa del dottore.
«Abbastanza per cosa? Non ho intenzione di conservarla per momenti peggiori, Jared. Certo, rimpiangeremo di non averla, e presto, ma non ho intenzione di lasciare che Walter agonizzi urlando mentre cerco di aiutarlo!»
«Non è ciò che intendevo» rispose Jared. Aveva il tono di quando usciva da meditazioni lunghe e profonde. Parole lente e regolari, come il respiro di Walter.
Doc aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Ne abbiamo abbastanza per tamponare il dolore per tre o quattro giorni, non di più» disse Jared. «Se la dosi.»
Non capii il suo discorso, a differenza di Doc.
«Ah» sospirò. Si voltò a guardare Walter e vidi i suoi occhi gonfiarsi di lacrime.
Avrei voluto chiedere di cosa parlavano, ma la presenza di Jared bastava a zittirmi.
«Non puoi salvarlo, ma puoi risparmiargli di soffrire, Doc.»
«Lo so» rispose l'altro. La sua voce si spezzò, come per soffocare un singhiozzo. «Hai ragione.»
"Che succede?" domandai. Visto che Melanie si era ripresentata, tanto valeva approfittarne.
"Vogliono uccidere Walter" mi disse brutalmente. "Hanno abbastanza morfina per provocare un'overdose."
Il mio singhiozzo risuonò nella stanza silenziosa, ma era poco più che un sospiro. Con gli occhi gonfi di lacrime mi chinai sul cuscino di Walter.
"No" pensai. "No. Non ora, no."
"Preferisci vederlo morire urlando?"
"Non riesco... a sopportare... l'inevitabile. L'assoluto. Non rivedrò mai più un mio amico."
"Quanti altri tuoi amici sei tornata a trovare, Viandante?"
"Non ho mai avuto amici come questi."
I miei amici sugli altri pianeti erano solo un pallido ricordo; le anime si somigliavano tutte, erano quasi intercambiabili. Walter era solamente se stesso. Sparito lui, nessuno lo avrebbe rimpiazzato.
Cullai la sua testa fra le mani e lasciai che le lacrime cadessero sulla sua pelle. Cercai inutilmente di soffocare il pianto.
"Lo so. È un'altra prima volta" sussurrò Melanie, e c'era un che di compassionevole nella sua voce. Era anche la prima volta che qualcuno provava compassione per me.
«Wanda?» disse Doc.
Scossi la testa, incapace di rispondere.
«Penso che tu sia rimasta anche troppo» disse. Sentii la sua mano, leggera e calda, sulla spalla. «Fai una pausa.»
Scossi di nuovo la testa, affranta.
«Sei esausta» disse. «Vai a darti una pulita, a sgranchirti le gambe. Mangia qualcosa.»
Gli lanciai un'occhiataccia. «Quando torno Walter sarà ancora qui?» mormorai tra le lacrime.
Affilò lo sguardo, ansioso. «È ciò che vuoi?»
«Vorrei poterlo almeno salutare. È un mio amico.»
Mi fece una carezza. «Lo so, Wanda, lo so. Anche mio. Non ho fretta. Vai a prendere un po' d'aria, e torna qui. Per un po' Walter dormirà.»
Scrutai il suo volto esausto, e capii che era sincero.
Annuii e posai con cautela la testa di Walter sul cuscino. Forse, allontanandomi per un po', sarei riuscita a trovare un modo di affrontare la situazione. Non sapevo come, non avevo nessuna esperienza nel campo degli addii definitivi.
Siccome ero innamorata di Jared, che lo volessi o no, prima di uscire sentii di dovergli gettare uno sguardo. Anche Mel lo desiderava, ma le sarebbe piaciuto potermi escludere.
Incrociai i suoi occhi. Ebbi la sensazione che lui mi stesse guardando da parecchio. La sua espressione era controllata, ma erano tornati la sorpresa e il sospetto. Non ne potevo più. Che senso aveva a quel punto continuare a fingere, anche fossi stata una brava bugiarda? Walter non mi avrebbe mai più difesa. Non lo avrei ingannato mai più.
Incrociai lo sguardo di Jared per alcuni istanti, poi mi voltai, pronta a imboccare il tunnel buio.