56
L'amalgama
Lo sguardo che Ian ci riservò fu così furioso da far tremare Sole. Fu davvero bizzarro, come se Kyle e Ian si fossero scambiati. Il viso di Ian, però, era ancora perfetto, bello, persino nella rabbia.
«Ian?» domandò Kyle, sbalordito. «Qual è il problema?»
Ian rispose serrando i denti. «Wanda» ruggì, e allungò una mano. Sembrava incapace di tenerla aperta, di non stringere il pugno.
Oh oh, pensò Mel.
La tristezza mi travolse. Non volevo dire la verità a Ian, ma ora vi ero obbligata. Era sbagliato sgattaiolare nella notte come una ladra e lasciare l'incombenza degli addii a Melanie.
Ian, stanco di aspettare, mi afferrò per un braccio e mi costrinse ad alzarmi da terra. Quando Sole fece per seguirmi, ancora stretta al mio fianco, Ian mi scrollò fino a liberarmi.
«Ma che ti prende?» domandò Kyle.
Ian scagliò un calcio in faccia a Kyle.
«Ian!» protestai.
Sole si lanciò verso Kyle - che cercava di alzarsi in piedi tenendosi il naso - e gli fece scudo con il suo corpo minuto. Ma lui perse l'equilibrio e cadde a terra con un gemito.
«Andiamo» ringhiò Ian, trascinandomi via senza degnarli di uno sguardo.
«Ian...» Con uno strattone mi mise a tacere.
Vidi i volti sbalorditi dei presenti. Temevo che potesse spaventare la donna senza nome. Non era abituata alla rabbia e alla violenza.
Poi, all'improvviso, ci fermammo. Jared bloccava l'uscita.
«Sei impazzito, Ian?» domandò, stupito e indignato. «Cosa le vuoi fare?»
«Tu lo sapevi?» urlò Ian, spingendomi verso Jared e scrollandomi con forza.
«Così le fai male!»
«Sapevi del suo piano?» gridò Ian.
Jared lo fissò con uno sguardo impenetrabile.
Ian la considerò una risposta.
Il pugno con cui colpì Jared fu così veloce che non me ne accorsi. Vidi Jared piegarsi su se stesso e arretrare nel corridoio scuro.
«Ian, smettila» lo implorai.
«Smettila tu» ruggì.
Mi strattonò fino al tunnel, poi mi costrinse a seguirlo in direzione nord. Fui quasi costretta a correre per mantenere il suo passo lungo.
«O'Shea!» urlò Jared alle nostre spalle.
«Io le faccio del male?» urlò Ian verso di lui, senza perdere il ritmo. «Io, eh? Brutto maiale ipocrita!»
A quel punto, dietro di noi c'erano soltanto silenzio e oscurità. Barcollavo, nel buio, cercando di mantenere il passo.
Ian iniziò a trascinarmi con più forza, e il mio respiro esplose in un lamento, quasi un grido di dolore.
Lui fu costretto a fermarsi di colpo.
«Ian, Ian, io...» tossii, incapace di terminare la frase. Non sapevo cosa dire, immaginavo la sua espressione furiosa.
Le sue braccia mi strinsero di colpo levandomi la terra da sotto i piedi, e prima che potessi cadere mi issò sulle spalle. Iniziò a correre. Le sue mani non erano più grevi e furiose come prima; mi cullava sul suo petto.
Attraversò di corsa la grande piazza, ignorando i volti sorpresi o sospettosi. Troppi accadimenti incomprensibili e minacciosi stavano tormentando la vita nelle caverne. L'umore degli esseri umani - Violetta, Geoffrey, Andy, Paige, Aaron, Brandt e altri che incrociammo, ma che nella fretta non riuscii a riconoscere - era incostante. Restarono turbati dalla visione di Ian che correva a testa bassa in mezzo a loro, in preda alla furia, con me fra le braccia.
Passammo oltre. Ian si fermò soltanto quando raggiunse la stanza sua e di Kyle. Scalciò via la porta rossa - il tonfo con cui piombò a terra riecheggiò nel corridoio - e mi gettò sul materasso.
Ian incombeva su di me, il petto ansante per lo sforzo e la furia. In un secondo si voltò a rimettere a posto la porta, con uno strattone secco. Poi tornò a guardarmi in cagnesco.
Respirai a fondo, mi alzai sulle ginocchia, allungando le braccia e aprendo le mani, nella speranza di compiere chissà quale magia. Di poter dire, o dargli, qualcosa.
«Tu. Non Mi Lascerai.» Non avevo mai visto i suoi occhi ardere in quel modo, come fiamme blu.
«Ian» sussurrai. «Devi capire che... non posso restare. Sei obbligato a capire.»
«No!» urlò.
Mi ritrassi, e all'improvviso lui balzò in avanti, cadendo sulle ginocchia addosso a me. Affondò il viso nel mio grembo e mi cinse con un abbraccio. Tremava forte, il petto squarciato da singhiozzi disperati.
«No, Ian, no, ti prego.» Era molto peggio che vederlo arrabbiato. «No, per favore. Per favore, no.»
«Wanda» implorò.
«Ian, per favore. Non reagire così. Non farlo. Non sai quanto mi dispiace. Per favore.»
«Non puoi andartene.»
«Devo, devo» singhiozzai.
Piangemmo a lungo, senza aggiungere altre parole.
Alla fine si raddrizzò e mi prese fra le braccia. Attese che fossi in grado di parlare.
«Scusa» sospirò. «Sono stato cattivo.»
«No, no. Sono io a dovermi scusare. Avrei dovuto dirtelo, quando ho visto che non capivi. Solo che... non ci sono riuscita. Non volevo dirtelo - né farti del male - né far del male a me stessa. Sono stata egoista.»
«Dobbiamo parlarne, Wanda. Non è una decisione irrevocabile. Non può esserlo.»
«Lo è.»
Scosse la testa e serrò i denti. «Da quanto? Da quanto tempo hai deciso?»
«Dall'arrivo della Cercatrice.»
Annuì, come se si aspettasse quella risposta. «E hai pensato di rinunciare al tuo segreto pur di salvarla. Comprensibile. Ma questo non significa che tu debba andartene. Il fatto che Doc ora sappia non significa niente. Se avessi capito subito che un'azione compensa l'altra, non sarei rimasto a guardare mentre lo addestravi. Nessuno ti costringerà a sdraiarti su quella maledetta barella! Gli spacco le mani se prova a toccarti!»
«Ian, per favore.»
«Non possono costringerti, Wanda! Mi ascolti?» aveva ripreso a urlare.
«Nessuno mi costringe. Non ho insegnato a Doc a compiere la separazione per salvare la Cercatrice» sussurrai. «La sua presenza ha soltanto... accelerato la decisione. L'ho presa per salvare Mel. È intrappolata, Ian. Come in prigione... anzi, peggio; non saprei neanche come descriverla. È una specie di fantasma. E io posso liberarla. Posso restituirla a se stessa.»
«Anche tu meriti una vita, Wanda. Meriti di restare.»
«Ma lo faccio per lei, Ian, per il suo amore.»
Chiuse gli occhi, e le sue labbra già pallide sbiancarono.
«E il mio amore» sussurrò, «non conta niente?»
«Certo che conta. Tanto. Non vedi? Non fa che rendere la decisione ancora più... necessaria.»
Sbarrò gli occhi. «Io ti amo: è così insopportabile saperlo? Lo è? Posso tacere per sempre, Wanda. Non lo dirò più. Puoi stare con Jared, se vuoi. Però rimani.»
«No, Ian!» Presi il suo viso tra le mani. «No. Anch'io... ti amo. Io, il piccolo verme argenteo nella sua testa. Ma il mio corpo non ti ama. Non posso amarti. Non potrò mai amarti, dentro questo corpo, Ian. Mi sento spezzata in due. È insopportabile.»
Forse avrei potuto sopportare. Ma vedere la sua sofferenza, scatenata dal non poter disporre del mio corpo. No.
Richiuse gli occhi. Le sue ciglia folte e nere erano umide di lacrime. Le vidi scintillare.
"D'accordo, vai avanti" sospirò Mel. "Fai ciò che devi. Io... mi chiudo nell'altra stanza" aggiunse seccamente.
"Grazie."
Cinsi le sue spalle e mi avvicinai a lui, fino a sfiorargli la bocca.
Lui mi prese fra le braccia, stringendomi al petto. Le nostre labbra si congiunsero e si fusero come se non dovessero mai più dividersi, come se la separazione non fosse la cosa inevitabile che era, e sentii il sapore delle lacrime. Le sue e le mie.
Qualcosa iniziò a cambiare.
Quando il corpo di Melanie toccava quello di Jared, c'era come una vampata di calore, una fiammata che correva sulla superficie del deserto e consumava tutto ciò che le si parava di fronte.
Con Ian era diverso, molto diverso, perché Melanie certo non lo amava come me. Perciò, quando Ian mi toccava, era qualcosa di più profondo e lento del fuoco indomabile, più simile a una colata di lava. Troppo profonda per scaldarmi, ma inesorabile nel suo procedere e nello scuotere le fondamenta del mondo.
Il mio corpo refrattario era una nebbia che ci divideva, un sipario al di là del quale era possibile guardare.
Il cambiamento riguardò me, non lei. Fu come un processo metallurgico nel nucleo profondo di ciò che ero, in corso da tempo e finalmente pronto a forgiare qualcosa di nuovo. Fu quel bacio lungo e ininterrotto a ultimare la nuova creazione, ardente e affilata, e a gettarla con un gran sibilo nell'acqua fredda che la rese dura e definitiva. Indistruttibile.
Scoppiai a piangere, conscia che qualcosa era cambiato anche in lui, in quell'uomo tanto gentile da poterlo scambiare per un'anima, ma forte come soltanto un umano poteva essere.
Avvicinò le labbra ai miei occhi, ma era troppo tardi. Era finita. «Non piangere, Wanda. Resterai con me.»
«Otto vite» sussurrai stretta a lui, con voce spezzata. «In otto vite non ho mai trovato nessuno in grado di trattenermi su un pianeta, nessuno da seguire fra i pianeti. Non ho mai trovato un compagno. Perché proprio adesso? Perché proprio tu? Appartieni a un'altra specie. Come puoi tu essere il mio compagno?»
«Che strano universo» mormorò.
«Non è giusto» protestai, ripetendo le parole di Sole. Non era giusto. Com'era possibile che avessi finalmente trovato l'amore e fossi costretta ad abbandonarlo, a un passo dalla fine? Era giusto che la mia anima e il mio corpo non sapessero riconciliarsi? Era giusto che dovessi voler bene anche a Melanie?
Era giusto che Ian dovesse soffrire? Meritava la felicità più di chiunque altro. Non era giusto, e nemmeno... logico. Come potevo infliggergli tanto dolore?
«Ti amo» sussurrai.
«Non dirlo come fosse un addio.»
Invece dovevo. «Io, l'anima che chiamano Viandante, ti amo, Ian, anche se sei umano. E ciò non cambierà mai, qualsiasi cosa io diventi.» Scandii ogni parola per fargli capire che non mentivo. «Se anche fossi un Delfino, un Orso o un Fiore, non mi importerebbe. Ti amerò per sempre, per sempre ti ricorderò. Tu sarai il mio unico compagno.»
Le sue braccia si irrigidirono, mi cinsero ancora più forte, e sentii la furia scorrere dentro di loro. Era difficile respirare.
«Tu non vai da nessuna parte, Viandante. Tu resti qui.»
«Ian...»
La sua voce era aspra, furiosa, ma anche risoluta. «Non è soltanto per me. Fai parte di questa comunità, e non ti farai cacciare senza prima discuterne con tutti. Sei troppo importante per noi, persino per quelli che non lo ammetterebbero mai. Abbiamo bisogno di te.»
«Nessuno vuole cacciarmi, Ian.»
«No. Nemmeno tu lo vuoi, Viandante.»
Mi diede un altro bacio, più impetuoso e acceso di rabbia. La mano che mi teneva i capelli li strinse forte e distanziò il mio viso di qualche centimetro dal suo.
«Bene o male?» domandò.
«Bene.»
«Sono d'accordo.»
Mi baciò di nuovo. Le sue braccia mi stringevano così forte, e la sua bocca era così decisa, da mozzarmi il fiato e darmi le vertigini. A quel punto allentò la presa e mi avvicinò le labbra a un orecchio.
«Andiamo.»
«Dove? Dove andiamo?» Non sarei andata da nessuna parte, lo sapevo. Tuttavia, il cuore mi batteva forte al pensiero di fuggire, chissà dove, con Ian. Il mio Ian. Era mio, come Jared non lo sarebbe mai stato. Come questo corpo non sarebbe mai potuto essere suo.
«Non impicciarti, Viandante, sono sul punto di impazzire.» Si alzò assieme a me.
«Dove?» ribadii.
«Attraversa la galleria orientale, oltre il campo, fino alla fine.»
«La stanza dei giochi?»
«Sì. Aspettami là, mentre io vado a prendere gli altri.»
«Perché?» Forse era impazzito davvero. Voleva organizzare una partita per allentare la tensione?
«Perché ne discuteremo. Chiamo a raccolta il tribunale, Viandante, e tu rispetterai la nostra decisione.»