27
L'indecisione
A tentoni ritrovai la strada per la prigione.
Per settimane ero rimasta lontana da quel corridoio; non ci tornavo da quando Jared se n'era andato e Jeb mi aveva lasciato libera. Avevo la sensazione che la mia casa dovesse essere quella.
Non c'era nessuna luce ad accogliermi. Ero sicura di trovarmi nell'ultimo tratto della galleria: le curve e gli snodi mi erano vagamente familiari. Camminavo passando la mano sinistra sulla parete, alla ricerca dell'entrata. Non avevo intenzione di strisciare dentro l'anfratto, ma avevo bisogno di un punto di riferimento.
Quando lo trovai, capii di non poter più rientrare in cella.
Nel momento in cui le mie dita sfiorarono il bordo scabro dell'ingresso, inciampai in un ostacolo e capitombolai a terra. Allungai le mani per proteggermi, ma le sentii affondare in qualcosa che cedette e si schiantò con un rumore che non era di roccia, e non aveva niente a che fare con quel luogo.
Restai meravigliata, spaventata dalla presenza imprevista. Forse avevo imboccato la direzione sbagliata ed ero finita da tutt'altra parte. Forse ero nella casa di qualcuno. Ripercorsi a mente l'itinerario chiedendomi dove avessi sbagliato. Nel frattempo aspettavo immobile.
Non ci furono reazioni, né rumori. Soltanto buio, puzza di chiuso e umidità, come sempre; e un silenzio totale, che confermò la mia solitudine.
Con cautela, cercando di ridurre al minimo il rumore, feci l'inventario di ciò che mi circondava.
Le mie mani si erano infilate dentro qualcosa. Le liberai e palpai il contorno di quello che sembrava uno scatolone, chiuso da una pellicola di plastica sottile e frusciante, che avevo bucato cadendo. Frugai dentro e trovai un altro strato di plastica ancora più frusciante: piccoli rettangoli che, smossi, facevano parecchio rumore. Ritrassi le mani nel timore di attirare l'attenzione.
Ricordai che forse avevo trovato l'ingresso della caverna. Cercai alla mia sinistra e trovai altri cubi di cartone impilati. Ne seguii la sagoma per capire quanto fossero alti: mi arrivavano alla testa. Cercai fino a individuare la parete e poi il buco, esattamente dove pensavo che fossero. Provai a infilarmici, per verificare che il posto fosse quello - un secondo su quel pavimento circolare, e l'avrei riconosciuto al volo -, ma non riuscii ad andare oltre l'imboccatura. Anche la grotta era piena di scatole.
Esplorai con le mani gli ostacoli che ingombravano il corridoio. Scoprii di non poter proseguire oltre la galleria: era occupata da quei misteriosi cubi.
Mentre controllavo palmo a palmo il suolo mi imbattei in un tessuto grezzo, simile a juta, un sacco pesante che si spostò con un sibilo smorzato.
A un tratto capii, grazie a un odore che mi riportò alla mia cucina spoglia di San Diego, all'armadietto in basso, a sinistra del lavandino. Visualizzai chiaramente il sacchetto del riso crudo e il misurino di plastica che usavo per dosarlo, e poi le file di cibo in scatola...
Quando capii di essere alle prese con un sacco di riso, fu chiaro. Ero nel posto giusto. Jeb non aveva forse detto che lo usavano anche come magazzino? E Jared non era appena tornato da una missione? Tutto ciò che gli esploratori avevano rubato era ammassato in quel luogo.
Mi misi a pensare.
Per prima cosa mi resi conto di essere circondata da cibo. Non soltanto pane grezzo e zuppa sciapa. Magari, da qualche parte, c'era anche del burro di arachidi. Biscotti al cioccolato. Patatine al formaggio.
Immaginai di trovare quel ben di Dio, assaggiarlo, saziarmi per la prima volta da quando avevo abbandonato la civiltà, ma mi sentii subito in colpa. Jared non aveva rischiato la vita né trascorso settimane a nascondersi e rubare per dar da mangiare a me. Il cibo era per gli altri.
Mi preoccupai anche che la scorta non fosse tutta là. E se c'erano altre scatole da immagazzinare? Sarebbero venuti Jared e Kyle a prenderle? Non occorreva un grande sforzo per immaginare cosa sarebbe accaduto se mi avessero trovata.
Ma non era quello il motivo per cui ero fuggita, per cui avevo sentito il bisogno di stare da sola a pensare?
Mi accasciai contro il muro. Il sacco di riso andava bene, come cuscino. Chiusi gli occhi - superfluo, nel buio pesto - e mi preparai alla discussione.
"Okay, Mel. E ora?"
Fui lieta di ritrovarla sveglia e lucida. Gli ostacoli le ridavano forza. Soltanto quando tutto filava liscio mi abbandonava.
"Priorità" proclamò. "Cos'è più importante per noi? Sopravvivere? Oppure Jamie?"
Conosceva la risposta. "Jamie" affermai. Il suono del mio sospiro scivolò sulle pareti nere.
"Sono d'accordo. Probabilmente resisteremo di più se lasciamo che Jeb e Ian ci proteggano. Sarà un aiuto per lui?"
"Forse. Sarebbe peggio se rinunciassimo ora? O se spingessimo tutto verso una fine brutta e, a quanto sembra, inevitabile?"
Il mio commento non le piacque. La sentivo cercare freneticamente un'alternativa.
"Improbabile" dichiarò. "D'altronde, cosa faremmo là fuori? Cosa racconteremmo a quelli?"
Lo immaginammo insieme: come avrei giustificato mesi di assenza? Avrei potuto mentire, costruirmi una storia diversa, oppure dire che non ricordavo. Ma ripensai all'espressione scettica della Cercatrice, ai suoi occhi sporgenti accesi di sospetto, e capii che il mio tentativo goffo di imbrogliarla sarebbe fallito.
"Sì, penserebbero che io abbia preso il controllo" commentò Melanie. "Poi toglierebbero te e inserirebbero lei."
Mi mossi, come se cambiare posizione potesse allontanare quel pensiero, e rabbrividii. Poi sviluppai l'ipotesi fino alla conclusione. "Racconterebbe loro di questo posto, e arriverebbero i Cercatori."
L'orrore ci inondò.
"Giusto" continuai. "Perciò, niente fuga."
"Giusto" sussurrò lei, i suoi pensieri sconvolti dalle emozioni.
"Perciò la decisione è... presto oppure tardi. Quale la scelta meno dolorosa per lui?"
Finché mi concentravo sugli aspetti pratici del problema riuscivo a gestire la discussione. Melanie cercò di imitare il mio sforzo.
"Non lo so. Da una parte, secondo logica, più noi tre restiamo insieme, più dura sarà la... separazione. D'altro canto, se non combattessimo, se rinunciassimo subito... non ne sarebbe felice. Si sentirebbe tradito."
Valutai le due alternative.
"Perciò... presto, ma facendo del nostro meglio per non morire?"
"Muori combattendo" dichiarò decisa.
"Combattendo. Favoloso." Cercai di immaginare come fosse contrastare la violenza con la violenza. Alzare la mano per colpire qualcuno. Ma non ci riuscivo.
"Puoi farcela" mi incoraggiò Melanie. "Ti aiuterò io."
"No grazie, molto gentile. Dev'esserci un'altra maniera."
"Non ti capisco, Wanda. Hai abbandonato per sempre la tua specie, sei pronta a morire per mio fratello, sei innamorata dell'uomo che amo e che intende ucciderci, eppure non riesci a rinunciare ad abitudini che quaggiù sono totalmente inutili."
"Sono ciò che sono, Mel. Non posso cambiare, anche se tutto il resto cambia. Tu per prima resti fedele a te stessa; permettimi di fare altrettanto."
"Ma se vogliamo..."
Avrebbe voluto continuare la discussione, ma qualcosa ci interruppe. Un rumore sordo, una suola contro la roccia, riecheggiò dal fondo del corridoio.
Restai impietrita ad ascoltare. Pochi secondi, e sentii altri passi smorzati avvicinarsi.
Melanie mantenne la calma, mentre io ero in preda al panico.
"Alzati in piedi" ordinò.
"Perché?"
"Non vorrai combattere, ma puoi sempre correre. Provaci, almeno... fallo per Jamie."
Ricominciai a respirare con un ritmo regolare. Lentamente mi chinai in avanti fino a restare rannicchiata, in equilibrio sui piedi. I muscoli erano reattivi e tesi. Ero più veloce di molti possibili inseguitori, ma dove sarei fuggita?
«Wanda?» sussurrò qualcuno. «Wanda? Ci sei? Sono io.»
La sua voce si spezzò, e lo riconobbi.
«Jamie!» mormorai. «Che ci fai qui? Ti ho detto che volevo stare sola.»
La sua voce parve sollevata. «Ti stanno cercando tutti. Be', Trudy, Lily e Wes non sono "tutti", ma fa lo stesso. Però nessuno deve scoprire cosa stiamo facendo. Nessuno deve sospettare che tu sia sparita. Jeb ha ripreso il fucile. Ian è con Doc. Appena Doc si libera, parlerà con Jared e Kyle. Lui sa mediare con tutti, perciò non devi nasconderti. Sono tutti occupati, e anche tu sarai stanca...»
Mentre si spiegava, Jamie avanzò fino a trovare con le dita il mio braccio e poi la mano.
«Non mi sto nascondendo, Jamie. Te l'ho detto, dovevo riflettere.»
«Potresti farlo anche in presenza di Jeb, vero?»
«Dove vuoi cha vada? Di nuovo nella stanza di Jared? È dove dovrei stare.»
«Non più.» Riecco la testardaggine che conoscevo bene.
«Perché sono tutti occupati?» domandai per distrarlo. «Cosa sta facendo Doc?»
Il mio tentativo fu inutile; non rispose.
Dopo un minuto di silenzio, gli sfiorai la guancia. «Ascolta, è meglio che tu stia con Jeb. Di' agli altri di smettere di cercarmi. Io resterò qui ancora un po'.»
«Non puoi dormire qui.»
«Non sarebbe la prima volta.»
Sentii il fremito della sua guancia.
«Almeno lascia che vada a prendere materassi e cuscini.»
«Me ne basta uno solo.»
«Io non sto con Jared, se si comporta da imbecille.»
Dentro di me sospirai. «Allora resta con Jeb e le sue russate. Quella è la tua casa.»
«La mia casa è dove dico io.»
Il rischio che Kyle trovasse il mio nascondiglio era un pensiero che mi tormentava. Ma se gliene avessi parlato, Jamie si sarebbe sentito ancora più responsabile della mia sopravvivenza.
«Va bene, ma prima fatti dare il permesso da Jeb.»
«Dopo. Stasera non mi va di disturbarlo.»
«Che sta facendo?»
Jamie non rispose. Solo in quel momento capii perché non avesse risposto a quella domanda nemmeno la prima volta. Mi teneva nascosto qualcosa. Forse anche gli altri mi stavano cercando. Forse il ritorno di Jared li aveva riportati all'opinione che avevano avuto di me i primi giorni. Come quando in cucina avevano abbassato le teste, presi dal senso di colpa.
«Che succede, Jamie?» protestai.
«Non posso dirtelo» mormorò. «E non te lo dirò.» Mi strinse forte la vita, affondò la testa sotto la mia spalla. «Andrà tutto bene» promise con la voce rotta.
Gli accarezzai la schiena e feci scorrere le dita tra la sua chioma arruffata. «Okay» dissi, e accettai il suo silenzio. Dopotutto, anch'io avevo i miei segreti, no? «Non essere triste, Jamie. Comunque finisca, tutto andrà per il meglio. Te la caverai.» Desiderai che fosse vero.
«Non so cosa sperare» sussurrò lui.
Mentre fissavo il buio, cercando di capire cosa non volesse dirmi, un debole bagliore spuntò dal fondo del corridoio: era una luce fioca, ma spiccava nella caverna buia.
«Silenzio» sussurrai. «Arriva qualcuno. Svelto, nasconditi dietro le scatole.»
La testa di Jamie scattò verso la luce gialla sempre più intensa. Attesi il rumore dei passi, ma non sentii nulla.
«Non intendo nascondermi» disse. «Stammi dietro, Wanda.»
«No!»
«Jamie!» urlò Jared. «So che sei qui!»
Sentivo le gambe vuote, inerti. Perché proprio Jared? Sarebbe stato molto meglio per Jamie se fosse venuto Kyle a uccidermi.
«Vattene!» gridò Jamie.
La luce gialla accelerò, e diventò un cerchio sul muro più lontano.
Jared sbucò da dietro l'angolo, mentre la torcia che stringeva in mano perlustrava il suolo roccioso. Si era ripulito, indossava una camicia rossa stinta che riconobbi, era rimasta appesa per settimane nella mia stanza, era una vista familiare. Come il suo volto, su cui spiccava la stessa espressione che avevo visto un istante dopo il mio arrivo.
Il fascio di luce mi colpì il viso e mi accecò; capii che dai miei occhi si irradiava un riflesso argenteo, perché sentii Jamie sussultare e, dopo un breve indugio, prepararsi allo scontro con decisione ancora maggiore.
«Stalle lontano!» ruggì Jared.
«Zitto!» urlò Jamie. «Tu non le vuoi bene! Lasciala stare!»
Cercai di sfuggire alla presa delle sue mani.
Jared ci venne incontro come un toro in carica. Afferrò il colletto della camicia di Jamie con una mano e lo allontanò con uno strattone. Senza mollarlo iniziò a urlare e a scrollarlo.
«Ti stai comportando da idiota! Non capisci che ti sta usando?»
D'istinto mi infilai nello spazio tra i due. Come mi aspettavo, la mia azione lo convinse a mollare Jamie. Non volevo né desideravo ciò che accadde dopo, quando sentii il suo profumo familiare assalire i miei sensi e il profilo del suo petto tra le mani.
«Lascia stare Jamie» dissi, desiderando essere almeno una volta come Melanie voleva che fossi, con mani più decise e voce più forte.
Jared mi afferrò i polsi con una mano sola e mi allontanò da lui, scagliandomi contro la parete. L'impatto mi colse di sorpresa togliendomi il respiro. Rimbalzai sulla parete e atterrai di nuovo tra le scatole, con un altro schianto che fece a pezzi il cellophane.
Mi sentivo battere il cuore in testa, goffamente piegata tra gli scatoloni, e per un istante vidi strane luci passarmi davanti agli occhi.
«Codardo!» urlò Jamie a Jared. «Non ti farebbe mai del male per salvarsi la vita! Perché non la lasci stare?»
Sentii che le scatole venivano spostate e la mano di Jamie che si posò sul mio braccio. «Wanda? Stai bene, Wanda?»
«Sì» biascicai, ignorando il giramento di testa. Vedevo la sua espressione ansiosa sopra di me, illuminata dalla torcia che Jared doveva aver perso. «Meglio che tu vada, Jamie» sussurrai. «Scappa.»
Lui scosse la testa con decisione.
Vidi Jared afferrare Jamie per le spalle e costringerlo ad alzarsi. Restai sepolta sotto una piccola valanga di scatoloni. Rotolai via proteggendomi la testa con le braccia. Quando un contenitore pesante mi colpì tra le scapole lanciai un urlo di dolore.
«Smettila di farle male!» urlò Jamie.
Sentii un rumore secco e un gemito.
Mi sforzai di sgusciar fuori dai cartoni facendo forza sui gomiti, stordita.
Jared si teneva il naso con la mano, e il sangue gli colava sulle labbra. Aveva gli occhi spalancati per la sorpresa. Davanti a lui c'era Jamie, i pugni stretti, una smorfia furiosa sul viso.
Mentre Jared lo guardava sbalordito, l'espressione di Jamie cambiò. Fu rimpiazzata da un dolore e da una sensazione di tradimento così profonda da rivaleggiare con quella di Jared in cucina.
«Non sei l'uomo che credevo» sussurrò Jamie. Guardò Jared come fosse lontanissimo, come se un muro li separasse uno dall'altro.
Gli occhi di Jamie si gonfiarono, e il ragazzo voltò la testa per non mostrare la propria debolezza di fronte a Jared. Poi si allontanò con movimenti veloci e goffi.
"Ci abbiamo provato" pensò Melanie, triste. Era in pena per il fratello, malgrado mi implorasse di tornare con lo sguardo al suo avversario. Feci come voleva.
Jared non mi guardava. Fissava il vuoto nel quale Jamie era sparito, senza togliersi la mano dal naso.
«Oh, maledetto!» urlò all'improvviso. «Jamie! Torna qui!»
Nessuno rispose.
Jared mi lanciò uno sguardo torvo. Mi preparai a un nuovo assalto, ma poi lo vidi raccogliere la torcia e correre verso Jamie.
«Mi dispiace, okay? Non piangere, ragazzo!» Girò l'angolo urlando altre scuse e mi lasciò sola al buio.
Per qualche istante riuscii solo a respirare. Mi concentrai sull'aria che entrava, usciva, rientrava. Padrona di quel movimento, mi sforzai di alzarmi da terra. Ma le gambe tremavano e minacciavano di cedere sotto il mio peso, così mi lasciai cadere di nuovo contro il muro, scivolandovi addosso fino a ritrovare il mio cuscino imbottito di riso. Mi accasciai e passai in rassegna i miei malanni.
Niente di rotto, a parte, forse, il naso di Jared. Scossi la testa lentamente. Jamie e Jared non dovevano litigare. Sentivo un gran dolore al centro della schiena e la guancia strisciata contro il muro era sbucciata e umida, e mi lasciò del liquido caldo sulle dita. Quella era la ferita peggiore. Le altre, per fortuna, erano cosa da poco.
Quando me ne resi conto fui invasa da uno strano sollievo.
Ero viva. Jared aveva avuto un'occasione per uccidermi, ma aveva rinunciato, per inseguire Jamie e sistemare le cose con lui. Perciò, qualunque danno avessi fatto alla loro relazione, probabilmente non era irreparabile.
Era stata una giornata intensa già prima del ritorno di Jared e degli altri, che a quel punto sembrava lontano secoli. Chiusi gli occhi dov'ero e mi addormentai sul riso.