52

La separazione

Entrammo con il bottino dal varco meridionale, anche se ciò significava dover spostare la jeep prima dell'alba. Non volevo utilizzare l'entrata principale, temendo che la Cercatrice potesse accorgersi del caos che il nostro arrivo avrebbe senz'altro suscitato. Non sapevo se avesse idea di ciò che stavo per fare, e non volevo fornirle una scusa per uccidere se stessa e la sua ospite. La storia che mi aveva raccontato Jeb - quella dell'ostaggio crollato al suolo senza dare segni premonitori del disastro avvenuto nel cervello - mi tormentava.

L'ambulatorio non era vuoto: Doc si stava preparando all'operazione. Sulla scrivania vuota, una lanterna al propano - la sorgente di luce più potente di cui disponessimo - attendeva di essere accesa. I bisturi luccicavano sotto il bagliore azzurro della torcia solare.

Sapevo che Doc avrebbe accettato le mie condizioni, ma vederlo così assorto scatenò un'ondata di nausea dentro di me. O forse era soltanto il ricordo di un altro giorno a sconvolgermi: il giorno in cui avevo visto le sue mani sporche di sangue.

«Sei tornata» disse sollevato. Mi resi conto che era preoccupato per noi, come tutti del resto quando qualcuno abbandonava la sicurezza delle grotte.

«Abbiamo un regalo per te» disse Jared sbucando dietro di me. Si allungò a prendere la prima delle scatole e la mostrò a Doc, con l'etichetta in bella evidenza.

«Guarisci!» esultò Doc. «Quanto ne avete preso?»

«Due scatoloni. E abbiamo anche trovato il modo di fare scorta senza costringere Wanda ad accoltellarsi.»

Doc non rise della battuta di Jared; si voltò e mi lanciò un'occhiata. Probabilmente avevamo pensato la stessa cosa: ci sarà utile, in assenza di Wanda.

«Avete anche i crioserbatoi?» domandò mogio.

Jared notò il suo sguardo teso. Si voltò verso di me, la sua espressione indecifrabile.

«Sì» risposi. «Dieci. Di più la macchina non poteva portarne.»

Doc sollevò una scatola e se la rigirò tra le mani.

«Dieci?» Sembrava sorpreso. Temeva che ne avessimo prese troppe? O troppo poche? «È difficile usarle?»

«No, facilissimo. Poi ti mostrerò come.»

Doc annuì, esaminando quegli oggetti alieni. Sentivo lo sguardo di Jared addosso, ma continuai a fissare Doc.

«Che ne pensano Jeb, Brandt e Aaron?» domandai.

Gli occhi di Doc mi fissarono. «Sono... d'accordo con le tue condizioni.»

Annuii, poco convinta. «Non ti mostrerò nulla finché non ne sarò certa.»

«Giusto.»

Jared ci lanciò un'occhiata confusa e frustrata.

«Cosa gli hai detto?» mi chiese Doc circospetto.

«Soltanto che voglio salvare la Cercatrice.» Mi voltai verso Jared senza incrociarne lo sguardo. «Doc mi ha promesso che, se gli insegno a compiere la separazione, concederete alle anime di migrare su un altro pianeta. Senza ucciderle.»

Jared annuì pensieroso e il suo sguardo saettò verso Doc. «Sono d'accordo. E posso accertarmi che anche gli altri rispettino la decisione. Immagino che tu sappia come farle uscire dal pianeta, no?»

«Non è più pericoloso di ciò che abbiamo fatto stanotte. È esattamente il contrario, aggiungere carico anziché rubarlo.»

«Okay.»

«Hai pensato a una... scaletta?» chiese Doc. Cercava di ostentare indifferenza, ma la sua voce mostrava quanto fosse impaziente.

Voleva soltanto la risposta che gli era sempre sfuggita, lo sapevo e continuavo a ripetermelo. Non aveva certo fretta di uccidermi.

«Devo portare via la jeep. Potete aspettare? Mi piacerebbe assistere.»

«Certo, Jared» rispose Doc.

«Non mi ci vorrà molto» promise Jared, e sgusciò nella fenditura.

Ne ero sicura. Non ci sarebbe voluto molto.

«Non gli hai detto di... Melanie?» bisbigliò Doc.

Scossi la testa. «Secondo me ha già intuito tutto.»

«Non tutto. Non lascerà che...»

«Non avrà voce in capitolo» lo interruppi brusca. «Tutto o niente, Doc.»

Doc emise un sospiro. Dopo un istante di silenzio si diresse verso l'uscita principale. «Vado a parlare con Jeb e a preparare le cose.»

Afferrò una bottiglia sul tavolo. Cloroformio. Di sicuro le anime avevano qualcosa di meglio a disposizione. Dovevo trovarlo e portarlo a Doc prima di andarmene.

«Chi di voi sa?»

«Soltanto Jeb, Aaron e Brandt. Tutti vogliono assistere.»

Non ne fui sorpresa; Aaron e Brandt non si fidavano. «Non dirlo a nessuno. Non stanotte.»

Doc annuì, poi scomparve nel corridoio buio.

Andai a sedermi contro il muro, il più lontana possibile dalla barella pronta per l'operazione. Presto sarebbe toccato a me occuparla.

In cerca di qualche altro pensiero, oltre a quella tetra certezza, mi resi conto che non sentivo Melanie da... da quanto non mi parlava? Quando avevo stretto il patto con Doc? Mi accorsi troppo in ritardo che ciò che era successo nel nascondiglio della jeep aveva scatenato una sua reazione.

"Mel?"

Nessuna risposta.

Malgrado tutto, non fui presa dal panico come già mi era accaduto. La sentivo ben presente nella mia testa, ma... perché mi ignorava? Che intenzioni aveva?

"Mel? Che succede?"

Nessuna risposta.

"Ce l'hai con me? Scusa per prima, alla jeep. Non ho fatto niente, lo sai, e non è giusto che..."

Mi interruppe, esasperata. "Smettila. Non ce l'ho con te. Lasciami stare."

"Perché non mi parli?"

Nessuna risposta.

Provai a insistere, a intercettare i suoi pensieri. Lei cercava di allontanarmi, di alzare il muro che il tempo aveva ormai indebolito. Intuii il suo piano.

Cercai di mantenere la calma. "Hai perso la testa?"

"In un certo senso" scherzò senza convinzione.

"Pensi che se riuscirai a sparire mi fermerò?"

"Cos'altro posso fare? Se hai un'idea migliore, parliamone."

"Non ti seguo, Melanie. Non li rivuoi? Non vuoi tornare accanto a Jared? A Jamie?"

Era dibattuta. "Sì, ma... non posso..." Una pausa, e cercò di ricomporsi. "Mi rifiuto di essere la causa della tua morte, Wanda. Non posso sopportarlo."

Intuii l'intensità del suo dolore, e nei miei occhi spuntò una lacrima.

"Anch'io ti voglio bene, Mel. Ma non c'è spazio per entrambe, qui. In questo corpo, in queste grotte, nelle loro vite..."

"Non sono d'accordo."

"Senti, smettila di cercare di annullarti, okay? Se me ne accorgo, chiederò a Doc di estrarmi oggi stesso. Oppure lo dirò a Jared. Pensa a come reagirebbe."

Abbozzai un sorriso tra le lacrime. "Ricordi? Ha detto che era disposto a fare qualsiasi cosa pur di tenerti qui." Ripensai ai baci ardenti nel corridoio... ripescai altri baci e altre notti nei suoi ricordi. Sentii il mio viso avvampare e arrossire.

"Giochi sporco."

"Puoi scommetterci."

"Non mi arrendo."

"Ti ho avvertito. Niente proteste silenziose."

Poi pensammo ad altro, a qualcosa che non facesse soffrire. Per esempio, a dove avremmo spedito la Cercatrice. Mel, dopo il mio racconto, propose il Pianeta delle Nebbie, ma da parte mia pensavo che il pianeta più adatto fosse quello dei Fiori. Era il più rilassante di tutto l'universo. La Cercatrice aveva bisogno di passare una lunga vita a nutrirsi di sole.

Ripensammo ai miei ricordi, quelli piacevoli. I castelli di ghiaccio, la musica notturna e i soli colorati. Per lei erano favole. Mi raccontò le sue. Scarpette di vetro, mele avvelenate, sirene in cerca di un'anima...

Ma non avevamo tanto tempo a disposizione per le storie.

Tornarono insieme. Jared rientrò dall'accesso principale. Gli ci era voluto molto poco, forse aveva nascosto la jeep sotto la sporgenza della parete settentrionale. In fretta.

Sentii le loro voci arrivare, mogie, serie, basse, e capii che la Cercatrice era con loro. Capii che la prima fase della mia morte stava per iniziare.

"No."

"Stai attenta. Toccherà a te aiutarli, in mia..."

"No!"

Non voleva zittire le mie spiegazioni, ma solo la conclusione della frase.

Fu Jared a trasportare la Cercatrice nella stanza. Prima entrò lui, e alle sue spalle gli altri. Aaron e Brandt tenevano le armi pronte nel caso la prigioniera avesse finto di aver perso conoscenza e fosse stata rapida ad attaccarli con le sue piccole mani. Jeb e Doc entrarono per ultimi, e sapevo che da quel momento avrei sentito lo sguardo circospetto di Jeb sul mio viso. Quanto aveva capito, con la sua folle e profonda sagacia?

Restai concentrata sul compito che mi attendeva.

Con delicatezza eccezionale Jared posò il corpo inerte della Cercatrice sulla branda. Anziché infastidirmi, riuscì quasi a commuovermi. Capii che lo faceva per me, pentendosi di non avermi potuto trattare così sin dall'inizio.

«Doc, dov'è l'Anti-dolore?»

«Vado a prenderlo» mormorò.

Mentre attendevo, osservai il viso della Cercatrice e mi chiesi che ne sarebbe stato della sua ospite, una volta libero. Cosa sarebbe rimasto? Un guscio vuoto, o un corpo con un'identità definita? Quello sguardo mi sarebbe apparso meno ripugnante, se ad accenderlo fosse stata una presenza diversa?

«Eccolo.» Doc mi porse il cilindro.

«Grazie.»

Ne estrassi un quadratino sottile e gliela restituii.

Malgrado la mia riluttanza a toccare la Cercatrice, costrinsi le mie mani ad abbassarle il mento e a posarle l'Anti-dolore sulla lingua.

Le richiusi la bocca. La medicina si sarebbe sciolta in fretta.

«Jared, ti dispiacerebbe voltarla a pancia in giù?» domandai.

In quell'istante, la lanterna al propano prese vita. La grotta si illuminò all'improvviso, quasi a giorno. Alzai gli occhi, d'istinto, e mi accorsi che Doc aveva sigillato con dei teloni le fenditure del soffitto per impedire alla luce di uscire. Durante la nostra assenza aveva curato ogni dettaglio.

Tutto tacque. Sentivo il respiro regolare della Cercatrice. E quello più veloce e teso degli uomini che mi circondavano. Sentivo il peso dei loro sguardi.

Deglutii, sperando di controllare la voce. «Doc, mi servono Guarisci, Pulisci, Cicatrizza e Leviga.»

«Eccoli.»

Scostai i capelli crespi e neri della Cercatrice per scoprire la piccola linea rosa alla base del cranio. Indecisa, fissai la pelle olivastra.

«Potresti incidere tu, Doc? Io non... non voglio.»

«Senz'altro, Wanda.»

Mi si avvicinò, ma vidi soltanto le sue mani. Sistemò una piccola schiera di cilindri bianchi sul lettino, accanto alla spalla della Cercatrice. La scintilla del riflesso irradiato dal bisturi mi colpì il volto per un istante.

«Vorrei poterla disinfettare» mormorò Doc, assorto, nell'ovvio timore di non avere abbastanza mezzi.

«Non serve. Abbiamo il Pulisci.»

«Lo so.» Fece un sospiro. Ciò che desiderava era la routine, la lucidità che le vecchie abitudini sapevano restituirgli.

«Quanto spazio ti serve?» domandò, arrestando la punta della lama a un centimetro dalla pelle.

Sentivo il calore degli altri corpi premuti in cerca di un buon punto di osservazione. Badavano a non sfiorare né me né il dottore.

«Quanto ne occupa la cicatrice.»

Non gli sembrava abbastanza. «Sicura?»

«Sì. Ah, aspetta!»

Doc si ritrasse.

Mi resi conto che stavo facendo tutto al contrario. Non ero una Guaritrice. Non avevo la stoffa per certe operazioni, mi tremavano le mani. Non riuscivo a staccare gli occhi dal corpo della Cercatrice.

«Jared, prendi un serbatoio, per favore.»

«Certo.»

Lo sentii percorrere pochi passi, sentii il tonfo sordo e metallico del fusto che sbatteva contro gli altri.

«E poi?»

«Sul coperchio c'è un cerchio. Premilo.»

Sentii il ronzio cupo del crioserbatoio che si accendeva. Gli uomini borbottarono e si allontanarono strisciando i piedi.

«Okay, sul lato dovrebbe esserci un altro interruttore... una specie di manopola. La vedi?»

«Sì.»

«Girala tutta verso il basso.»

«Okay.»

«Di che colore è la luce sul coperchio?»

«È... sta cambiando, da rossastra a... blu. Ora è azzurra.»

Sospirai di sollievo. Per fortuna i serbatoi erano funzionanti.

«Ottimo. Apri il coperchio, e aspettami.»

«Come?»

«C'è una serratura a scatto.»

«Trovata.» Sentii il clic del coperchio e il ronzio del meccanismo. «È gelido!»

«L'hai detto.»

«Come funziona? Cosa lo alimenta?»

«Lo sapevo quand'ero un Ragno. Ora non ne ho idea. Doc, puoi continuare, sono pronta.»

«Eccoci» sussurrò Doc, mentre con destrezza, quasi con grazia, faceva scorrere la lama del bisturi sulla pelle. Il profilo del collo si macchiò di sangue, che si addensava sulla salvietta a cui era appoggiata la testa.

«Un millimetro più a fondo. Appena al di sotto dell'attacco...»

«Sì, vedo.» Rispose Doc infervorato.

Un riflesso argenteo brillò nel rosso.

«Bene. Adesso tienile i capelli.»

Doc prese il mio posto con un movimento svelto e fluido. Ci sapeva fare. Sarebbe stato un ottimo Guaritore.

Non cercai nemmeno di nascondergli ciò che facevo. Erano movimenti troppo impercettibili perché potesse osservarli. Solo spiegandoglieli uno alla volta avrebbe potuto ripeterli.

Con cautela, feci scorrere un dito sul dorso della creaturina argentea, affondandolo nell'apertura alla base del collo. Mi feci strada fino alle antenne anteriori, sfiorando il profilo delle propaggini tese come corde d'arpa e legate ai recessi più profondi del cervello.

Curvai il dito sotto il corpo dell'anima, carezzandone il primo segmento fino a una nuova serie di propaggini, rigide e tese come le setole di una spazzola.

Frugai con la massima attenzione tra le giunture di quelle corde, tra le articolazioni minuscole, non più grandi della capocchia di uno spillo. Le sfiorai fino a circa un terzo della loro lunghezza. Avrei potuto contare, ma rischiavo di perdere troppo tempo. Era la duecentodiciassettesima propaggine, ma c'era un altro modo di trovarla. Ed eccola, la cresta minuscola che ne rendeva le articolazioni leggermente più grandi delle altre: una perlina, anziché una capocchia. La sentii, liscia, sotto il polpastrello.

Vi applicai una pressione delicata, massaggiandola dolcemente. Con le anime, la gentilezza era la chiave. Mai la violenza.

«Rilassati» bisbigliai.

E malgrado l'anima non potesse sentirmi, obbedì. Le corde d'arpa si allentarono fino a sciogliersi mentre il corpo che le riassorbiva si gonfiava impercettibilmente. Trattenni il respiro finché non avvertii l'anima dondolare a contatto con il dito. Si dibatteva libera.

Lasciai che si trascinasse verso l'esterno, poi chiusi le dita con delicatezza attorno al suo corpo minuscolo e fragile. La sollevai, argentea e luminosa, umida del sangue che colava lesto dall'incisione, e la cullai sul palmo della mano.

Era bellissima. L'anima il cui nome non avevo mai conosciuto era una piccola onda argentata che splendeva nella mia mano... un bellissimo nastro piumato.

Non potevo odiarla. Mi sentii inondare di un amore quasi materno.

«Dormi bene, piccola» le sussurrai.

Mi voltai verso il debole ronzio del crioserbatoio, alla mia sinistra. Jared lo teneva basso e inclinato, e fu semplice trasferire l'anima nel freddo impossibile che filtrava dall'apertura. La feci scivolare nella fessura stretta e con cautela serrai il coperchio.

Presi il crioserbatoio da Jared, lo girai con attenzione fino a metterlo in verticale e lo strinsi al petto cullandolo protettiva come una madre.

Mi voltai verso la sconosciuta sul tavolo. Doc stava già spalmando il Leviga sulla ferita chiusa. Eravamo una bella squadra: una si occupava dell'anima, l'altro del corpo.

Doc alzò lo sguardo, pieno di entusiasmo e meraviglia. «Straordinario» mormorò. «Incredibile.»

«Bel lavoro» bisbigliai.

«Quando pensi che si sveglierà?» chiese lui.

«Dipende da quanto cloroformio ha inalato.»

«Non molto.»

«E poi bisogna vedere se è ancora presente.»

Senza che glielo chiedessi, Jared sollevò con dolcezza la donna che non aveva un nome dalla branda, e la fece accomodare a pancia in su sopra un lettino pulito. La sua tenerezza non mi sfiorò. Era una tenerezza da umani, come Melanie...

Doc lo seguì, controllando il polso della donna e sollevandole le palpebre. Puntò una torcia verso i suoi occhi incoscienti, e vide le pupille contrarsi. Nessuna luce riflessa lo colpì. Lui e Jared si scambiarono un'occhiata eloquente.

«Ce l'ha fatta davvero» disse Jared a bassa voce.

«Sì» commentò Doc.

Non mi accorsi che Jeb mi si era avvicinato.

«Notevole, ragazza mia» mormorò.

Mi strinsi nelle spalle.

«Ti senti un po' combattuta?»

Non risposi.

«Già. Anch'io, piccola, anch'io.»

Aaron e Brandt parlavano alle mie spalle, incapaci di trattenere l'entusiasmo, prevenendo l'uno i pensieri e le domande dell'altro.

«Aspetta che gli altri lo sappiano!»

«Pensa a...»

«Dovremo andare a prendere...»

«Sono già pronto...»

«Basta» li interruppe Jeb. «Niente rapimenti, finché questo serbatoio non sarà in viaggio nello spazio. Giusto, Wanda?»

«Giusto» risposi, con voce ferma e stringendo il contenitore al petto.

Brandt e Aaron si scambiarono uno sguardo deluso.

Avevo bisogno di altri alleati. Jared, Jeb e Doc, per quanto fossero influenti, erano soltanto in tre. Anche a loro servivano supporti.

Il che significava una cosa: dovevo parlare con Ian.

Anche con gli altri, certo, ma Ian doveva sapere. Sentii il cuore accasciarsi in fondo al petto, raggomitolarsi inerte. Da quando mi ero unita agli umani avevo fatto tante cose contro la mia volontà, ma non ricordavo fitte di dolore così profonde. Nemmeno la decisione di sacrificarmi per salvare la Cercatrice: una ferita enorme, vasta, un mare di dolore che, però, giustificato da un bene più grande, era quasi sopportabile. Dire addio a Ian era come una ferita infetta da una lama affilata. Avrei voluto trovare un modo, uno qualsiasi, per salvarlo da quello stesso dolore. Non c'era.

Ancora peggio sarebbe stato dire addio per sempre a Jared. La più avvelenata tra le ferite. Perché lui non avrebbe sofferto. La gioia avrebbe soffocato qualsiasi piccola nostalgia di me.

Quanto a Jamie, be', non avevo affatto in programma di dirgli addio per sempre.

«Wanda!» mi chiamò Doc.

Mi affrettai a raggiungere il letto su cui era chino. Prima di arrivarci, vidi la piccola mano olivastra stringersi e rilassarsi, mentre penzolava dal bordo della branda.

«Ah» mugolò la voce familiare della Cercatrice. «Ahi.»

Nella stanza calò il silenzio. Tutti mi fissarono, come se l'esperta di umani fossi io.

Diedi di gomito a Doc, senza smettere di stringere il serbatoio. «Parlale» sussurrai.

«Uhm... ehi? Mi senti... signorina? Sei al sicuro, ora. Capisci ciò che dico?»

«Ah» gemette lei. Un battito di ciglia e i suoi occhi si aprirono, mettendo a fuoco il volto di Doc. Grazie all'Anti-dolore, nella sua espressione non c'era ombra di sofferenza. I suoi occhi erano nero onice. Saettarono per la stanza finché non mi individuarono, per dedicarmi un'occhiataccia. Poi tornò a rivolgersi a Doc.

«Ehi, è bello riavere una testa» disse a voce alta. «Grazie.»