Seduta del 7 maggio 1896
«Professore, vorrei che oggi mi parlasse di sua figlia Irene.»
«Non ho una figlia di nome Irene. Mia figlia si chiama Klara.»
«Perdoni la mia distrazione. Sarebbe così buono da descriverla?»
«Una ragazza più o meno della mia statura. Ha il viso di sua madre, gli stessi colori. Un piccolo neo sopra il labbro superiore. La carnagione molto chiara. Veste spesso di grigio, e le regalo dei grandi foulard.»
«Per i quali, immagino, le sarà grata. La riconoscenza dei figli è sempre emozionante.»
«Lei ha figlie femmine?»
«Ho figli maschi e figlie femmine.»
«Allora la invidio, dottore.»
«Per quale motivo?»
«Ci sono preoccupazioni che i figli maschi non danno, mi creda.»
«Eppure ci sono fior di miti che raccontano il contrario. Lei dovrebbe conoscerli bene: Zeus evirò suo padre, Edipo uccise Laio. E poi c’è un’altra leggenda che voglio raccontarle. Narra di un ragazzo che si mise in viaggio. Il padre e la madre, mentre era lontano, bussarono alla sua porta e chiesero d’essere ospitati. La moglie del ragazzo li accolse con gioia e, pur di alloggiarli, li mise a dormire nel proprio letto. Quella notte il ragazzo rientrò dal lungo viaggio, entrò in camera, vide più corpi nel suo letto, pensò che la moglie lo tradisse, sguainò la spada e uccise i genitori. Conosceva questa storia?»
«Non è un mito greco.»
«Non lo è, me l’ha narrata un mio paziente. Come vede, i figli maschi riservano sorprese.»
«Ma almeno non devono sposarsi a tutti i costi, dottor Freud.»
«Sua figlia Irene è già promessa?»
«Le ho detto che si chiama Klara.»
«Mi perdoni, è proprio un vizio. E comunque: Irene è fidanzata?»
«Klara non lo è.»
«Lo sarà, c’è da augurarselo. Se non avvenisse sarebbe sì un peccato.»
«Ma non ancora, non ancora: è presto. Si porrà il problema però, non ne ho dubbi.»
«Preferirebbe che Irene rimanesse sola?»
«Non so chi sia Irene, non so perché lei mi stia volutamente infastidendo.»
«Le racconterò allora un’altra storia. Questa però non è una leggenda. Stavolta c’è un uomo che viene condannato a morte. Il fucile spara, lui cade a terra. Tutti lo credono morto. Ma una ragazza lo vede respirare. Si avvicina, lo riesce a trascinare nella sua stanza e con infinita cura gli toglie dal corpo uno per uno tutti i proiettili, facendolo guarire.»
«Come mai me l’ha raccontata?»
«Nessuna ragione: è la storia di un mio cugino soldato.»
«Non ha molto senso: neanche un chirurgo toglie via decine di proiettili da un corpo.»
«Io però ho parlato di un fucile solo.»
«Come dice, scusi?»
«Lei allude a decine di proiettili, un fucile ne spara al massimo un paio.»
«Avrò capito male.»
«E se io le dicessi che la ragazza del racconto si chiamava Irene?»
«Dovrebbe cambiarmi qualcosa?»
«Forse sì: non era un intenditore di vite dei santi? Io mi sono fatto una cultura nel frattempo. Dice la leggenda che santa Irene tolse decine di dardi conficcati nella pelle di san Sebastiano.»
«Lo ignoravo.»
«Io non credo. Non credo ignorasse nemmeno che la leggenda che le ho detto prima è quella di san Giuliano: uccise i genitori mentre dormivano.»
Kristof mi guarda, con le pupille immensamente dilatate. Per oggi non mi dirà più niente.
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