Marzo 1894

Al nostro appuntamento di oggi, il quinto in ordine di tempo, ho dovuto attendere il paziente per oltre mezz’ora. La governante, tale Rose, che lo accudisce in questa bizzarra prigionia mi ha fatto accomodare nel solito salotto, anticipandomi che l’umore del padrone non era dei migliori. Ha proposto addirittura di rimandare la seduta, cosa che ho rifiutato. Una parte di me è convinta anzi che questa improvvisa ostilità si debba all’esito degli ultimi incontri, e al fatto che io stia tentando di far luce nei meandri di un sogno così complesso. Ho preso posto sulla poltrona, chiedendo con fermezza a Rose di convocare Wilhelm. Dopodiché, ben sapendo che non sarebbe stata un’attesa breve, ho riletto gli ultimi appunti sul suo sogno. E non è stato tempo inutile: mi sono convinto che la narrazione del sogno sia un momento decisivo per la sua analisi. Nel caso del mio sogno dell’ospedale-ristorante, non avevo forse artefatto io stesso il racconto fingendo di non ricordare che avevo parlato di infanticidio? Questo senz’altro ha a che fare con la memoria di ciò che sogniamo. Come mai il ricordo dei sogni è così labile? Io temo sia per il fatto che essi non procedono per discorsi, ma per somme progressive di elementi. È come se io eseguissi un motivetto al pianoforte: esso sarà subito orecchiabile per chi lo ascolta. Ma se viceversa io suonassi, senza legarle, le singole note dello spartito, ecco che sarebbe assai difficile pretendere di ricordarle, perché non fanno parte di un’armonia. Il sogno agisce così: procede per singoli frammenti, ognuno dei quali risponde a un bisogno specifico. Lo stesso concetto di tempo non è scontato che nella narrazione dei sogni sia così rispettato, un po’ come avveniva in certi quadri dell’età medievale, in cui il pittore raffigurava nella stessa tela momenti diversi dell’azione (vi sono certe Natività in cui i Re Magi appaiono ritratti in viaggio e poi simultaneamente davanti alla stalla di Bethlehem). Il fatto è che in un secondo momento, al risveglio, quel materiale entra in possesso della nostra coscienza, la quale cerca subito di assimilare il tutto in un discorso compiuto, in un racconto, ovvero in una trama che abbia un prima e un dopo. Perché la nostra mente è abituata, da sveglia, a procedere sempre per nessi di causa-effetto.

Quando Wilhelm T. entra nella stanza, gli tendo a mio modo un’imboscata. Fingo di aver perso tutti gli appunti sul suo sogno, lo prego di raccontarmelo di nuovo dall’inizio. Mi interessa capire come si modifica il racconto dello stesso sogno, e se in questa nuova versione Wilhelm mi fornirà elementi nuovi:

Fisso Wilhelm, in un silenzio lunghissimo.

RACCONTO INIZIALE
«Salgo sul fianco di un monte,
dove tutto sembra sia bruciato:
ci sono alberi enormi e neri,
fumano come carbone,
io ci sto in mezzo
e il puzzo di incendio mi entra nel naso
mentre la resina calda
scende come lava
dai buchi sui tronchi neri
e mi scorre in faccia
dandomi fuoco agli occhi.
Mi manca il fiato, sto per soffocare.
Poi in tre scatole di legno
vedo tre grandi farfalle
che sbattono le ali
escono su dalle scatole
e si alzano in cielo,
io vorrei salire
anch’io
lassù
con loro
ma non ho ali,
cerco di saltare ma non prendo il volo
e il fuoco negli occhi brucia sempre più forte,
allora afferro le tre scatole,
le uso per spiccare il volo,
ma sono sfondate,
non servono a niente,
il fumo intanto è sempre più denso, mi entra dentro.
Mi manca il fiato, sto per soffocare.
E le pupille sono come braci
e il fumo ancora
e il fumo ancora
e il fumo, e il fumo
finché mi sveglio, senza fiato, spesso piangendo.»
NUOVO RACCONTO
«Sono su una montagna,
ma c’è stato un incendio,
cammino fra gli alberi
che sono neri nerissimi
io striscio fra i rami secchi,
ma c’è un odore terribile
e una specie di colla
scende, calda,
scende da lassù, dagli alberi,
e mi arriva in faccia
bruciando anche me.
A questo punto
entrano alcune cassette
con delle farfalle
escono da lì e se ne vanno via.
Gli occhi
mi bruciano
sempre di più
e mi manca l’aria
perché i tronchi sono dappertutto
e non riesco a superarli,
poi metto le cassette vicine
come fossero una scala
e le uso per saltare oltre gli alberi.
Ma ci cado dentro,
perché non mi reggono.
A questo punto il fumo
il fumo diventa più denso
ce n’è tantissimo
non si respira
c’è fumo dappertutto
non si vede più niente
e soffocando mi risveglio.»

Egli allontana lo sguardo, e puntando non so cosa sul soffitto scandisce: «Questa volta il sogno me lo ricordavo meglio».

Rifletto se rispondergli o assecondarlo. Scelgo di non nascondergli il punto che mi preme: «Vuol dirmi che il primo racconto era da strappare anche se non lo avessi perso?».

«Voglio dire che ho l’impressione di averlo raccontato con più precisione, tutto qui.»

«Curioso, dal momento che un passaggio decisivo adesso manca del tutto. Quando le farfalle volano via, lei non salta più per raggiungerle. Senza poi dire che è scomparso il numero tre.»

«Si vede che la prima volta l’avevo aggiunto per sbaglio.»

«Oppure che questa volta l’ha cancellato per qualche motivo.»

«Non vedo perché dovrei.»

«Forse perché l’altra volta mi parlò dei suoi tre fratelli.»

«E questo che significa? Fratelli e farfalle non sono la stessa cosa. O forse sì? Mi dica se lei ha un’idea di come farli stare insieme.»

«Neanche io ne ho idea: c’è solo la coincidenza del numero tre, non ho davvero uno straccio di ipotesi sul perché un fratello potrebbe diventare una farfalla. Lei ne ha?»

«Niente affatto.»

«Ad ogni modo, faremo così: per mia scelta fingiamo che le tre farfalle siano rimaste nel sogno, così come erano.»

Wilhelm sbuffa, come se stesse subendo un sopruso: «Vuol decidere lei quello che io ho sognato?».

«Se è per questo, Wilhelm, temo che non possa deciderlo neppure lei.»

«Se non fosse che il sogno è mio, solo io lo conosco.»

«Non è esatto. Il sogno non è completamente suo. Posso sbagliarmi, ma penso che sia figlio di Wilhelm, ma non del Wilhelm che mi sta parlando adesso. Così come i miei sogni sono di Sigmund ma non pienamente suoi. Forse sono di Sigmund ma non di Freud... Altrimenti non si spiega perché lei, oggi, ha dato una versione così diversa. Gli alberi, per esempio: adesso mi dice che lei ci deve strisciare in mezzo, non più camminare.»

«Non vedo una grande differenza. O vuole che parliamo tutto il tempo di questo tre che è sparito? Mi pare onestamente tempo perso.»

«Per un sogno i dettagli sono essenziali. E poi non c’è solo il tre. Nel suo racconto iniziale mi disse che semplicemente “c’erano tre scatole”, mentre oggi “entrano alcune cassette”.»

«Come fa a ricordare così perfettamente?»

«Ho una buona memoria.»

Wilhelm si alza, attraversa la stanza. Ho come l’impressione che in lui due entità diverse si affrontino in un dibattito. Chiedere una nuova versione del sogno ha portato alla luce questa partita a scacchi. Attendo di sapere, adesso, quale dei due Wilhelm ricomincerà a parlare nell’incontro di oggi: quello che ha soppresso le tre farfalle o quello che si fece sfuggire dei tre fratelli morti?

Torna a sedersi. Incrocia le mani davanti al viso: «Le farfalle nel sogno ci sono. Ci sono sempre. E sono più che certo che sono tre. Non mi chieda perché oggi ho detto un’altra cosa, non lo so. Le chiedo scusa».

«Lei chiede scusa a me? Per cosa? Se possibile, invece, il fatto che abbia soppresso il numero tre ci dice qualcosa di importante, credo. Per esempio ci dice che lì si nasconde qualcosa di più rischioso del resto. Lei ha ricordo di qualche gioco che faceva da bambino con i suoi fratelli, e che avesse a che vedere con gli insetti? Inseguivate le farfalle nei campi? A volte i bambini lo fanno.»

«Lo escludo, non ho nessun ricordo del genere.»

«Ha detto che le tre cassette “entravano”. Intanto le chiedo: erano scatole o erano cassette?»

«Cassette di legno, né piccole né grandi, di quelle che usano in campagna per metterci arnesi e sacchi.»

«E come entravano? Da sole? Con le ruote? Su un carro?»

«No, non c’era nessun carro.»

«Allora le portava qualcuno? È giusto dire che “qualcuno portava le tre cassette”? Si sforzi, cerchi di vedere.»

«Non c’è nessuno, le giuro, le cassette spuntano fra i rami, le vedo a un tratto.»

«In una radura?»

«Nessuna radura, anzi, ci sono molti più alberi là intorno.»

«E se gli alberi stanno bruciando, perché le cassette non prendono fuoco?»

«Gli alberi non stanno bruciando, gli alberi sono carbonizzati.»

«Non ci sono fiamme, dunque, nel bosco?»

«Non ci sono fiamme.»

«Non ci sono fiamme, eppure lei sente bruciare ovunque.»

«Perché gli alberi versano quella resina calda, mi scorre sul viso.»

«Abbiamo degli alberi carbonizzati eppure capaci di versare resina?»

«Non lo so.»

«E poi come fa questa resina a scenderle in faccia?»

«Non lo so, non lo so.»

«Si concentri sul sogno: cosa vede?»

«Non vedo niente, non vedo più niente.»

È la prima volta che vedo Wilhelm T. piangere. È la prima volta che vedo qualcuno piangere per un sogno. Apro la porta, chiamo nel corridoio la governante Rose.

Per oggi ci fermiamo qui.

*

L'interpretatore dei sogni
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