42
Passarono due settimane senza che succedesse
nulla. Nessuna telefonata da parte della polizia, nessun arresto,
nessun accenno a convocazioni o interrogatori a carico di Scott
Elias.
Ero sicurissima che la
polizia avrebbe dato seguito alle mie dichiarazioni,
invece...
Come se non bastasse,
secondo Petra Scott era tornato a casa, dopo aver convinto Nadine
dell’inconsistenza della nostra presunta avventura e della
sincerità del suo pentimento. Si vergognava di essersi lasciato
traviare, sosteneva, era stato un momento di
debolezza.
Era un discorsetto da
consumato politico desideroso di recuperare consensi e mi stupiva
che avesse funzionato. Scott si era scusato con tutti cospargendosi
il capo di cenere e tutti l’avevano perdonato perché anche i
migliori di noi possono sbagliare, ogni tanto. Nessuno è
perfetto.
Alla fine, stanca di
aspettare, chiamai il sergente Aspinall, che però fu evasiva e mi
informò che non poteva parlare delle indagini ancora in corso sulla
morte di Wayne Geddes. Mi assicurò che, non appena avessero
spiccato un mandato di arresto, sarei stata avvertita.
«Ma avete trovato
qualcosa che legasse Scott Elias alla morte di Wayne? O non risulta
niente?» chiesi esasperata. Scott mi era stato addosso come un
maniaco e lei non mi dava retta, ritenendomi una sciocca
irrazionale?
«Stiamo seguendo diverse
linee di indagine, signora Toovey» fu la risposta.
«Dovete intervenire al
più presto!»
«Le assicuro che stiamo
svolgendo il nostro lavoro con il massimo impegno.»
Era inutile. Pareva che
il sergente Aspinall avesse archiviato la mia deposizione appena me
n’ero andata. Con ogni probabilità non aveva neanche provato a
parlare con Scott.
Mi sarei dovuta
rivolgere a qualcun altro, avrei dovuto rendere la mia
dichiarazione a un ispettore che mi prendesse sul serio. Ero
pentita di essermi rivolta a Joanne Aspinall.
«Non ti incaponire» mi
consigliò Petra, quando mi lamentai con lei dell’inefficienza della
polizia.
«Non riesco a non
pensarci» risposi.
Le avevo raccontato
tutto. Non avevo più voglia di mentire. Petra, però, riteneva che
Wayne fosse finito morto in un congelatore per altri motivi e che
Scott non c’entrasse niente. «Non farmi ridere» aveva osservato,
quando le avevo esposto la mia teoria. «Scott non sarebbe mai
capace di una cosa del genere.»
Era mercoledì sera ed
eravamo nella cucina di Petra che, sebbene ancora freddina nei miei
confronti, aveva ripreso a rivolgermi la parola. Faticava a
elaborare il lutto, dopo la rottura con Scott e Nadine. Quando
sembrava che se ne fosse fatta una ragione, ricominciava a piangere
sull’amicizia perduta. Voleva che le raccontassi per filo e per
segno vari particolari della nostra «tresca», come la chiamava lei.
Sembrava una moglie tradita che tempesta di domande il marito
fedifrago. In certi casi, pur sapendo che sarebbe meglio evitare,
non riesci a trattenerti. È un po’ come togliere la crosta prima
che la ferita sia guarita, o tormentare con un bastoncino un
animale morto per strada.
«Quindi ti piaceva?» mi
domandò Petra, chiudendo il coperchio di pasta sfoglia su un
tortino di carne e rognone. «Ti è piaciuto?»
«Sai come funziona con
il sesso, Petra.»
«A Nadine Scott ha detto
che l’avete fatto una volta soltanto e Nadine racconta a tutti che
sei un’isterica e hai messo in giro la storia del sesso a pagamento
perché sei disperata.»
«Ah, sì?» Ormai non mi
alteravo più per nulla.
Petra si morse un
labbro. «Ti ha chiesto di fare qualcosa di perverso? Hai dovuto
fargli... Hai capito?»
«Cosa?» le chiesi
inarcando le sopracciglia. Non avevo idea di cosa stesse
parlando.
«Non riesco neppure a
dirlo» si schermì.
E così via.
George era stato dimesso
dall’ospedale ed era con Winston per tre giorni. Avevo raccomandato
a Winston di fare attenzione al Range Rover di Scott – non si
sapeva mai – e sebbene fosse convinto che ero pazza furiosa e
paranoica, mi aveva promesso di non perdere di vista George nemmeno
per un secondo. Non sarebbe stato difficile, dato che George si
muoveva molto lentamente. Con le stampelle aveva una discreta
mobilità e la settimana dopo sarebbe dovuto tornare in ospedale per
regolare il fissatore. Nel frattempo io ero rientrata al lavoro.
Durante la mia assenza era stato assunto un nuovo responsabile, una
donna che si chiamava Andrea, molto brava ed efficiente. Andrea
aveva già preso le misure a Gary, cui aveva chiesto di giustificare
il gran numero di trattamenti cui sottoponeva i pazienti per
problemi di lieve entità. «Se il paziente non ha dei benefici in
tempi rapidi non torna, Gary» avevo sentito che gli diceva. Gary
aveva annuito e risposto: «Certo, certo». In seguito l’avevo
sorpreso a circolettare con aria imbronciata le offerte di lavoro
nel servizio sanitario nazionale sull’ultimo numero di
Frontline.
Il mio progetto di
tornare a lavorare come libera professionista era
archiviato.
Con l’incidente di
George mi ero resa conto degli svantaggi dell’essere un lavoratore
autonomo. Se lavori in proprio, non ti puoi ammalare e, non so per
quale alchimia, effettivamente ti ammali di meno. I tuoi figli però
no: loro continuano ad ammalarsi e ogni tanto hanno pure un
incidente. Se fosse successo qualcosa, non avrei potuto contare su
nessuno e avrei dovuto annullare gli appuntamenti. Se questo
succede spesso, i pazienti si rivolgono altrove. E così avevo
informato Keith Hollinghurst del fatto che, con grande dispiacere,
ero costretta a rinunciare alla sua generosa offerta.
Avrei rimandato la
realizzazione dei miei sogni. Per l’ennesima volta. Mi sentivo una
fallita e, benché avessi un certo numero di persone – Petra, per
esempio, che chiacchierava volentieri e mi distraeva con i suoi
racconti – nelle settimane dopo l’incidente soffrii la solitudine
come mai prima.
Pensavo al povero Wayne
dentro al congelatore, al fatto che nessuno a parte me pareva
interessato a capire come ci fosse finito o a catturare il suo
assassino. E anche la mia determinazione, in fondo, era dovuta ai
sensi di colpa perché, se avevo visto giusto, Wayne era morto a
causa mia.
Decisi che, se non ci
fossero stati nuovi sviluppi nelle ventiquattr’ore successive,
sarei tornata alla polizia e avrei preteso spiegazioni. Volevo
capire come mai non stavano approdando a nulla. Questo almeno
dovevo al povero Wayne.
Due sere dopo tornai a casa
all’imbrunire.
Nel corso del nostro
incontro del giorno precedente, Joanne Aspinall non si era
sbottonata. Si era limitata a ripetermi che la polizia stava
svolgendo il suo lavoro con impegno ed efficienza. Potevo starmene
buona e lasciare che facessero il loro mestiere?
La persona seduta a
tavola era praticamente invisibile, all’inizio, poiché la casa era
immersa nella penombra. Perciò, quando accesi la luce rimasi di
sasso.
Ero impietrita, in preda
al panico, mi fischiavano le orecchie.
«Ciao, Roz» disse. «È
tanto che non ci si vede.»
«Cosa fai qui,
Scott?»
«Sono venuto a parlarti.
Era l’ora, ti pare?»
«Come hai fatto a
entrare?»
«La porta sul retro era
aperta.»
Non era vero: l’avevo
chiusa. Me lo ricordavo benissimo.
Andai a controllare. Per
terra c’erano vetri rotti. Valutai l’ipotesi di prendere un
coltello dal cassetto, o qualcos’altro, ma mi accorsi di avere
Scott alle spalle. Ero spaventata al punto che non riuscivo a
muovermi e facevo fatica a respirare.
«Mi sei mancata» disse
stancamente. «Vieni a sederti. Parliamo.»
Ubbidii e lo seguii in
sala, attenta a ogni sua mossa.
Prendemmo posto l’una di
fronte all’altro. «Come sta tuo figlio?» domandò. «George, giusto?»
continuò, come se fosse una situazione normalissima, come se non si
fosse introdotto in casa mia forzando la porta.
«Meglio»
risposi.
«Bene, mi fa
piacere.»
Mi tremavano le mani.
Scott abbassò lo sguardo e mi osservò mentre intrecciavo le dita.
Poi mi rivolse un’occhiata stupefatta, come se la mia fosse una
reazione esagerata.
«L’ho visto in ospedale»
mi informò. «Ti assomiglia.»
«Che cosa? Quando lo hai
visto? Come hai fatto a entrare?»
«È stata questione di un
attimo. Volevo accertarmi personalmente del suo stato di salute.
Non fare quella faccia afflitta, Roz. Abbiamo scambiato quattro
chiacchiere. Non te l’ha riferito?»
Sentii che fra il labbro
e il naso mi si stavano formando goccioline di sudore. Ero
indignata che Scott fosse andato da George a mia insaputa. Cristo
santo!
«Scott» chiesi
sommessamente. «Cosa sei venuto a fare qui?»
«Nadine c’è rimasta
malissimo, sai?» proseguì imperterrito, come se non mi avesse
nemmeno sentito. «Continuo a ripeterle che è stato un incidente e
che, se fosse stata un po’ meno sconvolta, sarebbe stata più
prudente. Le ho fatto notare che non è più colpevole di noi due.
Sei d’accordo?»
Non risposi e lui
aggrottò la fronte, aspettando che dicessi qualcosa.
«Mi fai paura, Scott.
Vuoi farmi del male?»
Scosse la testa e
proruppe in una risatina amareggiata. «Figurati se ti voglio fare
del male» rispose. «Non esiste. Perché dovrei?» Sembrava
sinceramente stupito che glielo avessi chiesto. «Voglio soltanto
parlare un po’.»
«Di cosa?»
Serrò la mascella ed
ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere.
«Sei andata di nuovo
alla polizia» disse.
«Mi tieni d’occhio? Mi
controlli? Perché? Cosa mi pedini a fare?»
Scott fece
spallucce.
«Sono venuto a chiederti
di lasciar perdere» spiegò. «Non voglio che continui a insistere.
Non andrà a finire bene, ti avverto. Ti conviene restarne
fuori.»
«Ti hanno
interrogato?»
«Sì.»
«Ah.»
«Ti sorprende?» mi
chiese.
«No, è che
credevo...»
«Credevi che mi
arrestassero, visto che sei andata a denunciarmi? Pensavi
trovassero il mio DNA? Ti sbagli, Roz» dichiarò con
fermezza.
Pausa.
«Perché l’hai ammazzato,
Scott?» domandai guardinga. «Era davvero...?»
Scott alzò una mano per
zittirmi. «È stato un atto deplorevole di cui mi dolgo» rispose
pacato. «Non sono andato là per uccidere. Per chi mi hai preso? Per
un animale?»
«Non lo so!»
gridai.
«L’ho fatto per
te.»
«Per me?»
«Era
indispensabile.»
«No, Scott, non era
affatto indispensabile. Per favore, vattene. Vorrei che te ne
andassi, adesso.»
Spinsi la sedia
all’indietro per alzarmi, ma lui allungò un braccio e mi afferrò
per il polso.
«Resta dove sei» mi
ordinò.
Ebbi paura. Tanto da
avere la nausea.
«Mi fai male!» protestai
e dopo un po’, anche se di malavoglia, Scott allentò la
stretta.
«Senti, non sono venuto
qui per spaventarti» disse. «Sono venuto per chiederti aiuto,
piuttosto. Vorrei che la piantassi di indagare, o cos’è che stai
facendo, e che andassimo avanti con le nostre vite. Non c’è nulla
da guadagnare ad ammettere cos’è successo a Wayne.»
Lo guardai allibita.
Avevo il respiro affannoso.
«Cosa c’è?» chiese Scott
sulle difensive. «Cosa vuoi che faccia? Che ammetta di aver
piazzato quel localizzatore sulla tua macchina, di averti seguito
fino a casa di Wayne, di aver aspettato che tu te ne andassi e
averlo ammazzato? È questo che desideri? Cosa ci guadagni,
Roz?»
Visibilmente tremante,
chinai il capo e mi spostai sulla sedia, come se volessi sistemarmi
i pantaloni.
Scott alzò gli occhi al
cielo.
«Dammi il cellulare» mi
ordinò stancamente.
«Come
dici?»
«Il cellulare, Roz. Non
voglio che registri questa conversazione. Passamelo.»
Ubbidii.
«Ricominciamo» disse,
dopo averlo spento.
Ero in trappola. Ero
sola con un assassino e nessuno lo sapeva.
«Non andrò... Non andrò
più dalla polizia» promisi, incespicando sulle parole. «Farò tutto
quello che dici tu. Adesso, però, vattene. Per
favore.»
«Va bene. Era quello che
ti volevo sentir dire. Come accennavo, non c’è nulla da guadagnare.
Mi sembra che abbiamo già sofferto tutti abbastanza,
no?»
Annuii
debolmente.
«A parte il fatto che
sprecheresti il tuo tempo» continuò. «Non c’è nulla che mi leghi
alla scena del crimine. Ho prestato la massima attenzione.»
Proseguì: «Non è stato cruento. Wayne non ha opposto quasi
resistenza. Ho cancellato tutte le tracce, Roz: sia le mie sia le
tue».
«In che
senso?»
Mi guardò perplesso.
«Non pensavi che avrei lasciato accusare te della morte di Wayne,
vero? Cristo, Roz, guarda che ero serio, quando dicevo di amarti.
Non è uno scherzo. Wayne mi ha spiegato che in un momento di panico
ti aveva colpito con un estintore. Cos’avresti fatto al mio posto,
Roz? Come avresti reagito, nell’apprendere che la persona che amavi
era stata trattata a quel modo? Qualunque galantuomo avrebbe agito
così. Quando ho sentito che cosa ti aveva fatto, non sono riuscito
a trattenermi.»
«Non c’era bisogno di
ammazzarlo.»
«Non l’avevo deciso. È
successo. Mi ha provocato, mi ha detto che voleva
scoparti...»
«Non l’ha
fatto.»
«No?»
Scossi la
testa.
«Quindi su questo non mi
ha mentito. Be’, lasciamo perdere. Anche se non ti ha scopato, ti
ha comunque fatto del male. Mi ha spiegato che aveva le prove dei
tuoi furtarelli.»
«Ti ha detto
questo?»
«Gli ho fatto un po’ di
pressioni, effettivamente» ammise con un sorrisino gelido. «Non
capivo come tu avessi anche solo preso in considerazione di darla a
un inetto simile. L’ho trovato offensivo. All’inizio non voleva
parlare ed è per questo che gli ho messo le mani al collo. Lo
volevo spaventare. Poi, però, quando mi ha spiegato che cosa ti
aveva costretto a fare, ho provato l’impulso irrefrenabile di farlo
smettere di nuocere per sempre. Era indispensabile.»
Lo fissai
sgomenta.
«Ho portato via
l’estintore» mi riferì. «È tutto macchiato di sangue. Il tuo
sangue. È la prova che eri lì e che... c’è stato un problema. Non
potevo lasciarlo in casa: era compromettente, per te.»
«Che cosa ne hai
fatto?»
«L’ho
tenuto.»
«Perché? Perché l’hai
tenuto?»
«Per farlo ricomparire
all’occorrenza. Non ho problemi a parlare di nuovo con la polizia.
Dirò che Wayne ti ricattava per via degli ammanchi di cassa. Penso
la troveranno un’informazione interessante, un ottimo
movente.»
«Non credo che il mio
sangue su un estintore possa provare che avevo un movente per
uccidere Wayne.»
«Vedremo. Vuoi correre
il rischio?» disse. «Non sappiamo quali conclusioni trarrà la
polizia. Al tuo posto, starei attento. E comunque saranno molto
interessati a quegli ammanchi di cassa, al fatto che sei tu la
responsabile. Ma posso anche percorrere strade alternative, andare
a cercare George... Non ti scordare che ci siamo già
conosciuti.»
Aspettò di vedere come
reagivo. Mi aveva messo con le spalle al muro. Se lo avessi
assecondato, bene, altrimenti...
Allungò le braccia e mi
prese le mani.
«Torna da me»
sussurrò.
Ero inorridita, ma
cercai di non farmene accorgere.
«Perché no?» chiese,
offeso dal mio comportamento. «Siamo stati bene insieme, no? Molto
bene.»
«Mi pagavi,
Scott.»
«Sì, lo so» rispose,
minimizzando. «Ecco cosa mi sono dimenticato di dire a proposito
del nostro amico Wayne. Te l’avrebbe fatto rifare
all’infinito.»
«L’avevo messo bene in
chiaro: una volta e basta. Aveva accettato.»
Scott fece un gesto come
a dire che ero una credulona. «A uno così? Gli dai un dito
e...»
«Te lo ha detto
espressamente, che me l’avrebbe chiesto di nuovo?»
domandai.
«Non ce n’è stato
bisogno.»
Ritrassi le mani. «Torna
a casa tua, Scott. Mi hai detto quello che dovevi dirmi e ti
prometto che farò come mi hai chiesto. Non parlerò più con la
polizia, perché non ho alternative. Quindi adesso
vattene.»
Annuì.
«Mi manchi» mormorò,
infilandosi la giacca.
Mi sforzai di sorridere,
di fare una faccia tipo Anche tu mi
manchi e allontanarmi piano piano.
Scott era pazzo. Completamente pazzo.
«Non mi odiare»
sussurrò. «L’ho fatto solo per aiutarti. Non sono una persona
violenta, ma quelli come Wayne non mollano mai. Ti avrebbe
perseguitato per il resto dei tuoi giorni, avrebbe reso la tua vita
un inferno. Non te lo meriti, Roz.»
«No» risposi sottovoce,
a testa bassa, cercando di placarlo.
Con la giacca indosso mi
chiese: «Che progetti hai, ora?» Come se il nostro fosse stato un
colloquio di lavoro.
«Andare avanti, come
prima.»
«Non ti metti in
proprio? È un peccato che tu non apra uno studio per conto
tuo.»
«Non è fattibile, almeno
per ora.» Indugiavo sulla porta della cucina. Ancora pochi passi e
sarei potuta fuggire di corsa sul retro. «Ho preso seriamente in
considerazione di farlo, ma...» continuai a blaterare. «Ma
poi...»
«Ti do una mano
io.»
«Non è il caso,
Scott.»
«La mia offerta resta
valida. Non avresti più bisogno di lavorare. Mi prenderei cura di
te. Perché non vuoi che mi prenda cura di te?»
Non
risposi.
«Perché?» ripeté,
rabbioso. «Non vedo quale sia il problema. Uno si offre di darti
una mano, di facilitarti la vita e tu te ne freghi?
Perché?»
«Perché non si compra
l’amore delle persone, Scott» risposi. «Non è così che funziona.
Non è normale. Perché hai scelto proprio me,
comunque?»
«Non ti ho
scelto.»
«Mi hai coinvolto in
questo tuo progetto insensato e adesso, se mi rifiuto di stare al
gioco, me la fai pagare. Piuttosto che lasciarmi libera, mi
distruggi.»
«Oh, Roz!» esclamò,
allargando le braccia. «Non scegliamo di chi innamorarci. È l’amore
che sceglie noi. Non ho nessun controllo sui sentimenti che provo
per te, così come non ho nessun controllo sulla pioggia o sulle
maree. Capita, non ci puoi far niente. Non ho scelto di amarti, di
mettermi in questa situazione paradossale. È andata così e
basta.»
Amarmi? Quello era fuori
di testa! Come fai a pagare una perché venga a letto con te e
sperare che si innamori? Quanto malato di mente devi essere, per
illuderti di una cosa del genere?
«All’inizio sembravi
molto disinvolto, distaccato» gli feci notare.
«Te lo ripeto: non è
stata una mia scelta.»
«Non potevi
corteggiarmi, come si fa normalmente?» gli domandai. «Perché mi hai
comprato? Potevi semplicemente provarci, no?»
Scott rise, sarcastico.
«Ci ho provato, non ti ricordi? Mi hai detto di no. Niente uomini
sposati, hai decretato. E così ho sfruttato le mie risorse: tu
avevi disperatamente bisogno di soldi e io sono un uomo ricco. Ho
percorso la strada più logica.»
«Va’ via,
Scott.»
«Vado» rispose, ma non
si mosse. «Non lasciamoci così» insistette. «Non voglio che tu mi
odi. Non riesco a sopportarlo.»
«Non ti odio»
mentii.
«Vieni qui»
disse.
Restai
dov’ero.
«Non sono mica un
mostro, Roz» protestò.
Mosse un passo verso di
me e io arretrai.
«Cristo santo» esclamò.
«Cosa ti prende? Sembra quasi... Tu vuoi che io ti metta le mani
addosso, vero? Vuoi che ti faccia del male, che mi comporti come
quel mostro che tu pensi che sia. È così?»
Tacqui,
spaventatissima.
Lui mi si avvicinò, mi
prese la destra e la strinse forte fra le sue mani. Io restai
ferma, confusa.
«Sei sicura, Roz? Sei
proprio sicura?» gridò, piegandomi il pollice all’indietro fino a
farmi male.
«Cosa stai
facendo?»
Mi trascinò verso la
cucina e mi appoggiò il pollice contro lo stipite della porta, poi
afferrò la maniglia con l’altra mano e minacciò di chiudermi la
porta sul dito.
«È questo che vuoi?» mi
gridò.
«Ti prego» lo implorai
con un filo di voce.
«È questo che vuoi da
me? Che metta fine alla tua carrierucola del cazzo?»
«No» risposi in
lacrime.
Le mani erano i miei
ferri del mestiere, il mio mezzo di sostentamento. Senza di loro,
ero finita.
«Ti ho pagato perché ti
amavo» urlò Scott. «Perché non avevo alternative! Non mi guardare
con aria schifata, quindi. Non ti azzardare!»
Aumentò la stretta. Non
sentivo più le dita.
«Potrei finirti anche
adesso, se volessi. Potrei distruggerti in questo stesso
momento.»
Persi improvvisamente la
pazienza.
«Finiscimi, allora!
Fallo, cazzo! Se sei così malato che non puoi fare a meno di
uccidermi, uccidimi.»
Aveva il respiro
affannato. Mi squadrò, cercando di leggermi nel pensiero, come se
facesse fatica a comprendere.
«Hai bisogno di aiuto,
Scott. Hai sbarellato. Sei completamente fuori. Te ne rendi conto?
Ti rendi conto di come cazzo sei diventato? Ti rendi conto che sei
un animale?»
Provò a dire qualcosa,
ma non ci riuscì.
Era perduto, alla
deriva. E non aveva idea di come aveva fatto a scivolare tanto in
basso.