27
Quel pomeriggio mi consegnarono il tavolo della sala e la cucina, forno elettrico e piano cottura in vetroceramica. Niente di eccezionale, ma almeno era pulito. Ed essendo io d’accordo con Clarissa Dickson Wright, buonanima, quando sosteneva che si possono cucinare piatti prelibati anche con due fornelli soltanto, ero contenta di potermi liberare di quel mostro bisunto che mi aveva gentilmente messo a disposizione Vince. Anche dopo averlo sfregato energicamente con lo sgrassatore, mi faceva schifo usarlo: i residui di grasso bruciato emanavano un odore rancido che restava nel naso, come il tanfo dei roghi delle carcasse quando era scoppiata l’epidemia di afta epizootica nel 2001, che era rimasto nell’aria, e nel naso, per mesi.
Non credevo che mi potesse mancare l’atto del cucinare. Anche perché non era una passeggiata preparare la cena a George dopo la lunga giornata di lavoro. Di fronte alla prospettiva di non poter più cucinare, però... Non vedevo l’ora di ricominciare.
Avevo invitato Petra, Vince e Clara e intendevo preparare il mio piatto forte, gli spaghetti alla carbonara. Vince aveva promesso di portare il vino, anche se io avevo protestato dicendogli che non ero più al verde come prima e non era il caso che ci pensasse lui. C’era un bianco portoghese che aveva scoperto di recente, F.P. Branco, e che voleva farmi assaggiare.
Tagliai i pomodori che Dennis aveva raccolto nel suo orto quella mattina. Avevo invitato anche Celia e Dennis, visto che Petra e Celia andavano d’accordo, benché Petra brontolasse perché Celia dopo due bicchieri cominciava a vantarsi della propria famiglia. Ma Celia avrebbe detto lo stesso, se Petra non fosse stata mia sorella. Avevano i biglietti per i Lakeland Book of the Year Awards, però. Una del gruppo di lettura di Celia aveva pubblicato a proprie spese una breve biografia di William e Dorothy Wordsworth, che Celia sosteneva essere molto ben scritta, ma non era il mio genere: meglio evitare.
Aggiunsi ai pomodori qualche foglia di basilico, anch’esso coltivato da Dennis, e condii con olio d’oliva e aceto di sherry. Per i bambini, preparai un’insalata verde. A George i pomodori crudi facevano ribrezzo, sebbene annegasse il cibo nel ketchup.
Oltre ad avere una cucina come Dio comanda, dopo mesi avevo la dispensa piena e bicchieri, tazze, piatti e due tegami. Avevo comprato anche magliette nuove a George, teli da bagno, strofinacci e lenzuola.
Stavano per cominciare le vacanze e probabilmente era l’ultima sera di pace prima del viavai di famiglie rumorose dall’appartamento dei nostri vicini. Alcuni passavano le serate a gridare, avendo bevuto troppo ed essendosi accorti troppo tardi che non riuscivano a passare così tanto tempo assieme senza litigare.
«Allora?» chiese Petra, quando ci fummo seduti fuori.
«Allora?» ripetei.
«Come va con Henry?» domandò.
«Cosa vuoi dire?»
Mi lanciò una lunga occhiata della serie: Non intendo a letto, sciocchina!
«Ti piace?»
«Sembra abbastanza simpatico» risposi, stuzzicandola.
«Abbastanza per cosa? Per andarci a letto? Per fidanzartici? Per sposarlo?»
«Per sposarlo, certo» risposi serissima.
«Hai sentito che a Hollywood hanno adottato la versione coniugale della dieta 5.2?» mi domandò. Le chiesi di spiegarsi meglio.
«Invece di mangiare cinque giorni e digiunare due, si sta insieme cinque giorni e due da soli.»
Vince fece una faccia interessata.
«O è il contrario?» Petra ci pensò su un momento, valutando la logistica. «Sì, dev’essere il contrario: cinque giorni per conto proprio e due insieme.»
«Come i pompieri» dissi.
«Esattamente» replicò Petra. «Pare che funzioni alla grande, che sia molto più gratificante.»
«Di fatto, è come non essere sposati» commentò Vince.
«Dove l’hai letto?» le chiesi.
«Su una rivista che era in sala insegnanti. Non una delle peggiori, bada. La preside non vuole stampa scandalistica. Marie Claire, mi pare. O comunque una di quelle riviste in cui gli articoli sono sempre troppo lunghi e deprimenti.»
Vince disse a Petra che avevano già la loro versione del 5.2: lei si arrabbiava con lui per motivi imperscrutabili, dopodiché lo ignorava per due giorni. «Funziona benissimo, no?»
Petra finse di dargli uno scappellotto e gli ordinò di andare a prendere dell’altra acqua.
Una volta che se ne fu andato, rimarcai che avevano fatto pace.
«Sì» disse Petra.
«Per cosa avevate litigato?»
«Il motivo vero?» chiese. «Siamo insoddisfatti. Non ti capita mai di pensare che la tua vita non ti basta, che avresti voluto di più?»
«Che cosa, per esempio?»
«Tutto.»
«Petra, tu hai tutto!»
«Sì, è vero, ho le cose più importanti. Non voglio essere ingrata, tutt’altro, però, certe volte guardo gli altri e...»
«Ti riferisci a Nadine.»
Petra ammise mortificata: «È sbagliato, lo so. Nadine è una persona stupenda e lei e Scott sono una gran bella coppia e non sono sempre stati ricchi. A volte però mi prende l’invidia e mi irrito per qualsiasi cosa. Mi arrabbio proprio».
Smisi di mangiare e la guardai in faccia. «Vince è un bravissimo uomo, Petra.»
Annuì. «Sono una stronza a prendermela con lui, vero?»
«Come ti sentiresti tu, se Vince ti giudicasse troppo poco per lui, non abbastanza bella, non abbastanza ricca?»
Mi lanciò un’occhiataccia come a dire: Non oserebbe mai.
«Lo vedi?»
Promise di essere più tollerante nei confronti del marito. «Sai, Henry potrebbe andare bene per te. Nadine lo adora» disse. Poi guardò la figlia e la redarguì: «Clara, non fare bocconi così grossi! Hai troppi spaghetti intorno alla forchetta».
Con la coda dell’occhio vidi che George toglieva un po’ di spaghetti dalla propria forchetta.
Qualche settimana prima l’avevo sorpreso a ruotare la forchetta al centro del piatto nel tentativo di arrotolare tutti gli spaghetti in un colpo solo. Incredibilmente, c’era riuscito. Non l’avevo sgridato perché addentava il malloppo masticando piccoli bocconi per volta, come se fosse una mela caramellata. Mi era tornato in mente quando io e Petra eravamo piccole e facevamo a gara a chi infilzava più patatine in un colpo solo.
Vinceva quasi sempre lei.
«Nadine è molto protettiva nei confronti del fratello, dopo quello che gli è successo» continuò Petra.
Smisi di masticare. «Cosa gli è successo?»
«Non te l’ha detto?»
«Non posso saperlo, se non so di cosa parli.»
Petra abbassò gli occhi e la voce. «Gli è morto un figlio.»
«Oh» esclamai sgomenta. «Non ne sapevo niente.»
Ci fu un momento di silenzio in cui Petra mi lasciò assorbire il colpo. Poi riprese: «In piscina. È stato risucchiato da una bocchetta difettosa mentre si immergeva a raccogliere delle monete sul fondo».
«Dio mio!» esclamai.
«Una tragedia» disse Petra. «La mamma si era voltata un attimo per aiutare a sparecchiare. Non hanno retto e alla fine si sono divisi. Lo capisco, in fondo.»
Posò la forchetta accanto al piatto. «Ti spiace se non la finisco?» chiese scuotendo la testa. Le dissi che anche a me era passata la fame. «Nadine dice che è per questo che è tornato a vivere qui» spiegò. «Non sopportava di stare in mezzo a gente che lo sapeva. Aveva bisogno di cambiare aria.»
«Dove è successo?» le chiesi.
«A casa di amici. Si erano trasferiti a Londra per lavoro. Lui aveva una bella posizione in un’azienda chimica, se non sbaglio.»
«È ingegnere chimico» dissi.
«Appunto.» Petra finì il bicchiere.
«Apro un’altra bottiglia?» chiese Vince, tornando fuori.
Lo chiese in tono gentile, paterno, come si chiede a un infortunato se ha bisogno di un’altra borsa del ghiaccio o un altro antidolorifico.
«Grazie» rispose Petra. «Guidi tu, per favore?» Vince le rispose di sì.
Con il bicchiere di nuovo pieno, Petra si protese verso di me. «Non ti ha accennato a nulla di tutto questo?»
«Zero» risposi.
«Non hai percepito una certa tristezza di fondo? Un trauma nel suo passato?»
«Al contrario. Mi è sembrato un entusiasta, convinto delle proprie idee. È stato allegro tutta la sera. Anche se...» Esitai. Ripensandoci, chinai la testa. «A un certo punto della serata...»
Mi vergognavo da morire.
«Voleva che lo facessi entrare in casa e io non volevo.»
«Perché?»
«Diversi motivi. Non volevo che incontrasse...» Mi fermai e inclinai la testa in direzione di George. «E questo è uno. Poi la casa è in uno stato pietoso e non volevo che la vedesse e mi giudicasse male.» Presi fiato. «Comunque sia. Lui pensava che fossi iperprotettiva e io mi sono risentita e gli ho detto che, visto che non aveva figli, avrei apprezzato se si fosse astenuto dal darmi consigli su come si fa il genitore.»
Petra fece una smorfia.
«Lo so» replicai. «Mi scuserò.»
Clara e George erano a un capo del tavolo e chiacchieravano fra loro, senza seguire la nostra conversazione. «Avete finito di mangiare?» domandai. George rispose di sì e Clara guardò la madre per vedere se le dava il permesso di lasciare un po’ di pasta. Petra non si accorse di niente, assorta com’era nei suoi pensieri, e le risposi io di sì, senza emettere voce. «Andate a giocare, adesso» dissi piano. «Vi chiamiamo per il dolce.»
Restammo seduti in silenzio a guardare i bambini in fondo al giardino, che indicavano i conigli selvatici ridendo. George disse qualcosa e Clara si scompisciò dalle risate.
«T’immagini?» disse Petra sottovoce facendo segno verso i bambini. «Poveraccio.» Le vennero gli occhi lucidi. Vince e io annuimmo senza proferire parola.
Passarono i minuti.
Dopo un po’, le diedi un’affettuosa strizzatina alla mano. «Ti voglio bene, sai?» le dissi. «Non te lo dico spesso, ma sei una sorella meravigliosa e ti voglio un sacco di bene.»
«Oh, cara!» replicò, commossa. Cercò un fazzolettino di carta e si soffiò il naso. «Anch’io ti voglio bene.»
Poi, fra le lacrime, disse: «Vai a chiamare i bambini, per favore? Ho bisogno di strapazzarmeli un po’».