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Quel pomeriggio mi consegnarono il tavolo della
sala e la cucina, forno elettrico e piano cottura in vetroceramica.
Niente di eccezionale, ma almeno era pulito. Ed essendo io
d’accordo con Clarissa Dickson Wright, buonanima, quando sosteneva
che si possono cucinare piatti prelibati anche con due fornelli
soltanto, ero contenta di potermi liberare di quel mostro bisunto
che mi aveva gentilmente messo a disposizione Vince. Anche dopo
averlo sfregato energicamente con lo sgrassatore, mi faceva schifo
usarlo: i residui di grasso bruciato emanavano un odore rancido che
restava nel naso, come il tanfo dei roghi delle carcasse quando era
scoppiata l’epidemia di afta epizootica nel 2001, che era rimasto
nell’aria, e nel naso, per mesi.
Non credevo che mi
potesse mancare l’atto del cucinare. Anche perché non era una
passeggiata preparare la cena a George dopo la lunga giornata di
lavoro. Di fronte alla prospettiva di non poter più cucinare,
però... Non vedevo l’ora di ricominciare.
Avevo invitato Petra,
Vince e Clara e intendevo preparare il mio piatto forte, gli
spaghetti alla carbonara. Vince aveva promesso di portare il vino,
anche se io avevo protestato dicendogli che non ero più al verde
come prima e non era il caso che ci pensasse lui. C’era un bianco
portoghese che aveva scoperto di recente, F.P. Branco, e che voleva
farmi assaggiare.
Tagliai i pomodori che
Dennis aveva raccolto nel suo orto quella mattina. Avevo invitato
anche Celia e Dennis, visto che Petra e Celia andavano d’accordo,
benché Petra brontolasse perché Celia dopo due bicchieri cominciava
a vantarsi della propria famiglia. Ma Celia avrebbe detto lo
stesso, se Petra non fosse stata mia sorella. Avevano i biglietti
per i Lakeland Book of the Year Awards, però. Una del gruppo di
lettura di Celia aveva pubblicato a proprie spese una breve
biografia di William e Dorothy Wordsworth, che Celia sosteneva
essere molto ben scritta, ma non era il mio genere: meglio
evitare.
Aggiunsi ai pomodori
qualche foglia di basilico, anch’esso coltivato da Dennis, e condii
con olio d’oliva e aceto di sherry. Per i bambini, preparai
un’insalata verde. A George i pomodori crudi facevano ribrezzo,
sebbene annegasse il cibo nel ketchup.
Oltre ad avere una
cucina come Dio comanda, dopo mesi avevo la dispensa piena e
bicchieri, tazze, piatti e due tegami. Avevo comprato anche
magliette nuove a George, teli da bagno, strofinacci e
lenzuola.
Stavano per cominciare
le vacanze e probabilmente era l’ultima sera di pace prima del
viavai di famiglie rumorose dall’appartamento dei nostri vicini.
Alcuni passavano le serate a gridare, avendo bevuto troppo ed
essendosi accorti troppo tardi che non riuscivano a passare così
tanto tempo assieme senza litigare.
«Allora?» chiese Petra,
quando ci fummo seduti fuori.
«Allora?»
ripetei.
«Come va con Henry?»
domandò.
«Cosa vuoi
dire?»
Mi lanciò una lunga
occhiata della serie: Non intendo a
letto, sciocchina!
«Ti piace?»
«Sembra abbastanza
simpatico» risposi, stuzzicandola.
«Abbastanza per cosa?
Per andarci a letto? Per fidanzartici? Per sposarlo?»
«Per sposarlo, certo»
risposi serissima.
«Hai sentito che a
Hollywood hanno adottato la versione coniugale della dieta 5.2?» mi
domandò. Le chiesi di spiegarsi meglio.
«Invece di mangiare
cinque giorni e digiunare due, si sta insieme cinque giorni e due
da soli.»
Vince fece una faccia
interessata.
«O è il contrario?»
Petra ci pensò su un momento, valutando la logistica. «Sì,
dev’essere il contrario: cinque giorni per conto proprio e due
insieme.»
«Come i pompieri»
dissi.
«Esattamente» replicò
Petra. «Pare che funzioni alla grande, che sia molto più
gratificante.»
«Di fatto, è come non
essere sposati» commentò Vince.
«Dove l’hai letto?» le
chiesi.
«Su una rivista che era
in sala insegnanti. Non una delle peggiori, bada. La preside non
vuole stampa scandalistica. Marie
Claire, mi pare. O comunque una di
quelle riviste in cui gli articoli sono sempre troppo lunghi e
deprimenti.»
Vince disse a Petra che
avevano già la loro versione del 5.2: lei si arrabbiava con lui per
motivi imperscrutabili, dopodiché lo ignorava per due giorni.
«Funziona benissimo, no?»
Petra finse di dargli
uno scappellotto e gli ordinò di andare a prendere dell’altra
acqua.
Una volta che se ne fu
andato, rimarcai che avevano fatto pace.
«Sì» disse
Petra.
«Per cosa avevate
litigato?»
«Il motivo vero?»
chiese. «Siamo insoddisfatti. Non ti capita mai di pensare che la
tua vita non ti basta, che avresti voluto di più?»
«Che cosa, per
esempio?»
«Tutto.»
«Petra, tu hai
tutto!»
«Sì, è vero, ho le cose
più importanti. Non voglio essere ingrata, tutt’altro, però, certe
volte guardo gli altri e...»
«Ti riferisci a
Nadine.»
Petra ammise
mortificata: «È sbagliato, lo so. Nadine è una persona stupenda e
lei e Scott sono una gran bella coppia e non sono sempre stati
ricchi. A volte però mi prende l’invidia e mi irrito per qualsiasi
cosa. Mi arrabbio proprio».
Smisi di mangiare e la
guardai in faccia. «Vince è un bravissimo uomo,
Petra.»
Annuì. «Sono una stronza
a prendermela con lui, vero?»
«Come ti sentiresti tu,
se Vince ti giudicasse troppo poco per lui, non abbastanza bella,
non abbastanza ricca?»
Mi lanciò
un’occhiataccia come a dire: Non
oserebbe mai.
«Lo vedi?»
Promise di essere più
tollerante nei confronti del marito. «Sai, Henry potrebbe andare
bene per te. Nadine lo adora» disse. Poi guardò la figlia e la
redarguì: «Clara, non fare bocconi così grossi! Hai troppi
spaghetti intorno alla forchetta».
Con la coda dell’occhio
vidi che George toglieva un po’ di spaghetti dalla propria
forchetta.
Qualche settimana prima
l’avevo sorpreso a ruotare la forchetta al centro del piatto nel
tentativo di arrotolare tutti gli spaghetti in un colpo solo.
Incredibilmente, c’era riuscito. Non l’avevo sgridato perché
addentava il malloppo masticando piccoli bocconi per volta, come se
fosse una mela caramellata. Mi era tornato in mente quando io e
Petra eravamo piccole e facevamo a gara a chi infilzava più
patatine in un colpo solo.
Vinceva quasi sempre
lei.
«Nadine è molto
protettiva nei confronti del fratello, dopo quello che gli è
successo» continuò Petra.
Smisi di masticare.
«Cosa gli è successo?»
«Non te l’ha
detto?»
«Non posso saperlo, se
non so di cosa parli.»
Petra abbassò gli occhi
e la voce. «Gli è morto un figlio.»
«Oh» esclamai sgomenta.
«Non ne sapevo niente.»
Ci fu un momento di
silenzio in cui Petra mi lasciò assorbire il colpo. Poi riprese:
«In piscina. È stato risucchiato da una bocchetta difettosa mentre
si immergeva a raccogliere delle monete sul fondo».
«Dio mio!»
esclamai.
«Una tragedia» disse
Petra. «La mamma si era voltata un attimo per aiutare a
sparecchiare. Non hanno retto e alla fine si sono divisi. Lo
capisco, in fondo.»
Posò la forchetta
accanto al piatto. «Ti spiace se non la finisco?» chiese scuotendo
la testa. Le dissi che anche a me era passata la fame. «Nadine dice
che è per questo che è tornato a vivere qui» spiegò. «Non
sopportava di stare in mezzo a gente che lo sapeva. Aveva bisogno
di cambiare aria.»
«Dove è successo?» le
chiesi.
«A casa di amici. Si
erano trasferiti a Londra per lavoro. Lui aveva una bella posizione
in un’azienda chimica, se non sbaglio.»
«È ingegnere chimico»
dissi.
«Appunto.» Petra finì il
bicchiere.
«Apro un’altra
bottiglia?» chiese Vince, tornando fuori.
Lo chiese in tono
gentile, paterno, come si chiede a un infortunato se ha bisogno di
un’altra borsa del ghiaccio o un altro antidolorifico.
«Grazie» rispose Petra.
«Guidi tu, per favore?» Vince le rispose di sì.
Con il bicchiere di
nuovo pieno, Petra si protese verso di me. «Non ti ha accennato a
nulla di tutto questo?»
«Zero»
risposi.
«Non hai percepito una
certa tristezza di fondo? Un trauma nel suo passato?»
«Al contrario. Mi è
sembrato un entusiasta, convinto delle proprie idee. È stato
allegro tutta la sera. Anche se...» Esitai. Ripensandoci, chinai la
testa. «A un certo punto della serata...»
Mi vergognavo da
morire.
«Voleva che lo facessi
entrare in casa e io non volevo.»
«Perché?»
«Diversi motivi. Non
volevo che incontrasse...» Mi fermai e inclinai la testa in
direzione di George. «E questo è uno. Poi la casa è in uno stato
pietoso e non volevo che la vedesse e mi giudicasse male.» Presi
fiato. «Comunque sia. Lui pensava che fossi iperprotettiva e io mi
sono risentita e gli ho detto che, visto che non aveva figli, avrei
apprezzato se si fosse astenuto dal darmi consigli su come si fa il
genitore.»
Petra fece una
smorfia.
«Lo so» replicai. «Mi
scuserò.»
Clara e George erano a
un capo del tavolo e chiacchieravano fra loro, senza seguire la
nostra conversazione. «Avete finito di mangiare?» domandai. George
rispose di sì e Clara guardò la madre per vedere se le dava il
permesso di lasciare un po’ di pasta. Petra non si accorse di
niente, assorta com’era nei suoi pensieri, e le risposi io di sì,
senza emettere voce. «Andate a giocare, adesso» dissi piano. «Vi
chiamiamo per il dolce.»
Restammo seduti in
silenzio a guardare i bambini in fondo al giardino, che indicavano
i conigli selvatici ridendo. George disse qualcosa e Clara si
scompisciò dalle risate.
«T’immagini?» disse
Petra sottovoce facendo segno verso i bambini. «Poveraccio.» Le
vennero gli occhi lucidi. Vince e io annuimmo senza proferire
parola.
Passarono i
minuti.
Dopo un po’, le diedi
un’affettuosa strizzatina alla mano. «Ti voglio bene, sai?» le
dissi. «Non te lo dico spesso, ma sei una sorella meravigliosa e ti
voglio un sacco di bene.»
«Oh, cara!» replicò,
commossa. Cercò un fazzolettino di carta e si soffiò il naso.
«Anch’io ti voglio bene.»
Poi, fra le lacrime,
disse: «Vai a chiamare i bambini, per favore? Ho bisogno di
strapazzarmeli un po’».