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La gente riserva infinite sorprese.
Le gerarchie mi hanno
sempre affascinato. In ogni situazione c’è chi sta in alto e chi
sta in basso, che ne siamo coscienti o meno.
Spesso ci produciamo in
un balletto invisibile della serie: Dov’è il mio posto? Quanto sono importante nella tua
vita?
In generale, comunque,
siamo consapevoli del posto che occupiamo, dell’importanza che
abbiamo, e ci comportiamo di conseguenza. Tendiamo a non superare i
limiti che ci vengono assegnati senza protestare e senza osare
oltrepassarli o chiedere di più per paura di un
rifiuto.
Così, quando quel
pomeriggio Wayne mi colse alla sprovvista chiedendomi di prendere
parte anche lui al gioco, gli risi in faccia. Comprensibilmente,
credo.
Poi però mi resi conto
che era serio. «A quale gioco ti riferisci?» chiesi.
«Non prendermi in giro,
Roz» mi rispose.
Mi aspettavo che mi
chiedesse una percentuale per mantenere il segreto. Un migliaio di
sterline per il suo silenzio, per non rivelare la natura dei miei
rapporti con Scott a Nadine, ai miei datori di lavoro, alla
comunità intera.
Invece no.
«Voglio passare una
notte con te» dichiarò in tutta sincerità. E io rimasi a bocca
aperta.
«Wayne» cominciai. «C’è
una bella differenza fra ciò che...»
«Non c’è nessuna
differenza» tagliò corto lui.
Silenzio.
«A quanto ho capito
dalla vostra conversazione di poco fa» disse indicando lo studio
della nutrizionista, «Scott Elias ti paga profumatamente per venire
a letto con te. O vi ho frainteso?»
Non negai. Volevo vedere
fin dove si sarebbe spinto.
«Voglio lo stesso
trattamento» dichiarò.
Lo guardai cercando di
mascherare l’indignazione. «Ma io non voglio, Wayne»
replicai.
«Non hai scelta, Roz» fu
la sua risposta. Si avviò verso il computer. «Ti ricordi che ti ho
parlato dei conti che non quadravano?» mi chiese indicando lo
schermo.
Evidentemente non mi era
permesso vedere perché quando allungai il collo lui ridusse la
finestra a icona.
«Cosa c’è che non
quadra?» domandai.
«I conti.»
«Ho capito. E me lo stai
dicendo adesso perché...?»
«Perché mi è stato fatto
notare dai contabili del quartier generale» spiegò. «I quali
sospettano che ci sia stata un’appropriazione
indebita.»
Quartier
generale? Stavo già per sbuffare di
fronte ai toni spocchiosi di Wayne quando mi venne in mente a cosa
si riferiva.
«Sospettano che qualcuno
rubi?» chiesi.
«Esatto.»
«Ma non c’è nulla da
rubare» protestai. «Non abbiamo niente di valore, niente che valga
la pena portar via.»
Stavo pensando alle
bustine di tè e ai rotoli di carta igienica che mi ero presa
recentemente e mi chiedevo se Wayne si riferisse a quelli. Poi però
riflettei che non era possibile che alla sede centrale
monitorassero i consumi di tè e carta igienica.
«Cosa c’entro io?»
chiesi alla fine.
«Hai la percentuale di
cancellazioni più alta di tutte le dieci strutture
sanitarie.»
«Perché ho il numero più
alto di pazienti» ribattei. «Sono due cose collegate. È
proporzionale.»
«Evidentemente no. A una
verifica condotta dal quartier generale risulta che la tua
percentuale di appuntamenti mancati è cinque volte superiore a
quella degli altri. Ho approfondito la questione e ho scoperto che
gran parte di questi appuntamenti mancati coincidono con orari in
cui io non c’ero.»
Deglutii.
«E con pazienti che
pagano in contanti» aggiunse.
«Dove vuoi arrivare,
Wayne?»
Lo guardai
male.
Lui resse il mio
sguardo.
«Al quartier generale
potrebbero anche passarci sopra» disse cauto. «Forse potrei
convincerli a chiudere un occhio. Non so se mi
spiego.»
«Non hai prove. Non puoi
dimostrare che io c’entro qualcosa.»
A quel punto mi mostrò
le «prove» che stava raccogliendo da una settimana a quella
parte.
Erano prove
inconfutabili, a suo dire, del fatto che ero stata io a rubare.
Wayne aveva addirittura contattato i pazienti che avevo segnato
come assenti per chiedere loro se fossero venuti o meno
all’appuntamento che avevano fissato per quel giorno a quell’ora.
Gli avevano risposto quasi tutti, consultando agende e calendari,
in quanto lui si era guardato bene dallo spiegare il vero motivo di
quell’indagine e aveva rifilato la storia di un guasto informatico
che rendeva necessario immettere nuovamente tutti i
dati.
«Cosa succede se mi
rifiuto?» domandai a Wayne.
«Sporgo denuncia a chi
di dovere.»
«Mi denunceresti alla
polizia?»
«Perché non dovrei
farlo, scusa? Hai rubato e adesso ho scoperto pure che fornisci
prestazioni extra ai pazienti durante l’orario di
lavoro...»
«Mai
successo!»
«Chi lo sa? Non ne
usciresti benissimo, Roz. Cosa penserà la gente, sapendo che
fornisci prestazioni sessuali a pagamento e intaschi parcelle che
non spettano a te? Non penso che continuerebbero a farsi trattare
qui. La struttura subirebbe danni incalcolabili. E la casa madre,
che ha investito centinaia di migliaia di sterline in questo
ambulatorio, si rivarrà su di te, che le hai infangato la
reputazione.»
«Per favore, Wayne, non
andare alla polizia.»
«Non lo farò» rispose.
«Se tu farai quello che ti ho chiesto, ti do la mia parola d’onore
che non ci andrò. Ho sempre avuto un debole per te, Roz. Terrò il
segreto, giuro.»
Sospirai, chiusi gli
occhi e cercai di riflettere.
Mi teneva in pugno, non
avevo via d’uscita. Avevo effettivamente intascato i pagamenti in
contanti di alcuni pazienti, ma solo perché ero alla canna del gas.
Ero disperata! Non si trattava di grosse cifre, trentacinque
sterline ogni tanto, ma era pur sempre rubare.
Non avevo alternative:
potevo solo scegliere il male minore. A livello viscerale sapevo
che cosa avrei dovuto fare, la mia pancia me lo diceva: fai marcia
indietro, di’ la verità e paga le conseguenze di ciò che hai fatto
finora, prima che la cosa assuma proporzioni ingestibili. Ma in
quelle situazioni non si fa quasi mai la cosa giusta. Per debolezza
e perché è proprio a furia di scegliere il male minore che si è
finiti nei guai.
«Come spiegherai gli
ammanchi di denaro?» chiesi dopo un po’. «Immagino che l’ufficio
contabilità vorrà capire come mai i conti non
quadrano.»
Wayne fece un gesto come
a minimizzare. «Darò la colpa alla donna delle pulizie che si è
licenziata quindici giorni fa. Dirò che non ho le prove ma che mi
fido del mio staff e non vedo chi altri possa essere stato.
Ovviamente, visto che d’ora in poi non ci saranno più ammanchi, mi
daranno ragione.»
Aspettava una mia
reazione. Si umettò le labbra.
«Ti prego» dissi,
tentando un’ultima volta di farlo desistere. «È
assurdo.»
«Davvero?»
«Lo sai anche tu. Dai,
non costringermi a implorare.»
Appoggiò tutte e due le
mani sul tavolo e sospirò.
«Ti faccio così schifo?»
mi chiese.
«No.»
(Sì)
«Ti sembra così strano
che te lo chieda?»
Non risposi. Mi venivano
le lacrime agli occhi al solo pensiero.
Non ce l’avrei
fatta.
Mai e poi mai. Neanche
mi ci fossi messa d’impegno.
«Ti rendi conto che per
te è la fine, vero?» sussurrò, mentre un paziente usciva dallo
studio di Magdalena. «Non lavorerai più. Nessuno ti lascerà più
avvicinare a un paziente.»
Mi porse un
fazzolettino.
«Se fossi in te, Roz, ci
penserei bene, prima di rifiutare la mia offerta.»