16
La gente riserva infinite sorprese.
Le gerarchie mi hanno sempre affascinato. In ogni situazione c’è chi sta in alto e chi sta in basso, che ne siamo coscienti o meno.
Spesso ci produciamo in un balletto invisibile della serie: Dov’è il mio posto? Quanto sono importante nella tua vita?
In generale, comunque, siamo consapevoli del posto che occupiamo, dell’importanza che abbiamo, e ci comportiamo di conseguenza. Tendiamo a non superare i limiti che ci vengono assegnati senza protestare e senza osare oltrepassarli o chiedere di più per paura di un rifiuto.
Così, quando quel pomeriggio Wayne mi colse alla sprovvista chiedendomi di prendere parte anche lui al gioco, gli risi in faccia. Comprensibilmente, credo.
Poi però mi resi conto che era serio. «A quale gioco ti riferisci?» chiesi.
«Non prendermi in giro, Roz» mi rispose.
Mi aspettavo che mi chiedesse una percentuale per mantenere il segreto. Un migliaio di sterline per il suo silenzio, per non rivelare la natura dei miei rapporti con Scott a Nadine, ai miei datori di lavoro, alla comunità intera.
Invece no.
«Voglio passare una notte con te» dichiarò in tutta sincerità. E io rimasi a bocca aperta.
«Wayne» cominciai. «C’è una bella differenza fra ciò che...»
«Non c’è nessuna differenza» tagliò corto lui.
Silenzio.
«A quanto ho capito dalla vostra conversazione di poco fa» disse indicando lo studio della nutrizionista, «Scott Elias ti paga profumatamente per venire a letto con te. O vi ho frainteso?»
Non negai. Volevo vedere fin dove si sarebbe spinto.
«Voglio lo stesso trattamento» dichiarò.
Lo guardai cercando di mascherare l’indignazione. «Ma io non voglio, Wayne» replicai.
«Non hai scelta, Roz» fu la sua risposta. Si avviò verso il computer. «Ti ricordi che ti ho parlato dei conti che non quadravano?» mi chiese indicando lo schermo.
Evidentemente non mi era permesso vedere perché quando allungai il collo lui ridusse la finestra a icona.
«Cosa c’è che non quadra?» domandai.
«I conti.»
«Ho capito. E me lo stai dicendo adesso perché...?»
«Perché mi è stato fatto notare dai contabili del quartier generale» spiegò. «I quali sospettano che ci sia stata un’appropriazione indebita.»
Quartier generale? Stavo già per sbuffare di fronte ai toni spocchiosi di Wayne quando mi venne in mente a cosa si riferiva.
«Sospettano che qualcuno rubi?» chiesi.
«Esatto.»
«Ma non c’è nulla da rubare» protestai. «Non abbiamo niente di valore, niente che valga la pena portar via.»
Stavo pensando alle bustine di tè e ai rotoli di carta igienica che mi ero presa recentemente e mi chiedevo se Wayne si riferisse a quelli. Poi però riflettei che non era possibile che alla sede centrale monitorassero i consumi di tè e carta igienica.
«Cosa c’entro io?» chiesi alla fine.
«Hai la percentuale di cancellazioni più alta di tutte le dieci strutture sanitarie.»
«Perché ho il numero più alto di pazienti» ribattei. «Sono due cose collegate. È proporzionale.»
«Evidentemente no. A una verifica condotta dal quartier generale risulta che la tua percentuale di appuntamenti mancati è cinque volte superiore a quella degli altri. Ho approfondito la questione e ho scoperto che gran parte di questi appuntamenti mancati coincidono con orari in cui io non c’ero.»
Deglutii.
«E con pazienti che pagano in contanti» aggiunse.
«Dove vuoi arrivare, Wayne?»
Lo guardai male.
Lui resse il mio sguardo.
«Al quartier generale potrebbero anche passarci sopra» disse cauto. «Forse potrei convincerli a chiudere un occhio. Non so se mi spiego.»
«Non hai prove. Non puoi dimostrare che io c’entro qualcosa.»
A quel punto mi mostrò le «prove» che stava raccogliendo da una settimana a quella parte.
Erano prove inconfutabili, a suo dire, del fatto che ero stata io a rubare. Wayne aveva addirittura contattato i pazienti che avevo segnato come assenti per chiedere loro se fossero venuti o meno all’appuntamento che avevano fissato per quel giorno a quell’ora. Gli avevano risposto quasi tutti, consultando agende e calendari, in quanto lui si era guardato bene dallo spiegare il vero motivo di quell’indagine e aveva rifilato la storia di un guasto informatico che rendeva necessario immettere nuovamente tutti i dati.
«Cosa succede se mi rifiuto?» domandai a Wayne.
«Sporgo denuncia a chi di dovere.»
«Mi denunceresti alla polizia?»
«Perché non dovrei farlo, scusa? Hai rubato e adesso ho scoperto pure che fornisci prestazioni extra ai pazienti durante l’orario di lavoro...»
«Mai successo!»
«Chi lo sa? Non ne usciresti benissimo, Roz. Cosa penserà la gente, sapendo che fornisci prestazioni sessuali a pagamento e intaschi parcelle che non spettano a te? Non penso che continuerebbero a farsi trattare qui. La struttura subirebbe danni incalcolabili. E la casa madre, che ha investito centinaia di migliaia di sterline in questo ambulatorio, si rivarrà su di te, che le hai infangato la reputazione.»
«Per favore, Wayne, non andare alla polizia.»
«Non lo farò» rispose. «Se tu farai quello che ti ho chiesto, ti do la mia parola d’onore che non ci andrò. Ho sempre avuto un debole per te, Roz. Terrò il segreto, giuro.»
Sospirai, chiusi gli occhi e cercai di riflettere.
Mi teneva in pugno, non avevo via d’uscita. Avevo effettivamente intascato i pagamenti in contanti di alcuni pazienti, ma solo perché ero alla canna del gas. Ero disperata! Non si trattava di grosse cifre, trentacinque sterline ogni tanto, ma era pur sempre rubare.
Non avevo alternative: potevo solo scegliere il male minore. A livello viscerale sapevo che cosa avrei dovuto fare, la mia pancia me lo diceva: fai marcia indietro, di’ la verità e paga le conseguenze di ciò che hai fatto finora, prima che la cosa assuma proporzioni ingestibili. Ma in quelle situazioni non si fa quasi mai la cosa giusta. Per debolezza e perché è proprio a furia di scegliere il male minore che si è finiti nei guai.
«Come spiegherai gli ammanchi di denaro?» chiesi dopo un po’. «Immagino che l’ufficio contabilità vorrà capire come mai i conti non quadrano.»
Wayne fece un gesto come a minimizzare. «Darò la colpa alla donna delle pulizie che si è licenziata quindici giorni fa. Dirò che non ho le prove ma che mi fido del mio staff e non vedo chi altri possa essere stato. Ovviamente, visto che d’ora in poi non ci saranno più ammanchi, mi daranno ragione.»
Aspettava una mia reazione. Si umettò le labbra.
«Ti prego» dissi, tentando un’ultima volta di farlo desistere. «È assurdo.»
«Davvero?»
«Lo sai anche tu. Dai, non costringermi a implorare.»
Appoggiò tutte e due le mani sul tavolo e sospirò.
«Ti faccio così schifo?» mi chiese.
«No.» ()
«Ti sembra così strano che te lo chieda?»
Non risposi. Mi venivano le lacrime agli occhi al solo pensiero.
Non ce l’avrei fatta.
Mai e poi mai. Neanche mi ci fossi messa d’impegno.
«Ti rendi conto che per te è la fine, vero?» sussurrò, mentre un paziente usciva dallo studio di Magdalena. «Non lavorerai più. Nessuno ti lascerà più avvicinare a un paziente.»
Mi porse un fazzolettino.
«Se fossi in te, Roz, ci penserei bene, prima di rifiutare la mia offerta.»