18
L’indomani mi svegliai presto e lasciai Scott
che dormiva saporitamente. Lo avevo avvertito che sarei scappata
all’alba. Aveva in programma di fare colazione in hotel e poi
andare alle corse a Carlisle. La sera lui, Nadine, Petra e Vince
avevano prenotato un tavolo al ristorante italiano e io avevo
promesso di andare. Era mia intenzione tirarmi indietro all’ultimo
momento, però, millantando un’emicrania.
Non soffrivo di
emicrania, ma era una scusa che Petra usava spesso e perciò non
avrebbe potuto metterla in discussione. Ero fiera del mio piano:
pensavo di mandare a Petra un sms intorno alle due per dirle che
stavo poco bene, in maniera da preparare il terreno per
l’annullamento definitivo che le avrei comunicato verso le
sei.
Come facevamo prima
degli sms?
Ricordate quanto era
brutto dover telefonare al capo per chiedere un giorno di malattia
perché la sera prima si era gozzovigliato? Lui che non ci credeva e
chiedeva ragguagli e voi: Deve avermi
fatto male il pesce che ho mangiato a cena. Eh, sì, è proprio vero:
con i frutti di mare bisogna stare attenti.
Quanto avrei voluto
potermi liberare di Wayne con un sms!
Mi infilai un paio di
jeans, maglietta rosa e infradito. Pensavo di lasciare un biglietto
a Scott, ma alla fine lasciai perdere temendo che finisse nelle
mani sbagliate. Mangiai qualche biscotto e due fichi secchi messi
gentilmente a disposizione dalla direzione dell’albergo e bevvi una
tazza di lapsang souchong, quindi mi misi in marcia.
Con la borsa a tracolla
e un’altra bella sommetta in viaggio verso il mio conto corrente –
non appena avessi fatto la fattura a Scott – provavo quel senso di
soddisfazione che viene dall’aver compiuto un altro passo verso la
realizzazione dei propri obiettivi.
Ma a chi volevo farlo
credere? Non vedevo quello che facevo?
Passai sotto le folte
fronde degli alberi lungo la strada. Era ancora presto per vedere i
cerbiatti che si cibavano di teneri virgulti nei campi e incontrare
i furgoni che da Fleetwood portavano il pesce a Grasmere. Avevo
tutta la giornata davanti, carica di promesse. Un unico neo: Wayne.
Ripagati i debiti più urgenti, avevo milleottocento sterline sul
conto. Il mio programma era arrivare a Kendal per le otto, otto e
mezzo, e passare lì la mattinata. Volevo comprare alimentari e
generi di prima necessità e quindi entrare da B&Q per scegliere
un divano, stoviglie, lenzuola e qualche cuscino per ravvivare un
po’ l’ambiente. Se avessi tenuto la mente occupata, sarei riuscita
a non pensare a Wayne fino all’ultimo momento.
Non era mia intenzione
passare tutta la notte con lui, glielo avevo detto chiaro e tondo.
E avevo accettato di fare sesso una volta soltanto.
Entrai nel parcheggio di
Morrisons e decisi di comprare anche un paio di mignon di Jack
Daniel’s da scolarmi una via l’altra in macchina appena prima di
entrare a casa di Wayne. Non erano previsti pagamenti di sorta: in
cambio dei miei servigi avrei avuto la possibilità di continuare a
lavorare nella struttura e, naturalmente, il silenzio riguardo ai
furtarelli che Wayne aveva calcolato ammontare a millesettecento
sterline.
Avevo studiato bene la
situazione e isolato due possibili criticità. La prima era che
Wayne non tenesse fede alla parola data e continuasse a ricattarmi
(più che possibile, ma non potevo fare altro che fidarmi), la
seconda che il ribrezzo mi impedisse di soddisfare le sue richieste
(a questo serviva il Jack Daniel’s).
Guardai l’ora: erano le
8.53. Fra dodici ore è tutto
finito, mi dissi.
Nel supermercato non
c’era quasi nessuno e passai in rassegna gli espositori senza dover
zigzagare fra i carrelli. Presi frutta e verdura e poi mi diressi
verso i farmaci e i cosmetici, dove esaminai indisturbata i vari
tipi di profilattici, ne scelsi alcuni e li nascosi sotto le
banane, lontano da occhi indiscreti.
Avevo avvertito Wayne:
volevo che indossasse due preservativi Extra-Safe e prima del
rapporto avrei controllato in tutto il corpo che non avesse lesioni
cutanee. Era la norma, gli avevo detto, e lui aveva annuito. «Sono
d’accordissimo. Certo.»
Misi nel carrello un
detergente antibatterico, un collutorio antibatterico, una lavanda
vaginale Femfresh (sì, lo so, la vagina è un forno autopulente, ma
stiamo parlando di Wayne!) e due bottiglie di Night Nurse per
aiutarmi a prendere sonno dopo la faccenda.
Ero pronta.
La casa era carina, un piccolo cottage in
fondo ad Ambleside, sulla strada per Kirkstone Pass. Se Kirkstone
Pass vi suona familiare, probabilmente è perché lo nominano spesso
nei programmi sulla viabilità: è il primo passo di montagna che
viene chiuso a seguito di forti nevicate e vanta uno dei pub a più
alta quota d’Inghilterra.
Wayne l’aveva ereditato
dai suoi genitori. Suo padre lavorava alla posta ed era morto dieci
anni prima e sua madre era in una casa di cura.
Wayne era un uomo
assennato e aveva persuaso la madre a intestargli il cottage appena
morto il padre, così a pagare per l’assistenza dell’anziana signora
era lo Stato e Wayne viveva tranquillo, senza mutui da pagare e
senza preoccupazioni economiche, libero di spendere i suoi soldi
in... pesci.
«Non sapevo avessi un
acquario» dissi appena entrata in casa. Mi guardai intorno: décor
lineare, superfici cromate, due divani in pelle color avorio,
grande tavolo basso rettangolare, in cristallo, al centro della
stanza. Stiloso, maschile, pulitissimo. Mi stupii. Evidentemente
Wayne era uno che teneva molto alla casa.
Mi indicò gli esemplari
più pregiati nell’enorme vasca, che occupava un’intera parete del
salotto.
La casa era abbastanza
isolata, accessibile attraverso una stradina stretta. Fino agli
anni Sessanta era una fattoria, ma quando il contadino era morto i
genitori di Wayne avevano comprato il cottage e il terreno era
stato diviso in lotti venduti separatamente. In quel periodo due
agricoltori di Troutbeck ci pascolavano le greggi. Non avevo avuto
nulla da obiettare sul luogo dell’appuntamento con Wayne perché ero
sicura che lì nessuno avrebbe visto la macchina e anche perché non
avevo voglia di prenotare in un albergo e tirare fuori ottanta
sterline per la stanza. Ovviamente, invitare Wayne a casa mia era
fuori discussione. Lo sarebbe stato anche se Celia non fosse stata
una vicina curiosa.
In un angolo
dell’acquario c’erano due cavallucci marini che ondeggiavano. Senza
pensare, allungai la mano e accarezzai il vetro. Povere creature,
così fragili e delicate. Pare siano pessimi nuotatori e tendano a
rimanere sul posto. Mi pareva anche di aver letto che era il
maschio a portare avanti la gravidanza, ma forse mi sbagliavo.
Niente male come idea.
«Hai un generatore?»
domandai a Wayne.
«Per forza»
rispose.
«Come fai quando vai in
vacanza? Chi viene a dar da mangiare ai pesci?»
«Mio cugino. Sta a
Glenridding ed è appassionato di rettili.»
Ah, be’...
«Io sto dietro ai suoi
serpenti e lui sta dietro ai miei pesci» spiegò Wayne. «Quando
andiamo via.»
Riflettei che era strano
che non ne sapessi niente. Lavoravo con Wayne da un pezzo e mi
aveva raccontato della fattoria, ma non mi pareva avesse mai
accennato all’acquario. Incredibile, visto che sembrava la sua
ragione di vita. Ma accadeva che, quando Wayne mi parlava, io non
stessi a sentire. Petra sosteneva che facevo così anche con lei. A
suo parere, avevo il disco rigido troppo pieno e dovevo procedere a
una deframmentazione per liberare un po’ di spazio.
«Allora» dissi dopo un
po’. «Come vogliamo fare?»
«In che senso?» Sembrava
sorpreso.
Somigliava a un porno di
pessima qualità, in cui gli attori scambiano battute impacciate
prima di passare al dunque.
O forse un film francese
d’autore, con un attore insignificante e debole e una donna senza
trucco (Coraggiosa!
avrebbero detto di lei i tabloid) che
litigano furiosamente e poi ci danno dentro come
ricci.
Provai pena per Wayne,
che si era preparato con cura per la serata. Era andato a farsi
tagliare i capelli da un barbiere diverso, magari spendendo un po’
di più per l’occasione, e li aveva rasati sui lati tenendoli più
lunghi in cima alla testa, biondi e incolore. Con le labbra
sottili, la fronte sudaticcia e la camicia scura abbottonata fino
al colletto, sembrava un ufficiale delle SS.
Accennai un sorriso e
suggerii di incominciare. Stavo per dire Prima iniziamo, prima finiamo, ma mi trattenni appena in tempo. Mi ero scolata il Jack
Daniel’s in preparazione dell’incontro e l’alcol mi rendeva
impertinente e sicura di me, oltre a farmi sembrare tutto più
divertente di quanto non fosse. Dovevo sbrigarmi a fare quel che
dovevo, prima che il tasso alcolemico si abbassasse e malinconia e
vergogna prendessero il sopravvento. Rischiavo di diventare
aggressiva.
Mi tolsi la
maglia.
Wayne spalancò gli
occhi. «Come? Qui?»
«Non dirmi che credevi
che ci saremmo rotolati sul tuo letto...»
«No» rispose a bassa
voce e dalla faccia abbacchiata capii che invece era proprio quello
che credeva.
«Scusa, Wayne, ma
proprio no» dissi arricciando il naso.
«Mi spoglio?»
domandò.
Alzata di spalle. «Come
vuoi tu.»
Speravo rimanesse
vestito, invece no. Si sbottonò per prima cosa la camicia,
mostrando l’addome bianco come la pancia di un pesce. Mi lanciò
un’occhiata incerta, quasi temesse che io scappassi via, e feci del
mio meglio per rassicurarlo con un sorriso. Più tempo ci avesse
messo, più tempo mi sarebbe toccato restare lì con
lui.
Tirai le tende e mi
sfilai sandali e jeans con gesti rapidi e meccanici, con il piglio
con cui ci si spoglia dal medico. Sorpresi Wayne che mi guardava e
provai di nuovo pena per lui.
Al lavoro era
generalmente malvisto, sia per la carica che occupava, sia per il
puntiglio con cui svolgeva le sue mansioni. Era il tipico capo da
detestare perché comandava personale più qualificato e meglio
pagato di lui. Era una situazione anomala, ma necessaria: se i
dipendenti non hanno qualcuno con cui prendersela, litigano fra
loro. È molto meglio che ci sia una persona contro cui tutti
possano indirizzare le lamentele ed ero certa che i nostri manager
lo sapevano benissimo: quando Wayne non era in ambulatorio,
bisticciavamo. Chissà fin dove ci saremmo spinti, se non ci fosse
stato lui. Forse ci saremmo accaniti gli uni contro gli altri e
avremmo fatto la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua. In
realtà, per quanto mi facesse venire il nervoso, penso che mi sarei
lasciata morire di fame, piuttosto che mangiare Gary.
Tutto questo per dire
che Wayne in mutande e calzini davanti a me era uno spettacolo
pietoso e, sebbene fossi lì contro la mia volontà e lo disprezzassi
per avermi costretto a tanto, capivo che la sua era pura e semplice
disperazione.
Mi tolsi gli slip e
Wayne ebbe un sussulto. Per un attimo, pensai che stesse per venire
prima ancora di cominciare.
«Quando è stata l’ultima
volta che hai visto una donna nuda?» chiesi e lui scosse la testa.
Non voleva rispondere. «Okay» dissi. «Prendo due cosine nella borsa
e torno.»
Mossi pochi passi e con
la coda dell’occhio mi accorsi che Wayne si toglieva i calzini e le
mutande.
Tornai da lui con i due
profilattici in mano.
Aprii le bustine e lo
guardai negli occhi.
«Una volta soltanto,
Wayne» dissi. «Il patto è questo. Siamo d’accordo?»
Wayne
annuì.
«Dillo a voce
alta.»
«Sì, siamo d’accordo»
rispose. «Sbrigati, adesso.»
«No. Voglio che dichiari
esplicitamente che non mi chiederai più nulla e non dirai a nessuno
né di stasera, né di Scott, né degli ammanchi.»
Wayne fece una smorfia.
«Giuro. Hai la mia parola. Adesso sbrigati, però,
Roz.»
«È tutto chiaro, quindi?
Sul serio, Wayne.»
«Sì, sì.
Chiarissimo.»
«Allora
okay.»
Constatai che Wayne
fosse pronto e mi girai, appoggiai le mani sul davanzale e gli
dissi di cominciare. Non volevo guardarlo in faccia e meno che mai
avere la bocca a portata della sua lingua. Speravo che si eccitasse
tantissimo e durasse poco.
Mi aspettavo che nel
giro di pochi secondi fosse tutto finito.
Purtroppo, però, non
stava succedendo niente.
Aspettai una ventina di
secondi. Niente.
«Wayne?»
sussurrai.
Nessuna risposta. Feci
per voltarmi, ma lui allungò un braccio per fermarmi. «No» disse.
«Non mi guardare.»
Gli si era incrinata la
voce.
«Cosa c’è,
Wayne?»
«Non ci riesco»
piagnucolò. «Non ce la faccio.»
Blaterò qualcosa a
proposito del suo corpo che lo tradiva. Non capii se a frenarlo
fosse un improvviso scrupolo morale o la disfunzione
erettile.
«Non ti preoccupare,
Wayne» dissi, cercando di tranquillizzarlo. Gli assicurai che non
avrei guardato, che avrei tenuto gli occhi bassi, ma mi sarei
rivestita per parlarne un attimo assieme.
Un momento dopo, quasi
completamente rivestita, feci per mettermi gli
infradito.
Non so che cosa successe
esattamente, ma quel coglione mi diede una botta in testa e io
persi i sensi.