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Mi sedetti sulla panchina e, mentre aspettavo, sistemai un po’ di patatine dentro i tramezzini.
Petra era tornata da New York la sera prima e sembrava aver dimenticato la brutta figura che le avevo fatto fare alla sua festa di compleanno perché, appena rientrata, mi aveva telefonato per dirmi che dovevamo assolutamente pranzare assieme, aveva tantissime cose da raccontare. E aveva cominciato a raccontarmele nei dettagli. Avevo voglia di vederla. Se stavamo un po’ senza vederci, mi mancava. A volte provavo addirittura un malessere fisico, una nostalgia struggente che mi lasciava perplessa visto che, quando la vedevo, Petra mi faceva ammattire.
Parenti. A volte davvero non capisco che razza di legami abbiamo.
La panchina che avevo scelto era a Cockshott Point, una zona del lungolago di proprietà del National Trust con un ampio sentiero pedonale che passa per il bosco e offre scorci di una bellezza straordinaria.
È frequentato da turisti e residenti, gente con i cani e mamme con le carrozzine. Ci andavo ogni volta che sentivo il bisogno di snebbiarmi la testa. Guardare il lago, l’acqua che lambisce la riva, mi aiuta a riflettere e ad analizzare i miei problemi.
Avevo proposto a Petra di vederci lì perché era vicino al mio studio e alla sua scuola, e Bowness con quella bella giornata sarebbe stata affollata di turisti.
Quattro cigni atterrarono sull’acqua in rapida successione e un ragazzino sulla sedia a rotelle batté le mani estasiato da quello spettacolo, quando vidi arrivare Petra.
Spuntò da dietro gli alberi, molto elegante in abito rosa e ballerine coordinate. Aveva una borsa nuova e occhiali da sole giganti. Mi chiesi cos’avessero pensato le sue colleghe, sempre in gonna di jeans o camicione di lino, quando l’avevano vista entrare così in sala insegnanti. Petra mi fece ciao con la mano, allegra, e si incamminò verso di me a passetti rapidi ma corti, a causa del vestito stretto. Sembrava una pronta a fare una sfuriata a qualcuno.
Forse lo era, pensai guardandola lasciare il sentiero e tagliare per il prato. Forse nel frattempo aveva scoperto della notte che avevo trascorso con Scott Elias in un albergo di campagna. Ci eravamo dati appuntamento in un altro hotel e, a parte l’ansia che un secondo lavoro come squillo non può che generare, stavolta ero più tranquilla.
Una cosa avevo capito di Scott Elias: il suo piacere derivava da quello della sua donna.
Non era l’unico in questo: la maggior parte degli uomini con cui ero stata non era affatto egoista, a letto. Anzi, non la maggior parte: la totalità. Tutti volevano portare all’orgasmo la loro donna. Volevano essere loro a farla venire. Avevano bisogno di sentire le contrazioni di lei per godere.
Anche Scott era così. Solo che io non credevo che il mio orgasmo facesse parte del pacchetto, visto che pagava.
Mi sbagliavo. Scott era un amante passionale e premuroso e prima di addormentarmi, alle tre del mattino, una volta deciso che la finivamo lì, avevo pensato: Ma è successo veramente? Perché non era stato il sesso migliore della mia vita, ma di sicuro neanche il peggiore. Pur senza la gioia del desiderio autentico, non mi era affatto dispiaciuto. In confronto a certe squallide scopate, perlomeno c’era il brivido della decadenza.
In quel momento avevo deciso che, se Scott mi avesse proposto un secondo incontro, avrei accettato.
Per quattromila sterline a notte?
Non potevo permettermi di rifiutare.
Da lì a qualche settimana mi sarei rimessa in piedi: avrei pagato l’affitto arretrato, saldato i debiti sulla carta di credito e rimborsato gente che non avrei mai pensato di riuscire a pagare in tempi ragionevoli.
Avevo la possibilità di ricominciare, di lasciarmi alle spalle i problemi del passato e riprovarci.
«Tramezzini con le patatine?» esclamò schifata Petra dopo avermi abbracciato ed essersi seduta sulla panchina a fianco a me scrollando la testa.
«Assaggialo.»
«Okay» rispose e aprì la bocca per prendere un morso del mio panino. Mentre masticava, alzò l’indice sinistro. «Ti sembra gonfio?»
«Un pochino.»
«Cosa pensi che sia?»
«Non ne ho idea.»
Petra alzò gli occhi al cielo. «Fingi un po’ di interesse, per favore! Capisco che lo fai tutto il santo giorno, ma sono preoccupata: dici che è artrite?»
«Lo avrai sforzato trasportando la valigia.»
«Non devo fare le analisi del sangue, secondo te?»
«No.»
«E se fosse artrite, però?»
«Non penso proprio. Se ti senti più tranquilla, però, fai gli esami del sangue. A mio parere non è il caso, comunque. Se non ti passa, fra una settimana ti visito» le promisi stancamente.
Petra si placò e si appoggiò allo schienale, faccia rivolta al sole. Sospirò lungamente. «Uffa, in quell’ufficio mi manca l’aria. Si sta così bene fuori...»
«Sei tornata ieri dalle vacanze!»
«Sì, ma non hai idea di cosa non mi sono trovata sulla scrivania. Non hanno fatto niente, mentre non c’ero. Sul serio, mi lasciano tutte le incombenze. Non so come me la sbrigherò.»
Petra lavorava tre mattine e un giorno intero alla settimana nella segreteria della scuola, che era troppo piccola per avere una segretaria full-time. A sentire lei, senza il suo indispensabile contributo la scuola sarebbe crollata.
«Clara è stata bene con Liz?» le chiesi.
Liz era la sorella di Vince. Anche lei era tornata single dopo una serie di rapporti che si erano spenti lentamente lasciandola ferita, perplessa e incapace di capire che cosa facesse di sbagliato.
Con la faccia al sole, Petra si spostò sulla panchina. «Stavo proprio per parlartene» disse con un tono più tagliente. «Clara sostiene che Liz l’abbia trattata male.»
«In che senso?»
«Be’, proprio male no» ammise. «Ma non si è trovata per niente bene. Dice che Liz la critica continuamente. Pensi che gliene debba parlare?»
«Non pensi che Clara esageri?» le chiesi. La sorella di Vince era una persona gentile e educata, affezionatissima alla nipote.
Clara, invece, era una bambina che cercava sempre di essere al centro dell’attenzione e si immusoniva appena si sentiva messa in secondo piano. Petra la difendeva a spada tratta, talvolta dicendone di tutti i colori all’autore del presunto torto.
Era equanime e giusta quando aveva a che fare con bambini che litigavano e io la ammiravo per come stava attenta a far sì che tutti fossero invitati, accolti e integrati. Ma se la figlia veniva in qualche modo esclusa... apriti cielo! Il responsabile se la vedeva brutta.
«Se George si sentisse maltrattato, prenderesti le sue difese» disse Petra.
«Sì, certo, ma dovresti farti raccontare meglio da Clara, prima di rischiare di offendere Liz. È una donna pacata, Petra, non vedo cosa possa aver fatto di tanto...»
«Va bene, lasciamo perdere» mi interruppe lei brusca, capendo che non ero solidale quanto sperava.
Povera Liz, pensai.
«Cos’hai fatto di bello mentre ero via?» mi domandò poi tutta allegra.
«Niente di che.»
«Hai visto qualcuno?»
«Macché. Ho lavorato e basta.»
Petra si voltò verso di me, sollevò gli occhiali scuri e mi fece un sorrisetto compassionevole. «Vince si è lasciato sfuggire che hai problemi di soldi» disse cauta.
«Ho perennemente problemi di soldi.»
«Gravi?»
«Me la caverò.»
Silenzio.
«Vedi...» cominciò Petra. Sbatté le palpebre un paio di volte e per un attimo sperai che non andasse a parare dove temevo.
Ma non riuscì a trattenersi e dopo un po’ disse: «Non vorrei che succedesse un’altra volta, capisci?»
«Non ti preoccupare.»
«Mi preoccupo, invece!»
«Non è il caso.»
«Anche l’altra volta dicevi che non c’era da preoccuparsi.»
«Per favore, Petra.»
Mia sorella riabbassò gli occhiali e stette zitta per un po’. Guardammo un ragazzo barbuto che lanciava nel lago un pezzo di legno per far giocare il suo retriever. Indossava una maglia verde oliva un po’ larga sul fisico asciutto e un paio di pantaloni dello stesso colore, la divisa dei giardinieri. A un certo punto il cane bagnato corse fuori dall’acqua per avventarsi contro un carlino al guinzaglio lungo il sentiero davanti a noi. Petra ebbe un sussulto e si aggrappò alla panchina con tutte e due le mani. Se il retriever si fosse dato una scrollata ci avrebbe infradiciato.
«Dunque a loro non hai chiesto niente?» domandò Petra con nonchalance, come se non fosse importante.
«No.»
Sentivo l’elettricità nell’aria. La guardai in tralice e mi accorsi che era tesissima. Capii il vero motivo per cui aveva voluto vedermi.
«Piuttosto, chiedi un prestito a me, okay?» disse.
«Non chiederò prestiti a nessuno.»
Petra annuì.
«Okay» disse dopo un po’. «Se lo dici tu, ci devo credere.»
Ai tempi in cui cercavo uno studio per la mia attività professionale, mi ero resa conto subito che la scelta era scarsissima, gli affitti a breve termine inesistenti e i prezzi esorbitanti. La domanda era molto alta e quindi i proprietari di Windermere e Bowness potevano pretendere contratti decennali a cifre esagerate anche per immobili che necessitavano di ristrutturazioni importanti e in certi casi addirittura senza impianto di riscaldamento. A me serviva un appartamento con due stanze, una sala d’aspetto e un bagno, preferibilmente a pianterreno per i pazienti con difficoltà di deambulazione e non lontano da un posteggio.
Purtroppo non esisteva e, quando stavo per arrendermi e restare nel servizio sanitario nazionale oppure trasferirmi a Kendal, dove gli affitti erano più bassi, mio padre mi aveva consigliato di comprare. Certo i prezzi erano da capogiro e i tassi crudeli, ma il problema principale era che non potevo accedere a un mutuo per immobili a uso commerciale se non versando un anticipo pari al quaranta per cento del valore. Che, ovviamente, non avevo.
Non volendo che rinunciassi al mio sogno, i miei genitori erano venuti da me una sera e mi avevano proposto di investire nel mio studio i loro risparmi. Il mercato immobiliare continuava a salire, gli interessi che prendevano sul capitale erano bassi e si sentivano più sicuri a investire nel mattone, piuttosto che attraverso la banca. Nel tempo si sarebbe rivelato più fruttuoso, dicevano.
Così mi avevano prestato centodiecimila sterline, che avevano messo da parte vendendo casa per andare a stare in un bungalow con due camere da letto e che sarebbero dovuti servire per integrare la pensione. Io mi ero fatta prestare le restanti duecentoquarantamila sterline dalla banca.
Poi Winston aveva cominciato a guadagnare di meno e a scopare in giro, avevamo perso il bambino, accumulato debiti e ci eravamo separati. Io ero in crisi, non riuscivo a concentrarmi sul lavoro, pagare sia il mutuo sulla casa sia quello sullo studio era diventato troppo oneroso e alla fine avevo perso tutto.
La banca si era ripresa gli immobili e io mi ero vergognata a chiedere aiuto. Avevo ammesso troppo tardi l’entità dei guai in cui mi ero cacciata e non c’era più stato il tempo di rivendere, sia pure a un prezzo minore. I miei avevano perso tutto mentre se li avessi avvertiti prima avrebbero potuto recuperare qualcosina.
Avrei dovuto dichiarare fallimento e scollarmi di dosso i debiti accumulati da Winston sulla carta di credito, ma l’orgoglio e la paura di non poter più accendere mutui in futuro mi avevano trattenuto dal farlo.
Alla soglia della pensione, dopo lunghe riflessioni, i miei avevano messo in vendita il bungalow e si erano trasferiti a Silloth, una zona a un’ora di macchina dove la vita costava di meno, per avere un po’ più di sicurezza.
La nostra famiglia si era divisa.
E purtroppo la colpa era mia, perché ero una persona inaffidabile, incapace di assumersi responsabilità, da compatire e anche un po’ disprezzare.
Andando a stare lontano, i miei non avevano più potuto occuparsi della nipotina e forse era proprio per quello che Petra mi aveva parlato male di Liz. Se tu non avessi perso tutti quei soldi, Clara sarebbe stata con loro, invece che con la sorella di Vince...
Ormai ero la pecora nera della famiglia. Io e Petra evitavamo di parlarne e lei cercava di mascherare il disappunto, ma alla fine tutte le strade portavano lì: come avevo potuto sabotare la vecchiaia dei nostri genitori?
Quanto avrei voluto saper rispondere!
Petra si scosse di dosso l’energia negativa che minacciava di impossessarsi di lei e decretò: «Fine della predica». Posò una mano sulla mia. «Senti, sabato prossimo andiamo a cena con Scott e Nadine. Niente di troppo costoso e comunque te lo offro io. Ti va di venire?»
«No, io...»
Petra mi squadrò aggrottando la fronte. «Hai altri impegni? Non è il weekend in cui George sta dal padre?»
«Sì, però volevo...»
Non riuscivo a farmi venire in mente una scusa credibile, una bugia accettabile, niente. Ma non potevo andare a cena con Scott e Nadine dopo aver passato la notte con Scott.
«Roz?» insistette Petra. «Ma che ti prende? Hai una storia?»
«No» risposi troppo in fretta. Avrei dovuto rispondere di sì. Una finta storia mi avrebbe salvato.
Petra scosse la testa sconcertata, poi mi diede una strizzatina affettuosa alla mano. «Ti capisco, Roz, ma è ora che ti liberi di questo assurdo senso di inferiorità. Non devi pensare che vali meno di loro. Il fatto che Scott e Nadine siano pieni di soldi non significa che non abbiano piacere di passare del tempo con te. Non sono così snob. Non giudicano.»
Guardai le nostre mani, perché non riuscivo a guardarla negli occhi.
«Per favore» mi implorò. «Vedrai che ti diverti. A me farebbe un piacere immenso, se venissi. Non vai mai al ristorante! Ti prego!»
Stavo per aprire bocca, ma lei mi anticipò.
«Roz, se non vieni, mi offendo.»
iTalia