22
La chiamata mi arrivò sul cellulare a metà
mattina, mentre prendevo un tè fuori dallo studio e guardavo
interessata un tordo bottaccio che cercava di spaccare il guscio di
una lumaca usando una tegola rotta a mo’ di incudine. Il rumore
ripetitivo aveva attirato la mia attenzione, facendomi tornare alla
memoria i sassolini che tirava Winston contro la mia finestra di
ritorno dal pub, dopo che l’avevo cacciato di casa.
«Roz
Toovey?»
«Sì?» risposi. «Può
parlare più forte, per piacere? C’è traffico e sento
poco.»
«Mi ha dato il tuo
numero Nadine, mia sorella.»
«Ah, sì.» Mi ritrovai a
fare una smorfia. Non avevo nessuna voglia di fare conversazione
con il fratello di Nadine.
«Mi ha detto di
chiamarti» spiegò. «E così ti ho chiamato.»
Presi fiato. «Ti ha
spiegato perché mi dovevi chiamare?»
Il mio interlocutore
rise. «Sì. Dice che sei una bella persona e che potrei trovarti
interessante.»
«Ha detto
questo?»
«No, ovviamente. Vuoi
sapere cosa mi ha detto veramente?»
«Perché
no?»
«Che è amica di tua
sorella, la quale sta cercando disperatamente di accasarti con
qualcuno che non sia uno sciagurato, e le sono venuto in mente io.
Francamente, penso che non ne possa più di sentir parlare delle tue
disavventure sentimentali.»
«Cos’altro ti ha
raccontato?» Ero divertita.
«Che hai un bel fisico,
però sei un tantino sciatta. Ma accusa di sciatteria anche me,
quindi va presa con le pinze. Secondo lei, potrei divertirmi
assieme a te, le sembri il tipo giusto. Di me a te cos’ha
raccontato?»
«Che non sei
sfigato.»
«Infatti non lo
sono.»
«Me ne
rallegro.»
«Mi pare di aver capito
che dobbiamo uscire insieme giovedì. È così?» mi
chiese.
«Sì, è
così.»
«Dove andiamo? Hai in
mente un posto in particolare?»
«No. Sorprendimi»
risposi.
«Lo farò, Roz Toovey»
rispose. «Ti sorprenderò.»
Chiusi la telefonata con
un sorriso. Fu solo in seguito, mentre trattavo il gomito di Scott,
che mi resi conto di non avergli neppure chiesto come si
chiamava.
«Si chiama Henry» disse Scott, guardandomi
fisso negli occhi.
Gli tenevo l’avambraccio
con una mano e con l’altra spingevo verso il basso in maniera da
allungare gli estensori. Il gomito stava migliorando e quella era
la nostra ultima seduta. «Dunque ci esci insieme. Hai
deciso.»
Smisi di fare quel che
stavo facendo e arretrai di un passo.
«Ti dispiace.»
Affermazione, non domanda.
«Figurati! Puoi uscire
con chi vuoi» replicò. «Quel che penso io è del tutto irrilevante.
Però, come ho avuto modo di sottolineare ieri, Henry ha dei grossi
limiti.»
«A me è sembrato
simpatico.»
«Simpatico» ripeté Scott
livoroso.
«Senti» dissi, perdendo
la pazienza. «Cos’avrei dovuto fare? È stata tua moglie a
orchestrare tutto, a mettermi con le spalle al muro. Io ho cercato
di dire di no. Anzi, ho detto di no, se ben ricordi. Se tu non ti
fossi lanciato in una serie di invettive contro tuo cognato,
probabilmente adesso non ci troveremmo in questo
ginepraio.»
«Secondo te, l’ha fatto
perché sospetta di noi?»
«Secondo me non sospetta
un accidente. Ha insistito per spirito di contraddizione, perché tu
eri contrario e parlavi male di suo fratello. Eravamo tutti in
imbarazzo, te l’assicuro. Petra a un certo punto...»
«Ma che vada a cagare!»
sbottò, con un rancore che mi colse di sorpresa. «Petra non ragiona
con la sua testa.»
Feci un altro passo
indietro.
In tono pacato ma fermo,
intimai: «Adesso basta, Scott. Stai esagerando».
Ero sconcertata: non
l’avevo mai visto così.
«Basta
cosa?»
Senza alzare la voce e
senza il minimo intento provocatorio, risposi: «Non capisco perché
tu ti sia comportato così. Sembrava quasi che volessi che ci
scoprissero. Dimmelo sinceramente: vuoi che lo
scoprano?»
«Ma no! Che stronzate
dici?»
«E quindi? E
quindi?»
Sembrava di colpo
svuotato. Smisi di incalzarlo perché vidi che aveva cambiato
espressione. Si coprì il volto con le mani.
Chinò il capo e
sospirò.
Poi mosse una mano come
a dire: Dammi un minuto per
riprendermi, per favore.
Con occhi da cane
bastonato sussurrò: «Mi ha preso malissimo. Quando ci rivediamo? Ho
bisogno di rivederti».
Fedele alla parola data, non appena gli arrivò
la mia fattura, Scott mi bonificò le quattromila sterline che mi
doveva e io cominciai a fantasticare su un futuro migliore.
Finalmente potevo uscire dalla disperazione che fino ad allora
aveva oscurato i miei pensieri, smettere di sognare di vincere alla
lotteria e programmare seriamente i mesi a venire. Non sarei
riuscita in tempi brevi a restituire ai miei genitori tutti i soldi
che mi avevano prestato, questo era chiaro, ma se l’offerta di
Keith Hollinghurst fosse andata in porto, avrei potuto guadagnare
di più e versare loro qualcosa ogni mese.
Non sapevo quanto
sarebbe andata avanti la storia con Scott. Non in eterno, ovvio, e
la sua reazione prima possessiva e poi stranamente appiccicosa mi
aveva un po’ turbato. Purtroppo, dopo aver vissuto quotidianamente
nel terrore dei conti da pagare, se trovi un’attività lucrativa,
fai fatica a mollarla. Ancora due notti in compagnia di Scott e
avrei saldato il rosso sulla carta di credito.
Se la cosa fosse rimasta
fra noi, peraltro, non avrebbe provocato danni: non stavo portando
via niente a nessuno, non stavo sfruttando la povera gente, non
stavo causando danni ambientali. Avrei persino pagato le tasse sui
miei compensi. La socialista che era in me quasi quasi
approvava.
Eppure, per quanto
cercassi di vederla sotto una luce positiva, la questione
continuava a non convincermi.
Intuivo che quella che
era cominciata come una transazione commerciale, e che per me
continuava a essere tale, per Scott stava forse prendendo una piega
diversa. E se pensavo a Nadine mi sentivo orribilmente in
colpa.
Al terzo incontro si
palesarono diversi possibili sviluppi.
Tanto per cominciare,
non rimasi a dormire. Scott voleva a tutti i costi che ci vedessimo
e io lo avevo avvertito che non mi sarei potuta trattenere per una
notte intera. George aveva bisogno di me, gli spiegai. Scott capì e
mi propose un pomeriggio di passione per mille e cinquecento
sterline.
E così il martedì
mattina approfittai dell’assenza di Wayne per fare una cosa che non
avevo mai fatto: annullai tutti gli appuntamenti del pomeriggio.
Spostai i pazienti dai vari colleghi o in altri giorni adducendo
come scusa una non meglio precisata visita in ospedale. I pazienti,
temendo si trattasse di qualcosa di grave, evitarono di far domande
o protestare. Nella peggiore delle ipotesi, se Wayne fosse
ricomparso tutto a un tratto, avrei detto che ero andata a fare le
radiografie alla testa, per mettergli paura e dissuaderlo dal
piantar grane.
Scott aveva preso in
affitto per tre settimane un cottage sulla sponda nordorientale di
Coniston Water, pagando in contanti per non lasciare tracce. Lo
avrebbe voluto prendere per tutta l’estate, ma una famiglia di
Bristol lo aveva già prenotato a metà agosto.
Coniston è a ovest di
Windermere, una zona molto tranquilla, e al cottage si poteva
accedere direttamente dal lago oppure da una strada privata. Mi ero
fatta l’idea che i proprietari avessero finito i soldi
ristrutturandolo per poterlo affittare, perché la strada era in
condizioni pessime. Consisteva in due strisce di ghiaia in mezzo
alle quali cresceva l’erba ed era percorribile soltanto con una
Jeep o con il Range Rover di Scott. Con una utilitaria bisognava
fermarsi all’imbocco e percorrere il resto a piedi.
Probabilmente Scott
l’aveva scelto apposta.
Potevamo starci
indisturbati e invisibili alle rare macchine che si avventuravano
fino in quella zona del lago. Ovviamente il vantaggio principale
era che potevamo andare e venire come ci pareva. Era un’ottima
soluzione e Scott rimpiangeva di non averci pensato prima. Perché
andare in hotel, dove c’era il rischio di incontrare qualcuno,
quando potevi assicurarti un posto così?
A me andava benissimo
perché era a pochi chilometri da casa, dodici minuti di macchina.
Potevo uscire dallo studio, salire sul traghetto per Windermere,
andare a letto con Scott e tornare in tempo per prendere George al
doposcuola e preparare la cena.
Per millecinquecento
sterline.
Alle due meno dieci
stavo percorrendo la strada sterrata che portava al cottage, lungo
la quale non c’era il solito muretto a secco, ma una siepe assai
folta. Dal posto di guida vedevo la vallata a forma di U, frutto
dell’ultima glaciazione. In fondo alla strada scorsi il Range Rover
di Scott posteggiato perfettamente vicino alla catasta di legna. Il
sole batteva dritto sul parabrezza e non mi accorsi che Scott era
in macchina. Quando aprì la portiera per raggiungermi, feci un
salto.
«Scusa» disse. «Ti stavo
aspettando.»
«Non era il
caso.»
«Volevo entrare insieme
a te. Mi sembrava carino.»
«Che cosa? Fingere di
essere una coppia vera che va in vacanza?»
Scott ci rimase male.
«Più o meno» rispose a mezza voce.
All’interno il cottage
era molto carino, anche se non del tutto rifinito. Sugli
interruttori c’erano schizzi di pittura e gli zoccolini non erano
bene allineati. Sul tavolo c’era un foglietto per avvisare che
l’indomani mattina sarebbe venuto un operaio a riparare la doccia
nel bagno grande. Ci scusiamo per il disagio,
concludeva.
«Grazioso» dissi a
Scott, passando di stanza in stanza.
«È dozzinale» ribatté
lui. «È stato un bene non averlo preso per l’intera stagione.
Cercherò qualcosa di meglio.»
Eravamo in piedi fianco
a fianco e guardavamo fuori dalla portafinestra che dava sul lago.
L’acqua era una lastra di vetro su cui si riflettevano gli alberi
della sponda opposta. Come in tutta la Regione dei laghi, il limite
di velocità per le imbarcazioni a Coniston è dieci miglia all’ora.
Per un lungo periodo a Windermere quel limite non vigeva e sulla
battigia c’era una patina oleosa che non se ne andava mai. Le
passeggiate erano rovinate già al mattino presto da deficienti
sulle moto d’acqua. Non mi era affatto dispiaciuto, quando erano
stati introdotti i limiti di velocità più severi. Molti invece se
ne dolevano, Scott compreso: mi svelò che aveva dovuto vendere il
motoscafo.
Poiché il tempo
stringeva, mi voltai e lo baciai.
Gli spinsi il bacino
contro il pube e gli infilai la lingua fra le labbra.
Percepii una certa
resistenza.
Non sapendo come
reagire, cominciai a sbottonarmi la camicetta, ma lui mi fermò.
«Non fare così» disse in tono piatto. «Ti comporti come una
squillo.»
Mi caddero le braccia.
Lo guardai. «Che cosa vuoi da me, Scott?» chiesi. «Non abbiamo
molto tempo. Credevo volessi...»
«Che ci dessimo una
mossa?»
Il tono era sarcastico e
l’espressione severa.
Mi ritrassi e mi
riabbottonai la camicia.
«Preferisci che non lo
facciamo, oggi?» domandai.
«Preferisco che non mi
salti addosso appena entrati in casa» disse.
«Scusa» replicai
irritata. «L’ultima volta, però, ti è piaciuto. Era quello che
volevi.»
Scott deglutì e per un
po’ rimanemmo in silenzio senza sapere cosa fare.
«Dai» sussurrò dopo un
momento, accarezzandomi la guancia. «Non te la prendere. Non so
neanch’io che cosa voglio. Cioè, so che voglio te, ma non mi piace
sentire che lo fai solo per i soldi.»
Che cosa potevo
rispondere?
«Con un altro non lo
farei» dissi per consolarlo. Per dargli un contentino.
«Lo so, lo so. Scusa»
replicò. «Non avrei dovuto. Andiamo di sopra.»
Sorrisi a denti stretti.
Salendo le scale, mi disse che voleva che io mi spogliassi
lentamente mentre lui aspettava nudo sul letto.
«Vorrei che facessi la
mia infermierina» disse alludendo al fatto che avevo indosso il
camice da fisioterapista.
Mi spogliai come mi era
stato chiesto di fare e poi, sempre su istruzione di Scott, mi
distesi sul letto. «Chiudi gli occhi» mi bisbigliò e mi coprì di
baci delicati a partire dalle caviglie. Quando feci per ricambiare,
mi disse: «No, no».
Fece l’amore con me con
tanto affetto e devozione, quel pomeriggio, che mi sarei dovuta
rendere conto della profondità dei suoi sentimenti.
Invece non me ne
accorsi.
O forse non volli
vedere.