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Come per molti criminali, il problema non era tanto il crimine, quanto cosa fare dei soldi.
In un’epoca in cui tutto è digitalizzato, dagli stipendi agli appuntamenti con il dentista, non è facilissimo saldare un debito con un fascio di banconote da venti nuove di zecca. Anzi, è parecchio difficile.
Credevo di poter versare sul mio conto corrente le quattromila sterline che mi aveva dato Scott e pagare con un bonifico gli affitti arretrati.
Invece no.
Poco dopo il versamento, mi chiamò la banca. L’impiegata era gentile, ma ferma: voleva sapere da dove venivano quei contanti. Ai sensi della legge contro l’evasione fiscale, le banche erano obbligate a controllare prelievi e versamenti di importi consistenti. Improvvisai e dissi che si trattava di un prestito da parte dei miei genitori per aiutarmi in un momento di difficoltà, ma capii che non sarei potuta ricorrere a quella scusa in maniera regolare. O forse mai più. Comunque fosse, l’ufficio di riscossione delle tasse di Sua Maestà avrebbe richiesto la provenienza di ulteriori versamenti sul mio conto bancario.
Quella che mi ero illusa fosse la strada per tirarmi fuori dai debiti si rivelava improvvisamente impercorribile. Mi chiesi cosa facessero dei proventi del loro lavoro le donne che esercitavano la professione nella camera degli ospiti della loro villetta bifamiliare. Non si può mantenere un immobile e risultare privi di reddito: o avevano un sussidio che integravano con il loro lavoro oppure presentavano regolare denuncia dei redditi. Ma a che titolo, non esistendo il codice attività «prostituzione»? Magari come «massaggiatrici».
Avevo appuntamento con Scott quella sera e, dal momento che a prendere George direttamente al doposcuola sarebbe andato Winston (l’imprenditore internazionale era tornato in patria, a quanto sembrava), avevo il resto del pomeriggio per escogitare una modalità di pagamento che destasse meno sospetti. Mi sembrava quasi un’ingiustizia: io facevo di tutto per saldare i miei debiti e la legge mi metteva i bastoni fra le ruote. Pensavo agli spacciatori di Traffic Cops, che giravano a bordo di Range Rover con i finestrini oscurati, e mi chiedevo che cosa si inventassero, ammesso che anche loro, come le prostitute, venissero pagati cash.
Scoprii che Scott aveva riscontrato problemi analoghi. Per assicurarsi che non mi tirassi indietro nel constatare che non aveva una valigetta piena di banconote con cui saldare il conto, mi telefonò in studio per espormi il problema e una serie di possibili soluzioni, e per avanzare una proposta.
Sarebbe stata questa decisione, fra le tante decisioni sbagliate, a spedirci su quella specie di montagne russe che stavano per cambiarci la vita.
Avevo accompagnato George a scuola con uno zainetto contenente qualche giocattolo e altre piccole necessità per restare a dormire dal padre. Winston non mi pagava gli alimenti, ma metteva a disposizione del bambino indumenti, pigiami e videogame e Dylis gli forniva tre pasti al giorno e biancheria pulita, per cui George non doveva portarsi quasi nulla, quando stava dal papà. Si divertivano e facevano un sacco di cose insieme, visto che Winston non aveva le responsabilità che costringono molti genitori a rimanere a casa durante il weekend. Per George era un po’ come andare a trovare uno zio bohémien e quel fine settimana ne aveva bisogno, dopo il pignoramento dei mobili e il colloquio con la preside.
Avevo parlato a lungo con Winston del fatto che George rubacchiava e lui alla fine aveva ammesso che era sparito qualcosa anche a sua madre. Mi ero arrabbiata perché non me lo aveva detto e la sua risposta era stata: «Vorrebbe un cane, Roz. Non essere così severa con lui».
«Be’, non potrà avere un cane finché staremo in affitto. Lo sa perfettamente.»
Non avevo infierito quanto avrei voluto e avevo evitato di recriminare sul fatto che George aveva dovuto rinunciare al cane per colpa sua, non tanto perché non volessi litigare, quanto perché non sarebbe servito a niente. Winston non era in grado di fare il collegamento fra la sua infedeltà e la necessità per George di fare a meno del cane o per me di ingegnarmi a raccattare quattrini ovunque possibile. I suoi comportamenti non avevano ripercussioni, stando a lui.
Mi aveva detto di aver trovato più di cinquanta sterline nascoste nella federa del cuscino di George, il che significava che la cosa andava avanti da più tempo di quanto credessimo e che con ogni probabilità George aveva fregato soldi anche a Petra e Vincent. Avevo deciso di tenerlo per me, sicura che un mio fermo Niente cani in questa casa fosse un valido deterrente contro la reiterazione del reato.
Verso le undici sentii il caratteristico rombo della Ferrari nel parcheggio. Non capisco come mai se una vecchietta fa andare su di giri il motore della Panda è imbranata, ma se uno fa lo stesso con una macchina sportiva suscita rispetto e ammirazione.
Sentii che Wayne correva ad aprire a Scott, forse sperando in un altro giretto per la Lyth Valley. Scott aveva portato Wayne a fare un breve tour del circondario per arrivare a me, mi aveva confidato. Erano passati per Winster, Strawberry Banks e Gummer’s How e poi lungo la sponda orientale del lago Windermere per fare ritorno allo studio. Durante quei venti minuti di tragitto, Wayne aveva cambiato modo di parlare, mi aveva raccontato Scott, assumendo ritmi e cadenze alla Jeremy Clarkson, il conduttore di TopGear. Io avevo riso di Wayne e Scott mi aveva detto che succedeva a tutti quelli che salivano sulla sua Ferrari. Lo facevano inconsciamente, senza rendersene conto.
Invece di aspettare che Wayne bussasse, mi affacciai dalla porta del mio studio. Il mio paziente era prono, con vari aghi da agopuntura in testa, e poteva restare solo per qualche minuto. Spesso in quelle condizioni la gente preferisce non parlare, magari per paura che un ago gli trapassi il cervello. Non può accadere, ovviamente, ma cerco di non divulgare troppo questa informazione e mi godo il silenzio.
La porta d’ingresso era spalancata; Wayne era sulla soglia e mi dava la schiena. Quella mattina era piovuto fortissimo, stile monsone, la pioggia che batteva sul tetto come una banda militare, e i delicati profumi estivi che la brezza aveva sparso nelle ultime settimane aleggiavano sotto forma di vapore, rendendo l’aria tutto a un tratto pesante, dolciastra, greve.
Scott evidentemente indugiava in automobile, perché sentii chiudere la portiera dopo un po’. Wayne batté le mani salutando Scott in un modo che voleva essere da uomo a uomo e invece risultò da leccapiedi.
Vedendomi affacciata alla porta, Scott disse che mi doveva parlare con urgenza e Wayne, che con un altro avrebbe certamente fatto delle storie, protestando che non dovevo essere disturbata in mezzo a una seduta ed era indispensabile fissare un appuntamento, lo lasciò attraversare l’accettazione ed entrare nella saletta della nutrizionista, che in quel momento non era occupata.
Era la prima volta che vedevo Scott trattare senza un briciolo di gentilezza chi non gli serviva più. Mi sorprese il suo atteggiamento noncurante nei confronti di Wayne: lo salutò distrattamente, senza quasi considerarlo, come se non si conoscessero. Wayne ci rimase male. La maleducazione di Scott lo lasciava perplesso, non sapeva come interpretarla.
Nello studio della nutrizionista quel giorno era stata temporaneamente stipata una consegna di lenzuoli usa e getta, rotoli di carta igienica e fazzolettini, che Wayne non aveva ancora avuto il tempo di riporre al loro posto.
«C’è un problema» esordì Scott.
«Come va il gomito?» chiesi a voce eccessivamente alta prima di chiudere la porta. La lasciai socchiusa per evitare che qualcuno si insospettisse e pensasse che volevo restare sola con lui. Meglio agire con nonchalance, comportarmi come se l’urgenza di Scott fosse legata a un suo problema di salute che non necessitava della massima privacy.
Mi voltai e Scott mi lanciò un’occhiata come a dire: Chissenefrega del gomito. Si avvicinò, mi prese il volto fra le mani e mi baciò.
«Non qui» esclamai costernata.
Scott non si scusò.
«Che problema c’è?» chiesi, in ambasce. «Nadine?»
Scott fece di no con la testa.
Sembrava agitato, sulle spine, diverso da come ero abituata a vederlo. Mi chiesi che cosa potesse averlo messo in quello stato.
«Non riesco a recuperare i soldi» mi informò.
Feci un passo indietro. «Non riesci a recuperare quattromila sterline?»
Mi sembrava impossibile.
«Non in contanti. Non subito, comunque.»
«Ah» dissi. «Credevo...»
Scott sorrise. «No, non sono così malmesso.»
«E quindi come facciamo?»
«Io un’idea la avrei, ma non so come la prenderai.»
«Sentiamo.»
«Be’, se continuo a ritirare contanti dell’azienda, prima o poi il mio contabile se ne accorgerà e mi chiederà spiegazioni. Mi fido di lui, ma non voglio che si insospettisca. A parte il fatto che sua moglie è molto amica di Nadine e, checché se ne dica, con la propria moglie tutti si lasciano sfuggire qualche segreto.»
«Allora per stasera è confermato o no?» domandai.
«Dipende da te. Io vorrei vederti» disse e mi passò un dito sul mento. «La soluzione ci sarebbe, ma dovresti aspettare qualche giorno per avere i soldi.»
«Quanti giorni?»
«Pochi.»
«Ah.»
«Capisco che ti servono subito, ma pensaci: non puoi ricevere tutto questo denaro contante senza che il fisco subodori qualcosa. Ti chiederanno spiegazioni e, a seconda di quello che gli dirai, potrebbero venire a ficcare il naso nei miei affari. Non posso permettermelo, Roz.»
«Okay» replicai. «E quindi? Cosa suggerisci?»
«Che tu diventi una mia consulente.»
«Consulente di cosa?»
«Di quello che vuoi. Non ha importanza. L’importante è che sia una soluzione credibile, un servizio che fatturi alla mia azienda e che ti verrà pagato nel giro di ventiquattr’ore. Pensavo che potresti proporti come consulente ergonomico, ma se preferisci qualcos’altro, per me fa lo stesso.»
«L’ergonomia va bene.»
«Prima emetti la fattura, prima verrai pagata» promise Scott. «Diciamo che ci consigli a quale altezza regolare le scrivanie, come posizionare gli schienali delle poltroncine... Roba così.»
«Va bene.»
«Quindi per stasera okay?» domandò Scott titubante.
«Non essere pagata subito, intendi?»
Annuì.
«Non me l’aspettavo e un po’ mi spiace, ma dopo l’ultimo pagamento ho un certo respiro. Non voglio compromettere i nostri rapporti e perciò... Vuoi di nuovo tutta la notte?»
«Certamente» rispose Scott. «Ci vediamo alle sette?»
«D’accordo.»
«Io vado, allora» disse. «Non ti disturbo oltre.» Andò alla porta, la aprì e si voltò verso di me. «Grazie per la comprensione.»
Gli feci ciao con la mano e rimasi impietrita. Wayne era all’erogatore dell’acqua, subito dietro di lui.
E Scott, di nuovo, non lo degnò di uno sguardo.
Questa volta, però, Wayne non fece la faccia offesa. Anzi, si mise a fischiettare.
Riempì il bicchiere, si voltò e mi fece il sorriso di chi ha capito tutto.