15
Come per molti criminali, il problema non era
tanto il crimine, quanto cosa fare dei soldi.
In un’epoca in cui tutto
è digitalizzato, dagli stipendi agli appuntamenti con il dentista,
non è facilissimo saldare un debito con un fascio di banconote da
venti nuove di zecca. Anzi, è parecchio difficile.
Credevo di poter versare
sul mio conto corrente le quattromila sterline che mi aveva dato
Scott e pagare con un bonifico gli affitti arretrati.
Invece no.
Poco dopo il versamento,
mi chiamò la banca. L’impiegata era gentile, ma ferma: voleva
sapere da dove venivano quei contanti. Ai sensi della legge contro
l’evasione fiscale, le banche erano obbligate a controllare
prelievi e versamenti di importi consistenti. Improvvisai e dissi
che si trattava di un prestito da parte dei miei genitori per
aiutarmi in un momento di difficoltà, ma capii che non sarei potuta
ricorrere a quella scusa in maniera regolare. O forse mai più.
Comunque fosse, l’ufficio di riscossione delle tasse di Sua Maestà
avrebbe richiesto la provenienza di ulteriori versamenti sul mio
conto bancario.
Quella che mi ero illusa
fosse la strada per tirarmi fuori dai debiti si rivelava
improvvisamente impercorribile. Mi chiesi cosa facessero dei
proventi del loro lavoro le donne che esercitavano la professione
nella camera degli ospiti della loro villetta bifamiliare. Non si
può mantenere un immobile e risultare privi di reddito: o avevano
un sussidio che integravano con il loro lavoro oppure presentavano
regolare denuncia dei redditi. Ma a che titolo, non esistendo il
codice attività «prostituzione»? Magari come
«massaggiatrici».
Avevo appuntamento con
Scott quella sera e, dal momento che a prendere George direttamente
al doposcuola sarebbe andato Winston (l’imprenditore internazionale
era tornato in patria, a quanto sembrava), avevo il resto del
pomeriggio per escogitare una modalità di pagamento che destasse
meno sospetti. Mi sembrava quasi un’ingiustizia: io facevo di tutto
per saldare i miei debiti e la legge mi metteva i bastoni fra le
ruote. Pensavo agli spacciatori di Traffic Cops, che giravano a
bordo di Range Rover con i finestrini oscurati, e mi chiedevo che
cosa si inventassero, ammesso che anche loro, come le prostitute,
venissero pagati cash.
Scoprii che Scott aveva
riscontrato problemi analoghi. Per assicurarsi che non mi tirassi
indietro nel constatare che non aveva una valigetta piena di
banconote con cui saldare il conto, mi telefonò in studio per
espormi il problema e una serie di possibili soluzioni, e per
avanzare una proposta.
Sarebbe stata questa
decisione, fra le tante decisioni sbagliate, a spedirci su quella
specie di montagne russe che stavano per cambiarci la
vita.
Avevo accompagnato
George a scuola con uno zainetto contenente qualche giocattolo e
altre piccole necessità per restare a dormire dal padre. Winston
non mi pagava gli alimenti, ma metteva a disposizione del bambino
indumenti, pigiami e videogame e Dylis gli forniva tre pasti al
giorno e biancheria pulita, per cui George non doveva portarsi
quasi nulla, quando stava dal papà. Si divertivano e facevano un
sacco di cose insieme, visto che Winston non aveva le
responsabilità che costringono molti genitori a rimanere a casa
durante il weekend. Per George era un po’ come andare a trovare uno
zio bohémien e quel fine settimana ne aveva bisogno, dopo il
pignoramento dei mobili e il colloquio con la preside.
Avevo parlato a lungo
con Winston del fatto che George rubacchiava e lui alla fine aveva
ammesso che era sparito qualcosa anche a sua madre. Mi ero
arrabbiata perché non me lo aveva detto e la sua risposta era
stata: «Vorrebbe un cane, Roz. Non essere così severa con
lui».
«Be’, non potrà avere un
cane finché staremo in affitto. Lo sa perfettamente.»
Non avevo infierito
quanto avrei voluto e avevo evitato di recriminare sul fatto che
George aveva dovuto rinunciare al cane per colpa sua, non tanto
perché non volessi litigare, quanto perché non sarebbe servito a
niente. Winston non era in grado di fare il collegamento fra la sua
infedeltà e la necessità per George di fare a meno del cane o per
me di ingegnarmi a raccattare quattrini ovunque possibile. I suoi
comportamenti non avevano ripercussioni, stando a lui.
Mi aveva detto di aver
trovato più di cinquanta sterline nascoste nella federa del cuscino
di George, il che significava che la cosa andava avanti da più
tempo di quanto credessimo e che con ogni probabilità George aveva
fregato soldi anche a Petra e Vincent. Avevo deciso di tenerlo per
me, sicura che un mio fermo Niente
cani in questa casa fosse un valido
deterrente contro la reiterazione del reato.
Verso le undici sentii
il caratteristico rombo della Ferrari nel parcheggio. Non capisco
come mai se una vecchietta fa andare su di giri il motore della
Panda è imbranata, ma se uno fa lo stesso con una macchina sportiva
suscita rispetto e ammirazione.
Sentii che Wayne correva
ad aprire a Scott, forse sperando in un altro giretto per la Lyth
Valley. Scott aveva portato Wayne a fare un breve tour del
circondario per arrivare a me, mi aveva confidato. Erano passati
per Winster, Strawberry Banks e Gummer’s How e poi lungo la sponda
orientale del lago Windermere per fare ritorno allo studio. Durante
quei venti minuti di tragitto, Wayne aveva cambiato modo di
parlare, mi aveva raccontato Scott, assumendo ritmi e cadenze alla
Jeremy Clarkson, il conduttore di TopGear. Io avevo riso di
Wayne e Scott mi aveva detto che succedeva a tutti quelli che
salivano sulla sua Ferrari. Lo facevano inconsciamente, senza
rendersene conto.
Invece di aspettare che
Wayne bussasse, mi affacciai dalla porta del mio studio. Il mio
paziente era prono, con vari aghi da agopuntura in testa, e poteva
restare solo per qualche minuto. Spesso in quelle condizioni la
gente preferisce non parlare, magari per paura che un ago gli
trapassi il cervello. Non può accadere, ovviamente, ma cerco di non
divulgare troppo questa informazione e mi godo il
silenzio.
La porta d’ingresso era
spalancata; Wayne era sulla soglia e mi dava la schiena. Quella
mattina era piovuto fortissimo, stile monsone, la pioggia che
batteva sul tetto come una banda militare, e i delicati profumi
estivi che la brezza aveva sparso nelle ultime settimane
aleggiavano sotto forma di vapore, rendendo l’aria tutto a un
tratto pesante, dolciastra, greve.
Scott evidentemente
indugiava in automobile, perché sentii chiudere la portiera dopo un
po’. Wayne batté le mani salutando Scott in un modo che voleva
essere da uomo a uomo e invece risultò da leccapiedi.
Vedendomi affacciata
alla porta, Scott disse che mi doveva parlare con urgenza e Wayne,
che con un altro avrebbe certamente fatto delle storie, protestando
che non dovevo essere disturbata in mezzo a una seduta ed era
indispensabile fissare un appuntamento, lo lasciò attraversare
l’accettazione ed entrare nella saletta della nutrizionista, che in
quel momento non era occupata.
Era la prima volta che
vedevo Scott trattare senza un briciolo di gentilezza chi non gli
serviva più. Mi sorprese il suo atteggiamento noncurante nei
confronti di Wayne: lo salutò distrattamente, senza quasi
considerarlo, come se non si conoscessero. Wayne ci rimase male. La
maleducazione di Scott lo lasciava perplesso, non sapeva come
interpretarla.
Nello studio della
nutrizionista quel giorno era stata temporaneamente stipata una
consegna di lenzuoli usa e getta, rotoli di carta igienica e
fazzolettini, che Wayne non aveva ancora avuto il tempo di riporre
al loro posto.
«C’è un problema» esordì
Scott.
«Come va il gomito?»
chiesi a voce eccessivamente alta prima di chiudere la porta. La
lasciai socchiusa per evitare che qualcuno si insospettisse e
pensasse che volevo restare sola con lui. Meglio agire con
nonchalance, comportarmi come se l’urgenza di Scott fosse legata a
un suo problema di salute che non necessitava della massima
privacy.
Mi voltai e Scott mi
lanciò un’occhiata come a dire: Chissenefrega del gomito. Si
avvicinò, mi prese il volto fra le mani e mi baciò.
«Non qui» esclamai
costernata.
Scott non si
scusò.
«Che problema c’è?»
chiesi, in ambasce. «Nadine?»
Scott fece di no con la
testa.
Sembrava agitato, sulle
spine, diverso da come ero abituata a vederlo. Mi chiesi che cosa
potesse averlo messo in quello stato.
«Non riesco a recuperare
i soldi» mi informò.
Feci un passo indietro.
«Non riesci a recuperare quattromila sterline?»
Mi sembrava
impossibile.
«Non in contanti. Non
subito, comunque.»
«Ah» dissi.
«Credevo...»
Scott sorrise. «No, non
sono così malmesso.»
«E quindi come
facciamo?»
«Io un’idea la avrei, ma
non so come la prenderai.»
«Sentiamo.»
«Be’, se continuo a
ritirare contanti dell’azienda, prima o poi il mio contabile se ne
accorgerà e mi chiederà spiegazioni. Mi fido di lui, ma non voglio
che si insospettisca. A parte il fatto che sua moglie è molto amica
di Nadine e, checché se ne dica, con la propria moglie tutti si
lasciano sfuggire qualche segreto.»
«Allora per stasera è
confermato o no?» domandai.
«Dipende da te. Io
vorrei vederti» disse e mi passò un dito sul mento. «La soluzione
ci sarebbe, ma dovresti aspettare qualche giorno per avere i
soldi.»
«Quanti
giorni?»
«Pochi.»
«Ah.»
«Capisco che ti servono
subito, ma pensaci: non puoi ricevere tutto questo denaro contante
senza che il fisco subodori qualcosa. Ti chiederanno spiegazioni e,
a seconda di quello che gli dirai, potrebbero venire a ficcare il
naso nei miei affari. Non posso permettermelo, Roz.»
«Okay» replicai. «E
quindi? Cosa suggerisci?»
«Che tu diventi una mia
consulente.»
«Consulente di
cosa?»
«Di quello che vuoi. Non
ha importanza. L’importante è che sia una soluzione credibile, un
servizio che fatturi alla mia azienda e che ti verrà pagato nel
giro di ventiquattr’ore. Pensavo che potresti proporti come
consulente ergonomico, ma se preferisci qualcos’altro, per me fa lo
stesso.»
«L’ergonomia va
bene.»
«Prima emetti la
fattura, prima verrai pagata» promise Scott. «Diciamo che ci
consigli a quale altezza regolare le scrivanie, come posizionare
gli schienali delle poltroncine... Roba così.»
«Va bene.»
«Quindi per stasera
okay?» domandò Scott titubante.
«Non essere pagata
subito, intendi?»
Annuì.
«Non me l’aspettavo e un
po’ mi spiace, ma dopo l’ultimo pagamento ho un certo respiro. Non
voglio compromettere i nostri rapporti e perciò... Vuoi di nuovo
tutta la notte?»
«Certamente» rispose
Scott. «Ci vediamo alle sette?»
«D’accordo.»
«Io vado, allora» disse.
«Non ti disturbo oltre.» Andò alla porta, la aprì e si voltò verso
di me. «Grazie per la comprensione.»
Gli feci ciao con la
mano e rimasi impietrita. Wayne era all’erogatore dell’acqua,
subito dietro di lui.
E Scott, di nuovo, non
lo degnò di uno sguardo.
Questa volta, però,
Wayne non fece la faccia offesa. Anzi, si mise a
fischiettare.
Riempì il bicchiere, si
voltò e mi fece il sorriso di chi ha capito tutto.