30
Accompagno fuori Benton, come se avesse bisogno che gli indichi io la strada. Forse danno tutti per scontato che voglia passare un momento da sola con mio marito. Nell’anticamera, Benton si toglie gli indumenti protettivi, strappando la cintura del camice bianco, che appallottola e getta in un contenitore rosso per rifiuti biologici.
Gli dico la verità, una verità crudele con implicazioni ancora più crudeli.
«Se l’ha ammazzata il Capital Killer, per immobilizzare le vittime usa un Taser. O, per lo meno, l’ha usato su questa» gli spiego. «Non un Taser qualunque, ma del tipo che spara elettrodi che si agganciano alla carne come ami, con dardi collegati mediante cavo. In altre parole, il tipo di Taser usato dalle forze dell’ordine.»
«Potrebbe averlo comprato al mercato nero.» Benton si siede su una panchetta e si toglie i copriscarpe. «Non è difficile. Ma anche su internet ormai si trova di tutto.»
«Non è escluso. Evidentemente sapeva quale arma prendere, come funziona.»
Benton si sfila i guanti e li lancia tra i rifiuti insieme con la mascherina da chirurgo. «È un sadico maniaco del controllo» dichiara piegando gli occhiali protettivi. Me li porge. «Già renderti conto che stanno per spararti addosso una scarica elettrica ti terrorizza.»
«Sì.» Metto gli occhiali su uno scaffale dove ce ne sono allineati diversi, di varie dimensioni. C’è anche una bomboletta di disinfettante spray.
«Per questo non oppongono resistenza.» Ha lo sguardo perso nel vuoto: sta visualizzando una scena terribile.
«La paralisi dura il tempo in cui si tiene premuto il grilletto, a meno che non ti vada male, come temo sia andata a lei. O forse invece le è andata bene, tutto sommato, e ha sofferto poco: lui le ha sparato una scarica elettrica e lei è morta prematuramente, risparmiandosi eventuali torture successive. Ecco perché non aveva nessun sacchetto sulla testa, niente nastro adesivo simil-pizzo, niente fiocco.»
«Ha dovuto abbandonare il rituale prima della parte migliore.» Benton si appoggia le braccia sulle cosce e si guarda le mani nude, che sono lunghe e affusolate come quelle di un pianista, bianchissime per via del poco sole che prendiamo in Massachusetts. Si gira intorno all’anulare la fede di platino.
«Vedremo cosa ci dirà l’autopsia, ma se ha smesso improvvisamente di parlare con Carin Hegel, potrebbe essere perché lui le ha sparato con un Taser nel parcheggio buio» aggiungo e gli racconto della registrazione della telefonata che Lucy mi ha fatto ascoltare.
Gli descrivo il rumore di un motore di automobile dietro lo Psi Bar, la voce di Gail Shipton che dice: “Come, scusa? Hai bisogno?” e poi si zittisce. Mi siedo vicino a Benton, spalla contro spalla e ginocchio contro ginocchio, i miei piedi coperti di carta bianca accanto alle scarpe da ginnastica nere che si è fatto prestare.
«Spiegherebbe come mai si è zittita di colpo» concludo. «Le sarebbe caduto di mano il telefono e in ogni caso non sarebbe più stata in grado di parlare. Non è crollata a terra, però: avrebbe graffi, contusioni, traumi anche gravi se avesse battuto la testa. Invece, quando è rimasta paralizzata, qualcosa le ha impedito di cadere.»
«Potrebbe averla presa in braccio lui, magari per caricarla in macchina.» Benton prova a fare delle ipotesi e intanto si guarda le mani con aria solenne, come se avesse appena scoperto di essersi lasciato sfuggire un particolare importantissimo. «Molto probabilmente era disorientata e non ha opposto resistenza per paura di beccarsi un’altra scarica elettrica. È chiaro che non ha gridato, altrimenti sulla registrazione che Lucy non dovrebbe avere e che non ha consegnato alla polizia si sentirebbe.»
«Non tutti gridano: alcuni perdono immediatamente i sensi. Se soffriva di cuore, potrebbe essere andata in arresto cardiaco.» Non ho intenzione di entrare nel merito di quello che Lucy ha fatto e non ha fatto.
Per il momento non voglio parlare delle infrazioni di legge e delle violazioni al protocollo di mia nipote. Mi interessano di più quelle del capo di Benton.
«Se è morta per un problema di cuore, il suo aggressore dev’esserci rimasto malissimo» ipotizza Benton. Ci alziamo in piedi. So a cosa sta pensando.
Lo capisco dal suo viso contratto, dalla luce cupa nei suoi occhi, che hanno visto la sofferenza delle vittime di tutti i killer spietati che ha incontrato nella sua carriera. Benton si è fatto paladino della loro causa e vuole rendere loro giustizia. Per fare questo, le deve riportare qui dal regno dei morti, ricostruire come erano prima che uno psicopatico strappasse loro la vita. Non può lasciarle andare: deve tenere dentro di sé quella folla sempre più numerosa.
«Non essere così duro con te stesso. Provaci, per lo meno.» Lo guardo e gli accarezzo una mano. «Non sei un indovino: non puoi prevedere le cose prima che si avverino.»
«Ciò che ha fatto loro deve aver lasciato un segno e io non l’ho colto.»
«Non l’hanno colto gli anatomopatologi che hanno fatto le autopsie, semmai. Ma è possibile che con le altre non abbia usato un Taser.»
«La mancanza di lesioni mi fa pensare che le abbia ridotte all’impotenza in maniera analoga.» Prende giacca e cappotto dall’appendiabiti sulla parete.
«Se le ha stordite attraverso i vestiti, è possibile che i dardi non abbiano lasciato segni, oppure li abbiano lasciati così piccoli da essere sfuggiti a tutti. Specie se erano vestite a strati.»
«Lo eccita assistere alla morte di una vittima in preda al panico, che soffoca lentamente» dice. «Se l’ultima ha avuto un infarto ed è morta subito, per lui dev’essere stato un coitus interruptus che l’ha lasciato frustrato e furibondo. È stato interrotto, la sua compulsione non è stata soddisfatta. Lei lo ha fregato, l’ha tradito. Si era preparato, l’aveva studiata, eppure è successo l’imprevisto: la vittima ha avuto l’ardire di spirare prima che lui potesse finire di ucciderla. Colpirà di nuovo, e presto. Non l’avevo messo in conto.»
«Come avresti potuto, Benton?»
«È importantissimo.» Si infila la giacca. «Spiegherebbe un sacco di cose: il fatto che non ha portato il rituale fino in fondo. Lei gli ha guastato la festa, facendo una cosa che lui non si aspettava, osando morire prima che lui potesse mettere in atto la sua fantasia.»
«Cercherò di accertare se è andata davvero così, Benton.»
«Forse è per questo che ha usato il Vicks: faceva più fatica del solito, era sbalestrato da un evento che non aveva preventivato. Era arrabbiato, distratto, e aveva bisogno di ritrovare la concentrazione. Lei non l’ha lasciato finire, lo ha privato di una cosa che per lui era fondamentale: ecco come vede le cose. Il fiore del male non è sbocciato e lui è più inferocito di un toro.»
«Dobbiamo vedere che cosa ci dirà il cadavere.»
«Sta perdendo il controllo» continua Benton, in un tono apocalittico. «È uno sviluppo inevitabile. Non pensavo che succedesse così presto questa volta, invece il crollo era già cominciato. Per questo è tornato qui. Cristo. È tornato perché si sente allo sbaraglio, alla deriva, in balia di una forza che sfugge alla sua comprensione e al suo controllo. Questa è casa sua. Qui è dove è cominciato tutto e dove tutto finirà. Se non tutto, qualcosa.»
Benton prevede cosa succederà, ma non è in grado di fermarlo. È teso, contratto, come se avesse ricevuto anche lui una scarica elettrica.
«Sta scompensando, è sempre più preso dalle sue fantasie perverse e devianti, che non è in grado di riconoscere come malate e ingiustificate. Non si ritiene una persona crudele. Dà la colpa agli altri.» Guarda nel vuoto, senza battere ciglio. «Si ritiene normale, come me e te. Pensa che le sue azioni abbiano un senso condiviso e riconoscibile.»
Entra Anne, che si deve preparare.
«Vado a prendere la mia macchina. Dico a Granby che, se vuole parlare con te alle quindici, deve venire qui al CFC.»
«Se vuole parlare con me.»
Lo ribadisco: Benton non è stato invitato.
«A che ora è il colloquio con la possibile sostituta di Marino?» chiedo ad Anne.
«Bryce la riceve alle tre.» Guarda Benton incuriosita. «Gli dico di spostarlo alle cinque?»
«Se c’è la possibilità anche minima che io possa fare un salto...» rispondo. «Dobbiamo vederci per parlare del caso o di politica?» chiedo a Benton, che ha aperto la porta. «Oppure posso rifiutarmi di vederlo se non sei presente anche tu» aggiungo. Mi sento gelare.
“Ed Granby può andare a farsi friggere.”
«Non mi interessa parlare dei suoi intrallazzi politici» aggiungo, sentendomi sempre più offesa. «Di casi di competenza federale e compagnia bella. Sono cose che non riguardano il CFC.»
Non ho voglia di perdere il mio tempo con Ed Granby. E so che non sarò in grado di parlare con lui senza pensare alle secrezioni vaginali e al sangue mestruale che non possono essere stati lasciati da Martin Lagos. Il capo di Benton non mi è mai stato simpatico e non voglio avere a che fare con lui finché non avrò scoperto la verità sulle possibili manomissioni del CODIS. Se Granby ha dato istruzioni a qualcuno di alterare un profilo del DNA, voglio sapere perché lo ha fatto e voglio che sia punito.
«Il problema è questo, penso.» Benton mi guarda, sulla porta. «Marino ha lasciato intendere che ho preso parte al sopralluogo nel campus dell’MIT, ma il dipartimento di polizia non ci aveva invitato ufficialmente. Il sovrintendente di Cambridge ha chiamato stizzito e Granby sta cercando di metterci una pezza. Questa è la sua versione, ovviamente. Non posso essere presente perché sono l’oggetto del contendere.»
«Ma tu pensi che questo sia solo un pretesto» dico.
«Vedo che le abilità relazionali di Marino non sono migliorate» interviene Anne. «Perché deve sempre fare il cretino?»
«È un campo minato» osserva Benton, sapendo che basta poco perché la polizia si arrabbi con l’onnipotente FBI. «Granby vuole scoprire tutto quello che sai» mi comunica. Ecco perché mi vuole vedere.
«Tutto?» Se non si trattasse di Granby, riderei. «Mi sa che dovrà mettersi a studiare di buona lena.»
«Non gli basteranno gli anni che gli restano» commenta Anne.
«Dice che vuole chiarire i motivi per cui ero con te al Briggs Field, visto che nessuno ci aveva chiesto ufficialmente di collaborare.» Benton continua a espormi le scuse assurde accampate da Granby per parlare con me.
«Gli hai accennato alle tue ipotesi riguardo al caso di stamattina, che ha fatto stizzire il sovrintendente?»
«Faccio il mio lavoro e riferisco ai miei superiori» risponde Benton, imperturbabile. Ma io intuisco cosa prova.
Granby è stato avvertito del fatto che l’omicidio di Gail Shipton potrebbe essere stato commesso dallo stesso serial killer che imperversa a Washington e, se ha manomesso il database, dev’essere andato in paranoia, perché è chiaro che adesso è nei pasticci. Perciò vuole parlare con me, senza Benton presente, per farsi dire tutto quello che so.
«Penso che sarò molto occupata alle tre» decido. «Mi sono appena ricordata che ho un sacco di cose da fare, purtroppo. Sai cosa ti dico? Non posso incontrarlo né oggi né domani. Chiederò a Bryce di controllare quando ho un momento libero in cui riceverlo.»
Benton mi guarda negli occhi, sorride e se ne va.
«Ti vedo bella determinata.» Anne prende degli indumenti protettivi dagli scaffali.
«Non sarebbe stata una festa in mio onore» spiego. «Sarei stata solo una pedina in un gioco più grande di me.»
«Ho sentito nominare un Taser?»
«No. Non hai sentito niente di niente.»
«Harold mi ha detto che hai bisogno di me. Cosa vuoi che faccia?» mi domanda Anne.
«Vorrei che mi dessi una mano. Tu assisti me e Harold aiuta Luke. Dobbiamo fare un’angio-TAC e procedere a un nuovo controllo per vedere se i miei sospetti sono fondati e davvero soffriva di cuore. Potrebbe essersi trattato di una morte improvvisa cardiaca. Mi raccomando, tutto quello che ho detto sul caso deve restare tra noi. Tutto quello che hai appena sentito. Okay?»
«Ho la bocca cucita.» Fa il gesto di chiudersi una zip sulle labbra. «Da me nessuno saprà niente. Che cosa pensi?»
«Che potremmo avere a che fare con un assassino immanicato con le forze dell’ordine, o che ha accesso a determinate risorse» rispondo.
«Pensi che sia un poliziotto?»
«Non lo so. Non necessariamente. Ma non è da tutti mettere le mani sull’arma elettrica che ha usato su di lei. O se l’è procurata in modo illegale, oppure è legato alle forze dell’ordine, direttamente o per interposta persona.»
«È questa la causa dello pneumotorace, dunque? Stavo per dire che sono scioccata. Non mi sembra che abbiamo mai avuto a che fare con lesioni causate da armi elettriche.»
«Perché in genere non sono mortali.»
«Uscivo con un poliziotto, qualche anno fa. Mi ha detto che il suo addestramento comprendeva farsi sparare addosso con un Taser.» Si infila un camice usa e getta sopra quello viola che ha già indosso. «Diceva che non fa malissimo, ma è spaventoso da morire.»
«Hai presente quando picchi un gomito e senti la scossa? È la stessa cosa, ma mille volte più intensa. Dura cinque secondi, se non di più. È un po’ come avere una crisi convulsiva.»
«Quindi, se ne hai già ricevuto una dose, fai di tutto pur di non beccartene un’altra. Diventi docile come un agnellino.»
«A meno che tu non sia fatto di cocaina o PCP. Tu lo sapevi che Lucy sarebbe andata a prendere Benton a Washington per portarlo a casa qualche giorno prima del previsto e farmi una sorpresa?»
Ad Anne posso chiedere qualsiasi cosa: non lo riferirà a nessuno. E non mi giudicherà.
«Sì, me l’ha detto Bryce. Penso che lo sapessero in tanti. Eravamo tutti contenti» risponde. «Ci dispiaceva per te, che avevi passato due giornate infernali nel Connecticut e subito dopo ti eri ammalata. È quasi Natale, Benton era via e domani è il suo compleanno... Ti sorprenderà, ma ci sembra che tu non faccia altro che lavorare e vorremmo che stessi un po’ tranquilla, una volta ogni tanto.»
Mi rendo conto che ho un gran bisogno di parlare. Non riesco a togliermi dalla testa le insinuazioni inaccettabili di Granby, secondo cui il Capital Killer sarebbe rimasto influenzato dagli articoli pubblicati da Benton. A detta di Granby, Benton sarebbe in parte responsabile di questi sadici delitti e dovrebbe dimettersi, e l’FBI dovrebbe smettere di ricorrere al profiling, che definisce una tecnica datata e pericolosa. Cerca di avvelenare l’esistenza a Benton e ci sta riuscendo.
Mi impongo di essere obiettiva e calma, ma sono piena di rabbia.
«Un sacco di gente sapeva che Benton sarebbe tornato oggi con Lucy» dico ad Anne. «I suoi colleghi dell’FBI, il suo capo, quelli dell’albergo in cui alloggiava in Virginia e quelli che hanno visto il piano di volo di mia nipote.»
Voglio percorrere anche questa pista, voglio capire se l’assassino era al corrente dei progetti di Benton. Mi sembra impossibile, però, adesso come la prima volta che Benton me ne ha parlato. È stressato, offeso, si attribuisce colpe che non ha. Devo cercare di essere più comprensiva, ma mi riesce difficile. E comunque è irrilevante. Che l’assassino sapesse o non sapesse, Benton non c’entra niente. Come fa Granby a sostenere una tesi del genere? Come può invalidare i risultati ottenuti da Benton con grandi sacrifici?
«Perché?» mi chiede Anne.
«Lucy conosceva Gail Shipton.»
«L’avevo intuito.»
«Benton ha paura che l’assassino sapesse che lui sarebbe stato a Cambridge al momento del ritrovamento del cadavere, che l’abbia fatto apposta.»
«Mi vengono i brividi.» Ho l’impressione che non ci creda, che lo trovi assolutamente inverosimile.
«Mi domando se Lucy ne avesse parlato con Gail.»
«E lei l’avrebbe detto al suo assassino? “Senti, caro, ti conviene ammazzarmi subito perché Benton sta per tornare”... È questo che pensa Benton?»
«Be’, detto così suona assurdo, però...» Pigio con il gomito il pulsante di apertura delle porte. «Probabilmente non lo sapremo mai. Ma non sopporto che lui si tormenti a questo modo.»
«Sai su cosa non ho il minimo dubbio?» Anne mi segue dentro la sala. «È stressato, stanco, teso e un po’ depresso. Quando mi sento così, personalmente, tendo a pensare che qualsiasi cosa succeda sia colpa mia. Temo di avere qualche mostro nell’armadio e sotto il letto. Insomma, sragiono.»
«Be’, Granby sta facendo di tutto perché Benton perda la sua lucidità.»
«Dagli una mano tu che sei sua moglie. Aiutalo a smettere di torturarsi.»
«Sto cercando di capire come.»
«Chiedilo a Lucy» mi consiglia lei. «Chiedile se ha detto qualcosa a qualcuno. Almeno così ti togli il dubbio.»
«Non vorrei che pensasse che do la colpa a lei.»
«Ma non gliela dai, no? Smettila di farti carico di cosa pensano gli altri.»
«È più forte di me.»
Pratico l’escissione della ferita da punta e aspetto che Lucy risponda a una domanda che l’ha messa in difficoltà. Non gliel’ho posta prima perché avevo troppe cose da chiarire, ma adesso le priorità sono cambiate e so già come reagirà.
Lucy ha un attimo di esitazione. «Forse gliel’ho detto en passant. Non pensavo che fosse importante.»
Mia nipote, acuta e intelligentissima, non riesce a nascondere l’imbarazzo. Appena intuisce che temo abbia commesso un errore, comincia ad arrampicarsi sugli specchi. Prendo una pinza dal carrello.
«Mi pare di ricordare di aver detto qualcosa» aggiunge. Non è sulla difensiva, ma indifferente. Non le piace quello che le sto chiedendo. Me l’aspettavo.
Razionalizza a voce alta che non sarebbe stato fuori luogo se avesse fatto riferimento alla sorpresa di compleanno di Benton mentre parlava al telefono con Gail. Quando lei era dietro lo Psi Bar, Lucy era appena arrivata al Dulles per prendere Benton e portarlo a casa il giorno dopo.
«Le ho detto dov’ero e perché» aggiunge. È di fronte a me, dall’altra parte del tavolo di acciaio su cui è distesa la sua ex amica morta, una donna in cui aveva riposto fiducia e da cui era stata ripagata con bugie e fregature. Una donna di cui Lucy non sentirà la mancanza.
«Sicura di non averglielo accennato ancora prima?» Infilo il lembo di pelle che ho appena escisso in una boccetta piena di formalina.
«Non lo escludo» ammette. Non è preoccupata, ma la mia domanda la offende.
È possibile che abbia accennato in precedenza alla trasferta in elicottero per andare a prendere Benton. Anzi, è abbastanza sicura di averne parlato. Fa di tutto perché io non mi accorga che è arrabbiata, imbarazzata e offesa con me. Ha la sensazione che la stia torchiando, che non mi fidi di lei. Altrimenti non la tempesterei di domande come sto facendo. È questo che pensa e si comporta come se io fossi sua madre, che la sminuisce. Ma io non sono sua madre e non la voglio sminuire. Lucy è prigioniera di emozioni antiche, che la trasportano in un circolo vizioso, che la fanno girare su se stessa come i corridoi di questo palazzo, che cominciano dove finiscono, perché rappresentano il ciclo della vita e della morte.
Ma non si sente responsabile. Qualsiasi cosa io voglia insinuare, non è colpa sua e non ha nessuna intenzione di fingere che le dispiaccia che Gail Shipton non ci sia più. Non le importa niente di quello che può averle o non averle detto. Mi fa piacere che sia sincera, ma quando assisto alle sue reazioni più istintive mi viene la pelle d’oca. Mi fa stare male. Quando la definisco “un po’ sociopatica”, Benton mi ricorda che o si è sociopatici o non lo si è. Non lo si può essere “un po’”, così come non si può essere un po’ incinte, un po’ stuprate, un po’ morte.
Lucy mi dice che Gail è andata a trovarla domenica scorsa, il giorno in cui è stato deciso che Benton sarebbe tornato a casa per il suo compleanno. Gail, Lucy e Carin Hegel si sono viste in tarda mattinata a casa di Lucy, a Concord, per parlare del processo e preparare deposizioni e documenti. È possibile che in quell’occasione abbia accennato al compleanno di Benton e alla sua preoccupazione per me, che ero a casa da sola dopo la brutta esperienza nel Connecticut.
«Trovo significativo che sia morta poco dopo.» Lucy sottolinea quello che ritiene l’aspetto più importante della vicenda e che io stavo completamente trascurando. «Tutti i giornali hanno parlato del fatto che sei andata nel Connecticut a dare una mano ai tuoi colleghi.»
«Bryce parla troppo» commenta Anne.
Bryce doveva comunicarlo al responsabile degli anatomopatologi delle Forze armate, da cui dipendo, e il loro addetto alle relazioni esterne evidentemente ha ritenuto conveniente renderlo noto. Il CFC è sovvenzionato dallo Stato del Massachusetts e dal dipartimento della Difesa e bisogna che ogni tanto qualcuno mi ricordi che non dipende tutto da me, a meno che non vada storto qualcosa.
«La notizia che hai preso parte alle autopsie dei bambini vittime della strage di venerdì scorso è stata condivisa da moltissimi utenti internet» dice Lucy, che non riesce a distogliere lo sguardo dalla faccia della morta, le labbra sempre più secche e screpolate, gli occhi sempre più vacui.
Il rigor mortis si sta attenuando. Presto i muscoli si rilasseranno come se fossero stanchi di rimanere contratti.
«Io non c’entro niente, credo» dichiaro.
«E io credo che non dobbiamo dare per scontato che c’entri Benton» ribatte Lucy. «Se mai, soltanto in parte. E tu per il resto. Il tuo ruolo nel Connecticut.»
«Capisco dove vuole arrivare» dice Anne. Concorda con questa nuova teoria, che non mi aspettavo. «Benton teme che la tempistica dipenda da lui, ma potrebbe benissimo dipendere da te, invece.»
Benton ha detto e ripetuto che voleva dare spettacolo. Un dramma della violenza che non voglio nemmeno immaginare possa riguardare me.
«Chiunque non viva completamente isolato dal mondo sapeva quando sei andata a Newtown e quando sei tornata» mi fa notare Lucy. «Una strage in una scuola, la più terribile della storia degli Stati Uniti dopo quella del Virginia Tech. Non può essere sfuggita a uno psicopatico bramoso di attenzione.»
Benton l’ha definito un narcisista con tratti borderline. L’assassino vuole assistere al dramma che mette in scena.
«Se ne è parlato tantissimo e questo potrebbe aver dato fuoco alle polveri» continua Lucy.
«Gail Shipton non è stata ammazzata perché io sono andata nel Connecticut» ribatto in tono pacato. «È assurdo.»
«Preferisci dare la colpa a Benton?» Lucy mi rivolge un’occhiata gelida.
«Preferisco dare la colpa all’assassino.»
«Non ho detto che l’ha fatto per questo.» Lucy ha l’espressione di chi ha trovato la soluzione del mistero. «Ho detto solo che la strage e il ruolo che hai avuto tu...»
«Ho avuto un ruolo nella strage, secondo te?»
«Per favore, non metterti sulla difensiva» replica Lucy, calmissima. «Quello che voglio dire è che la notizia della strage potrebbe aver accelerato una cosa che si sarebbe verificata comunque. Solo questo. Penso che l’assassino avesse già preso di mira Gail e abbia semplicemente deciso di stringere i tempi perché era eccitato dalla strage.»
«Io ho visto che eri a Newtown alla CNN. Hanno detto anche quando sei tornata a Cambridge.»
Anne è d’accordo con Lucy. Non voglio neanche sentirne parlare.
«È vero che l’assassino potrebbe avere un interesse nei tuoi confronti. Non è mica colpa tua.»
«Siamo pronti?» le chiedo, ripensando al ragazzo che mi spiava nel buio da dietro il muro del giardino. «Dobbiamo fare in fretta.»