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Alto e magro, sulla quarantina, sembrava affannato quando finalmente si è rimesso in contatto con l’operatore alle cinque e quarantacinque di questa mattina.
Ricordo di essere rimasta sorpresa che l’autopattuglia tredici fosse già in Technology Square visto che, pochi minuti prima, era a parecchi chilometri di distanza nel campus della Harvard, dalle parti di casa mia. Ho immaginato che l’agente avesse cambiato itinerario quando è arrivata la segnalazione dei furti e degli atti vandalici, ma G.B. Rooney dà un’altra versione dei fatti.
«Ero a nemmeno due isolati di distanza quando ho notato un soggetto a bordo di un veicolo fermo dietro l’Academy of Arts and Sciences in Beacon Street» spiega. «La descrizione corrispondeva abbastanza a quella dello spione, la zona anche: ho pensato fosse meglio controllare.»
Lo dice in un modo che stuzzica la mia curiosità. Ho già capito che Rooney pensava che questa persona avesse qualcosa di insolito e mi sono accorta che Benton lo ascolta con grande attenzione. La zona di cui parla Rooney è molto vicina a casa nostra.
«Alto, snello, giovane, di razza bianca. Scarpe da ginnastica e pantaloni scuri, una felpa nera con il cappuccio e la faccia di Marilyn Monroe.» Rooney dà una descrizione che potrebbe essere contenuta in una denuncia alla polizia. «Ho aspettato che rimettesse in moto e l’ho seguito, ma tenendomi a distanza. È andato verso le case popolari di Windsor Street. Per questo ero già là quando sono state vandalizzate quelle auto. Possibile che fosse una gang: ce ne sono molte in zona. Ragazzi che girano per i parcheggi, rubano quello che trovano e commettono atti vandalici. Io ero in un parcheggio e loro in un altro, a spaccare vetri o a rubare dentro auto già aperte da altri. Incredibile.»
«Immagino che tu gli abbia controllato la targa» dice Marino.
«Un SUV Audi del 2012, azzurro, intestato a un ventottenne residente a Somerville, vicino al campo da hockey di Conway Park: Haley Davis Swanson» dice G.B. Rooney.
«Cosa?» esclama Marino, colto alla sprovvista. «Haley Swanson?»
«Ha uno zio che abita in una casa popolare di Windsor Street.»
«Haley Swanson è un uomo?» Marino strabuzza gli occhi.
«Hai ragione, è un nome strano per un uomo. Una tradizione di famiglia, mi ha detto. Tutti lo chiamano Swan.»
«È assurdo, cazzo.» La frustrazione di Marino è totale.
È così arrabbiato che potrebbe venirgli un colpo.
«Gli hai parlato?» domanda Machado. «Hai scoperto che cosa ci faceva fermo in macchina dietro l’Academy of Arts and Sciences, vicino al parco?»
«Mi ha detto che aveva comprato due caffè al Dunkin’ Donuts di Somerville Avenue e uno gli si era rovesciato, così si è fermato per pulire il sedile. Aveva due caffè da asporto sul sedile davanti e uno si era rovesciato, quindi era la verità.»
«Gli hai chiesto che cosa ci faceva in Windsor Street all’ora in cui noi qui esaminavamo un cadavere?»
Rooney fa una faccia confusa. «Non ho accennato a nessun cadavere.»
Machado non fa altre domande. Credo di sapere perché: vuole vedere se l’agente dirà spontaneamente che Haley Swanson era amico di Gail Shipton. Vuole sapere se Rooney sa che Haley Swanson, detto Swan, è la persona che ha denunciato la scomparsa di Gail Shipton e ha postato la notizia, insieme con la foto, sul sito web di Channel 5.
«Che cos’altro sai di lui?» chiede dopo un po’ Machado.
«Lavora per uno studio di PR di Boston.» Rooney sfoglia il suo taccuino.
Non pare al corrente del fatto che Haley Swanson e Gail Shipton si conoscevano. Forse Swanson non ha nominato Gail Shipton all’agente Rooney, e questo è molto sospetto. Ha denunciato la scomparsa della ragazza e poi è venuto a spiarmi da dietro il muro del mio giardino? Mi sfugge la logica. Perché avrebbe comprato due caffè da asporto? Non mi torna che si sia fermato a comprare i caffè e poi abbia deciso di lasciare la macchina in Beacon Street e di venire a piedi a spiare me, di notte e sotto la pioggia.
«Era bagnato quando gli ha parlato? Era stato sotto la pioggia?» chiedo a Rooney. Benton ci osserva impassibile, ma ascolta con grande attenzione.
«Non mi è parso bagnato» risponde l’agente. «Ho il nome del posto dove lavora.» Torna indietro di varie pagine. «Lambant & Associates.»
«Sono specializzati in gestione delle crisi.» Benton scorre le e-mail sul cellulare. «Fanno “comunicazione mirata”: in parole povere, manipolano l’opinione pubblica.»
«Mi domando se Gail Shipton era loro cliente» suggerisco. «Forse è così che si sono conosciuti.»
«È uno studio noto all’FBI di Boston.» Benton non mi risponde in maniera diretta. «Lavora per personaggi ricchi e di alto profilo, per lo più colletti bianchi, politici corrotti, membri della criminalità organizzata, di tanto in tanto uno sportivo famoso coinvolto in qualche scandalo.» Lancia a Marino una lunga occhiata severa e aggiunge: «Recentemente si è occupato della class action per il pick-up che ti ha dato dei problemi, Pete. Il processo è stato annullato: nessun danno per la casa automobilistica, niente pubblicità negativa. Anzi, i querelanti hanno finito per fare la figura degli irresponsabili, che guidano fuoristrada in condizioni estreme, modificano l’assale posteriore, manomettono il telaio eccetera».
«Tutte stronzate.» Marino diventa rosso. «La gente normale mica si può permettere consulenti per manipolare l’opinione pubblica. Come sempre, sono i poveracci che lo prendono in quel posto.»
Temo che stia per lanciarsi nella sua solita tirata sul pick-up. Invece riesce a controllarsi.
«Sto semplicemente dicendo che Swanson potrebbe sapere chi sei» spiega Benton. «Se si è occupato di quella vicenda per conto dello studio, potrebbe aver visto il tuo nome tra quelli dei querelanti.»
«Sembra che avremo parecchie cose da controllare.» Machado prende appunti. «A cominciare dall’esatta natura dei rapporti tra Haley Swanson e Gail Shipton. E dove si trovava lui ieri sera quando Gail è uscita dal bar per telefonare ed è sparita. E perché ha chiamato per dire che era scomparsa ma non si è preso la briga di venire al dipartimento a fare formalmente denuncia. Direi che abbiamo un indiziato.»
Benton non fa commenti e guarda di nuovo la ferrovia.
«Chiederemo allo Psi Bar se qualcuno ricorda con chi era Gail Shipton, se era con Swanson, se qualcuno lo conosce» propone Marino.
«Volete la mia opinione personale?» Rooney si appoggia al cofano della macchina e infila le mani nelle tasche della giacca. «Non è politicamente corretto, ma penso di doverlo dire. Non sono sicuro che sia un uomo. Dalla voce sembra una donna, o per lo meno potrebbe passare per tale. Ovviamente non ho potuto fargli domande in proposito. Non potevo chiedergli se ha cambiato sesso o se prende degli ormoni. È irrilevante, in fondo.»
«Si presenta come una donna?» domanda Machado.
«Io sulle prime ho pensato che lo fosse. Quando l’ho fermato alle case popolari, gli ho detto: “Che cosa fa una bella signorina come lei qui a quest’ora?”. Lui non mi ha corretto e sono quasi certo che avesse il reggiseno. Le tette ce le ha di sicuro. Mi ha detto che suo zio abita lì. Reduce del Vietnam, disabile, in quel quartiere malfamato con un sacco di criminalità legata allo spaccio di droga, come noi ben sappiamo. E l’altro sospetto che mi è venuto è questo: magari Swanson fa il doppio lavoro, è per quello che si può permettere un SUV di lusso così nuovo. Ho insistito parecchio per farmi dire che cosa ci facesse lì, e mi ha risposto che a volte passa a trovare lo zio prima di andare al lavoro e gli porta un caffè. Ho controllato. Ha davvero uno zio disabile che abita lì. Ho il nome e scriverò tutto quanto nel rapporto.»
«Fammelo avere al più presto» dice Marino, brusco. Si sente stupido.
Ha parlato con Haley Swanson intorno all’una di notte senza accorgersi di niente.
«Tutto qui?» chiede Machado a Rooney. «Non ha dato spiegazioni sul perché era a Cambridge? O sul perché ha parcheggiato vicino alla Harvard in Beacon Street? Sei sicuro che fosse perché gli si è rovesciato il caffè e non magari per fare una ricognizione nel quartiere? Ha nominato la casa della dottoressa Scarpetta? Ha detto di sapere dove abita?»
«Perché dovrebbe interessargli dove abitiamo?» chiede Benton.
Rooney ci rivolge uno sguardo interrogativo e cambia posizione, stando attento a non graffiare la carrozzeria con il cinturone.
«Un individuo sospetto si aggirava intorno a casa vostra stanotte e io ho mandato qualcuno a controllare, ecco perché» risponde Marino, senza lasciarmi il tempo di dare spiegazioni. Benton mi guarda, poi torna a fissare i binari. «Forse stava spiando Kay» aggiunge Marino con gusto, soddisfatto di sapere qualcosa su di me che Benton non sa.
«Non è un PR che forse spaccia droga nelle case popolari» dice Benton in un tono che non ammette repliche. «Non è di uno così che vi dovete preoccupare. L’assassino che state cercando non è uno che denuncia la scomparsa della donna che ha appena ucciso e dà il proprio nome a un investigatore di polizia.»
«Cosa ne sai?» replica Marino. «Troveremo Swanson e lo faremo parlare.»
«Ha detto che ha avuto una nottataccia, che era agitato, ha girato a lungo in macchina, è tornato a casa a fare la doccia e a cambiarsi e ha comprato i due caffè prima di andare al lavoro» riassume Rooney.
«Agitato?» dice Machado. «Ti è sembrato agitato?»
«Sì, mi è sembrato nervoso e agitato. E anche spaventato. Ma tanti si spaventano quando vengono fermati dalla polizia.» Rooney si volta mentre un vecchio furgone Chevrolet bianco con delle scale sul tetto sbuca da Vassar Street e viene verso di noi. «Non ci sono mandati di cattura su di lui. Non c’era motivo di trattenerlo.»
«Be’, ora c’è» ribatte Marino.
Con aria preoccupata un uomo tarchiato ci fissa dal sedile del passeggero, spalanca la portiera prima che il furgone si sia fermato del tutto e scende. Si dirige velocemente verso il pick-up nero ed è evidente che è il proprietario, Enrique Sanchez, e che è sulle spine. Jeans, giacca a vento e scarponi da lavoro tutti graffiati, ha il naso rosso, la faccia gonfia e la pancia del forte bevitore.
«Lo lascio qui quando mi faccio dare un passaggio fino a casa. Se bevo una birra con gli amici» dice a voce alta, con forte accento spagnolo, guardandoci con gli occhi sgranati.
Benton mi fa un cenno e ci incamminiamo verso i binari.
«Lo ha lasciato qui quando? E ha bevuto una birra dove?» chiede Marino a Enrique Sanchez avvicinandosi.
«Ieri pomeriggio alle cinque. Al Plough. Ci sono stato meno di due ore, poi il mio amico mi ha portato a casa ed è venuto a prendermi stamattina.»
«Il Plough in Mass Avenue?» chiede Marino. «Fanno degli ottimi sandwich cubani. Le succede spesso di lasciare qui il furgone di notte?»