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Ron è seduto nella guardiola protetta da vetri antiproiettile, davanti a una fila di monitor dell’impianto di sicurezza. Apre la finestrella e io prendo il registro nero per segnare l’arrivo dell’ultimo caso. Firmo e copio i dati che sono scritti sull’etichetta del sacco mortuario.
Heather Woodworth, F 32, Scituate, MA. Distesa sul letto priva di vita. Possibile suicidio per overdose da farmaci.
Un vecchio nome della South Shore scritto a biro, una giovane donna che ha deciso di farla finita in una bella cittadina sul mare. Controllo chi altro è arrivato: cinque casi in sala autopsie e in sala radiografie, a vari livelli di svestizione e sezionamento. Abuso di sostanze, incidente d’arma da fuoco, caduta dallo Zakim Bridge, una donna anziana morta sola in una casa piena zeppa di cianfrusaglie, e l’incidente stradale di cui mi è già giunta voce. Leggo il nome e rimango stupita.
Franz Schoenberg, M 63, Cambridge, MA. Incidente stradale.
Lo psichiatra che ho visto nelle foto stamattina. Aveva in cura la donna che si è suicidata gettandosi dal tetto sotto i suoi occhi. Forse è per questo che guidava in stato di ebbrezza. Quante tragedie senza senso... La maggior parte delle persone muore come ha vissuto.
«I farmaci dove sono?» chiedo agli inservienti.
«In una borsa dentro il sacco» mi risponde uno di loro. «I flaconi vuoti che erano sul comodino. I figli erano da sua madre, per fortuna. Sono piccoli: il maggiore ha cinque anni. Il padre è morto esattamente un anno fa in moto. L’ha trovata una vicina a cui avrebbe dovuto dare una lezione di musica. Ha bussato, non le ha aperto nessuno, ha visto che la porta non era chiusa a chiave ed è entrata. Erano le dieci precise.»
«Aveva pianificato tutto.» Passo il registro a Ron dalla finestrella perché inserisca i dati nel computer e programmi il braccialetto con chip RFID da legarle al polso.
«Ha fatto in modo che in casa non ci fosse nessuno. Non voleva far soffrire nessuno» dice uno degli inservienti.
«Be’, insomma» ribatto. «Adesso i figli sono orfani sia di padre sia di madre e probabilmente odieranno il Natale per il resto della loro vita.»
«Era depressa, dicono.»
«Certo che era depressa. E adesso si deprimerà anche un sacco di altra gente. Mi mette questo sottochiave, per cortesia?» Porgo a Ron il mio marsupio.
«Sì, signora direttrice.» Si china per digitare la combinazione e mi aggiorna, senza che io glielo chieda. «Tutto tranquillo. Abbastanza. È passato il furgone di una TV davanti al portone. Piano piano e diverse volte.»
«Lasciatela lì sulla pesa» dico agli inservienti. «Ron? Può avvertire Harold o Rusty che è appena arrivato un caso? Bisogna pesarla, misurarla e poi metterla nella cella frigorifera in attesa che Anne sia pronta a farle la TAC. Non so chi possa fare l’autopsia. Il medico meno occupato.»
«Sì, signora direttrice.» Ron infila il marsupio nell’armadietto blindato e chiude il pesante sportello di acciaio. «È venuta quella giornalista che non le è simpatica.»
«Barbara Fairbanks» dice Lucy. «Stava facendo delle riprese davanti al CFC quando sono arrivata. Potrebbe aver ripreso anche il mio SUV, mentre aspettavo che si aprisse il cancello.»
«Ed è rimasta lì per un po’. Forse sperava di riuscire a infilarsi prima che si chiudesse» aggiunge Ron. «Ci ha già provato un mesetto fa e io le ho detto che se non se ne andava la facevo arrestare.»
Ron è stato nella polizia militare, è grande e grosso e muove continuamente gli occhi scurissimi. Esce dalla guardiola e aspetta che gli inservienti se ne vadano.
«Ci servirebbe la lettiga» dice uno di loro.
«Certo. Quando venite a riprendere la donna, ve la restituiamo.»
«Passate nel pomeriggio» dico io.
Superiamo un’altra porta e scendiamo una rampa, verso l’ampio locale senza finestre in cui diversi tecnici coperti di Tyvek dalla testa ai piedi stanno predisponendo vaporizzatori di cianoacrilato intorno a una Jaguar verde d’epoca, sotto una tenda azzurra. È sfasciata, senza più il tetto e con il lungo cofano semidistrutto. Il finestrino dalla parte del guidatore è frantumato e sporco di sangue secco, il bagagliaio e le portiere ammaccate sono spalancati. Ernie Koppel è chino sul sedile del conducente.
Alza la testa verso di me, gli occhi protetti da una visiera arancione. Su un carrello lì vicino è posata una fonte di illuminazione alternata. Ernie sta controllando l’abitacolo come se si trattasse di un omicidio, invece che di un incidente.
«Buongiorno. Che piacere rivederti! Brutta l’influenza quest’anno, eh? L’ha avuta anche mia moglie.» Ha guance tonde e rosee che gli spuntano dal cappuccio di polietilene bianco, lo stesso materiale sintetico che viene usato anche per proteggere palazzi, imbarcazioni e autovetture.
«Sta’ attento a non prenderla anche tu.»
«Finora m’è andata bene, grazie a Dio. Ho visto il tuo carro armato nel garage. Che macchina!» dice a Lucy. «Com’è che non ha la torretta in cima?»
«Non è di serie: la devi ordinare» gli risponde lei.
«Quando hai un momento...» Prendo da un carrello camice e copriscarpe. «Evidentemente non è stato un semplice incidente, se ti dai tanto da fare.»
«Un’ultima passata al sedile del guidatore e poi cerchiamo le impronte» dice agli altri tecnici abbassando le luci.
«Aveva la cintura?» Mi allaccio il camice sulla schiena.
«Quando l’impatto è laterale, la cintura serve a poco o a niente. Guarda la gomma posteriore sinistra» dice Ernie.
Mi infilo i copriscarpe, che fanno rumore di carta mentre mi avvicino alla macchina. Lo pneumatico è a terra. Non vedo nient’altro di strano.
«Il foro è stato praticato con uno strumento da taglio» mi spiega Ernie.
«Non potrebbe essere successo durante l’incidente? Magari una lamiera affilata... Le gomme si bucano spesso negli incidenti gravi.»
«È un taglio troppo netto. E poi è nella spalla, non nel battistrada» mi spiega. «Secondo me, è stato un punteruolo. Lo pneumatico si è sgonfiato lentamente e lui ha perso il controllo del mezzo. C’è anche un trasferimento di vernice sul paraurti posteriore, che trovo interessante. A meno che non ci fosse già, ovvio. Ma ne dubito, visto com’era ben tenuta la macchina per il resto.»
Vedo di cosa sta parlando Ernie: è una piccola ammaccatura su cui sono rimaste tracce di vernice rossa riflettente.
«Potrebbe averlo strisciato un altro veicolo quando ha bucato» ipotizzo.
«Non credo, visto quanto è basso l’assetto di questa macchina» dice Lucy infilandosi i copriscarpe. «Se è stato urtato, dev’essere stata una macchina con l’assetto altrettanto basso, oppure un veicolo più grosso e con un rostro sul paraurti. Ne esistono con una vernice riflettente.» Si china a guardare. «I membri delle gang amano le auto superaccessoriate. E di solito hanno dei SUV.»
«Datemi un secondo.» Ernie si china di nuovo a controllare dentro l’abitacolo e io parlo con Lucy di Gail Shipton.
Non ho ancora approfondito abbastanza l’argomento.
«Aveva un quadernetto nella borsa» comincio.
«Che era dove, esattamente?»
«L’assassino l’ha lasciata poco distante dal cadavere. Ovviamente voleva che la trovassimo. Nel portafoglio non c’erano soldi, ma è difficile capire se manca qualcos’altro. Evidentemente il quadernetto non gli interessava.»
Apro la foto che ho scattato nel cantiere e le mostro la pagina con lo strano codice.
61: RIC 18/12 1733 (<18m) REC 13-9-14-1-3-3-9-1
«L’ultima annotazione che ha scritto» spiego. «Subito dopo aver parlato al telefono con te, pare. Pochi istanti prima di essere aggredita. Un taccuino nero, piccolo, con pagine che sembrano di carta millimetrata e degli adesivi rossi con una X al centro. Ti dice qualcosa?»
«Sicuro.» Lucy infila le braccia nel camice di materiale sintetico facendolo frusciare. «È un codice rudimentale. Lo capirebbe anche un bambino delle elementari.»
«Sessantuno?» Comincio dal principio della stringa, spalla a spalla con Lucy, la foto sul mio smartphone sotto il naso.
«È il codice che ha assegnato a me» spiega lei, come se fosse normale che Gail le assegnasse un codice. «Le lettere del mio nome tradotte in numeri. L-U-C-Y uguale dodici, ventuno, tre e venticinque. Fai la somma e ottieni sessantuno.»
«Ti aveva detto che ti aveva assegnato un codice?»
«No.»
«RIC vorrà dire “chiamata ricevuta”.» Provo a indovinare. «Diciotto dodici è la data di ieri, 18 dicembre, e diciassette e trentatré l’ora.»
«Esatto» dice Lucy. «Abbiamo parlato per meno di diciotto minuti e REC significa recepito. I numeri subito dopo corrispondono a MINACCIA, secondo lo stesso criterio di prima. Riassumendo: l’ho chiamata e lei ha recepito la conversazione come una minaccia. L’ho minacciata. Il messaggio è questo. Ovviamente è una menzogna.»
«E a chi è destinato il messaggio?»
«Ai mastini che prima o poi mi avrebbe scatenato contro. Non vuole essere un codice indecifrabile» dice Lucy, come se fosse una cosa da nulla, come se Gail Shipton fosse un’inetta. «Anzi, il contrario. Gail voleva che si capisse, che all’occorrenza questo diventasse una prova. Tagliava le pagine del quadernetto per paura che ci mettessi le mani io. Così almeno non avrei trovato le annotazioni incriminanti. Non avrei mai saputo che scriveva cose false sul mio conto. O così si illudeva.»
«Dici che queste annotazioni avrebbero dovuto essere probanti? In questo processo o in un eventuale processo futuro?» Non capisco.
«Prima o poi avrebbe fatto causa anche a me, credo. Io me ne sono stata buona e zitta. Pensava di ricevere un risarcimento dalla Double S e poi di passare alla mossa successiva. Avrebbe sostenuto di aver inventato lei tutto il drone phone. Così si sarebbe trovata ad averne il pieno possesso senza sborsare un soldo.» Lucy parla con calma, esponendo dati di fatto. «Voleva prendersi il merito di un lavoro che non sarebbe mai stata in grado di fare da sola, più prezioso ancora dei soldi. Non si sentiva granché in gamba, alla fine. Patetico.»
«Come avrebbe potuto farti causa se strappava le pagine che contenevano le annotazioni negative su di te?» ribatto.
«Intanto, è uno scherzo.»
«Non ci trovo niente da ridere, veramente.»
«Non mi sorprende che l’abbiano sfruttata» dice Lucy. «Le pagine sembrano di carta millimetrata perché questo è uno Smart Notebook. Le fotografava con il telefono per digitalizzare tutte le annotazioni, comprese quelle false, e per poter effettuare ricerche attraverso tag e parole chiave: gli adesivi con la X diventano etichette digitali. A quel punto eliminava le annotazioni su carta strappando i fogli che aveva già fotografato, in maniera che rimanesse solo la documentazione elettronica.»
«Di cui tu eri al corrente.» So cosa significa.
È proprio come sospettavo. Qualsiasi cosa Gail facesse, per quanto furba credesse di essere, Lucy ne era al corrente. Non si faceva scrupoli a controllarle borsetta, automobile, appartamento, computer. Mi viene in mente quello che diceva Marino a proposito dell’assenza di fotografie sul cellulare di Gail Shipton. Le ha cancellate tutte Lucy, comprese quelle delle false annotazioni sul quadernetto.
«Da mesi, ormai, stava raccogliendo presunte prove contro di me. Quando avesse avuto abbastanza materiale, avrebbe cercato di fregarmi. Era convinta di farcela, penso.» Lo dice in tono pacato, per non dare a vedere quanto questo la faccia soffrire. «Sai cosa diceva Nietzsche, no? “Sta’ attento a chi ti scegli per nemico, perché diventerai come lui.”»
«Mi dispiace che fosse tua nemica.»
«Non sto parlando di me. Mi riferivo a Gail e alla Double S. Stava diventando schifosa quanto loro.»
Osservo un tecnico che preme alcuni interruttori su una scatola di distribuzione collegata a spessi cavi rossi che serpeggiano sul pavimento, mettendo in funzione vaporizzatori di cianoacrilato, ventilatori e umidificatori. Ernie viene verso di noi togliendosi i guanti e li butta in un bidone. Gli porgo alcuni contenitori di prove materiali e una penna.
«Vedo che sei pieno di lavoro» dico, mentre lui firma le ricevute. «Mi spiace portarti anche questi.»
«L’ennesima tragedia che potrebbe rivelarsi ancora peggio di quel che sembra.» Ernie indica la Jaguar distrutta togliendosi gli occhiali protettivi. «Uno psichiatra bisticcia con la moglie e va al pub, che fra parentesi rischia delle grane per aver servito da bere a un individuo già in stato di ebbrezza. Luke però dice che il tasso alcolemico è sotto il limite. A uccidere ’sto poveretto è stato qualcuno che gli ha bucato una gomma facendogli perdere il controllo dell’auto, che è andata a sbattere contro il guardrail. Questo non te lo dice l’autopsia, ma i segni della frenata e il foro nello pneumatico. Resta solo da chiarire se gliel’hanno bucato nel parcheggio del pub o davanti a casa. Chi si è avvicinato alla Jaguar? E chi gli ha bucato la gomma poi l’ha seguito per dargli ancora una spintarella, il colpo di grazia, lasciandogli la vernice sul paraurti?»
«Gang» dichiara Lucy. «Ultimamente a Cambridge succede spesso di ritrovarsi con una gomma bucata. Sono ragazzi delle gang, che ne tagliano cinque o sei in un posteggio e poi si nascondono per vedere cosa succede. Oppure ne seguono una e quando si ferma con lo pneumatico a terra aggrediscono gli occupanti e gli rubano il portafoglio. Un’automobile così costa più di centomila dollari, se è in condizioni perfette. Avranno dato per scontato che valesse la pena di derubare il conducente, dopo averlo costretto ad accostare.»
«E invece con il loro scherzetto stavolta l’hanno ammazzato.» Ernie si asciuga la fronte nella manica della tuta di Tyvek.
«Perché secondo voi io uso solo gomme run-flat?» Lucy si avvicina all’auto distrutta e guarda nell’abitacolo i sedili in pelle e il cambio e il volante in palissandro, che sembrano originali. Ci sono sangue e capelli grigi dappertutto. «Bisognerebbe capire se anche altri veicoli posteggiati fuori del pub si sono ritrovati una gomma bucata.»
«Mi sembra un’ottima osservazione. Chiederò di informarsi» dice Ernie. «Cos’altro posso fare per te?» mi chiede.
Gli parlo delle fibre, del residuo fluorescente e del gel che odora come un unguento mentolato.
«Puoi esaminare il residuo al microscopio elettronico a scansione, per piacere? Ho un’idea riguardo alla composizione. Potrebbe essere la stessa sostanza che hanno trovato in un caso nel Maryland un po’ di tempo fa. Sta arrivando anche il montante di un cancello che potrebbe essere stato danneggiato da un utensile.»
«Chi se ne occupa?» Vuole sapere in che ordine occorre fare le cose che gli ho chiesto.
«Tu, di tutto. A parte il DNA. Spero di scoprire qualcosa di utile nell’unguento. Poi lo passo a te» rispondo. «Forse dalla composizione chimica capiremo cos’è esattamente.»
«Magari non la marca, ma se si tratta di mentolo lo capiremo di sicuro» replica Ernie. «È un alcol che si trova naturalmente negli oli di menta, di eucalipto, Thuja occidentalis, canfora, trementina, per citarne alcuni. Un rimedio tradizionale usato in tutte le famiglie contro i malanni più strani.»
«Ti è mai capitato in un caso?» gli chiedo.
«Vediamo... Parecchi anni fa ne ho trovato tracce in un tampone anale in un possibile omicidio a sfondo sessuale. È venuto fuori che la vittima lo usava contro le emorroidi. E una volta era sul cuoio capelluto di uno. La polizia credeva che facesse parte di qualche rituale sinistro, o che il morto fosse demente. Invece lo adoperava per combattere la forfora. Una famiglia lo metteva su un vaporizzatore fatto in casa, una lampada a fiamma libera che purtroppo è esplosa uccidendo un bambino di pochi mesi. C’è persino chi se lo spalma sulle ferite o sulle labbra screpolate, ma la canfora può essere tossica.»
Spiego che l’unguento a base di vaselina è stato trovato nell’erba del campo sportivo e che potrebbe essere una pomata per i muscoli senza alcun collegamento con la morte di Gail Shipton.
«Di certo la composizione è simile» riflette Ernie. «Anche se i gel antidolorifici tendono ad avere concentrazioni maggiori di certi oli. Non so se saremo in grado di accertarlo.»
«Potrebbe non essere importante. Magari ci troviamo del DNA» rispondo. «Ma non capisco perché uno dovrebbe usare gel mentolato all’aperto, sotto la pioggia.»
«Dipende dal tipo di utilizzo» risponde Ernie. «Magari non se lo spalmava sulla pelle.»
«E cosa ne faceva?» chiedo.
«Certi intridono i cerotti nasali di Vicks per liberare il naso, per non russare, per combattere le apnee nel sonno.»
«All’aperto? In piena notte?» osserva Lucy, mentre io ripenso a quello che ha detto Benton a proposito di Albert Fish, il famigerato assassino, in quella che mi era sembrata una divagazione inquietante.
Inalare un odore forte, un profumo che contiene salicilato di metile, aiuta la concentrazione ed elimina le distrazioni, fa male ma anche piacere. Benton teme l’influenza che può aver avuto. Teme che il Capital Killer abbia letto articoli che fanno riferimento ai Fiori del male di Baudelaire. A quanto ricordo dai tempi della scuola, sono liriche di una sensualità crudele, in cui gli uomini vengono dipinti come schiavi che arrancano attraverso vite caratterizzate da incertezza e fugacità. Ricordo che lo trovavo deprimente come Edgar Allan Poe. A quell’epoca credevo ancora nell’intrinseca bontà degli esseri umani.
Mi tolgo i guanti e dico a Ernie di avvertirmi appena avrà qualche risultato. In quel momento, mi suona il cellulare.
«Tranquilla, niente di urgente» mi dice Bryce mentre esco dal laboratorio con Lucy. «Volevo solo avvertirti che Marino ha sentito una chiamata su un canale che gli piace tenere sempre acceso alla radio, hai presente? Quando cerca altre frequenze locali. L’ha sempre fatto, no? Quello che io chiamo “origliare”?»
«Che genere di chiamata?» domando.
«L’operatore del dipartimento di Concord ha nominato il NEMLEC, pare. Suona molto top secret, qualsiasi cosa sia. Ai notiziari, finora, non ne hanno fatto menzione. Controllo ogni due secondi. Marino mi ha chiesto se mi risultava che fosse morto qualcuno e io gli ho risposto: “Qui, tutti”. A parte questo, non mi ha voluto dire altro, ma penso che si tratti di qualcosa di grosso. Non convocherebbero tutte le truppe in zona, altrimenti.»
«Lui ha risposto alla chiamata?»
«Risponderà di certo, ora che si crede Sherlock. Può darsi che servano anche unità cinofile. E lui ne dispone, giusto?»
Marino deve essersi offerto di collaborare con il North Eastern Massachusetts Law Enforcement Council, un consorzio di oltre cinquanta dipartimenti di polizia che condividono attrezzature e competenze specializzate quali unità motociclistiche, SWAT, artificieri, tecnici della Scientifica. Se si sta mobilitando il NEMLEC, vuol dire che è una cosa seria.
«Controlla che ci sia un mezzo pronto a partire e con il serbatoio pieno, nel caso» dico a Bryce.
«Senza offesa: chi lo fa? Harold e Rusty sono impegnati con le autopsie, a tecnici e medici non posso chiedere e non oso rivolgere una simile richiesta a Lucy. È per caso lì con te? Spero che mi abbia sentito. Finché non sostituiamo Marino... E anche allora, non è mica sicuro. Aspetta. Non vorrai che mi improvvisi io benzinaio, vero?»
«Non ti preoccupare. Ci penso io.» Non voglio sentirmi ripetere per l’ennesima volta che da quando non c’è più Marino qua dentro è cambiato tutto. «Vado a cercare Anne. Vedi se Gloria può fare un salto nella sala radiografica, così le consegno i reperti per il test del DNA.»