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Le mie dita rivestite dai guanti viola aprono delicatamente le palpebre della morta, scoprendo petecchie sulla congiuntiva. Il bianco degli occhi è quasi completamente rosso.
«Non è una morte accidentale.» Punto la lampada a raggi ultravioletti negli occhi e vedo brillare anche lì lo stesso residuo che ha su tutto il corpo.
Rosso sangue, verde smeraldo, blu violaceo.
«Questa cosa è dappertutto» osservo. «Probabilmente è morta soffocata, anche se le emorragie petecchiali non sono un segno incontrovertibile. Non vedo contusioni, segni di lacci sul collo tipici dello strangolamento. Ma è successo qualcosa che le ha provocato la rottura dei capillari.»
«Cosa, per esempio?» Marino si accuccia vicino alla testa della morta per capire di cosa sto parlando.
«Un aumento della pressione endotoracica che ha provocato l’effetto Valsalva.» Mi tolgo i guanti. Ho le tasche piene di guanti usati, ormai. «In altre parole, le è salita la pressione al punto che le si sono rotti i capillari.»
«E quale potrebbe essere stata la causa di questo aumento di pressione?» chiede Machado.
«Panico, chiusura dell’epiglottide, tentativo disperato di liberarsi... Qualcosa che le ha provocato un problema cardiocircolatorio. Non posso affermare con certezza che sia una morte violenta, ma per il momento dobbiamo trattarla come tale, penso. Carichiamola sul furgone. Ci vediamo al CFC.» Sto parlando con Rusty e Harold. Mi alzo in piedi. «Lasciatele il telo senza spostarlo e cercate di mantenere il corpo così com’è. Copritelo bene con dei lenzuoli.»
«Come fa Anne a metterla nel tomografo con il braccio in quella posizione?»
«Non so mica se ci entra.»
«Io penso di sì» dico. «Comunque voi non dovete muoverla. Okay?»
Spiego che voglio che il braccio teso con il polso piegato venga avvolto in un lenzuolo chiuso con il nastro adesivo, e il resto del corpo in un altro lenzuolo. Testa esclusa, perché quella voglio proteggerla con un sacchetto di carta. Idem mani e piedi. E nel tomografo dev’essere infilata con tutta la protezione.
«Posate la tavola spinale su un telo pulito, in maniera che non si infanghi. Mi raccomando, fate esattamente come ho detto.» È molto importante: la posizione del cadavere è una prova che va preservata e documentata.
È una prova che ricorre in altri tre casi di cui non posso fare parola con Marino e Machado e che mi mette un’ansia sempre più forte. Non vorrei mai che Benton finisse nei guai per aver fatto ciò che riteneva più giusto. Voleva un mio parere per un motivo ben preciso, che adesso mi riempie di paura. Il Bureau ha imposto il segreto istruttorio sul serial killer di Washington, che potrebbe aver cambiato città, e chi indaga sulle nuove vittime rischia di non riconoscere la sua mano. Il Capital Killer potrebbe essere qui a Cambridge, la città di una delle sue vittime, Klara Hembree, ma Benton non lo sa e io devo trovare il modo per dirglielo.
«Portatela direttamente nella sala radiografica.» Continuo a spiegare cosa voglio che venga fatto. «Avverto Anne che si faccia trovare pronta. Abbiamo fotografato tutto, dico bene?»
Machado me lo assicura guardando in direzione di Andy Hunter, che ha raggiunto i colleghi sul marciapiede, dove la folla di curiosi è sempre più numerosa. Barbara Fairbanks è davanti alla Simmons Hall e intervista tutti quelli che accettano di parlarle. Percepisco un suono in lontananza, ma non sono sicura che sia ciò che credo.
Una macchia blu di Prussia all’orizzonte indica che sta albeggiando. Chiedo a Machado di mandarmi le foto appena possibile, mentre il suono diventa riconoscibile. Ci voltiamo di scatto verso il fiume, alzando gli occhi contemporaneamente. Il rumore si fa più forte: è un elicottero che vola basso sopra il fiume Charles a sudest, avvicinandosi rapidamente.
«Spero che non sia un’altra TV, cazzo» dice Marino.
«Non credo.» Osservo il cielo scuro. «È troppo grosso.»
«È militare. O forse della guardia costiera» ipotizza Machado.
«Non mi pare.» Riconosco il rombo acuto dei motori turbo dell’Eurocopter e il frastuono ritmato delle pale che ruotano quasi alla velocità del suono.
«Copriamola di nuovo» esclama Harold. «Non possiamo tener su il lenzuolo con questo spostamento d’aria.»
«Andate bene così» dico, perché non voglio che si spostino. Preferisco che continuino a bloccare la visuale alla troupe e ai curiosi. Alzo la voce fin quasi a gridare. «Restate dove siete. Non succede niente.»
L’elicottero appare in una tempesta assordante di luci stroboscopiche sulle residenze degli studenti, tagliando attraverso il campo sportivo. Viene direttamente sopra di noi, a circa mille piedi di quota, abbastanza alto da risparmiarci la turbolenza. Lucy sa come avvicinarsi a una scena del crimine e vola a punto fisso a distanza di sicurezza, inondando di luce il campo di terra rossa con il suo faro Nightsun da cinquanta milioni di candele, poi si sposta.
Ci ripariamo gli occhi e ci voltiamo contemporaneamente, tutti dalla stessa parte, seguendo l’EC135 dall’aria sinistra che sorvola in cerchio il campo, scendendo lentamente. Dopo la ricognizione alta, Lucy sta facendo un secondo giro a quota più bassa per controllare che non ci siano ostacoli quali antenne, pali, cavi dell’alta tensione e altri pericoli. Intravedo il suo casco dalla forma particolare al posto di guida di destra, la visiera ambrata abbassata sul volto. Non riesco a distinguere chi c’è di fianco a lei, con le cuffie sulle orecchie, ma lo intuisco. Non capisco perché sia qui, tuttavia sono felicissima di rivederlo.
«Restate dove siete» grido a Rusty e Harold, per farmi sentire sopra il frastuono. «Non vi muovete!»
Mi avvio a passo svelto nel fango e nell’erba bagnata verso il parcheggio, mentre l’elicottero, grande e con il muso corto, scende in hovering, sospeso nell’aria, facendo piegare gli alberi intorno all’asfalto nella luce abbagliante. Si posa delicatamente. Lucy mette i motori nella posizione di minimo a terra. Non ha intenzione di fermarsi a lungo.
Lo sportello anteriore sinistro si apre e Benton posa sul pattino prima un piede e poi l’altro.
I lembi del cappotto sbatacchiano nel vento quando apre il portello posteriore per prendere i bagagli. Mia nipote, con il casco in testa, si volta verso di me dal sedile di destra e mi fa un cenno di saluto. Alzo una mano. Non so perché abbia fatto quello che ha appena fatto, ma sono contenta. È quasi un miracolo: avrei pregato che succedesse, se fossi abituata a pregare.
Benton mi viene incontro a passo svelto e io gli prendo una delle borse. Mi cinge la vita con un braccio e mi stringe a sé, dandomi un bacio sulla testa.
L’elicottero si alza in verticale e vira verso il fiume. Lo guardiamo prendere velocità sopra edifici e alberi e dirigersi verso Boston. Luci e rumore se ne vanno, veloci come sono arrivati.
«Sono felice che tu sia qui. Ma non capisco» dico a mio marito appena il rumore si attenua.
«Volevo farti una sorpresa per il mio compleanno.»
«Non so perché, ma non credo sia l’unica ragione.»
«Infatti. Non pensavo di arrivare così presto.»
«Mi avevi parlato di sabato.»
«No, intendo dire così presto oggi.» Mi bacia e guarda il punto del campo sportivo illuminato dai riflettori, dove Rusty e Harold continuano a tenere sollevato il telo plastificato che si gonfia nel vento come una vela. «Un regalo per me, una sorpresa per te. E poi non ne potevo più di stare a Washington.»
«Lucy ha ricevuto il mio SMS.» Comincio a capire. Forse.
«Sì.» Benton osserva l’erba bagnata e il fango rosso, poi rivolge l’attenzione al cadavere avvolto nel telo bianco. «Ma è da mezzanotte che sa della scomparsa di Gail Shipton. I suoi motori di ricerca hanno trovato la notizia sul sito di Channel 5.»
Mi spiega che Lucy è andata a Washington in elicottero ieri, che è atterrata al Dulles nel tardo pomeriggio. L’idea era di cenare con lui e poi accompagnarlo qui oggi, perché mi facesse una sorpresa a casa, dove pensava di trovarmi ancora a letto a riprendermi dall’influenza. Quando però ha saputo che Gail Shipton era scomparsa, ha deciso che era meglio partire immediatamente.
«Ha detto subito che doveva esserle successo qualcosa, che con ogni probabilità era morta» mi spiega Benton. «Quel telo bianco in cui è avvolta è tuo?»
«No. È stata trovata così.»
Guarda in silenzio la morta da lontano e capisco che sta vagliando dati e memorizzando particolari nella sua testa. Sta già facendo due più due.
«La prima vittima, Klara Hembree, era di Cambridge.» Gli dico cosa mi preoccupa. «Il telo è inconsueto e il modo in cui è avvolto intorno al corpo mi ricorda molto Klara Hembree e le altre due vittime più recenti. Sotto le ascelle, come un telo da bagno.»
Gli spiego che a un primo esame del cadavere non sembra che abbia opposto resistenza o abbia cercato di difendersi. Poi gli descrivo la posa in cui è stata messa e il residuo fluorescente sul corpo e sul telo, che sospetto sia di tessuto sintetico lievemente elasticizzato, tipo Lycra. Addosso alle vittime del suo serial killer sono state recuperate fibre di Lycra. Infine, gli comunico che la morta ha addosso un paio di slip macchiati di urina troppo grossi per lei.
Benton mi ascolta attentamente, ordinando le informazioni nella sua testa, vagliandole con cura, e mi accorgo che le cose che gli dico lo colpiscono, ma vuole essere cauto e non tirare conclusioni affrettate.
«Che tipo di slip?» mi domanda.
«Vuoi sapere la marca?»
«Sì.»
«Costosa» rispondo.
Cotone di alta qualità, color pesca, di una famosa marca svizzera, gli spiego. Lì per lì Benton non dice nulla. Ma glielo leggo negli occhi: è un particolare importante, che gli suggerisce qualcosa.
«La terza vittima» mormora dopo un momento. «Julianne Goulet. Portava biancheria costosa, svizzera, marca Hanro.»
«È la stessa. E mi pare di ricordare che fosse alta poco meno di un metro e settanta e pesasse sessantatré chili. Una taglia media, insomma.»
«Gli slip potrebbero essere suoi. L’assassino ha un qualche legame con Cambridge e ho motivo di pensare che avesse già puntato Klara Hembree quando abitava qui e che l’abbia seguita a Washington dopo che si è trasferita.» Benton sta riflettendo a voce alta. «L’aveva presa di mira, mentre le due vittime successive sono state scelte a caso. Adesso ha colpito di nuovo, quindi. Almeno tre omicidi in un mese. Si trova a suo agio in questa zona, a Cambridge, ma sta perdendo il controllo. Ecco perché uccide con questa frequenza. Ho bisogno di dare un’occhiata in giro. Non voglio dire niente finché non sono assolutamente sicuro.»
Non parlerà con Marino, Machado né con nessun altro degli investigatori coinvolti in questa indagine. Non farà parola del serial killer finché non si sarà tolto ogni dubbio.
«Se è lui, c’è un problema grosso» mi annuncia. «Il Bureau lo negherà. Mi devi dare un po’ di tempo prima di portarla via.»
Non mi spiegherà nulla adesso. Ha fretta di mettersi al lavoro.
«Immagino che tu non abbia scarpe adatte, in valigia.» Guardo i mocassini che ha ai piedi, di pelle, leggeri, lucidi, color marrone. «Figurati se ti porti appresso un paio di galosce. Non c’è nemmeno da chiederlo.»
Benton non possiede galosce: impossibile che ne abbia un paio in valigia. Veste elegante anche per lavorare in giardino: è fatto così. Alto, magro, benfatto, ha l’aria aristocratica del gentleman anche quando esamina un cadavere in un campo fangoso.
«L’identificazione è confermata?» Si volta verso di me, l’espressione serissima sul viso bello, dai lineamenti fini. Il vento gli scompiglia i capelli folti e grigi.
«Non è ancora ufficiale.» Mi incammino verso il SUV di Marino per caricare i bagagli di Benton. «Ma è abbastanza sicuro che sia lei. Riteniamo che sia la donna scomparsa ieri pomeriggio, Gail Shipton.»
«Lucy dice che le somiglia. Ovvio, era molto distante, ma l’ha zumata.» Benton si abbottona il cappotto di cachemire con una mano sola. «L’ha ripresa: la posizione del corpo, il modo in cui è coperta con il telo, che è significativo. Molto significativo. Puoi avere le immagini dall’alto, se vuoi. Capisco che c’è tanto da spiegare, ma adesso non si può. Dopo.»
«Dimmi almeno perché adesso non si può.»
«Marino ha recuperato il cellulare di Gail Shipton allo Psi Bar. Ce l’ha ancora, pare.»
«Non capisco come tu faccia a sapere che...» comincio a dire mentre ci avviciniamo al SUV e Quincy si mette a piangere.
«Non ora, Kay» mi interrompe Benton, calmissimo. «Non possiamo parlarne davanti a Marino. Né del telefono né del fatto che l’ha recuperato. E tanto meno del fatto che Lucy lo sa. L’ha letteralmente visto mentre lo prendeva, perché stava monitorando il cellulare da remoto. Ha cominciato a monitorarlo appena ha saputo che Gail era scomparsa. A mezzanotte, Lucy sapeva già che il telefono era fuori dallo Psi Bar, dove Gail l’aveva usato l’ultima volta.»
«Lavoravano assieme.» Ne sono certissima, ormai. «La custodia di tipo militare... È uguale a quella che abbiamo io e Lucy.»
«È un problema.»
Benton sta dicendo che Lucy è un problema, o che sta per diventarlo. Se mia nipote ha un interesse proprietario sullo smartphone di Gail Shipton, vuol dire che fa parte di qualche progetto che lei sta portando avanti. Lucy interferirà con le indagini, se non ha già cominciato a farlo.
«Sei consapevole della tempistica, immagino. Gail Shipton doveva testimoniare a un processo tra meno di due settimane.» Non ho dubbi sul fatto che Benton lo sappia già. Sono molto turbata.
“In che guaio si è cacciata Lucy?”
«Dobbiamo parlare di parecchie cose, io e te.» Benton mi accarezza la nuca, ma non mi sento per nulla rassicurata.
«È coinvolta nel processo?» Almeno questo lo devo sapere. «Ha a che fare con la causa legale da cento milioni di dollari intentata da Gail Shipton contro la Double S, la finanziaria che ha sede a Concord, vicinissimo a dove abita lei?»
Siamo fermi dietro il SUV di Marino. Benton posa le borse e Quincy comincia a uggiolare più forte.
«Lucy è una dei testimoni della difesa» mi informa Benton. «Nominata tale dall’estate scorsa.»
«Perché non ci ha mai detto niente?» Mi chiedo se sia di questo che mi vuole parlare Carin Hegel.
«Ormai dovresti saperlo: Lucy fa sempre di testa sua.»
«Lo so. Ma mi turba che conosca quella che potrebbe essere l’ultima vittima del tuo serial killer» ribatto. «Può darsi che la tempistica sia casuale, ma è comunque inquietante. E non poco. So che Carin Hegel, l’avvocato di Gail Shipton, era talmente preoccupata per la propria incolumità da decidere di trasferirsi temporaneamente altrove. Sostiene che quelli della Double S sono gente pericolosa e mi ha lasciato intendere che siano collusi con personaggi di grosso calibro.»
«Non mi pare sia trapelata notizia della posa o dei teli» dice Benton, mentre Quincy si mette ad abbaiare.
«Quindi non può essere un emulatore.»
«Non credo sia per paura degli emulatori che Granby si rifiuta di rendere noti certi particolari ma, nel caso specifico, va bene così.» Benton lo dice nel tono aspro e amareggiato che usa sempre quando parla del suo capo.
Scrivo un SMS a Harold per dirgli di venire ad aprire il furgone del CFC.
«Non puoi camminare nel fango con quelle scarpe. Spero che abbiamo un paio di stivali di gomma da prestarti. Buono, buono» dico a Quincy posando la mano sul finestrino posteriore del SUV. «Va tutto bene.» Cerco di calmarlo.
Benton guarda il cucciolo di Marino che si agita e abbaia nella sua gabbia, infelicissimo.
«Povero cane» commenta.