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L’hotel era dalla parte opposta della spianata, in una zona più tranquilla con il sessanta per cento di traffico pedonale e di droni in meno, accanto a un sistema di piazze multilivelli. Tutte le strutture del circondario erano uffici o alberghi, e tutte somigliavano a giganteschi coni o cilindri, a eccezione di una sfera – iconoclasta o semplicemente démodé – che sembrava rimanere testardamente aggrappata al suo lotto nonostante il fatto che la stazione avesse cercato di nasconderla con una grande foresta olografica.
Attraversai uno dei piani del centro multilivelli, dove umani e umani aumentati sedevano soli e in gruppo a tavoli sparsi, intenti a chiacchierare, a guardare programmi d’intrattenimento sugli schermi o a lavorare sui propri feed. La sorveglianza era piuttosto rigida, perciò avviai uno dei nuovi programmi che avevo scritto venendo lì.
Avevo riflettuto su altri modi di somigliare meno a una SecUnit (un’ovvia soluzione era fingere di mangiare o bere qualcosa, ma era complicato. Posso farlo, se proprio devo, ma per un periodo limitato di tempo. Non ho niente di simile a un sistema digerente, per cui sono obbligata a separare una sezione dei polmoni per immagazzinare il cibo finché non posso espellerlo. Sì, è brutto proprio come sembra). Avevo deciso di adottare una soluzione più sofisticata e meno disgustosa. Gli umani, perfino gli umani aumentati, hanno l’abitudine di subvocalizzare mentre parlano nel feed. Avevo scritto un codice veloce che potevo far girare in background per mimare quei movimenti della mascella (recuperando una selezione di conversazioni da Sanctuary Moon, Leggende del fuoco e Verso il domani da usare come linea guida per i movimenti). Mentre attraversavo lo spiazzo verso l’albergo mi accertai di avere le spalle rilassate e un’espressione distratta. Agganciai il feed dalla telecamera di un drone per darmi un’occhiata. Operando in contemporanea al mio codice per simulare il respiro umano e impercettibili movimenti casuali, il risultato era perfetto. Be’, perfetto per me. Diciamo perfetto al novantotto per cento.
L’albergo della squadra di Preservation aveva un grande patio terrazzato con delle pareti trasparenti e un ampio arco d’ingresso. La passerella che portava al sistema di trasporto della stazione attraversava un piano trasparente della struttura, più in alto, e si potevano vedere i passeggeri che sbarcavano e salivano a bordo all’arrivo di quel rosario di capsule (io li vedevo attraverso i droni, che volavano più su; gli altri umani della spianata non potevano).
Individuai due soggetti potenzialmente ostili seduti a tavoli diversi.
Giunta all’ingresso dell’albergo, mi mischiai con una piccola folla di umani e umani aumentati che erano intenti a guardare uno schermo pubblicitario fluttuante che mostrava brevi video divertenti (alcuni di questi erano talmente ben fatti che decisi di salvarli nella mia unità di memoria permanente). Così avevo anche un buon posto dove restare mentre mi infiltravo nel sistema di sicurezza dell’albergo. Disponevo anche della versione migliorata del mio codice di routine da RaviHyral, quello per cancellarmi dalle immagini delle telecamere, se necessario.
Quando lo schermo rimandò il video da capo, seguii un altro gruppo di umani attraverso l’ingresso. Vi sarò sembrata piuttosto sicura di me, ma lo scanner integrato mi fece formicolare la pelle mentre passavo sotto l’arco. Avevo ben chiaro il rischio che correvo, venendo lì.
La lobby era composta da una serie di ampie piattaforme arredate con divani e poltrone. C’erano anche enormi biosfere appese, piene di cieli planetari simulati, ognuna con un clima diverso. Erano palesemente posizionate lì per nascondere alla vista le piattaforme con le sedute e per fornire un po’ di privacy, ma in verità erano cariche di telecamere di sorveglianza e di scanner lungo i bordi. Mentre mi osservavo attraverso le telecamere, individuai altri quattro soggetti potenzialmente ostili, tutti umani aumentati. Uno di loro era apertamente all’interno del feed, intento a verificare i risultati della scansione, mentre gli altri si spostavano per la hall, e sorvegliavano l’area.
Impossibile stabilire se fossero di GrayCris o di Palisade – benché, se così fosse stato, l’albergo avrebbe dovuto sapere che erano lì. Non capivo se fossero alla mia ricerca; non c’era nessun allarme attivo sul feed della sicurezza – anche il loro atteggiamento rivelava che controllavano molto da vicino gli umani aumentati che indossavano qualsiasi tipo di cappuccio, cappello, sciarpa o tatuaggio che oscurasse il viso, cosmetici o ornamenti. Quanto a me, un’anonima umana aumentata di tipo generico e con il cappuccio tirato giù, sulle spalle, non fui degnata nemmeno di una seconda occhiata.
Ecco perché gli umani non dovrebbero gestire direttamente la propria sicurezza.
Salii fino alla piattaforma di check-in. Seguii le indicazioni del feed, accompagnata dal loro jingle di benvenuto fino a un bancone, e presi una stanza con una delle carte valuta di Gerth.
Sì, mi diede una bella sensazione.
Uscii dal retro sulla piattaforma fino allo scalo dei moduli di trasferimento e seguii cinque umani fino al primo modulo in arrivo. Era un sistema limitato, privo di collegamenti esterni, che serviva soltanto a trasferire il cliente alla sezione di camere collegata al microchip d’identità registrato nel feed dell’albergo, o alla lobby e alle sezioni d’intrattenimento pubblico. Il modulo ci portò alle nostre rispettive sezioni in ordine di imbarco, dandomi così modo di osservare il sistema in funzione e di copiarne il codice. Poi fui condotta alla mia sezione e seguii la mappa fino alla mia stanza.
La porta si aprì con l’autorizzazione che l’albergo aveva allegato al mio microchip, e in quel fantastico istante scoprii che nella camera non c’erano né telecamere né microfoni di sorveglianza. Stupido albergo. Probabilmente mi avevano anche fatto pagare un extra per non averle.
La camera era comunque più spaziosa e molto più gradevole delle cabine che avevo avuto a bordo delle navi di trasporto passeggeri. Feci un giro sommario e avviai una scansione in cerca di anomalie, poi gettai la borsa a terra e mi sdraiai sul letto (era enorme; che senso aveva mettere un letto che poteva comodamente ospitare quattro umani di dimensioni medio-grandi, quando nel bagno c’era soltanto un gancio per gli asciugamani? Possibile che gli umani condividessero gli asciugamani?). La parete di fronte al letto inutilmente grande era tutta uno schermo. Per farmi compagnia ci inviai un episodio di Ascesa e declino di Sanctuary Moon – porca puttana, gli umani erano praticamente a grandezza reale, in campo lungo! –, poi mi misi al lavoro.
Pur non essendoci telecamere all’interno delle stanze, quelle dei corridoi mostravano gli umani e gli umani aumentati che si spostavano attraverso i passaggi di collegamento e usavano i moduli di trasferimento per andare e venire dalle lobby, o dalle tre aree ristoro e divertimento (qualsiasi cosa s’intendesse per “divertimento”. Quello che facevano lì dentro non sembrava combaciare con la mia definizione del termine). C’era anche un collegamento verso il livello del treno interno alla stazione.
Mi addentrai cautamente all’interno del sistema, facendo attenzione alle trappole. Senza telecamere nella stanza avrei dovuto farlo nel modo più difficile.
Come la maggior parte dei sistemi di sorveglianza in installazioni non sicure, quel sistema non salvava le proprie registrazioni in maniera permanente e si supponeva che cancellasse i propri archivi dopo un certo lasso di tempo. E sottolineo “si supponeva”. L’albergo, ovviamente, si rivendeva i dati.
L’oggetto delle registrazioni erano soltanto le conversazioni che avvenivano nelle aree pubbliche e nei corridoi, ma era proprio quello che mi serviva. Trovai gli archivi degli ultimi venti cicli, m’impadronii di una delle routine di trattamento (quelle che separavano le parti inutili dalle lucrative conversazioni di affari che dovevano poi essere inviate a un supervisore umano o a un robot per revisione), e la reindirizzai alla ricerca delle mie parole chiave.
Otto minuti e trentasette secondi dopo, la routine prigioniera mi restituì una cospicua serie di risultati. Annotai i marcatori temporali, poi liberai la routine e la feci tornare al suo lavoro di selezione di informazioni finanziarie riservate. I marcatori temporali mi indicavano in quali archivi controllare per trovare le telecamere di sorveglianza che cercavo.
Feci un po’ di spazio nel mio archivio temporaneo, scaricai il primo archivio e feci partire le scansioni. Decisi di sorvegliarle di persona invece di usare uno scanner di riconoscimento facciale, più rapido ed efficiente, per i dati raccolti. Quel tipo di scanner è affidabile al sessantadue per cento appena nella maggior parte dei casi e, benché vada bene per un lavoro fatto a tirar via per conto della compagnia di sicurezza, non volevo rischiare di perdere i miei obiettivi. Saltò fuori che avrei anche potuto cominciare direttamente da lì invece di sprecare quegli otto minuti, perché al primo passaggio individuai un’immagine di Ratthi che camminava lungo un corridoio verso l’incrocio di un modulo di trasferimento, con un marcatore temporale risalente a sedici ore e ventisette minuti prima.
Trovati.
Continuai a controllare i video. Avrebbe fatto meglio a farlo anche Ratthi, o perlomeno a guardarsi un po’ intorno, perché due soggetti potenzialmente ostili lo seguirono fino all’intersezione. Questi ultimi non cercarono di salire a bordo dello stesso modulo di trasferimento ma disponevano chiaramente di un accesso al sistema di sicurezza, perché li ritrovai nel momento in cui individuai nuovamente Ratthi, stavolta nella lobby. Lo pedinarono tra i negozi e le zone commerciali nei livelli inferiori dell’albergo, poi di nuovo fino alla sua stanza. Ora che sapevo di dovermi concentrare su quella sezione dell’albergo fui in grado di scartare un mucchio di video dai feed delle altre telecamere e, nell’arco di tre minuti, individuai sia Gurathin sia Pin-Lee. Venivano pedinati tutti e tre, ogni volta che uscivano.
Non che non me lo aspettassi, dal momento che GrayCris doveva sapere che erano lì. Nel frattempo, però, avevo eseguito qualche simulazione di rischio e c’era uno scenario in cui tutto questo era una trappola per me, con la squadra di Preservation a fungere da esca.
Anche se Mensah era il volto pubblico del gruppo di entità politiche e compagnie determinate a perseguire GrayCris per aver ucciso i loro cittadini/lavoratori, di fatto ero stata io a registrare le prove più schiaccianti, ero io la parte attiva del SecSystem della compagnia che aveva raccolto e memorizzato tutti quei dati. Se avessero potuto dimostrare che ero inaffidabile, compromessa o chissà che altro, i dati del SecSystem sarebbero potuti essere rimessi in discussione, alleggerendo così la posizione di GrayCris.
Era anche possibile che la squadra di Preservation fosse stata contattata direttamente da GrayCris, che aveva proposto di attirarmi fin lì in cambio della liberazione di Mensah. Già… Quella possibilità non era per niente divertente.
Osservai Ratthi nelle immagini registrate ma il sistema automatico non aveva mai avuto motivo di zoomare su di lui e la risoluzione non era sufficiente per una valutazione attendibile. Riguardai però un po’ dei miei registri archiviati appartenenti alla missione di rilevamento: Ratthi che camminava mentre era stanco dopo una lunga giornata di lavoro, che era assorto in conversazione e passeggiava insieme ad Arada e Overse, che rideva e faceva finta di difendersi mentre Pin-Lee gli tirava un cuscino, che correva mentre caricavamo freneticamente un hopper per la fuga.
Avrei voluto poter dire che attraversava quell’albergo camminando come se fosse stato una prigione, ma non ne ero sicura. Gli umani in carne e ossa non si comportano come quelli dei programmi d’intrattenimento.
Non potevo far altro che aspettare (posso confermarlo: era dolorosamente stressante).
La sorveglianza era un problema interessante ma non irrisolvibile. Ovunque, tranne che nella lobby, l’albergo disponeva di un feed proprietario criptato a cui si poteva accedere pagando un extra. Per incoraggiarne l’uso, l’albergo restringeva il feed pubblico. Questo significava che il sistema di sicurezza aveva già un codice attivo per ridirigere gli accessi al feed. Molto comodo, per me. Impostai alcuni allarmi nei vari feed attivi e cominciai a scegliere i programmi da vedere sul mio gigantesco schermo a parete. Scelsi unicamente tra i miei preferiti, che avevo già guardato, perché in verità dovevo veramente concentrarmi e lavorare su un paio di nuovi codici. Con un po’ di fortuna non mi sarebbero serviti, ma… C’era poco da fare: probabilmente ne avrei avuto bisogno, eccome.
Cinque ore e diciassette minuti dopo, Pin-Lee, Ratthi e Gurathin lasciarono la stanza e si diressero allo snodo dei moduli di trasferimento. Ventitré secondi dopo, il sistema registrò una porta che si apriva e si chiudeva nella stessa sezione. Due soggetti ostili uscirono da una stanza per seguire la squadra di Preservation, e io riuscii a impostare un comando di reindirizzamento sul flusso di dati che sfruttavano per ricevere ordini e fornire rapporti.
Aspettai di vedere se la squadra di Preservation fosse diretta verso una delle aree dei servizi gastronomici o d’intrattenimento. Sarebbe stato più semplice (per tutti, ma soprattutto per me) avvicinarmi a loro all’esterno dell’albergo.
Controllai il canale che i due soggetti ostili usavano per ricevere gli ordini e constatai che il mio comando aveva funzionato. Si fermarono allo snodo di trasferimento, confusi, in attesa che il loro controllore inviasse loro l’ordine di procedere. Il mio reindirizzamento aveva fatto recapitare quell’ordine ai robot delle pulizie in un’altra sezione. Avevo impostato il comando affinché scadesse e si cancellasse nell’arco di due minuti, facendolo così passare per una possibile interferenza dovuta alle restrizioni di feed dell’albergo.
La squadra di Preservation si fece trasferire alla lobby e uscì attraversando l’ingresso principale. Con riluttanza, spensi il mio schermo gigante e rotolai giù dal letto.
Era ora di mettersi al lavoro.
Portai la borsa con me perché era probabile che non sarei tornata lì (già… Mi sarebbe mancato, quello schermone). C’era dentro anche la mia arma a proiettile – non sai mai quando potrebbe tornarti utile un po’ di potenza di fuoco perforante (e poi potevo tenere la mano destra sulla cinghia, dandomi qualcosa da fare con quel braccio. Come facciano gli umani a decidere all’impronta cosa fare con le proprie braccia, ancora mi sfugge…).
Raggiunsi Pin-Lee, Ratthi e Gurathin nello spiazzo, senza nessun segno di soggetti ostili sulle loro tracce. Non ero sicura che la squadra di Preservation sapesse che GrayCris la stava tenendo d’occhio, anche se Ratthi pareva avere le spalle un po’ rigide – non era la sua solita camminata. Poi si avviarono su per le scale verso le panchine del secondo livello e Gurathin si guardò indietro in un modo che secondo lui, probabilmente, era del tutto noncurante e per niente sospettoso. Sì, lo sapevano.
E no, non m’individuò. Io stavo usando le telecamere dei droni per seguirli, così da poter seguire un altro percorso lungo la piazza, quello che passava sotto le piattaforme attraverso i giardini e le zone commerciali.
Gurathin disse qualcosa a Pin-Lee mentre attraversavano la piazza e accelerarono un poco, diretti al blocco commerciale dalla parte opposta. Era un buon posto per evitare di essere spiati da eventuali pedinatori, e mi dava anche il tempo necessario per fare qualche piccola modifica alle telecamere di sorveglianza per rendere più difficoltoso il riconoscimento dei tre. Ormai la sicurezza di GrayCris doveva essersi accorta di averli persi, e volevo accertarmi che non riuscisse a recuperarli. Non sapevo se GrayCris avesse corrotto la stazione per accedere al sistema di videosorveglianza degli spazi pubblici, ma era meglio abbondare con le precauzioni.
Pin-Lee guidò gli altri due lungo una via tortuosa attraverso il blocco commerciale, attraverso negozi e spiazzi, giungendo finalmente in un giardino aperto con diverse panchine ai piedi di un albero a forma di cono. Era un buon tentativo, pensato per farli passare attraverso sei differenti giurisdizioni di sicurezza privata e zone di feed privati – un buon modo per lasciare indietro un possibile pedinatore che provasse a seguirti appoggiandosi ai droni e alle telecamere di sicurezza. Non lasciò indietro me, ovviamente, ma era un ottimo modo per seminare un agente di sorveglianza normale (umano). E la zona di panchine era circondata da veli d’acqua in cascata che la nascondevano dalle piazze e dai viali circostanti.
Mi fermai fuori dall’ingresso, unendomi a una piccola folla di umani accanto a un negozio che proiettava sul feed l’ennesima pubblicità in salsa d’artista. Attraverso la telecamera di sorveglianza dell’albergo assistetti a un breve alterco tra Pin-Lee e Gurathin, che Ratthi cercò di mediare e che si concluse con Gurathin e Ratthi seduti a un tavolo mentre Pin-Lee si allontanava nella zona commerciale accanto alla lobby dell’albergo.
Lo so – potevo averli già contattati, a quell’ora, magari con una connessione sicura loro e salutando. Solo che… Non ero sicura.
Okay: avevo paura. O ero nervosa? Nervosa e impaurita.
Cos’erano, loro… I miei quasi-amici umani? I miei clienti? I miei ex proprietari, anche se in punta di legge era soltanto Mensah? Se mi avessero visto si sarebbero messi a gridare aiuto, avrebbero allertato la sicurezza?
E se era tanto difficile con Ratthi e Pin-Lee (a Gurathin non ero mai piaciuta, e il sentimento era reciproco), come sarebbe stato con Mensah, se mai fossi riuscita ad arrivare fino a lei?
Non sapevo se potessi fidarmi di loro. Avrei voluto farlo. Ma avrei voluto un sacco di cose – la libertà, file illimitati da scaricare, nuovi episodi di Drama Sun Island – che non avrei probabilmente mai avuto.
Attraversai la zona di giardino con le panchine – delle quali solo il trentasette per cento era occupato –, ma Ratthi e Gurathin non mi notarono. Li scansionai mentre passavo e rilevai gli aumenti di Gurathin ma nessuna traccia di energia che indicasse la presenza di un’arma. Ratthi si strofinò gli occhi e sospirò. Le labbra severe di Gurathin tradivano un certo rammarico.
Attraversai il passaggio aperto ed entrai nella zona commerciale, povera dei soliti distributori automatici ma con un mucchio di chioschi e attività di ogni tipo, tra cui biglietterie per linee di trasporto passeggeri, agenzie immobiliari della stazione, agenzie immobiliari planetarie di quello e altri sistemi, un sacco di banche e di compagnie di sicurezza (Palisade non c’era; lavorava solo con le aziende). La sicurezza in quella zona era cospicua ma non individuai nessuno scanner a riconoscimento facciale. Il feed era strozzato e privatizzato: qualsiasi umano o umano aumentato che non fosse registrato presso l’albergo doveva pagare un canone di utilizzo, e le misure di sicurezza erano concentrate sulla prevenzione di furti. In fondo a quello spazio c’era l’accesso a una piattaforma di transito; non portava al trasporto pubblico della stazione, ma a una cosa chiamata “bolle di transito”.
Trovai Pin-Lee in piedi davanti al chiosco di una compagnia di sicurezza locale; era cupa in viso ma non aveva ancora messo la mano nel campo di accesso. Il suo linguaggio corporeo trasmetteva tensione, in particolar modo per il portamento del capo. Qualsiasi cosa fosse venuta a fare, non avrebbe voluto farla.
In quel momento fui colpita dal pensiero che, con tutti quei cicli di contratto passati a osservare Pin-Lee, ero giunta a fidarmi della sua capacità di giudizio. Se non voleva farlo doveva avere un buon motivo. Dovevo parlare con lei, darle un’altra opzione.
Se fosse stata uno degli altri avrei provato con un approccio diverso. Dato che era Pin-Lee, dissi soltanto: «Ciao».
Lei mi degnò di uno sguardo appena, con espressione disinteressata. Poi mi diede un’altra occhiata, si accigliò, fece per parlare, poi si bloccò. Non era ancora certa. «Ci siamo conosciute su Port FreeCommerce» dissi io. Non potei impedirmi di aggiungere: «Ero quella nella cassa da trasporto».
Lei sgranò gli occhi, poi li socchiuse. Costrinse le spalle tese a rilassarsi e non commise l’errore di guardarsi intorno. Si appiccicò un sorriso di circostanza in faccia e disse, a denti stretti: «Cosa… Come…».
«Sono venuta a cercare la nostra amica» dissi. «Vogliamo salire su una bolla di transito?» I trasporti di massa locali sono solitamente un buon modo di evitare potenziali controlli e telecamere di sorveglianza (sì, dovrebbe essere il contrario. E sì, la cosa dovrebbe preoccuparvi).
Pin-Lee esitò, poi si costrinse a sorridere più naturalmente. Sembrava fasullo e nervoso, ma in fondo conta il pensiero. «Certo.»
Attraversammo la sala e risalimmo la rampa di accesso fino alla stazione. Un messaggio pubblicitario sul feed spiegava che le bolle erano un veicolo a forma di tazza con delle panche imbottite lungo il perimetro e una bolla di protezione trasparente come copertura, così gli umani non avevano modo di cadere di sotto quand’anche ci avessero provato con tutte le loro forze (la pubblicità non la presentava in quel modo). Le bolle fluttuavano lungo un percorso prestabilito al di sopra dei segmenti commerciali ed erano molto più lente dei tubi di trasporto, per cui venivano usate principalmente per godersi la vista. Sembravano anche piuttosto comode per una conversazione imbarazzante.
Nella stazione c’erano soltanto pochi umani, tutti scesi da una bolla che era appena arrivata. Ci dirigemmo alla sezione di testa e pagai con un’altra carta valuta, e… Accidenti, costava tre volte quanto l’ultimo ostello di transito in cui ero stata. Meno male che non devo mangiare.
Pin-Lee salì a bordo per prima, osservandomi con quella che avrei voluto interpretare come cauta diffidenza (ma forse non era così). Mi sedetti di fronte a lei e scelsi l’opzione che proponeva di fare il giro di quel segmento di centro commerciale. Le porte si chiusero e la bolla fluttuò verso l’alto fino a raggiungere la fila delle altre che passavano sopra l’albergo.
La bolla aveva una telecamera collegata al feed, ma era del tipo che serviva a rilevare determinate parole, suoni e movimenti; probabilmente era lì solo per prevenire un omicidio casuale. Bloccai il suo canale audio e dissi: «A posto».
Pin-Lee mi guardò in tralice. «Te ne sei andata.»
In qualche modo me l’aspettavo. «Mensah aveva detto che potevo imparare a fare tutto quel che volevo. Ho imparato ad andarmene.»
«Avresti potuto dirle cosa volevi. Noi… Lei… Ci siamo preoccupati, va bene?» Io tenevo lo sguardo sulla visuale alle sue spalle e usavo la telecamera della bolla per studiare il suo viso. Serrò le labbra, trattenendo quello che stava per dire. Poi si riprese e proseguì: «Ho visto il messaggio di addio che hai lasciato a Mensah. Non è che non si sia resa conto che abbiamo combinato un fottuto casino».
Sentii sorgere un’emozione – una cosa che odiavo. Preferisco avere emozioni sicure e positive con i miei programmi d’intrattenimento; avere emozioni riguardo le cose che dicevano e facevano gli umani in carne e ossa non faceva altro che stimolare decisioni stupide come venire a TranRollinHyfa. E non avevano combinato un fottuto casino. In parte, forse. Ma, del resto, neanch’io sapevo cosa fare come me stessa. «Non voglio parlarne.»
Pin-Lee sospirò – un sospiro stanco ma adirato – e si premette le dita sulla fronte. Dovetti frenare l’impulso di accedere al mio inesistente MedSystem per chiedere una diagnosi. «Allora, dove cazzo sei andata?» mi chiese. «E cosa ci fai, qui?» Esitò, circospetta. «Sei sotto contratto con qualcun altro?»
Era proprio quello, il senso dell’andarsene. «O appartengo a Mensah, e lavoro per lei, o sono indipendente e lavoro per me stessa.»
La sua occhiataccia peggiorò. «Okay. Per cos’è che hai ingaggiato te stessa?»
Era un punto di vista interessante. In un certo senso mi piaceva. Ed era proprio strano parlare a un umano in quel modo, un umano che sapeva cosa fossi. Non dovevo sforzarmi di fissare la faccia di Pin-Lee per capire se le mie espressioni fossero tutte normali. Abene sapeva che ero una SecUnit ma non sapeva che io ero io. «Ho viaggiato, poi ho visto un notiziario in cui si diceva che Mensah era scomparsa. L’hanno attirata qui con l’inganno o è stata rapita?»
Gli occhi di Pin-Lee si strinsero nuovamente, in modo più pensieroso stavolta. «Allora è vero: te ne sei andata in giro a guardarti le tue serie… Temevamo che GrayCris potesse catturarti, anche se continuavano a pretendere che fossi presentata come parte delle prove circostanziali del processo. Sembrava come se volessero comunicarci che ti avrebbero catturato, si gongolavano.»
«Me ne sono andata in giro a guardare un sacco di serie.» Rimasi in attesa. Pin-Lee era sempre stata una tipa tosta, e ci voleva un bel po’ di tempo prima che abbassasse la guardia. Come per tutti gli altri, avevo centinaia di ore di file video su di lei. Non avevo bisogno di riguardarli per sapere quanto avesse i nervi a fior di pelle per la situazione di Mensah, per la responsabilità che aveva delle vite degli altri.
Alla fine disse: «Quindi sei venuta per aiutarci. Perché dovrei fidarmi di te? È ovvio che tu non ti fidi di noi».
Se avessi saputo rispondere, mi sarei probabilmente sentita molto più a mio agio. Non mi fidavo di loro, non completamente. Non avevo la più pallida idea del perché avrebbero dovuto fidarsi di me. «Ho estratto un rapporto di stato dalla nave armata della compagnia. Non vi aiuteranno, a meno che la stazione non revochi il divieto di attracco. Sei da sola. Anzi, sei da sola insieme a Ratthi e Gurathin, il che potrebbe essere anche peggio.»
Lei fece una smorfia. «Avevo dimenticato quanto fossi stronza.»
Già, be’… «Ho bisogno di informazioni per formulare una strategia» dissi.
Lei guardò fuori e strinse gli occhi alla vista dello schermo pubblicitario lampeggiante che girava intorno alla torre che stavamo oltrepassando. «L’hanno portata via da Port FreeCommerce dopo un incontro con i rappresentanti della DeltFall. Le famiglie di alcune vittime erano venute di persona per ritirare i resti – c’era un sacco di gente, è stata una cosa intensa. Dopodiché, Mensah si è allontanata per un minuto ed è sparita. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso il momento in cui l’hanno rapita ma, a quel punto, l’avevano già portata via dalla stazione. Con l’aiuto del nostro corpo diplomatico su Preservation, ho convinto la compagnia che era un problema loro, che avevano fatto un tale casino con il nostro contratto di perlustrazione che erano in debito con noi. Poi GrayCris ha inviato una richiesta perentoria a Preservation affinché ritirasse la causa e facesse una dichiarazione pubblica in cui annunciava la ritrattazione. L’abbiamo fatto, e ora siamo qui per negoziare un riscatto.» La sua espressione s’indurì. «Su Preservation abbiamo gente che si sta occupando di liberare risorse finanziarie ma, al momento, non siamo neanche lontanamente vicini alla somma richiesta.»
Allora avevo ragione, e GrayCris aveva bisogno di fondi. «Quindi nessun sostegno contrattuale dalla compagnia?»
«Non dopo che TranRollinHyfa ha rifiutato loro il diritto di attracco. Ci hanno però dato la chiave dell’impianto di interfaccia alternativa che Mensah aveva comprato in caso di emergenza, ma Gurathin dice che è bloccata perché la tengono prigioniera da qualche parte nel toroide sopra di noi, oltre la barriera di sicurezza della stazione principale, e questo compromette il segnale.»
«Ce l’hai qui?» le chiesi. Poteva darsi che fosse bloccata per Gurathin ma non per me.
Pin-Lee slacciò una tasca interna della giacchetta e mi consegnò la chiave, fatta a forma di scheda di memoria accessibile da feed. Scaricai il codice di indirizzo e tentai di effettuare l’accesso all’impianto di Mensah per quarantatré secondi buoni. Era bloccata anche per me. «Può darsi che Gurathin abbia ragione riguardo alla barriera di sicurezza del corpo principale.» Odiavo doverlo ammettere.
Pin-Lee si afflosciò per il disappunto. «Non ci rimane molto tempo per racimolare il riscatto. Avevo intenzione di assoldare una compagnia di sicurezza locale per farci aiutare, nella speranza che quella che avrei scelto non sarebbe stata al soldo di GrayCris.» Distolse lo sguardo dalla visiva e tornò a fissarmi. «A proposito di soldo, la compagnia sta facendo il doppio gioco, vero?»
Ero lieta che Pin-Lee ci fosse arrivata da sola e non avevo intenzione di negare la realtà. «C’è il novantacinque per cento di probabilità che sia così» le risposi. La compagnia è come un distributore automatico senza scrupoli: ci metti dentro i tuoi soldi e fa quello che vuoi, a meno che qualcun altro non ci metta dentro altri soldi e non le dica di smettere. La miglior tattica di GrayCris, a quel punto, era buttarci dentro più soldi possibile.
Pin-Lee emise un gemito e si strofinò il viso. «Sono quasi contenta che tu sia qui.»