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Dal feed di Miki avevo accesso a una scansione della piattaforma di terraformazione, sovrapposta alle piantine dei progetti originali. Già, pensavo di sapere esattamente dove cercare le prove di cui avevo bisogno.
Vedevo le immagini dell’avvicinamento della navetta sullo schermo attraverso la telecamera di Miki. Avevamo già superato il sistema di trazione, ancora perfettamente operativo secondo i rapporti automatizzati che inviava alla stazione.
La nostra destinazione era un’ampia piattaforma nell’atmosfera superiore del pianeta, di molto più grande della stazione – più grande di un intero anello di transito. La maggior parte di quello spazio era dedicato ai moduli che contenevano i giganteschi macchinari per il controllo del processo di terraformazione vero e proprio. Da lì non si vedeva il pianeta: la piattaforma era sospesa in uno strato di tempesta perpetua. Vorticose nuvole imponenti, gonfie di scariche elettriche, oscuravano la superficie.
«Stiamo rilevando livelli soddisfacenti per tutte le variabili ambientali» disse Kader dalla cabina di pilotaggio, condividendo l’immagine dei dati ricevuti attraverso il feed. «Sicura di voler scendere in assetto completo?»
Mi agitai, certa che avrei sentito la risposta sbagliata. Miki, dille che… Ma Abene rispose: «Sì, usciamo con il protocollo di sicurezza completo». Il che significava tute ermetiche, con filtraggio e riserva di ossigeno, e un certo livello di protezione per i vulnerabili corpi umani. «Ci atterremo a quello finché non avremo completato una prima ispezione dell’ambiente e non avremo preso il pieno controllo della piattaforma, dopodiché rivaluteremo le misure da adottare.»
Mi rilassai. Poi, per l’ennesima volta, ricordai a me stessa che quelli non erano miei clienti.
È tutto a posto, Rin, disse Miki. Don Abene è sempre prudente.
Avevo visto un sacco di umani prudenti morti, ma non l’avrei detto a Miki.
Attraverso gli occhi di Miki, osservai Abene che si sistemava l’equipaggiamento per il primo giro di prospezione. Kader e Vibol sarebbero rimasti a bordo della nave ma Wilken e Gerth, oltre a Hirune e ad altri due ricercatori, Brais ed Ejiro, avrebbero accompagnato Abene e Miki.
Wilken fu la prima a uscire dal portellone; la telecamera del suo casco inviò le immagini al feed. Avevamo attraccato a un molo riservato ai passeggeri del modulo abitativo e la zona d’imbarco non era abbastanza grande da ospitare strumentazione pesante o robot trasportatori di dimensioni normali. C’era corrente, anche se al minimo; sul pavimento brillavano fasce luminose di emergenza che risalivano fino a metà parete e poi in cima, ma le grandi lampade sui soffitti erano spente. C’era comunque luce a sufficienza affinché gli umani riuscissero a vedere qualcosa senza i filtri speciali delle telecamere integrate nei caschi.
Era davvero una buona idea arrivare sulla piattaforma proprio da lì? Le piantine mostravano la presenza di uno spazio d’imbarco multiuso molto più grande al livello superiore. Quella zona di carico ridotta poteva rendere l’area intorno alla navetta più facile da difendere, ma poteva anche complicare le operazioni di rientro della squadra qualora qualcosa fosse andato storto.
Difficile dire se fosse stata una scelta sbagliata. C’era sempre da considerare il fatto che gli umani non ci sanno fare, in materia di sicurezza. Personalmente, sarei prima sbarcata io con uno schieramento completo di droni, lasciando gli umani a bordo della navetta. Avrei valutato la situazione sulla piattaforma (accertandomi, per esempio, che non ci fossero ospiti indesiderati facendomi un giro e fungendo da esca per vedere se qualcosa mi avesse aggredito), e soltanto dopo avrei fatto scendere gli umani. Ma non vi preoccupate, eh… Non è che sappia il fatto mio o chissà che.
La telecamera della corazza di Wilken inviò le immagini sul feed della squadra mentre la consulente avanzava. Attraversò la camera di compensazione ed entrò nel corridoio; io non notai nessun danno all’ambiente – soltanto qualche segno e qualche graffio sulle pareti e sul pavimento, normali segni di usura. Abene, Miki, Hirune e poi Brais ed Ejiro la seguirono, con Gerth nelle retrovie. Divisi la mia attenzione in sette flussi distinti, uno per ogni telecamera integrata degli umani, più Miki. Ero in ascolto nel feed della squadra e sul canale audio, ma avevo anche tutti gli input del robot. «Miki, rilevi qualcosa?» chiese Abene.
«No, Don Abene» rispose Miki. Aveva avviato una scansione per rilevare segnali attivi da parte di qualsiasi sistema residente. Poiché la piattaforma era stata costruita da GrayCris, mi aspettavo di trovarci il tipo di HubSystem e di SecSystem cui ero abituata, o qualcosa di compatibile. C’erano un sacco di telecamere di sicurezza da tutte le parti, solo che non erano attive. Miki aveva ragione: lì dentro non c’era altro che aria morta, nessuna attività sui feed della piattaforma nonostante le luci di emergenza e i sistemi ambientali fossero ancora alimentati.
Rin, forse pensavano che i sistemi si sarebbero sentiti soli, lasciandoli attivi, mi disse Miki. Tu che ne pensi?
Mi chiesi se ART aveva pensato che fossi altrettanto stupida quando si era fatto un giro nella mia testa. Poteva anche darsi che fosse così ma, in quel caso, era probabile che ART me l’avrebbe detto apertamente.
Può darsi, risposi – perché ora sapevo che, se non rispondevo a tutte le domande di Miki, quello rischiava di sputtanarmi involontariamente con il primo umano che gli capitava a tiro. Poi però mi ricordai che quel posto si sarebbe dovuto sfaldare e carbonizzare nell’atmosfera, prima che la GoodNightLander Independent reclamasse il diritto di ripristino. È anche possibile che GrayCris abbia rimosso i nuclei centrali dei sistemi residenti quando se ne sono andati, aggiunsi. Avranno voluto limitare le perdite. SecSystem e HubSystem necessari a gestire un posto del genere dovevano essere tremendamente costosi. Non sapevo come andavano le cose per GrayCris, ma la compagnia cui ero appartenuta non avrebbe mai buttato via tutti quei soldi.
E Miki disse: «Don Abene, è possibile che GrayCris abbia rimosso i nuclei centrali dei sistemi residenti quando se ne sono andati. Avranno voluto limitare le perdite».
Ma porca di quella puttana…
«Mi sembra sensato» disse Hirune. Stava picchiettando il microfono, e aggiunse: «C’è una specie d’interferenza… Una schermatura, magari? Non ricevo più il segnale della stazione, anche se riesco a sentire Kader e Vibol sul feed della navetta».
Ejiro copiò un campione del segnale d’interferenza sul suo feed per studiarlo. «Sì, sappiamo che la schermatura qui è parecchio pesante, probabilmente per via delle turbolenze atmosferiche.» Come se l’avesse sentito, un picco di energia statica appannò il canale audio e il feed per 1,3 secondi.
Che tempaccio, commentò Vibol sul canale audio. Occhio a non bagnarvi.
La squadra ridacchiò e Miki inviò un simboletto divertito sul feed della squadra. Oh, umorismo stantio – non è per niente fastidioso, certo che no. Wilken e Gerth ignorarono la cosa.
Più avanti, Wilken emerse dal corridoio e sbucò in un ambiente più spazioso, mentre lo scanner della corazza le segnalava l’assenza di segnali di vita. Fece il giro del perimetro, perlustrando la sala, poi fece segno agli altri di entrare. Quello spazio non aveva un’etichetta specifica in pianta ma disponeva di cubicoli di decontaminazione e di rastrelliere contenenti tute ambientali appoggiate alle pareti. Anche lì nessun danno visibile, mentre gli umani giravano le telecamere da una parte all’altra. «Era una zona di lavaggio, questa?» chiese Brais. «Pensavo che il modulo biologico fosse separato e sigillato. O almeno così diceva la piantina, giusto?»
«Sono sicura che sia così» disse Hirune. Controllò un pannello sul cubicolo di decontaminazione più vicino. Era ancora alimentato ma le porte erano tutte in posizione aperta (il che è sempre un sollievo; brutta cosa, i cubicoli chiusi che possono nascondere sorprese). Hirune cercò di scaricare sul feed un rapporto di utilizzo ma la memoria interna era vuota.
Controllai Kader e Vibol, entrambi incollati al proprio feed, anche se Kader aveva ancora un canale aperto con la stazione. C’era qualche interferenza ma riusciva comunque a ricevere ping e risposte dall’Autorità Portuale. Probabilmente era la schermatura atmosferica della piattaforma a bloccare il contatto tra la squadra al suo interno e la stazione.
A ogni modo, era ora di muoversi. Scivolai fuori dal mio cubicolo di rimessaggio. M’inoltrai nel corridoio e azionai il portellone, impedendogli di segnalare il ciclo di apertura sul registro. Kader aveva sentito il portellone quando ero salita a bordo, sulla stazione, ma stavolta era troppo impegnato a osservare il team sul suo feed per farci caso.
Uscii sulla piattaforma, dove l’aria era più fredda, e lasciai che il portellone si richiudesse, riportando in pressione la camera stagna.
La squadra si era già spostata dalla sala di decontaminazione, dirigendosi verso il modulo biologico per controllarne lo stato. Mi avviai lungo il corridoio. In precedenza a tratti avevo sentito la mancanza della mia corazza, solitamente quando mi trovavo a camminare in mezzo a folle di umani sugli anelli di transito. Dopo essere stata costretta a farlo per sopravvivere, e dopo aver viaggiato con Ayres e gli altri, mi ero in qualche modo abituata a parlare con gli umani e a sostenere il contatto visivo, benché la cosa non mi piacesse affatto.
Quella era la prima volta che mi mancava la corazza perché percepivo una minaccia fisica.
Mi mossi silenziosamente attraverso la sala di decontaminazione e imboccai il corridoio di uscita, poi svoltai nel passaggio che si dipartiva dal modulo biologico verso il modulo geologico. Il corridoio era nelle stesse condizioni di quelli che avevo visto attraverso la telecamera di Miki e sul feed della squadra: niente danni, nessun segno di una partenza affrettata; soltanto corridoi silenziosi (non so perché mi aspettassi di trovare danni e segni che indicassero una fuga disperata del personale di servizio; non c’era nessun elemento che facesse pensare che l’operazione fosse stata qualcosa di diverso da un abbandono programmato. Forse stavo di nuovo pensando a RaviHyral. Credevo che, una volta visto il posto e scoperto ciò che vi era successo, i ricordi parziali sarebbero sbiaditi. A quanto pareva, non era così).
Non avrei dovuto sentirmi a disagio, eppure era così. Avevo Miki e la squadra in background, per cui sapevo esattamente dove si trovavano, e le loro voci riempivano il silenzio del feed. C’era qualcosa, però, in quel luogo, che mi faceva formicolare la pelle umana sotto i vestiti. Una sensazione che detestavo.
Non riuscivo a capire esattamente cosa fosse, a infastidirmi. Le scansioni davano esito negativo e, a quella distanza dalla squadra, intorno a me non c’era nessun rumore ambientale a parte il sussurro del sistema di aerazione. Forse era l’impossibilità di accedere alle telecamere di sorveglianza, eppure ero stata in posti peggiori senza telecamere. Forse era qualcosa di subliminale. A dire il vero, però, sembrava piuttosto liminale. O proliminale. Supraliminale? … O quello che era. Lì non c’erano banche dati in cui cercare il termine corretto.
La squadra procedeva lungo un corridoio esterno. Alla loro sinistra, grandi portelloni a bolla affacciavano su un vortice tempestoso di nubi grigio-violaceo; sulla destra c’erano portelloni di transito aperti che conducevano giù nei vari reparti meccanici. Su un canale privato, Abene disse a Miki: Questo posto mi fa venire la pelle d’oca, Miki.
Sono d’accordo, disse Miki. Anche se è vuoto, è come se qualcuno potesse comparirci davanti da un momento all’altro.
Be’, Miki non sbagliava. Qualcosa brillava nell’aria poco più avanti ma, quando raggiunsi lo snodo degli ascensori, vidi che era solo uno schermo per segnali di emergenza che fluttuava appena sotto il soffitto, elencando le procedure di evacuazione di emergenza in trenta lingue diverse. L’HubSystem garantisce una traduzione continua degli input, e immagino che le entità politiche non corporative abbiano qualcosa di simile nei loro feed, ma in un’emergenza era meglio assicurarsi che le istruzioni fossero chiare anche a feed inattivo. Ecco il perché di quel pannello, che continuava a fare allegramente il suo lavoro in quel gigantesco relitto vuoto.
Attivai la mia connessione privata con Miki. Sto per usare un ascensore, Miki. Se il tuo scanner dovesse rilevare uno sbalzo energetico non dirlo a nessuno, per favore.
Okay, Rin. Dove stai andando?
Devo controllare il modulo geologico. Fa parte dei miei ordini. L’ascensore rispose al mio ping e arrivò 1,5 secondi dopo, intervallo di tempo in cui mi ricordai che avevo detto a Miki che il mio compito era garantire maggiore sicurezza alla squadra di ricerca. Ops.
Fortunatamente, Miki capiva la natura di un ordine e non gli venne in mente di farmi domande. Sta’ attenta, Rin, mi disse Miki. Questo posto ci fa venire la pelle d’oca.
Salii nell’ascensore e gli ordinai di portarmi al modulo geologico centrale. Le porte si richiusero silenziosamente e la cabina scivolò via. Ne seguii il percorso sulla piantina, mentre curvava intorno ai bulbi giganti usati per la dispersione in atmosfera. Riflettei sull’opportunità di dire a Miki che ero lì per raccogliere prove di possibili violazioni riguardanti lo sfruttamento di resti alieni da parte di GrayCris. Niente di ciò che stavo facendo avrebbe causato danno ad Abene, alla squadra o alla GoodNightLander Independent, e avevo già dovuto mentire su tante di quelle cose… Ma sapevo che Miki l’avrebbe subito detto ad Abene. Del resto, la sua squadra non ci avrebbe messo molto a scoprire che c’era qualcosa di losco in quella piattaforma di terraformazione (come la sala di decontaminazione vicino al portellone di arrivo dei passeggeri; se fai terraformazione non serve una zona di lavaggio, ma potrebbe tornarti molto utile se invece vai in cerca di resti biologici alieni). Se però Miki l’avesse detto ad Abene, quest’ultima gli avrebbe chiesto come faceva a saperlo, e io sapevo che Miki le avrebbe detto di me. Non avrebbe mentito a una domanda diretta.
Chi avrebbe mai detto che essere un’efferata macchina assassina avrebbe comportato tutti quei dilemmi morali? (Sì, era proprio sarcasmo.)
L’ascensore si fermò e le sue porte si aprirono su un altro corridoio vuoto e silenzioso. Seguii il percorso e trovai un grosso boccaporto che dava accesso al modulo geologico principale. Si trattava di un ampio spazio semicircolare con una porzione di soffitto che era stata lasciata trasparente. Avevo visto la tempesta attraverso le telecamere di Miki e degli umani, dal corridoio che portava al modulo biologico, ma vederla con i miei occhi, senza l’intermediazione di un’interfaccia, era tutta un’altra cosa: le nuvole erano come una struttura in continuo mutamento, i colori non erano tanto simili a un vortice quanto a una spirale in lento, mastodontico movimento. Era uno spettacolo immenso, spaventoso, tremendo e, al tempo stesso, bellissimo. Rimasi lì impalata per quelli che poi conteggiai come ventidue secondi, fissando il cielo a bocca aperta.
Doveva essere trapelato qualcosa attraverso il feed, perché Miki mi chiese: Cosa stai guardando, Rin?
La sua voce ruppe l’incantesimo. Solo la tempesta. Il modulo geologico ha una cupola trasparente.
Posso vedere anch’io?
Non ci vedevo nulla di male per cui duplicai il video, cancellai qualsiasi codice che potesse identificarmi come SecUnit e la trasferii a Miki via feed. Bello!, disse Miki.
Il robot rimandò il video diverse volte mentre seguiva Abene lungo una passerella. Avevano superato uno snodo di ascensori ma la cabina non era grande abbastanza per ospitarli tutti insieme e Wilken si era intelligentemente rifiutata di dividere il gruppo. Dal feed della telecamera di Wilken individuai dei segnalatori di emergenza fluttuanti che recavano i simboli descrittivi di un potenziale rischio biologico; erano quasi arrivati e dovevo darmi una mossa. Volevo essere di nuovo a bordo della navetta con un bell’episodio di Ascesa e declino di Sanctuary Moon per quando avessero finito la loro perizia del modulo biologico.
Le plance di accesso erano state spente e le unità di memoria asportate del tutto, il che era decisamente più efficace di una semplice cancellazione di sistema. Ma non era lì che avevo intenzione di cercare.
Le piantine mostravano che la piattaforma faceva uso di escavatori (in realtà si trattava di unità di manipolazione geologica semiautonome di… vattelappesca – a quanto pare avevo cancellato la definizione dalla mia memoria fissa. Comunque sia, non sono veri e propri robot; sono semplici estensioni dei sistemi geologici). Gli escavatori hanno una propria unità di memoria a bordo per memorizzare procedure e compiti da svolgere, ma hanno anche la capacità di effettuare scansioni e conservano un registro di quel che rinvengono. Trovai e avviai la loro interfaccia di comando – e in effetti gli escavatori erano ancora lì, rintanati sotto il modulo geologico, raggomitolati in contenitori tre volte più grandi della nostra navetta. Senza il sistema di controllo erano inerti.
Grazie all’interfaccia, fui in grado di procurarmi una copia delle loro unità di memoria senza svegliarli. Qualcuno aveva provveduto a fargli eliminare i propri registri (cosa che avrebbe invalidato la garanzia ma immagino che, dal momento che la piattaforma doveva disgregarsi e cadere sul pianeta, a nessuno interessasse). Sfortunatamente per quel qualcuno, gli escavatori avevano eliminato i propri registri cestinandoli nel buffer ed erano stati spenti prima che il buffer potesse scadere cancellando ogni cosa.
C’erano un sacco di dati ma riuscii a creare una procedura di ricerca per escludere comandi operativi e altra roba estranea. Dovetti impostare una connessione diretta per copiare i dati sulle schede di memoria extra che avevo impiantato, il che significava tirare di nuovo su la pelle intorno al portello dell’arma nell’avambraccio destro. Una volta fatto quello, il resto fu facile. Mi sedetti sul bordo della plancia, rivolta verso il portellone d’ingresso, e feci partire uno dei miei episodi preferiti di Ascesa e declino di Sanctuary Moon in sottofondo, per aiutarmi a far passare il tempo, continuando a tenere aperto un canale per Miki e il feed della squadra.
Avevo appena finito, quando Miki mi disse: Rin, sei tu?
Ero distratta, intenta a mettere in pausa l’episodio e a scollegarmi dalla consolle e dai cervelli addormentati, perlopiù vuoti, degli escavatori. Sapevo che la squadra era ancora all’interno dello snodo che conduceva al modulo biologico (stavano facendo una perizia fisica dell’equipaggiamento per le matrici biologiche, e intanto cercavano di far ripartire le plance di comando), per cui quella domanda mi parve non avere senso. Sono io cosa?
Questo. Miki sembrava confuso, preoccupato. M’inviò un file audio. Si udivano gli umani che parlavano attraverso i loro canali audio, Hirune ed Ejiro; poi Gerth fece un commento.
Una conversazione? Stavano parlando di unità di contenimento che non erano dove sarebbero dovute essere, e non capivo perché Miki fosse confuso. Comunque, io sono ancora nel modulo geologico.
No, Rin. Questo. Miki fece ripartire il file ed escluse i canali audio, attutendo le voci umane fin quasi a zittirle. Era l’audio ambientale; riuscivo a sentire il sistema di ricircolo dell’aria. Sentii anche dei tonfi appena percettibili, veloci come un battito cardiaco… Oh. Oh, merda.
Sprecai 0,002 secondi per inviare un codice sul feed di Miki come se stessi rispondendo a un’altra SecUnit. Ero già al portellone di accesso del modulo geologico prima di rendermi conto che avrei dovuto esprimerlo a voce, o Miki non l’avrebbe capito. Svoltai l’angolo e mi precipitai lungo il corridoio, verso lo snodo degli ascensori. Miki, c’è un’entità sconosciuta/potenzialmente ostile che si sta muovendo verso di voi. Determina la direzione, poi avverti i tuoi clienti, in quest’ordine esatto.
Miki amplificò la scansione e il resto dei suoi sensi si obnubilò mentre concentrava tutta la sua attenzione sul canale audio. Ruotò su se stesso, cercando di allargare il campo di analisi. Io ricevevo ancora le comunicazioni dai feed degli umani e udii Gerth dire: «Che sta facendo, il robottino?».
«Miki, che succede?» chiese Abene.
Rin… Miki smise di cercare di somigliare a un umano e m’inviò una richiesta di soccorso urgente allegata ai dati audio. Avrei dovuto rendermi conto che Miki non era un bot di sicurezza; non aveva installato nessun programma per affrontare la situazione e nessuno gli aveva mai mostrato cosa fare in una situazione di emergenza che includesse la presenza di creature ostili attive e probabilmente senzienti.
Mentre me ne stavo impalata come un’idiota durante i secondi sprecati che quello stupido ascensore impiegava per tornare in posizione, eseguii una rapida analisi e la confrontai con le piantine della piattaforma. Impostai i marcatori di Miki, degli umani e del nemico in avvicinamento, e ributtai il tutto sul feed di Miki. Il robot stava già dicendo: «Don Abene, qualcosa sta venendo verso di noi. Dobbiamo tornare alla navetta attraverso il corridoio esterno». Inoltrò il mio diagramma attivo agli umani.
Salii nell’ascensore non appena si aprirono le porte. Mentre componevo la sequenza di destinazione, paragonai l’audio ambientale che Miki stava ancora processando con la proiezione del mio diagramma. Quella cosa, qualunque cosa fosse, si muoveva molto più rapidamente di quanto non indicasse la mia prima proiezione. Non c’è tempo di ritirarsi, comunicai a Miki. Di’ ai clienti di trovare riparo sul posto e di cercare di sigillare l’area.
Miki disse ad Abene: «Don Abene, è troppo vicina. Dobbiamo restare qui e sigillare il portellone».
Ma Wilken e Gerth avevano finalmente capito cosa stava succedendo e le udii gridare alla squadra di ricerca di ritirarsi lungo il corridoio fino alla navetta.
Non ebbi bisogno di ricontrollare le mie proiezioni. Non sarebbero riusciti ad arrivare in fondo al corridoio. Ecco perché gli umani non dovrebbero mai gestire la sicurezza: le situazioni cambiano troppo in fretta e loro non riescono a stare al passo.
Avevo indirizzato l’ascensore al modulo biologico, lo snodo più vicino alla posizione della squadra. Le porte si aprirono e venni investita da un muro di rumori: grida, colpi di armi a energia diretta. Corsi giù per il corridoio e svoltai l’angolo.
Descriverò la scena per come la ricostruii più avanti dai feed della mia telecamera e di quella di Miki, visto che al momento non facevo che pensare “Oh, merda! Oh, merda!”.
Wilken e Gerth erano riuscite a far uscire il gruppo dallo snodo del modulo biologico e a farlo risalire lungo la passerella fino a un’intersezione con altri tre corridoi – praticamente il punto migliore di tutta la zona per farsi aggredire. Cioè, voglio dire che se io avessi dovuto aggredire qualcuno, non avrei potuto scegliere un punto migliore.
Ma non c’era tempo per fare del sarcasmo, perché Wilken e Gerth stavano già scaricando le proprie armi nel corridoio che si allontanava curvando verso sinistra. Perfino le luci di emergenza erano spente, in quel punto, e feci fatica a individuare immediatamente ciò a cui stavano sparando. Ejiro era addossato alla parete lontana e stava scivolando per terra, come se qualcosa l’avesse spintonato da un lato. Il corridoio di destra portava verso un altro segmento del modulo biologico e vidi il pesante portellone di una camera stagna che si richiudeva. Miki, cercando di seguire le mie istruzioni, l’aveva attivato dal pannello di emergenza sulla paratia. Brais barcollava, come se fosse stata colpita da qualcosa, e Abene l’afferrò per un braccio, sostenendola.
Sembrava che tutti gli umani fossero ancora intatti e che Wilken e Gerth stessero riuscendo a tenere a bada ciò a cui avevano provato a dare in pasto i loro clienti avanzando fin lì come delle sconsiderate – qualsiasi cosa fosse. Feci per ritirarmi. Poi qualcosa si mosse nello spazio che si richiudeva tra il portellone e la paratia. Era troppo veloce perché potessi capire cosa fosse senza riguardare il feed video al rallentatore. Quasi prima che potessi muovermi, la cosa si protese oltre Miki, afferrò Don Abene dal casco e la strattonò verso lo spiraglio.
Quasi prima che potessi muovermi.
Attraversai lo snodo verso di loro, mi chinai superando Miki e Brais, sbattei addosso alla paratia e usai lo slancio per salire di due metri, portandomi all’altezza del corpo di Don Abene. Mi infilai nel varco, piantai un piede sul portellone che si stava richiudendo e spinsi con tutte le mie forze. Sentii che lo sforzo tendeva perfino le mie parti inorganiche; non sarei riuscita a tenerlo aperto a lungo.
Dimenando disperatamente le gambe, Abene colpì Brais e la mandò a terra. Miki fu l’unico abbastanza veloce da reagire. Afferrò il busto di Don Abene e il suo feed era un unico, frenetico grido di aiuto in codice. Io passai un braccio attorno alla vita di Abene, bloccandola per un braccio. Lei con l’altro braccio annaspava, cercando di aggrapparsi a Miki.
Se non avesse indossato la tuta, sarebbe stata dilaniata. E, se il portellone non avesse avuto un sensore di sicurezza che ci dava il tempo di liberarlo dall’ostruzione, sarebbe stata schiacciata. Sprecai tre secondi buoni a cercare di tirar via invano quella specie di ragno che le aveva abbrancato il casco. Era rosso e aveva otto dita con articolazioni multiple – per il momento era tutto ciò che riuscivo a vedere. Poi mi venne in mente la più ovvia delle soluzioni. L’aria era respirabile, e Abene poteva sempre farsi fare un trattamento anticontaminazione fintanto che aveva una testa attaccata al corpo.
Tastai la tuta intorno al collo, rallentata dal fatto che fosse un modello con cui non avevo familiarità, poi le mie dita trovarono il pulsante (se avessi indossato l’armatura non avrei mai fatto in tempo; la copertura in pelle umana delle mie mani è molto più sensibile). Premetti il pulsante e girai, e lo sblocco di emergenza sganciò il casco dalla tuta. Quello rimase incastrato nell’apertura per un intero secondo, o quasi, dandomi il tempo di spingermi via con una torsione improvvisa. Poi la cosa dall’altra parte della fessura lo spinse via e il portellone si richiuse di scatto. Atterrai in piedi con Don Abene tra le braccia; aveva ancora la testa attaccata al corpo.
Lei mi si accasciò addosso, ansante, stringendomi convulsamente la giacca con le mani. Miki era lì accanto che verificava in apprensione il feed dell’amica, con le lunghe dita che le sollevavano delicatamente i capelli per controllarle il collo. «Don Abene» le disse. «Hai bisogno di assistenza medica? Ti prego, Don Abene, di’ qualcosa.»
Gerth e Wilken smisero di far fuoco verso il corridoio e il mio scanner mostrò che, qualsiasi cosa ci fosse stata laggiù, se n’era andata da tempo. «Cosa avete… State…» boccheggiò Brais, ancora sul pavimento.
Ejiro, raggomitolato contro la paratia, gridò: «Abene!».
Io ero intenta a congratularmi da sola (visto che non lo fa mai nessuno) per quell’ottimo salvataggio. La squadra di sicurezza umana aveva a malapena notato che qualcosa aveva cercato di strappare via la testa alla loro cliente. Poi Gerth disse: «Ma quella è una SecUnit!».
Tutti gli umani puntarono lo sguardo verso me e Abene. Ma soprattutto, Wilken e Gerth mi puntarono le armi addosso. Oh, Murderbot, cos’hai combinato?
(Vallo a sapere. Sospetto che abbia qualcosa a che vedere con il fatto che fossi passata dal sentirmi dire quel che dovevo fare e dall’essere costantemente monitorata in ogni mia azione all’avere la possibilità di fare qualsiasi cosa volessi, e, a un certo punto, il controllo della mia impulsività era andato a farsi friggere.)
L’unica via di uscita era ucciderle.
Se l’avessi fatto, avrei dovuto ucciderli tutti. Miki incluso. Abene inclusa. La sua testa ancora attaccata al corpo poggiava sulla mia clavicola, e i suoi capelli erano caldi e soffici nel punto in cui erano in contatto con la mia pelle umana.
Allora, dicevamo… L’unica via di uscita intelligente era ucciderli tutti. Non potevo far altro che scegliere la via d’uscita stupida.
Mi accertai di mantenere un’espressione e un tono di voce neutrali, da SecUnit. «Sono una SecUnit contrattualizzata dalla Consulente per la Sicurezza Rin, inviata dalla GoodNightLander Independent come misura di sicurezza aggiuntiva per la squadra di rilevamento.» Dovevo ammettere di essere una SecUnit; non c’era umano che potesse fare quel che avevo appena fatto. E poi, avevo la manica destra ancora arrotolata, con il portello dell’arma integrata nell’avambraccio bene in evidenza (le parti inorganiche intorno alla porta potevano anche sembrare un aumento progettato per correggere un infortunio, ma la porta stessa non sembra nient’altro se non ciò che è).
A quel punto mi ricordai di Miki e di come gli avessi detto che ero una consulente umana aumentata per la sicurezza. Ero stata nel feed di Miki, avevamo condiviso una connessione molto intima benché avessi mantenuto il firewall attivo. Miki si sarebbe reso conto che la Rin con cui aveva parlato fino ad allora era proprio la SecUnit che ora aveva davanti. Sì, avrei dovuto prendere il controllo totale di Miki quando ne avevo avuta l’occasione; ora non c’era più tempo per farlo.
Per favore, Miki, voglio solo esservi d’aiuto, dissi attraverso il nostro collegamento privato.
Miki inclinò la testa verso di me, poi verso Abene. Lei, ancora in preda allo stordimento – e probabilmente a un trauma cranico –, non mi aveva ancora lasciato andare. Mi fissò, con la fronte aggrottata per la confusione. Io avevo aumentato la mia temperatura corporea, seguendo il protocollo in caso di umani feriti, per cercare di impedire che finisse sotto shock. «Miki…?» balbettò. «Chi è questa?»
«La Consulente per la Sicurezza Rin è mia amica, Don Abene» rispose il robot. «Mi è stato richiesto di non parlarvene per tenervi al sicuro.»
Questa poi. Non era una bugia, ma di sicuro non era nemmeno la verità. Forse Miki aveva delle doti nascoste.
Notai che Gerth scoccava un’occhiata sorpresa a Wilken. Quest’ultima reagì ma mantenne il controllo. Non si dissero niente tramite il loro feed privato. Kader pretese un aggiornamento dalla navetta, chiedendo se la squadra avesse bisogno di assistenza. «Ejiro è ferito» rispose Brais. Si tirò su, tremando e appoggiandosi al muro. «Tutto okay, Abene? Cos’è successo?»
Abene fece per annuire, poi trasalì. Mi diede una pacca sul braccio e si staccò un poco, e io lasciai che si reggesse in piedi da sola. «Sto bene…» Sul feed, comunicò a Kader di mantenere la posizione. Ad alta voce, poi, disse: «Ejiro, sei ferito?».
«La spalla» rispose Ejiro. Il suo tono di voce indicava stress, l’espressione era carica di dolore. D’istinto feci per affidarmi al MedSystem, poi mi ricordai che non ne avevo uno (lo so, ero molto confusa). «Cos’erano quegli affari?» aggiunse Ejiro. «Sono riuscito a vedere soltanto delle forme indistinte.»
Wilken e Gerth tenevano ancora le armi puntate su di me. Don Abene e Miki bloccavano la linea di tiro da quell’angolazione e se Wilken o Gerth si fossero mosse avrei dovuto prendere delle contromisure.
Poi Miki disse: «Don Abene, Hirune non si vede e non risponde né sul feed, né sul canale audio».
Be’, cavolo. Non erano i miei umani, non avevo fatto una conta. Controllai il feed di Hirune, percependo la presenza di Abene, Wilken, Gerth, Brais ed Ejiro, che erano anche loro lì, intenti a chiamarla. Il suo feed era ancora online, ma era inattivo. Significava che era viva ma priva di sensi. Io non rilevavo niente sul mio scanner a corto raggio, e nemmeno Miki.
Udii Vibol che imprecava sul canale audio della navetta, e Kader che le diceva di star zitta e ascoltare.
L’espressione di Abene si fece orripilata. Miki aveva mandato sul feed gli ultimi secondi precedenti il mio arrivo. Andando a passo lento, vidi una forma scura e rapidissima avvicinarsi dal corridoio di accesso al modulo biologico principale, appena una sfumatura spettrale nel campo visivo di Miki mentre azionava il comando per chiudere il portellone. Poi Miki si era voltato per andare nel corridoio che portava alla zona centrale ma ormai era troppo tardi. S’intravedevano soltanto le luci della tuta di Hirune che scomparivano nell’oscurità mentre veniva trascinata via, poi Wilken e Gerth che aprivano il fuoco nel corridoio dove era stata Hirune. Era successo così in fretta che non credo che le due consulenti per la sicurezza si fossero rese conto che il nemico aveva preso Hirune.
Mentre gli umani riguardavano il video sul feed della squadra, Ejiro sembrava sul punto di vomitare e Brais imprecava sottovoce. Abene si voltò verso Gerth e Wilken. «Dobbiamo andare a salvarla. Cosa sono quegli affari che… Perché mi puntate le armi addosso?»
Non stavano puntando le armi contro di lei ma contro di me, che ero alle sue spalle. «Quella è una SecUnit, Don Abene. Deve allontanarsi finché non risolviamo la faccenda. Dov’è questa Rin? Da qualche parte sulla piattaforma? Non corrisponde al briefing ricevuto dalla GoodNightLander Independent.»
Abene era ancora sotto shock ma riuscii quasi a vedere il suo cervello che si riconnetteva. Serrò le mascelle e la sua espressione s’indurì. «Dov’è Hirune?» insisté. «Cos’è stato a prenderla? Dovreste essere voi la nostra squadra di sicurezza.»
Wilken le tenne testa. «Prima di poter andare alla sua ricerca, dobbiamo capire perché ci sia una SecUnit, qui. È una domanda legittima.»
Miki inviò un messaggio al feed di Abene. Per favore, Don Abene, Rin è mia amica. Per favore, di’ che sapevi che Rin era qui.
Pensai che non c’era nessuna chance che Abene credesse alla parola del suo robot da compagnia (per di più, il suo robot da compagnia era rimasto molto sul vago e aveva formulato la sua supplica in modo da non chiarire se la Consulente Rin e la SecUnit fossero in verità la stessa cosa, per cui non è che la sua parola valesse poi molto).
Lo sguardo adirato di Abene passò da Wilken a Gerth. «Non sapevo che Rin sarebbe stata sulla piattaforma» disse. «La GoodNightLander Independent mi ha informato appena prima di partire. La divisione di sorveglianza avrebbe inviato Rin come misura di sicurezza aggiuntiva…» Mi scoccò un’occhiata in tralice. «Ti ha inviato la Consulente Rin?»
Per fortuna non me restai lì impalata come una cretina, sprecando l’assist perfetto che stava provando a servirmi. «Sono la SecUnit a contratto della Consulente Rin. La Consulente Rin è sulla stazione e mi ha inviato sulla piattaforma a bordo della sua navetta.»
«Non ne siamo state informate» disse Gerth. Wilken le scoccò un’occhiataccia. Continuava a non esserci nessuna conversazione tra loro, su nessun feed privato. C’erano molte domande che avrebbero potuto fare. Lo scenario che avevo appena presentato, un cliente che inviava una SecUnit per fornire ulteriori misure di sicurezza a un altro gruppo di clienti, era tecnicamente possibile ma avrebbe violato gli accordi e le regolamentazioni di garanzia della compagnia assicurativa. Gerth si limitò invece a togliermi l’arma di dosso e a puntarla dove avrebbe dovuto, ossia verso il corridoio ancora aperto dove il nemico aveva preso Hirune.
«Non m’importa se non vi hanno informato!» sbottò Abene. «Dobbiamo recuperare Hirune! Brais, riporta Ejiro alla navetta. Gerth, tu va’ con loro. Wilken, puoi darmi una mano oppure darmi una pistola e tornartene alla navetta insieme agli altri.» Poi passò sul feed personale per dire: Kader, informa l’Autorità Portuale di questa situazione. Di’ loro che non sappiamo ancora con esattezza cosa ci abbia aggredito. Di’ loro di fare attenzione a possibili razziatori nella zona. Kader inviò conferma.
Mi piace quando gli umani sono risoluti, non posso farci niente (soprattutto quando è l’umano che propende a non farmi sparare addosso). «La Consulente Rin mi ha dato istruzioni di aiutarvi in ogni modo» dissi. Mantenni lo sguardo fisso su Abene perché ero una SecUnit, ed era quello che avrebbe fatto una SecUnit: parli con il cliente diretto e lasci che quelle con le pistole decidano se sentirsi minacciate o no da quel che dici (dovrebbero, sì; dovrebbero sentirsi molto minacciate).
«Siamo la vostra squadra di sicurezza, Don Abene» si affrettò a dire Wilken. «Certo che verremo con voi. Ma dovreste tornare tutti alla navetta insieme a Gerth, e io andrò alla ricerca di Hirune insieme alla SecUnit di Rin.»
Ejiro si rialzò in piedi con difficoltà; Brais gli passò sotto al braccio buono e lo aiutò a tirarsi su. Poi disse: «Abene, sono sul feed con Kader. Vibol sta preparando l’infermeria».
Visto che ora ero la SecUnit della situazione, dissi: «Non usate gli ascensori. Il nemico potrebbe prendere il controllo del sistema per portare l’ascensore fino alla propria posizione».
«Lo so» sbottò Gerth.
Lo so che lo sai, stronza.
Brais annuì e promise: «Niente ascensori». Poi disse ad Abene: «Per favore, fate attenzione».
«Anche voi» rispose lei. «Tenetevi in contatto costante con Kader.» Si voltò verso Wilken. «Non ho tempo per discutere. Dobbiamo andare.»
Miki si girò e s’incamminò verso il corridoio aperto. Gerth dovette scansarsi. Abene raccolse il casco e seguì Miki. Wilken esitò ma inviò a Gerth un colpetto sul feed. Gerth fece segno a Ejiro e Brais. «Forza, andrà tutto bene.»
Attesi che Wilken seguisse Abene, allungando poi il passo per superarla e mettersi in testa al gruppo. Io mi portai al fianco di Abene e misi in background il feed di Brais per continuare a tenere d’occhio il gruppo che rientrava alla navetta.