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Gli umani avevano dibattuto su dove fosse meglio andare. O, quantomeno, avevano dibattuto il più possibile, mentre calcolavano freneticamente quanto di ciò che sarebbe potuto servire alla loro sopravvivenza si riusciva a caricare sugli hopper. Sapevamo che la squadra che Ratthi aveva soprannominato “i Ricognitori del Male” aveva avuto accesso all’HubSystem e conosceva tutti i luoghi in cui eravamo andati in perlustrazione. Dovevamo dunque andare in un posto nuovo.

Ci dirigemmo verso un punto che Overse e Ratthi avevano proposto dopo una rapida occhiata alla mappa. Era una serie di colline rocciose, circondate da una fitta giungla tropicale densamente popolata da un gran numero di animali, quanto bastava da confondere gli scanner termici. Mensah e Pin-Lee fecero abbassare gli hopper e li guidarono cautamente tra gli speroni rocciosi. Inviai alcuni droni in avanscoperta per controllare la zona da diverse angolazioni e adeguammo la posizione degli hopper più di una volta. Dopodiché impostai un perimetro.

Non sembrava un luogo sicuro, e benché sugli hopper avessimo un paio di kit di alloggi d’emergenza nessuno suggerì che li montassimo. Gli umani sarebbero rimasti a bordo degli hopper, per il momento, comunicando tramite il canale audio e la piccola rete locale dei mezzi. Non sarebbe stato facile, per loro (le zone sanitarie e igieniche erano piccole e limitate, tanto per dirne una), ma sarebbero stati più al sicuro. I nostri scanner rilevavano il movimento di fauna di grandi e piccole dimensioni, curiosa e potenzialmente pericolosa quanto i tizi che volevano uccidere i miei clienti.

Feci uscire alcuni droni in esplorazione per assicurarmi che non ci fosse segno di creature sufficientemente grosse da trascinare via l’hopper più piccolo nel cuore della notte. Colsi l’occasione per un momento di riflessione.

Sapevano del modulo di controllo – o della sua assenza – e, anche se Mensah aveva giurato di non denunciarmi, dovevo pensare al da farsi.

È sbagliato considerare un costrutto come metà robot e metà umano. In questo modo sembra che le due parti siano distinte, come se la metà robot dovesse voler obbedire agli ordini e fare il suo lavoro, e la metà umana dovesse pensare a proteggersi e a tirarsi fuori dai casini. La realtà era ben diversa, ossia che ero un’unica entità profondamente confusa, senza un’idea di ciò che volessi fare. Di ciò che avrei dovuto fare. Di ciò che era necessario fare.

Suppongo che avrei potuto lasciare che se la sbrigassero da soli. Immaginai di farlo, immaginai Arada o Ratthi intrappolati dalle SecUnit ribelli e mi sentii rivoltare lo stomaco. Odio provare emozioni per il mondo reale; preferisco di gran lunga emozionarmi per Sanctuary Moon.

E poi, cosa avrei dovuto fare? Vagare per quel pianeta disabitato e andare avanti finché le mie batterie non si fossero esaurite? Se davvero avessi voluto fare una cosa del genere, avrei dovuto pianificarla meglio e scaricare più file multimediali. Non credo che avrei potuto salvarne in memoria abbastanza da coprire l’intera durata delle mie batterie. Le mie specifiche indicavano che mancavano ancora centinaia di migliaia di ore.

E comunque, a me per prima pareva una cosa stupida da fare.

Overse aveva installato dei sensori remoti che ci avrebbero messo in allarme se qualcuno avesse provato a scansionare l’area. Feci un rapido conteggio via feed mentre gli umani tornavano a bordo dei due hopper, accertandomi che fossero ancora tutti presenti. Mensah mi aspettò sulla rampa, facendomi segno che voleva parlarmi in privato.

Io misi in pausa il feed e il canale audio e lei mi disse: «So che ti trovi meglio con la visiera oscurata, ma la situazione è cambiata. Dobbiamo poterti vedere in faccia».

Non avrei voluto farlo. In quel momento meno che mai. Sapevano troppe cose di me. Ma avevo bisogno della loro fiducia per tenerli in vita e continuare a fare il mio lavoro. Un lavoro fatto bene, stavolta, non a tirar via com’era stato prima che cercassero di far fuori i miei clienti. Non avrei comunque voluto rinunciare alla visiera. «Di norma, è meglio che gli esseri umani mi vedano come un robot» protestai.

«In circostanze normali, forse.» Mensah volgeva lo sguardo da un lato, senza cercare di guardarmi dritto negli occhi, cosa che apprezzai. «Ma questa situazione è diversa. Sarebbe meglio se potessero vederti come una persona che sta cercando di dare una mano. Perché è così che ti vedo io.»

Mi sentii sciogliere il cuore. Non saprei dirlo in altro modo. Dopo un lungo momento, quando ripresi il controllo della mia espressione, schiarii la visiera e la feci rientrare nella corazza insieme al casco.

«Grazie» mi disse mentre la seguivo a bordo dell’hopper.

Gli altri stavano riorganizzando gli equipaggiamenti e le riserve che erano stati buttati dentro alla rinfusa prima del decollo. «… Se ripristinano le funzioni del satellite» stava dicendo Ratthi.

«Non si arrischieranno a farlo finché… Finché non ci beccano» disse Arada.

Dal canale audio giunse un sospiro di Pin-Lee, rabbiosa e frustrata. «Se soltanto sapessimo chi sono questi stronzi…»

«Dobbiamo decidere la nostra prossima mossa.» Mensah interruppe le chiacchiere e si posizionò in fondo alla cabina, da dove poteva vedere tutto lo scompartimento. Gli altri si sedettero davanti a lei; Ratthi fece voltare uno dei sedili mobili. Io mi accomodai sulla panca addossata alla parete di dritta. Il feed ci restituiva la visuale della cabina dell’hopper più piccolo, con il resto della squadra che ci confermava di essere all’ascolto. Mensah continuò a parlare. «C’è un’altra domanda a cui mi piacerebbe dare risposta.»

Gurathin mi scoccò un’occhiata. Non sta parlando di me, idiota.

Ratthi annuì cupa. «Perché? Perché lo fanno? Che interesse hanno?»

«Deve avere a che fare con quelle sezioni cancellate dalla mappa» disse Overse. Stava richiamando le immagini in memoria sul suo feed. «È chiaro che da quelle parti dev’esserci qualcosa su cui vogliono mettere le mani, qualcosa che non volevano che fosse scoperto né da noi, né da DeltFall.»

Mensah seguì il filo del ragionamento. «L’analisi vi ha restituito qualche risultato?»

Arada si consultò rapidamente via feed con Bharadwaj e Volescu. «Non ancora, ma non abbiamo terminato tutti i test. Non abbiamo trovato niente d’interessante, finora.»

«Si aspettano davvero di farla franca?» Ratthi si voltò verso di me, come se si aspettasse una mia risposta. «È ovvio che siano in grado di hackerare i sistemi e il satellite della compagnia, e che poi abbiano intenzione di far ricadere la colpa sulle SecUnit, ma… Ci sarà di sicuro un’indagine approfondita. Non possono non saperlo.»

C’erano troppi fattori in gioco e troppe cose che non sapevamo, ma di norma dovevo sempre rispondere a una domanda diretta e, anche senza il modulo di controllo, le abitudini erano dure a morire. «Potrebbero essere convinti che la compagnia e i vostri beneficiari, chiunque essi siano, non indagheranno oltre la questione delle SecUnit ribelli. Tuttavia, non possono far sparire due squadre di ricognizione a meno che i loro rispettivi referenti corporativi e politici non se ne disinteressino. A quello di DeltFall interessa? E al vostro?»

Per chissà quale motivo, a quelle parole mi fissarono tutti. Al punto che dovetti voltarmi verso il portellone. Sentii un’urgenza tale di rimettermi il casco che le mie parti organiche cominciarono a sudare, ma rammentai la conversazione con Mensah e riuscii a non farlo.

«Non sai chi siamo?» disse Volescu. «Non te l’hanno detto?»

«C’era un dossier informativo nel mio download iniziale.» Continuavo a fissare fuori, verso la fitta, intricata vegetazione oltre le rocce. Non avrei voluto parlare di quanto poco peso dessi al mio incarico. «Non l’ho letto.»

«Perché no?» mi chiese Arada, con tono gentile.

Con i loro sguardi fissi su di me non riuscii a inventarmi una menzogna credibile. «Non m’interessava.»

«E ti aspetti che ci crediamo?» disse Gurathin.

Sentii il mio viso muoversi, la mascella serrarsi. Reazioni fisiche che non riuscivo a sopprimere. «Cercherò di essere più precisa: ero indifferente e vagamente annoiata. A questo ci credi?»

«Perché non vuoi che ti guardiamo?» mi incalzò.

Avevo la mascella talmente stretta che fece attivare una spia di malfunzionamento sul mio feed. «Non serve che mi guardiate. Non sono un sexbot» risposi.

Ratthi emise un verso a metà tra un sospiro e uno sbuffo di esasperazione. Non era rivolto a me. «Te l’ho già detto, Gurathin: è timida.»

«Non vuole interagire con gli umani» aggiunse Overse. «E perché dovrebbe? Dovresti sapere come vengono trattati i costrutti, soprattutto negli ambienti corporativi e politici».

Gurathin si voltò verso di me. «Per cui non hai un modulo di controllo ma potremmo punirti noi, semplicemente guardandoti con insistenza.»

Io lo fissai dritto negli occhi. «Probabilmente sì. Finché non mi tornasse in mente che ho delle armi impiantate nelle braccia.»

«Ecco fatto, Gurathin» intervenne Mensah, con un velo d’ironia nella voce. «Ti ha minacciato ma non ha fatto ricorso alla violenza. Soddisfatto, adesso?».

Gurathin si appoggiò allo schienale. «Per adesso.» Quindi mi stava mettendo alla prova. Wow… Davvero coraggioso. E molto, molto stupido. Poi mi disse: «Voglio assicurarmi che tu non sia sotto nessun tipo di influenza esterna».

«Basta così.» Arada si alzò e mi si sedette accanto. Io non volevo spingerla da parte, per cui il suo gesto mi relegò all’angolo. Poi disse: «Devi darle tempo. Non ha mai interagito con degli umani come soggetto indipendente, finora. Questa è un’esperienza formativa per tutti noi».

Gli altri annuirono, come se avesse detto qualcosa di sensato.

Mensah m’inviò un messaggio privato tramite il feed: Spero che vada tutto bene.

Ovvio, perché avete bisogno di me. Non so da dove mi fosse venuta, quella risposta. Sì, veniva da me – ma lei era una mia cliente, io una SecUnit. Non c’era nessun contratto emotivo tra di noi. Non avevo nessun motivo razionale per comportarmi come un’isterica bamboccia umana.

Certo che ho bisogno di te. Non mi sono mai trovata in una situazione del genere. Nessuno di noi ci si è mai trovato. A volte gli umani non riescono a impedire che le loro emozioni traspaiano dal feed. Era furiosa e impaurita; non ce l’aveva con me ma con quelli con cui avevamo a che fare, che uccidevano a quel modo, pronti a massacrare un’intera squadra di ricognizione lasciando che la colpa ricadesse sulle SecUnit. Era agitata dalla rabbia, benché sul suo viso non mostrasse altro che una calma preoccupazione. Percepii la sua determinazione attraverso il feed. Sei l’unica, qui, che non si farà prendere dal panico. Più questa situazione andrà avanti, più gli altri… Dobbiamo restare uniti, usare la testa.

Verissimo. E io potevo essere d’aiuto semplicemente continuando a essere la loro SecUnit. Ero quella che avrebbe dovuto tenere tutti al sicuro. Mi faccio prendere dal panico in continuazione, solo che non lo vede, le dissi. Aggiunsi il significante testuale di “scherzo”.

Lei non rispose ma abbassò gli occhi, sorridendo tra sé e sé.

Ratthi intanto stava dicendo: «C’è un’altra questione: dove si trovano? Sono venuti verso il nostro habitat da sud, ma questo non ci dà altre indicazioni».

«Ho lasciato tre droni giù all’habitat» dissi io. «Con l’HubSystem disabilitato i loro rilevatori non funzioneranno, ma la registrazione audio e video sì. Potrebbero raccogliere informazioni in grado di rispondere a questa domanda.»

Avevo lasciato un drone su un albero con una visuale a distanza dell’habitat, un altro sistemato sotto la tettoia telescopica dell’ingresso e uno all’interno della sala comune, nascosto sotto una plancia. Erano impostati in modalità di registrazione a basso consumo, cosicché, quando i Ricognitori del Male avessero effettuato una scansione, i droni si sarebbero confusi con il resto dell’energia proveniente dal sistema ambientale dell’habitat. Non avevo potuto collegare i droni al SecSystem, come facevo di solito, per far sì che memorizzassero il materiale sensibile filtrando le parti non rilevanti. Sapevo che i Ricognitori del Male avrebbero cercato anche quello, motivo per cui avevo scaricato la memoria del SecSystem nel sistema dell’hopper grande e poi l’avevo cancellata.

Inoltre, non volevo che sapessero di me più di quanto già non sapevano.

Mi stavano di nuovo fissando tutti quanti, sorpresi che Murderbot fosse in grado di pianificare. Non potevo biasimarli, francamente. I nostri moduli educativi non contenevano niente del genere – era solo uno dei modi in cui tutti i thriller e le avventure che avevo guardato o letto cominciavano finalmente a tornare utili. Mensah inarcò un sopracciglio, ammirata. «Da quaggiù però non puoi ricevere il loro segnale» disse.

«No, dovrò tornare per recuperare i dati» risposi.

Pin-Lee si sporse verso l’obiettivo della telecamera dell’hopper più piccolo. «Dovrei essere in grado di attaccare uno dei rilevatori piccoli a un drone. Sarà ingombrante e lento ma dovrebbe poterci far avere qualcosa di più che soltanto audio e video.»

Mensah annuì. «Fallo, ma ricordati che le nostre risorse sono limitate.» Mi contattò via feed per parlare con me senza guardarmi direttamente. «Quanto tempo pensi che resterà nel nostro habitat, quest’altra squadra?»

Volescu, nell’altro hopper, emise un gemito. «Tutti i nostri campioni! Abbiamo recuperato i dati, ma se distruggono il nostro lavoro…»

Gli altri gli si accodarono, esprimendo frustrazione e preoccupazione. Io li silenziai sul feed e risposi a Mensah. Non credo che resteranno a lungo. Non c’è niente che li interessi, lì.

Per un attimo, Mensah lasciò trapelare i suoi timori. «Perché è noi che vogliono» disse piano.

Anche in quel caso, aveva ragione da vendere.

Mensah stabilì dei turni di guardia, includendo un periodo di riposo per me per consentirmi di mettermi in stand-by, fare una verifica diagnostica e un ciclo di ricarica. Avevo intenzione di usare quel tempo anche per guardare qualche episodio di Sanctuary Moon e ricalibrare la mia abilità di interagire con gli umani nello stretto senza perdere la testa.

Una volta che gli umani si furono sistemati – c’era chi dormiva e chi si concentrava sui propri feed – pattugliai il perimetro e controllai i droni. La notte era più rumorosa del giorno ma, fino a quel momento, agli hopper non si era avvicinato niente di più grosso che qualche rettile e nugoli di insetti. Quando rientrai dal portellone dell’hopper grande trovai Ratthi di guardia, seduto in cabina di pilotaggio e intento a tenere d’occhio i rilevatori. Attraversai la zona dell’equipaggio e mi sedetti accanto a lui. Mi salutò con un cenno del capo e disse: «Tutto bene?».

«Sì.» Non avrei voluto, ma dovevo chiederglielo. Quando ero alla ricerca di uno spazio di archiviazione per salvare tutti i miei file d’intrattenimento, il pacchetto informativo era tra i file che avevo cancellato (lo so, lo so… È che sono abituata ad avere sempre memoria extra sul SecSystem). Tenendo a mente le parole di Mensah, feci ritrarre il casco. Con Ratthi da solo era più facile, tanto più che entrambi fissavamo la plancia. «Perché avete trovato strano che chiedessi se il vostro referente politico si sarebbe preoccupato per voi?»

Ratthi sorrise senza distogliere lo sguardo dalla plancia. «Perché il nostro referente politico è la dottoressa Mensah.» Accennò un gesto, con il palmo verso l’alto. «Veniamo da Preservation Alliance, una delle entità a sistema non corporativo. La dottoressa Mensah è l’attuale amministratore del comitato direttivo. È una carica soggetta a elezione, con un mandato a termine. Uno dei nostri princìpi, però, è che i nostri amministratori debbano anche continuare a svolgere il proprio lavoro, qualunque esso sia. Il suo incarico prevedeva che svolgesse questa prospezione, per cui ora è qui, e noi con lei.»

Già. Mi sentivo un po’ una stupida. Stavo ancora abituandomi all’idea, quando mi disse: «Nei territori controllati dall’Alleanza i robot sono considerati cittadini a pieno titolo, sai. E un costrutto avrebbe gli stessi diritti». Lo disse come se mi stesse dando un consiglio.

Come no. I robot considerati “cittadini a pieno titolo” devono comunque avere un tutore umano, o umano aumentato – solitamente il loro datore di lavoro; l’avevo imparato dai feed notiziari. E dal canale d’intrattenimento, dove i robot erano tutti serventi soddisfatti o segretamente innamorati dei loro tutori. L’avrei trovato molto più interessante se avessero mostrato dei robot che si dilettavano guardando il canale d’intrattenimento per tutto il ciclo diurno, senza nessuno che cercasse di farli parlare dei loro sentimenti. «Ma la compagnia sa chi è?»

Ratthi sospirò. «Oh, sì. Lo sa bene. Non hai idea di quanto abbiamo dovuto pagare per garantire la concessione di ricerca. Quei bastardi corporativi sono dei veri ladri.»

Significava che, se mai fossimo riusciti a lanciare il segnale d’emergenza, la compagnia non avrebbe traccheggiato e avrebbe subito fatto arrivare il mezzo di ritorno. Nessuna mazzetta dei Ricognitori del Male avrebbe potuto impedirlo. Era perfino possibile che inviassero una navetta di sicurezza più veloce per controllare quale fosse il problema prima dell’arrivo della nave di rientro. La tariffa assicurativa per un leader politico era alta, ma il risarcimento a carico della compagnia se gli fosse successo qualcosa era inimmaginabile. L’enormità della somma, l’essere umiliati di fronte alle altre compagnie e sui feed d’informazione… Mi appoggiai allo schienale e richiusi il casco per pensarci su.

Non sapevamo chi fossero i Ricognitori del Male, con chi avessimo a che fare. Ma scommetto che neanche loro sapevano chi fossimo noi. Lo status di Mensah era specificato soltanto nel pacchetto informativo di servizio memorizzato sul SecSystem, a cui non avevano mai avuto accesso. Le indagini da ambo le parti, se ci fosse capitato qualcosa, sarebbero state per forza di cose molto approfondite; la compagnia avrebbe disperatamente cercato qualche cavillo a cui appigliarsi, e i beneficiari avrebbero fatto di tutto per addossare la piena responsabilità alla compagnia. Nessuno si sarebbe fatto ingannare a lungo dalla messinscena delle SecUnit ribelli.

Non vedevo come poter usare la cosa a nostro vantaggio – non al momento, perlomeno. Sapere che la stupida compagnia li avrebbe vendicati se/quando fossero stati tutti assassinati non mi era di conforto, ed ero piuttosto certa che non sarebbe stato di conforto nemmeno per gli umani.

A metà pomeriggio del giorno successivo mi preparai a far volare l’hopper più piccolo nelle vicinanze dell’habitat, sperando di poter recuperare qualche informazione utile dai droni. Avrei preferito andare da sola ma, visto che nessuno mi dava mai retta, sarebbero venuti anche Mensah, Pin-Lee e Ratthi.

Quella mattina mi sentivo depressa. Avevo cercato di guardare qualche nuova serie la sera prima ma neanche quelle erano riuscite a distrarmi; la realtà era troppo invasiva. Era difficile non pensare che ogni cosa sarebbe andata storta, che sarebbero morti tutti e che sarei stata fatta a pezzi o mi avrebbero ficcato in corpo un altro modulo di controllo.

Gurathin mi venne incontro mentre ero intenta ai controlli pre-decollo e disse: «Vengo con voi».

Mi ci mancava solo quella. Finii il controllo delle batterie. «Pensavo fossi soddisfatto.»

Gli ci volle un momento per cogliere. «Già, quello che ho detto ieri sera…»

«Ricordo ogni singola parola che mi sia mai stata detta.» Era una bugia. Che senso avrebbe? Ne cancello la maggior parte dalla memoria interna.

Lui non aggiunse altro. Via feed, Mensah mi disse che non ero costretta a portarlo con me se non volevo, o se pensavo che potesse compromettere la sicurezza della squadra. Sapevo che Gurathin voleva mettermi di nuovo alla prova ma, se qualcosa fosse andato storto e ci fosse rimasto secco, non mi sarebbe dispiaciuto quanto per gli altri. Avrei voluto che Mensah, Pin-Lee o Ratthi non fossero della partita; non volevo rischiare la loro incolumità. Senza contare che magari a Ratthi sarebbe venuto in mente di farmi parlare dei miei sentimenti durante quel lungo tragitto.

Dissi a Mensah che per me non c’era problema e ci preparammo al decollo.

Decisi di prendermi un po’ di tempo per fare il giro da ovest, cosicché, se i Ricognitori del Male ci avessero individuato, non sarebbero riusciti a localizzare gli altri umani sulla base della nostra rotta. Quando fui in posizione per l’avvicinamento all’habitat, la luce del giorno stava già svanendo. Il nostro arrivo nella zona prestabilita sarebbe avvenuto a notte fonda.

Gli umani non avevano dormito granché la notte prima, per via del sovraffollamento e della possibilità concreta di una morte imminente. Mensah, Ratthi e Pin-Lee erano troppo stanchi per continuare a parlare e si erano addormentati. Gurathin si era accomodato sul sedile del copilota e non aveva detto una parola per tutto il tragitto.

Volavamo in modalità fantasma, senza luci né radio. Io ero collegato al feed interno dell’hopper per poter controllare con attenzione i dati di volo. Gurathin era cosciente di quel feed attraverso il proprio impianto – riuscivo a percepire la sua presenza – ma non lo usava, se non per tenere d’occhio la nostra posizione.

Quando disse: «Ho una domanda da farti», trasalii. Il silenzio, fino a quel momento, mi aveva cullato in un’ingannevole sensazione di sicurezza.

Non lo guardai, anche se dal feed sapevo che lui guardava me. Non avevo chiuso il casco; non mi andava di nascondermi da lui. Dopo un istante, mi resi conto che stava aspettando che gli dessi il permesso di parlare. Era una strana novità. Ero tentata di ignorarlo ma mi chiedevo in che modo avesse intenzione di mettermi alla prova, stavolta. Forse era qualcosa che non voleva che gli altri sentissero? «Spara» dissi io.

«Ti hanno punita per la morte della squadra mineraria?»

Non era del tutto inatteso. Credo che volessero chiedermelo tutti, ma forse Gurathin era l’unico abbastanza ruvido da farlo. O abbastanza coraggioso. Un conto è punzecchiare un murderbot con un modulo di controllo attivo, ma provocare un murderbot ribelle è tutto un altro paio di maniche.

«No» risposi io. «Non come pensi. Non come sarebbe stato castigato un umano. Mi hanno spenta per un po’, poi mi hanno rimesso in linea a intervalli.»

Lui esitò. «Ma tu te ne rendevi conto?»

Già, così sarebbe stato facile uscirne, no? «Le parti organiche erano perlopiù addormentate, ma non sempre. Capivo che stava succedendo qualcosa. Stavano cercando di cancellarmi la memoria. Siamo troppo costose per essere distrutte.»

Lui guardò di nuovo fuori. Volavamo bassi sopra gli alberi, e molta parte della mia attenzione era dedicata ai sensori di altitudine. Sentii il tocco lieve della presenza di Mensah tramite il feed. Doveva essersi svegliata mentre Gurathin parlava. Lui finalmente aggiunse: «Non ce l’hai con gli umani per quello che sei stata costretta a fare? Per quello che ti è capitato?».

Ecco perché sono felice di non essere umana. Se ne escono con storie come quella. «No» risposi. «È una cosa da umani. I costrutti non sono tanto stupidi.»

Che avrei dovuto fare? Ammazzare tutti gli umani perché quelli che erano a capo della sezione costrutti della compagnia erano dei senza cuore? Certo, le persone immaginarie del canale d’intrattenimento mi piacevano molto di più di quelle reali, ma non si poteva avere le une senza le altre.

Gli altri cominciarono a muoversi, svegliandosi e mettendosi a sedere, e Gurathin smise di farmi domande.

Quando arrivammo in prossimità della nostra destinazione non c’erano nuvole a velare la notte e l’anello planetario brillava nel cielo come un nastro. Avevo già ridotto la velocità e ci stavamo muovendo lentamente sopra la boscaglia rada che decorava le colline a margine della spianata dell’habitat. Ero in attesa che i droni m’inviassero un ping, cosa che avrebbero fatto se il mio piano avesse funzionato e i Ricognitori del Male non li avessero scoperti.

Fermai l’hopper e lo feci scendere sotto la linea degli alberi non appena sentii un primo cauto contatto sul mio feed. Atterrai sul fianco di una collina e l’hopper allungò le zampe telescopiche per compensare il dislivello. Gli umani erano in attesa, impazienti e con i nervi a fior di pelle, ma nessuno disse una parola. Dalla nostra posizione non si riusciva a vedere niente oltre alla collina accanto e a un sacco di tronchi d’albero.

I droni erano ancora attivi, tutti e tre. Risposi al ping e cercai di far sì che la trasmissione fosse più rapida possibile. I download iniziarono dopo un breve istante di tensione. Dai marcatori temporali mi avvidi che, senza nessuno che desse loro istruzioni diverse, i droni avevano registrato ogni cosa, da quando li avevo posizionati fino a quel momento. Erano parecchi dati, anche se la parte che ci interessava di più doveva trovarsi verso l’inizio. Non volevo restare lì tanto a lungo da esaminarli di persona, per cui ne girai metà sul feed di Gurathin. Lui non disse niente, ancora una volta; si limitò ad appoggiarsi allo schienale del sedile, chiudendo gli occhi, e cominciò a studiare le immagini.

Controllai per primo il drone posizionato sull’albero, facendo procedere il video ad alta velocità finché non individuai il momento in cui aveva colto una buona inquadratura del velivolo dei Ricognitori del Male.

Si trattava di un grosso hopper, un modello più nuovo del nostro, senza nessun tipo di segno particolare. Aveva fatto il giro dell’habitat diverse volte, probabilmente per analizzare l’area, poi si era posato sulla nostra base di atterraggio vuota.

Non vedendo nessun velivolo e non ricevendo nessuna risposta ai loro tentativi di comunicazione, dovevano aver capito che eravamo fuggiti, per cui non si erano presi il disturbo di far finta di essere lì per chiedere strumenti in prestito o per uno scambio di informazioni. Dalle baie di carico erano scese al volo cinque SecUnit, tutte armate con i fucili di grosso calibro in dotazione alla sicurezza per proteggere le squadre di prospezione sui pianeti abitati da fauna pericolosa, come quello su cui ci trovavamo. Dallo stemma sui pettorali delle corazze, due di loro erano le SecUnit sopravvissute di DeltFall. Dovevano essere state messe nei cubicoli dopo la nostra ritirata dal loro habitat.

Tre unità appartenevano invece ai Ricognitori del Male e portavano un logo grigio quadrato. Io lo studiai con attenzione e lo inviai agli altri. «GrayCris» lesse Pin-Lee, ad alta voce.

«Ne avete mai sentito parlare?» chiese Ratthi; gli altri risposero di no.

Tutte e cinque le SecUnit dovevano avere un modulo di combattimento. Si erano dirette verso l’habitat e cinque umani, del tutto anonimi e con indosso le loro tute dai colori identificativi, erano scesi dall’hopper e le avevano seguite. Anche gli umani erano tutti armati; impugnavano le pistole fornite dalla compagnia, da usarsi soltanto in caso di emergenze provocate dalla fauna locale.

Ingrandii il più possibile l’inquadratura sugli umani senza compromettere la qualità dell’immagine. Erano rimasti a lungo a effettuare rilevamenti in cerca di trappole, il che mi rese ancor più felice di non aver perso tempo a piazzarne. Ma c’era qualcosa, in loro, che mi faceva pensare che non fossero professionisti. Non erano soldati, non più di quanto non lo fossi io. E le loro SecUnit non erano unità da combattimento ma semplici addetti alla sicurezza forniti dalla compagnia. Fu un bel sollievo. Perlomeno, non ero l’unico pesce fuor d’acqua.

Finalmente li vidi entrare nell’habitat, lasciando fuori due SecUnit a guardia dell’hopper. Contrassegnai quel punto del video, lo trasferii a Mensah e agli altri perché lo vedessero anche loro, poi continuai a guardare.

Gurathin si rizzò improvvisamente a sedere e borbottò un’imprecazione in una lingua che non conoscevo. L’annotai per andare a cercarla in un secondo momento nella banca dati linguistica dell’altro hopper. Poi me ne dimenticai quando disse: «Abbiamo un problema».

Misi in pausa il video che avevo scaricato io e guardai lo spezzone che aveva contrassegnato lui. Proveniva dal drone nascosto nella sala comune.

Nel video si vedeva l’immagine sfocata di una trave curva ma l’audio conteneva una voce umana che diceva: «Sapevate che stavamo arrivando, per cui immagino che abbiate modo di osservarci mentre siamo qui». La voce parlava l’idioma standard ed era priva di accento. «Abbiamo distrutto il vostro segnalatore di emergenza. Presentatevi a queste coordinate…» Comunicò longitudine e latitudine, che l’hopper mi aiutò a tradurre sulla mappa, e un marcatore temporale. «… In quest’orario, e cercheremo di trovare un accordo. Non deve per forza finire male. Saremo lieti di risarcirvi in denaro, o qualsiasi altra cosa vogliate.»

Non c’era altro, solo passi che si allontanavano fino alla chiusura del portellone.

Gurathin, Pin-Lee e Ratthi cominciarono a parlare tutti insieme. «Silenzio» intimò Mensah. Gli altri tacquero. «SecUnit, qual è la tua opinione?»

Per fortuna ne avevo una, adesso. Fino al momento in cui avevamo recuperato i video dai droni, la mia opinione era “oh, merda”. «Non hanno niente da perdere» dissi. «Se ci presentiamo all’appuntamento, possono ucciderci e smetterla di preoccuparsi di noi. Se non ci andiamo, hanno tempo fino alla data di conclusione del progetto per trovarci.»

Gurathin era passato al video del loro atterraggio. «Un altro indizio che non si tratta della compagnia» disse. «È ovvio che non vogliano darci la caccia fino alla data di conclusione del progetto.»

«Ve l’avevo detto che non era la compagnia» dissi io.

Mensah interruppe Gurathin prima che potesse replicare. «Pensano che sappiamo perché sono qui e che cosa stanno facendo.»

«Be’, si sbagliano» disse Ratthi, demoralizzato.

La fronte di Mensah si aggrottò mentre analizzava il problema a beneficio degli altri umani. «Ma perché lo pensano? Dev’essere perché siamo andati in una delle zone non mappate. Questo significa che i dati raccolti devono contenere una qualche risposta.»

Pin-Lee annuì. «Quindi gli altri ormai potrebbero saperla.»

«Questo ci dà un qualche vantaggio» disse Mensah, pensierosa. «Ma in che modo possiamo usarlo?»

Fu a quel punto che mi venne un’ideona.