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Ora che sapevo dove stavamo andando, era molto più facile arrivarci. Ci portammo alla piattaforma degli ascensori più vicina e spesi un minuto buono a escludere il mio ascensore dal sistema con del codice protetto e a rendere i suoi movimenti invisibili al resto degli ascensori (sembra una cosa ovvia da fare ma il problema è che, se gli altri ascensori non possono vedere il tuo ascensore, potrebbero tentare di occupare lo spazio in cui sei tu – con conseguente danno catastrofico per gli occupanti della cabina).
Feci dapprima salire il drone per assicurarmi che non ci fosse nessuno ad aspettarci fuori dal modulo geologico, poi portai su Miki, Abene e Hirune. Raggiungemmo lo snodo del modulo ed entrammo sotto la cupola trasparente, sovrastati da turbinanti nubi di tempesta. Sigillai i portelloni e impostai i codici di chiusura, più che altro per far stare più tranquille le umane. I robot da combattimento avrebbero potuto abbatterli con la forza, mettendocisi d’impegno, soprattutto se si fossero concentrati in tre su un unico portellone. Speravo che avessero intenzione di tenderci una trappola mentre andavamo verso la navetta; non era comunque una bella prospettiva ma ci avrebbe perlomeno fatto guadagnare un po’ di tempo. Inviai il drone in avanscoperta nei corridoi di accesso che portavano alla navetta per vedere se fosse riuscito a individuare il punto d’imboscata dei robot (non pensavo che i robot avrebbero usato gli ascensori, quand’anche avessero ripreso il controllo del sistema, dal momento che dovevano aver anticipato ciò che era in grado di fare una SecUnit. Dissi comunque al mio ascensore invisibile di spostarsi casualmente per tutta la piattaforma, per buona misura; valeva la pena tentare).
A ogni modo, il primo passo per riportarci a bordo della navetta era far scendere Gerth.
Mi venne in mente che, con un po’ di aiuto, avrei potuto fare prima. Miki aveva adagiato Hirune, ancora in stato di semi incoscienza, su uno dei sedili imbottiti della consolle, mentre Abene tirava fuori il kit di emergenza dall’imbracatura e ci frugava dentro. «Cercherò di effettuare un collegamento con il feed della vostra navetta tramite i canali delle tute in plancia di comando» dissi, «ma ho bisogno di attivare questa stazione di controllo. Ci sono degli escavatori, ancora collegati alla piattaforma, che potrebbero tornarci utili contro i robot da combattimento.» Non era esattamente quello che intendevo fare con gli escavatori ma non volevo creare discussioni.
Abene annuì, capendo il piano, e mise le capsule mediche per le concussioni e lo shock nella mano buona di Miki. «Miki, per favore, prenditi cura di Hirune mentre mi occupo della stazione di controllo.» Poi si voltò verso di me e disse: «Stai sanguinando».
Abbassai lo sguardo. Stavo gocciolando sul pavimento, un misto di sangue e fluido. Detesto quando gocciolo. Le mie vene si richiudono automaticamente e alcune schegge erano fuoriuscite da sole, ma il proiettile che avevo nel fianco si era mosso, riaprendo la ferita. Rialzai cautamente i sensori di dolore per controllare; già, era proprio quello che era successo. Ahia.
«Sei stata colpita?» mi chiese Abene. Fece un passo verso di me, allungando una mano per scostarmi il giacchetto.
Io indietreggiai di un passo. Lei si fermò, sorpresa. Miki si voltò, concentrando i sensori visivi su di me. Controllai la sua telecamera e visualizzai un’immagine della mia faccia. Pensavo di essere diventata brava a controllare la mia espressione ma, a quanto pareva, era vero solo quando non provavo emozioni autentiche. Abene non ti farà del male, SecUnit, mi disse Miki sul nostro feed condiviso.
Abene alzò la mano vuota col palmo rivolto all’infuori – un gesto che di solito significava “non spararmi”, solo che non era spaventata. Era sicura di sé. «Mi dispiace, ma devi farti curare» disse. «Preferisci che sia Miki ad aiutarti?»
«Io non…» feci per dire, poi mi bloccai perché non sapevo come finire la frase. Avevo bisogno di aiuto ma non volevo che nessuno mi toccasse. Erano due condizioni che si escludevano l’un l’altra.
Abene rimase in attesa, guardandomi. Poi disse: «Miki, puoi lasciare Hirune?».
«Sto bene» raschiò Hirune. Sbatté le palpebre mentre stringeva tra le mani un bulbo di soluzione idratante dal kit di emergenza. «Sono a posto.»
«Ottimo» disse Abene. «Io mi occupo della consolle. Miki, tu vieni qui ad aiutare Rin.» Continuando a guardarmi, allungò una mano con il kit di emergenza e Miki venne a darle la rileva.
Mentre Abene andava alla consolle, Miki disse: «SecUnit, alza il braccio e tira su la maglietta, prego».
Per farlo dovevo posare il fucile e l’imbracatura di Wilken. Lo feci, appoggiandoli sulla poltroncina alle mie spalle, perché sembrava una cosa normale per una SecUnit, perché avevo bisogno di sembrare normale in quel momento. Dedicai molta attenzione alla replica che dovevo dare alle parole di Abene. Decisi che una semplice correzione sarebbe stata la cosa migliore. «Non sono Rin. Rin è…»
Abene era impegnata ad accendere la stazione di controllo. «La Consulente Rin è la tua supervisora, certo, scusa» mi disse senza nemmeno guardarmi, continuando a studiare l’interfaccia della consolle tramite il suo feed.
Miki mi fece una scansione e m’inviò i risultati sul feed. Wow… Avevo due pezzettoni di metallo incastrati nel corpo. Miki estese una pinza secondaria dal petto e la usò per reggere il kit di emergenza mentre tirava fuori la sonda estrattrice con la mano buona. Non mi serve il neuroinibitore, dissi a Miki via feed. Posso azzerare i sensori di dolore.
Dev’essere comodo. Miki infilò la sonda nella ferita che avevo sul fianco. Io non ho sensori di dolore. Ma, del resto, non sento dolore.
Già. Ecco una delle differenze tra robot e SecUnit. Una volta avevo parlato con ART delle altre differenze. Del fatto che non potessimo fidarci gli uni degli altri per via degli ordini che potevano impartire gli umani. E ART aveva detto: Non ci sono umani, qui.
Be’, lì c’erano umani. Miki, hai detto a Don Abene che non esiste nessuna Consulente Rin, che ci sono solo io?
Sì, disse Miki. Trovò il proiettile e lo estrasse con cautela. Gliel’ho detto quando il primo robot da combattimento ha attaccato Wilken, quando mi ha chiesto se sapevo se tu stessi dicendo la verità. Poi aggiunse: Gliel’ho detto perché volevo, non perché fossi costretto.
Ero certa che Miki ci credesse. Perché pensa che io vi abbia mentito?
Pensa che sia per via del fatto che, nelle giurisdizioni in cui opera la GoodNightLander Independent, l’impiego delle SecUnit è illegale. Terminò di applicare il sigillante per ferite e si mise in cerca del secondo proiettile. Ha detto che deve averti inviato qualcuno che lavora per la GoodNightLander Independent ma che non vuole far sapere chi sia. Ha detto che non importa, visto che ti hanno inviato per aiutarci.
Abene stava usando la consolle per avviare le interfacce di ogni escavatore. Dovevo cominciare a raccogliere notizie dalla navetta.
Era complicato, dal momento che volevo tenere tagliati fuori il canale audio e il feed di Abene e Miki per far sì che Gerth, o qualsiasi altra cosa si aggirasse per la piattaforma con intenti omicidi, non potesse usarli per risalire alla nostra posizione. Il fatto che Miki avesse l’indirizzo di accesso delle due tute in plancia di comando, però, mi era d’aiuto. Il feed della navetta era ancora attivo e riuscii a intrufolarmi al suo interno per mandare un ping alla prima tuta. Dopo qualche tentativo, fui in grado di attivare il canale audio.
Udii dapprima Kader che chiedeva un aggiornamento sulle condizioni di Ejiro. Gli rispose Brais, dicendo che il MedSystem aveva sottoposto Ejiro a terapia intensiva. In sottofondo, Vibol aggiunse qualcosa che il canale non riuscì a restituire appieno. Poi udii Gerth che diceva: «Abbiamo ricevuto risposta dalla stazione?».
Con tono frustrato, Kader rispose: «Non ancora. Dev’essere l’interferenza di questa tempesta».
Vibol parlò di nuovo ma era ancora troppo attutita. Gerth replicò: «No, dobbiamo tenere duro finché non riceviamo notizie da loro».
Certo, come no. Sembrava calma, sicura di sé e rassicurante, anche se ero piuttosto sicura che un’analisi vocale avrebbe evidenziato tutta la sua tensione.
Uscii dalla conversazione e la misi in background. Abene aveva impostato il display in modalità visibile e quello fluttuava sopra la superficie di comando, mostrando i pannelli di controllo degli escavatori. «Ecco fatto» mormorò. «Tutti gli escavatori si stanno accendendo. Ci vorrà qualche minuto. Spero che riuscirai a controllarli… Sembra che tutte le procedure siano state cancellate.»
Miki aveva cominciato a estrarre le schegge dalla mia schiena. «Il resto della squadra non è stato ferito e Gerth si sta ancora comportando come la loro agente di sicurezza. Non vuole permettere loro di lasciare la navetta per venirvi a cercare. Hanno qualche difficoltà a contattare la stazione.»
Abene alzò gli occhi e si accigliò. «Che difficoltà? Eravamo in contatto con la stazione, quando siamo arrivati. Non dovrebbe…»
Mi persi il resto della frase perché il mio drone inviò un ping con un aggiornamento. Aveva raggiunto la sala di decontaminazione, con il portellone di accesso alla navetta a distanza di scanner, e non aveva rilevato nessun segno dei robot da combattimento. «Non sono lì» dissi io, ad alta voce.
«Cosa?» Abene si alzò dalla console, allarmata. «Chi?»
«I robot da combattimento. Il drone non li ha rilevati lungo il percorso fino alla navetta.» Frugai tra tutto ciò che mi stava mandando – le scansioni, i dati visivi, l’audio… Lo scanner del drone era molto migliore del mio e aveva analizzato attivamente il percorso, controllando tutti i punti di potenziale imboscata. Confrontando il rapporto con la piantina vedevo che non aveva lasciato nulla di intentato. «Non sono lì.» Inviai la visuale del drone sulla nostra connessione privata.
Miki inclinò la testa mentre ripassava il video. Abene scoccò un’occhiata preoccupata a Hirune. «Quindi devono essere qui» disse, «vicino a questo modulo. Vogliono metterci in trappola.»
Forse. Reperii la cabina del mio ascensore invisibile, gli chiesi di portarsi allo snodo di ascensori più vicino al drone e ordinai al drone di prendere l’ascensore fino allo snodo all’esterno del modulo geologico. Un minuto più tardi, il drone era nei corridoi di accesso fuori dai portelloni che avevo sigillato, con lo scanner attivo. Osservai mentre registrava corridoi e snodi vuoti; niente. I robot non ci stavano tendendo un’imboscata lungo il percorso verso la navetta e non erano fuori dal modulo geologico.
Non è che il mio piano fosse già fallito catastroficamente o chissà che altro, ma c’era qualcosa che mi sfuggiva.
Bene, non era un buon momento per andare nel pallone. Ripensai al mio primo contatto con il drone, alle informazioni che avevo acquisito prima che fosse escluso dalla rete dei robot da combattimento. C’era la traccia di quel terzo robot da combattimento attivo. Era segnato come “attivo fuori portata”.
Avevo dato per scontato che fosse fuori portata perché era diretto all’attracco della navetta per tenderci una trappola nel momento in cui avessimo provato a ritirarci, ma non potevo esserne certa.
Tornai ancora più indietro. Wilken e Gerth erano state mandate lì per fermare/uccidere la squadra di rilevamento, prendendo il posto degli agenti di sicurezza ingaggiati dalla GoodNightLander Independent. Ma allora perché non avevano agito non appena erano arrivate sulla stazione di transito? Con così poca gente intorno non sarebbe stato difficile. Agendo sulla stazione avrebbero avuto bisogno di una strategia di uscita – ma tanto più se l’avessero fatto lì, sulla piattaforma. La navetta della squadra non poteva attraversare i varchi spazio-temporali. Sarebbero dovute tornare sulla stazione di transito, avrebbero dovuto uccidere il personale dell’Autorità Portuale – che avrebbe probabilmente cominciato a fare domande su cosa fosse successo al resto della squadra di rilevamento – e avrebbero dovuto rubare una nave in grado di attraversare i varchi temporali (preferibilmente una nave senza pilota robotizzato, che avrebbe altrimenti opposto una vigorosa resistenza al furto). Sembrava una sfacchinata, tanto più se si considerava la presenza di robot da combattimento sulla piattaforma, pronti a distruggere qualsiasi intruso – ma allora perché GrayCris aveva assunto qualcun altro?
La risposta più ovvia era che Wilken e Gerth non erano lì per far fuori la squadra ma per accedere alla piattaforma di terraformazione e recuperare qualcosa, che fossero dati oppure un oggetto fisico. Ma non avevano fatto nulla per recuperare alcunché. Ero sicura che Wilken fosse stata sorpresa dall’attacco dei robot da combattimento, quella parte di analisi non era sbagliata. Che Wilken e Gerth non fossero state inviate da GrayCris? Che in gioco ci fosse anche un’altra entità corporativa o politica?
Avevo bisogno di aiuto. Ero scossa, continuavo a perdere fluidi e non avevo avuto modo di guardare nemmeno una serie da quella che mi pareva un’eternità. In preda alla disperazione, organizzai tutte le varie ipotesi in un diagramma decisionale di potenziali strategie che condivisi di getto sul feed di Abene e Miki.
Abene trasalì, sorpresa dalla comparsa improvvisa di quella grossa immagine sul feed. Poi si mise a studiare il diagramma e la sua faccia si ricompose. Miki ripulì il sigillante per ferite dall’ultima lacerazione sulla mia schiena e si mise in modalità analitica. Hirune, ancora poco lucida, ci osservava con espressione confusa.
Sul feed, Abene sganciò il riquadro di un assunto e lo allontanò dalle ramificazioni del diagramma. Se diamo per buono che Wilken e Gerth siano state inviate da GrayCris, disse, allora non sono venute qui per recuperare qualcosa. GrayCris ha avuto ampiamente modo di portar via tutto quel che voleva quando ha abbandonato la piattaforma. Esitò, spostando l’attenzione da un assunto all’altro. Credo che la domanda che dovremmo farci sia: cosa vuole GrayCris?
Quello era facile. Distruggere la piattaforma, risposi. Se la GoodNightLander Independent non avesse installato il sistema di trazione, a quest’ora tutta questa struttura sarebbe già collassata sul pianeta.
Abene aggrottò le sopracciglia mentre osservava i riquadri in cui venivano elencate le possibili strategie di uscita e le relative criticità. Ma allora perché Wilken e Gerth non dovrebbero essere state mandate a distruggere il sistema di trazione? Magari è proprio così.
«Wilken ha impostato lo schermo sull’avambraccio destro della sua corazza sull’orario locale della piattaforma» disse Miki ad alta voce. Ci inviò un’immagine tramite il feed: Wilken che armeggiava con lo schermo della corazza. L’immagine era stata scattata quando avevo chiesto a Miki di tenere d’occhio le due consulenti per la sicurezza mentre riponevano la propria attrezzatura, durante la preparazione della navetta alla partenza dalla stazione. «Durante il nostro giro all’interno della struttura ha controllato lo schermo cinquantasette volte, approssimativamente, finché non ha tentato di sparare a Don Abene.»
Non l’avevo notato ma, quando riguardai una porzione del mio video personale, eccola lì. «Wilken sapeva che sarebbe successo qualcosa alla piattaforma» disse Abene, «e più o meno anche quando sarebbe successo. Non poteva aspettare troppo prima di tornare alla navetta. Ti ha mandato a morire contro i robot da combattimento non appena ne ha avuto l’occasione, e aveva intenzione di uccidere me e Miki. Poi avrebbe detto agli altri che non c’erano speranze e li avrebbe costretti a tornare sulla stazione di transito…»
Il comportamento dei robot da combattimento stava cominciando ad avere più senso. Se anche loro stavano aspettando qualcosa, ecco spiegato perché avevano preso Hirune come ostaggio. Avevano mandato un robot a rompere le scatole alla nostra squadra. Avrebbe attaccato, fatto prigionieri, si sarebbe ritirato e avrebbe poi attaccato di nuovo. Io l’avevo distrutto quando aveva aggredito Wilken, ma gli altri tre non ci si erano precipitati addosso. Due di loro erano all’interno del modulo tecnologico e uno era fuori portata – e che cosa stava facendo?
Abene fece un respiro secco. «Deve trattarsi del sistema di trazione» disse. «Non c’è nessun altro interesse reale, per GrayCris.» Scartò dal feed anche altri riquadri che prevedevano la presenza di un possibile agente di GrayCris a bordo della stazione. «Il drone ci ha rivelato che i robot da combattimento non hanno nessun controllore, nessuno che invii loro dei comandi dalla stazione di transito. Sono strumenti proprietari della piattaforma, con il compito di proteggere la struttura finché non crollerà spontaneamente sul pianeta, cancellando ogni prova che fosse in realtà un’operazione di scavo illegale. Wilken e Gerth non sapevano dei robot e non sono state mandate per ucciderci, perché ucciderci non è l’obiettivo della missione. L’obiettivo è lasciare che la piattaforma si autodistrugga come previsto. Ciò che impedisce alla piattaforma di distruggersi è il sistema di trazione. Perciò Wilken e Gerth sono state inviate qui per fare qualcosa e pensavano che l’unica conseguenza di questo qualcosa sarebbe stato il crollo del sistema di trazione, e che saremmo stati costretti ad abbandonare la piattaforma. Saremmo tutti tornati alla stazione e loro sarebbero andate via con la prossima nave cargo senza colpo ferire.» Scivolò fuori dal feed e si rivolse direttamente a me. «Ma cosa possono aver fatto? Sono rimaste con noi per tutto il tempo.»
Pensavo che avesse ragione, e c’era soltanto una cosa che potevano aver fatto senza che io o qualcuno della squadra ce ne accorgessimo. «Hanno inviato un segnale criptato.» Un segnale audio, non tramite feed. Con tutta l’interferenza della tempesta, e soprattutto il fatto che non lo cercassi attivamente, mi era sfuggito.
«Già, già.» Abene inarcò le sopracciglia. «Ma a chi? Ai robot da combattimento? C’è forse una qualche arma, qualcosa che hanno quei robot che possa distruggere il sistema di trazione da qui?» Si voltò per studiare le altre plance di comando.
Controllai nuovamente il mio collegamento con il canale audio della navetta. Kader stava insistendo con Gerth per scendere sulla piattaforma a cercare gli altri, appoggiato da Brais e Vibol. Nessuno parlava di un problema con il sistema di trazione. Dovevano averlo tenuto comunque sotto osservazione. Gerth opponeva resistenza, dicendo loro che dovevano aspettare come d’accordo. Riascoltai l’audio. Voleva che aspettassero altri trenta minuti. Lo schermo della consolle inviò un ping sul feed, indicando che gli escavatori avevano terminato il ciclo di accensione. Inviai l’audio della navetta sul feed per Abene e Miki e mi sedetti alla stazione di controllo degli escavatori. Qualsiasi cosa dovesse accadere, sarebbe accaduta di lì a poco.
Mentre inviavo le prime stringhe di comando ai tre escavatori, Abene disse a Miki: «Abbiamo bisogno di sensori. Controlla tutte le consolle. Gli strumenti della piattaforma saranno tutti rivolti verso la superficie ma possiamo cercare di redirigere…».
Misi tutto in background tranne gli escavatori. Abene era evidentemente ancora interessata a salvare la piattaforma, ma la mia priorità era andar via da lì prima che la struttura si disgregasse nell’atmosfera.
I tre escavatori si dispiegarono fuori dalle proprie postazioni e s’incamminarono all’esterno, lungo la metà inferiore del modulo geologico. Si spostavano aggrappandosi con fermezza alla superficie con le loro molte braccia, e dalle loro telecamere ricevevo una visuale vertiginosa della tempesta. Non avevano più i nuclei di memoria contenenti i protocolli di scavo, ma del resto non ne avrebbero avuto bisogno per fare quel che volevo facessero.
Abene aveva avviato un’altra plancia di comando e, mentre Miki si chinava su di essa, sulla superficie di visualizzazione comparvero dei dati. Hirune si mise in piedi e zoppicò fino a loro, appoggiandosi allo schienale di una poltroncina.
Dovevo ancora copiare un codice specifico dalla consolle ma, una volta fatto, avrei potuto controllare i tre escavatori tramite il feed. Li assegnai a un ennesimo canale nel mio cervello già sovraccarico e mi alzai in piedi. Ah, okay, ahia. Era estremamente complicato controllarli senza protocolli dedicati. In sostanza, dovevo governarli tutti e tre in contemporanea. «Dobbiamo andare. Avete sei minuti» dissi, mantenendo un tono di voce neutro e paziente.
Abene agitò una mano. «Ci siamo quasi.»
Mi ricordai che stavo ancora fingendo di essere una SecUnit sotto contratto, perciò aggiunsi il conto alla rovescia sul feed senza ulteriori commenti. Poi raccolsi l’arma e l’imbracatura di Wilken e andai a posizionarmi accanto al portellone.
Hirune si guardò intorno, prese il kit di emergenza dal punto in cui l’aveva lasciato Miki e mi raggiunse zoppicando. Era barcollante e ancora chiaramente sotto shock ma, essendo già stata rapita da un robot da combattimento una volta, era palesemente impaziente di andarsene da lì.
Abene si mise in piedi. «Sì, eccola! Copia quella traiettoria, Miki.» Miki obbedì e seguì Abene, che si dirigeva verso l’uscita. «Una struttura di qualche genere si è lanciata dal modulo tecnologico e si sta dirigendo verso il sistema di trazione. Il robot da combattimento mancante dev’essere lì sopra, chiaramente con l’intento di distruggere il sistema. L’ordine doveva essere nel codice criptato che hanno trasmesso Wilken e Gerth.»
Magnifico! E mi occuperò di quel fottuto sistema di trazione una volta che saremo a bordo della fottutissima navetta! Tenendo d’occhio il mio personale conto alla rovescia, impostai tre canali prioritari: il mio drone, Miki e gli escavatori. No, un momento… Mi serviva anche la mia visuale. Quattro canali. Ah, anche l’audio dalla tuta a bordo della navetta. Cinque. Feci fare al drone un controllo rapido dell’atrio e dell’accesso allo snodo degli ascensori, assicurandomi che ci fosse via libera. «Dobbiamo muoverci in fretta» dissi. «Non sappiamo dove siano gli altri robot da combattimento.»
Abene annuì e afferrò Hirune per un braccio. «Dove stiamo andando?» sussurrò Hirune.
Abene la zittì con dolcezza. «Torniamo alla navetta. Va tutto bene.» Miki le diede un colpetto rassicurante sulla spalla.
Premetti lo sblocco del portellone e uscii. La corsa fino allo snodo degli ascensori mi fece sentire ogni nervo di pelle umana che avevo addosso. Il drone ci precedeva e continuava a scansionare i dintorni ma, irrazionalmente, io continuavo ad aspettarmi di veder saltare fuori i robot da ogni angolo nelle paratie.
Raggiungemmo lo snodo e inviai il drone in avanscoperta con il mio ascensore invisibile. Abene e Miki parlavano sul feed, rassicurando di tanto in tanto Hirune. Quand’anche stessero tramando di rivendermi per i pezzi di ricambio non avrei potuto dedicare loro altra attenzione. All’esterno, gli escavatori si avvicinavano alla calotta del modulo geologico. Avrebbero dovuto seguire l’incavo tra quello e il modulo abitativo per evitare di essere visibili dalla navetta.
L’ascensore raggiunse lo snodo più vicino alla nostra zona di attracco e il drone sgusciò fuori. Impostai una routine di perlustrazione, su e giù per la rampa di accesso e più oltre, nella sala di decontaminazione, poi avanti fino ad avere una visuale del portellone della navetta. Lo scanner dava il via libera; ordinai al drone di tornare all’ascensore e di restare in posizione.
L’ascensore riscese da noi e feci salire gli umani (e Miki, ma al momento lo avevo inserito tra gli umani). Feci aumentare un poco il passo agli escavatori. Volevo passare il minor tempo possibile all’interno del corridoio di accesso della navetta. Se i robot da combattimento avessero deciso che stavamo intralciando la loro missione sarebbero venuti a cercarci, e sapevano che avrebbero potuto intercettarci lì. Mentre avviavo l’ascensore, inviai ad Abene il video degli escavatori, così avrebbe avuto un’idea di ciò che stavano per vedere dalla navetta, e le dissi: «Quando sbloccherò il suo feed, si connetta con Kader e gli dica di fare in modo di far scendere tutti dalla navetta».
«D’accordo.» Abene annuì seccamente, stringendo la mano di Hirune, poi contattò Miki sul suo feed.
L’ascensore raggiunse lo snodo e io uscii non appena le porte cominciarono ad aprirsi. Mi mossi verso la sala di decontaminazione, con gli umani dietro di me, e inviai gli escavatori oltre la cupola del modulo abitativo, dritti verso la navetta.
A bordo, tramite la connessione con le tute di evacuazione sul ponte di comando, udii Vibol esclamare qualcosa in una lingua che non avevo in memoria, e Kader dire: «Abbiamo oggetti in avvicinamento, entità sconosciute in avvicinamento…».
Da lontano, da qualche parte sotto il ponte di comando, Gerth gridò: «Cosa? Da che parte?».
Aprii il collegamento del feed di Abene e le dissi: Ora.
Abene stabilì una connessione privata con Kader e gli disse: Kader, stammi a sentire: niente domande, non dire a nessuno che sono qui. Devi far scendere tutti dalla navetta e sulla piattaforma, immediatamente. Fa’ quel che ti pare, fa’ finta di essere nel panico, ma fa’ scendere tutti. Ne va delle vostre vite.
Attraverso il feed di Abene udii Kader azionare un allarme di evacuazione immediata che strombazzò sul feed della squadra e nei canali audio della navetta. Gerth aveva cominciato a salire verso il ponte di comando e ringhiò: «Fermi! Fermi, cosa…».
Temetti che potesse bloccare Kader e Vibol in cabina di pilotaggio, al che saremmo tornati in una situazione con ostaggi. Kader, però, che doveva aver preso particolarmente a cuore il consiglio di “fingere il panico”, inviò il video degli escavatori in avvicinamento dai sensori della navetta sul feed e gridò agli altri di uscire.
Io raggiunsi il corridoio ed ebbi una visuale della sala di attracco nel momento in cui si apriva la camera pressurizzata della navetta. Brais barcollò fuori, sorreggendo Ejiro in stato di semi incoscienza. Miki corse ad aiutarli mentre Abene restava indietro con Hirune, e io lo seguii.
Ordinai a un escavatore di lasciar andare la superficie della piattaforma e di tuffarsi verso il muso della navetta, dove il sensore frontale avrebbe avuto l’inquadratura migliore. Abene era nel feed di Kader ma, senza telecamere, non ricevevo altro che un guazzabuglio confuso di impressioni (più avanti scoprii, dalla telecamera integrata nella corazza di Gerth, che la visuale improvvisa dal sensore di qualcosa di grosso che si stava precipitando addosso alla navetta aveva fatto balzare Gerth all’indietro, lontano dall’accesso alla cabina di pilotaggio. Vibol, dando per assodato che la performance di Kader significava che la navetta stava per essere fatta a pezzi, aveva afferrato Kader e si era tuffata oltre Gerth, tenendo il compagno sottobraccio e sfruttando la gravità ridotta nella baia di accesso per evitare di andare a sbattere sulla paratia; quando avevano toccato il pavimento del corridoio erano stati investiti dall’aumento di gravità, avevano barcollato, poi si erano precipitati verso il portellone).
Comunque sia, Kader e Vibol schizzarono fuori dalla camera pressurizzata e Gerth, con la sua corazza potenziata, le seguì a passo svelto. A quel punto io ero di fianco al portellone della navetta, per cui Gerth vide soltanto gli altri, confusi e in preda al panico, assieme ad Abene e Hirune, e Miki con una mano sola che sorreggeva Ejiro.
Eseguii una scansione della sua corazza e individuai il codice giusto (fu un procedimento molto più rapido, ora che sapevo dove cercare). Inviai il comando nel momento stesso in cui alzava il fucile.
La corazza di Gerth si bloccò così com’era e io mi parai davanti a lei. La sua espressione, quando si rese conto di cosa fosse successo, fu gratificante. Se avesse usato lo scanner mi avrebbe individuato appena fuori dal portellone, ma pur avendo il feed, pur essendo aumentati, gli umani riescono a pensare soltanto una cosa per volta.
«Dobbiamo tornare a bordo, adesso!» esclamò Abene.
Gli altri volevano una spiegazione e lei gliela diede rapidamente mentre li spingeva verso il portellone. Li tagliai fuori per concentrarmi su tutti gli altri canali. Senza i miei ordini, gli escavatori erano andati in stasi e si erano fermati sul posto. Due di loro erano ancora sulla superficie del modulo abitativo, mentre il terzo, che si era tuffato verso la navetta, era atterrato sul modulo atmosferico. Poi controllai il drone che avevo lasciato nello snodo degli ascensori per guardarci le spalle.
Cominciò a reagire al mio contatto con una scansione dell’area, poi la trasmissione s’interruppe bruscamente. Sentii la connessione saltare e il drone spegnersi come una lampadina.
«Abene, Miki, i robot!» esclamai. Attraversai la sala e imbracciai il fucile di Wilken.
Abene gridò: «Tutti a bordo, subito!».
Raggiunsi l’accesso e cominciai a togliere le cariche esplosive dall’imbracatura di Wilken, ad armarle e a tirarle lungo il corridoio. Avevo ancora la visuale della telecamera di Miki su un canale e la misi in background, ma ero vagamente cosciente degli umani che si affrettavano a salire sulla navetta, passandosi Ejiro e Hirune, feriti, attraverso il portellone, e di Abene che ordinava a Miki di raccogliere Gerth e di portarla a bordo. In quel momento, un robot da combattimento fece irruzione oltre l’angolo e la prima carica esplosiva s’innescò.
Io sparai tre colpi, solo per dare l’impressione che sarei rimasta lì come un’idiota a sparargli, poi mi precipitai dall’altra parte della sala. Le cariche esplosive nel corridoio rallentarono il robot quel tanto che bastava perché gli umani riuscissero a trascinare Gerth a bordo e a liberare la camera stagna. Mi fiondai attraverso il portellone e azionai la chiusura d’emergenza. Entrambi i portelloni si chiusero di scatto.
Finalmente ero riuscita a riportare tutti quei fottuti umani su quella fottutissima navetta.
Il robot da combattimento andò a sbattere addosso al portellone esterno e l’impatto fu come essere investiti da un’altra piccola navetta. Dobbiamo andare via, trasmisi ad Abene.
I ganci cedettero e la navetta cadde giù dall’attracco. Controllai la visuale dalla telecamera del portellone esterno e vidi il robot da combattimento, in piedi nell’apertura della baia di attracco, che si aggrappava alle paratie mentre la sala andava in decompressione. Dietro di lui ne arrivò un altro. Miki mi si fece accanto e io condivisi con lui l’immagine sul nostro feed comune. «Quei robot erano davvero cattivi, SecUnit» mi disse.
Io stavo perdendo la connessione a mano a mano che ci allontanavamo, ma uno dei miei escavatori era abbastanza vicino al portellone, tutto ricurvo e fermo sul posto. Gli inviai un ultimo comando e quello allungò una grossa mano, strappò via il primo robot dall’attracco e lo stritolò.
«Ahia» commentò Miki. SecUnit, perché non mi parli più sul feed?
Miki sapeva bene perché, altrimenti non me l’avrebbe chiesto.
Io mi voltai e mi avviai lungo il corridoio di accesso. Non ti ho smascherato finché non sono stato costretto, mi disse Miki via feed.
Risalii per il corridoio verso la sala comune. Miki raccolse Gerth e mi seguì. Nel frattempo, tramite il canale audio avevo monitorato Abene mentre raccontava agli altri una sintesi di quel che era successo con Wilken, di come avevo salvato Hirune, di come Wilken aveva sparato alla povera mano di Miki e bla bla bla. Avevo recuperato i dati dal modulo geologico per la dottoressa Mensah, avevo salvato gli stupidi umani di Miki e ora volevo soltanto andarmene da lì. La navetta si stava allontanando dalla piattaforma e riuscivo a percepire il feed della stazione al limitare del mio raggio di frequenze.
Feci il mio ingresso nella sala comune. Kader e Vibol erano in cabina di pilotaggio ma gli altri erano lì, anche se Ejiro e Hirune erano crollati sui sedili. Ejiro sembrava frastornato ma più presente di Hirune, che probabilmente aveva bisogno di essere infornata in un MedSystem. Miki posò Gerth in piedi e tutti la fissarono per un istante, poi guardarono me.
Brais si alzò di fronte allo schermo fluttuante. Il display mostrava un’immagine dal sensore del sistema di trazione sopra la piattaforma. «Sì, eccolo lì. L’oggetto si sta dirigendo verso il sistema di trazione.»
Abene si era incupita. «Crediamo sia una navicella da lavoro proveniente dal modulo tecnologico. A bordo c’è uno dei robot da combattimento.»
«Don Abene» dissi, «dobbiamo tornare alla stazione di transito il prima possibile. Quando il sistema di trazione crollerà potrebbe danneggiare la navetta.» Immaginavo che fosse possibile. Non so, il discorso mi sembrava funzionare.
Non ho mai parlato con un robot come me, prima d’ora, mi disse Miki via feed. Ho amici umani, ma non ho mai avuto un amico che fosse come me.
Dovetti mordermi una guancia per mantenere un’espressione neutra da SecUnit. Avrei volentieri bloccato il feed di Miki ma avevo bisogno di tenerlo sotto controllo, nel caso in cui gli umani avessero cominciato a complottare contro di me (lo so: sembro paranoica. Ma Miki e Abene sapevano che mi ero inventata la Consulente Rin e avevo bisogno di andarmene prima che ne parlassero con un umano che capiva quanto fosse anomalo che una SecUnit si comportasse così).
Dal canale audio dalla cabina di pilotaggio giunse la voce di Kader. «Dobbiamo impostare la rotta entro un minuto» disse. «Sei proprio convinta?»
Aspetta, aspetta… Cosa?! Riavvolsi le registrazioni e sentii Brais che diceva: «Possiamo usare la navetta per deviare la navicella dalla sua traiettoria. La nostra schermatura proteggerà lo scafo e…».
Guardando lo schermo con gli occhi socchiusi, Ejiro aveva detto: «Ma poi la navicella non potrebbe provare a riprendere la rotta?».
Brais aveva scosso la testa, con gli occhi fissi sulla proiezione di volo. «Ho consultato le specifiche di quel modello di navicella: è usata per i processi di manutenzione della piattaforma e ha bisogno di un collegamento via feed con il modulo tecnologico per essere pienamente operativa. Possiamo spingerla fuori rotta, così perderà il controllo della navigazione.»
Ah, magnifico. E quanto ci avremmo messo?
Quando ebbi finito di rimettermi in pari con la situazione, gli umani avevano già deciso di farlo; stavano solo definendo i dettagli dell’operazione.
Io rimasi lì impalata a guardare le sagome luminose sullo schermo mentre Kader portava la navetta più vicina alla navicella. Lo ammetto: mentre discutevano, avevo guardato un altro pezzettino di quell’episodio che avevo messo in pausa (era durato solo sei minuti – ma erano stati sei minuti noiosi, okay? E poi Miki si era aggiunto al gruppo, mettendosi mestamente accanto ad Abene e fissandomi, e io lo stavo ignorando. Abene pensava che Miki fosse triste per la mano mancante e continuava a rassicurarlo e a dirgli che l’avrebbero fatta sistemare non appena fossero tornati sulla stazione).
(È un bene che io non abbia uno stomaco, così non posso vomitare.)
Alla fine, la navetta sbalzò via la navicella dalla sua rotta, con uno spettacolare salvataggio del sistema di trazione e dell’investimento della GoodNightLander Independent, e ben quarantacinque secondi di anticipo. Evviva. Gli umani si congratularono gli uni con gli altri, dopodiché Abene e Brais aiutarono Hirune a mettersi in piedi per farle raggiungere l’infermeria. C’era ancora un robot da combattimento sulla piattaforma ma, a quanto pareva, sarebbe stato il problema di qualcun altro. La navetta aveva ricorretto la rotta verso la stazione ed eravamo già abbastanza vicini da permettermi di inviare un ping a Nave tramite il feed. Quella rispose al ping; mi aveva aspettato. Che sollievo.
Poi sentii un tonfo metallico provenire dal portellone.
Non sono un’esperta di spazio aperto, ma ero piuttosto sicura che non fosse normale che qualcosa venisse a bussare al portellone. Poteva anche essere un detrito proveniente dalla navetta, ma io sapevo. Sapevo che non era così. Controllai la telecamera del portellone e trovai un bel primo piano del faccione di un robot da combattimento.
Il collegamento successivo soppiantò il feed della stazione, bloccando temporaneamente tutti i miei canali: [Obiettivo: uccidere intrusi].
Oh, merda.
Esclusi il robot dal mio feed e gridai: «Emergenza! Imminente breccia al portellone!». Inviai le immagini dalla telecamera del portellone a Miki e, attraverso di lui, al feed del resto della squadra. Gli umani rimasero impietriti per quel che parve un’eternità; ebbi l’impressione che non volessero credermi. Ma avevo dimenticato quanto sembrassero lenti gli umani quando mi concentravo appieno su quel che facevo. Kader azionò l’allarme generale della nave e sigillò i due portelloni interni tra la camera stagna e la sala comune. Ottimo. Mi avrebbe fatto guadagnare un minuto, forse due.
«Portate tutti sul ponte di comando» dissi ad Abene. Lì c’era un altro portellone e avrebbe potuto farci guadagnare un altro minuto. Mi voltai verso l’accesso al compartimento appena sotto di noi, dove Gerth e Wilken avevano stipato le loro cose.
Mentre uscivo da lì, udii Abene che gridava: «Via, via!», e seppi dal feed della squadra che la navetta si stava dirigendo verso la stazione e che Vibol stava spiegando bruscamente all’Autorità Portuale che stavamo per essere fatti a pezzi da un robot da combattimento (francamente, non vedo cosa poteva farci l’unità di sicurezza della stazione; anzi, sono sicura che l’unità della stazione, in quel momento, si stava cacando sotto almeno quanto me – metaforicamente parlando).
La telecamera della camera pressurizzata mi mostrò utilmente il portellone esterno che veniva divelto, poi il feed sfrigolò e si spense. Il robot doveva essere al lavoro sul portellone interno, ormai. Raggiunsi il compartimento e vidi che Wilken e Gerth avevano lasciato una cassa accanto a quelle vuote in cui avevano portato le corazze, i fucili, le cariche esplosive e le munizioni. Lacerai quell’ultima cassa e trovai un altro grappolo di piccole cariche esplosive, del tipo che veniva usato più che altro per attraversare porte di sicurezza e portelloni. Trovai anche una sacca che sembrava vuota e la riempii con le cariche e qualche munizione in più per il fucile che avevo a tracolla. Non mi sarebbe stato poi così utile, visto che dubitavo di avere il tempo di usarlo. Forse avrei dovuto dedicare più tempo al tentativo di impostare una posizione difensiva invece di scendere là sotto nella speranza di trovare un’arma anti-robot decente. Nel campo della lotta ai robot, sono questi piccoli errori che ti fanno finire smembrata.
Tramite il feed, sentii Abene e Brais che trasportavano Hirune su per l’accesso alla cabina di pilotaggio. Ci avevano già portato Ejiro. Via feed, Miki mi disse: Presto, presto. Abene gli aveva detto di portare Gerth, e lui la stava trasportando. Intanto, il robot da combattimento aveva preso a picchiare selvaggiamente sul portellone della sala comune. Mi rialzai, mi voltai, e fu allora che vidi lo scompartimento di rimessaggio della strumentazione della squadra di prospezione.
C’erano casse e rastrelliere piene di equipaggiamento per l’analisi ambientale e il campionamento. Tra gli attrezzi c’era una fresa a tazza, progettata per estrarre dei bei cilindretti precisi dalle pareti di roccia – chissà che diavolo ci facevano, poi, gli umani. Era un’estensione da collegare a un’unità di campionamento ma probabilmente l’avevano portata con loro perché Miki era abbastanza forte da riuscire a sollevarla e usarla; si trattava di un lungo tubo che fa uso di tagli esplosivi per estrarre sezioni di roccia profonde un metro.
Mi misi in spalla la borsa con le munizioni, tirai giù la fresa dalla rastrelliera, accesi la sua batteria e risalii per la rampa di accesso.
Rientrai nella sala comune nel momento in cui Miki lanciava Gerth ad Abene e azionava la chiusura manuale del portellone. La paratia si richiuse e Miki si voltò verso di me. Miki, vattene da qui!, gli dissi io. Vatti a nascondere nella stiva!
No, Rin, replicò lui. Ti aiuterò!
Sul feed, Abene gridò a Miki di tornare da loro – avrebbe detto a Kader di riaprire il portellone per farlo rientrare – ma Miki le disse: La priorità è proteggere i miei amici.
Modifica della priorità, ribatté Abene. La priorità è proteggere te stesso.
Modifica della priorità respinta, disse Miki.
La fresa a taglio esplosivo si era accesa e si era connessa al mio feed per rilasciare un avviso standard e un pratico set di istruzioni. Be’, ma certo che volevo sbloccare i protocolli di sicurezza – grazie per avermelo chiesto.
Avevo avuto intenzione di dare la fresa a Miki per permettergli di far fuori il robot da combattimento mentre io lo distraevo. Ma quest’ultimo sfondò il portellone e fu di colpo davanti a noi nella sala comune, e non c’era più tempo per un piano, non c’era tempo per fare strategie.
Il bot sapeva che ero lì e si voltò, allungando una mano verso di me mentre alzavo la fresa. Miki puntò i piedi sul portellone che proteggeva l’accesso al ponte di comando e si diede una spinta. Si lanciò attraverso la cabina, trapassando lo schermo fluttuante e dirigendosi dritto verso la testa del robot da combattimento. Non so se Miki stesse cercando di distrarre il robot o se mi avesse visto fare un attacco simile contro il robot che aveva aggredito Wilken e stesse cercando di replicarne la tecnica. L’aria schizzava via dalla cabina pressurizzata, giù per il corridoio di accesso e fuori dalla camera stagna ormai distrutta, dando al balzo di Miki ancora più slancio.
Il robot si accorse del movimento e si voltò di scatto, alzando un braccio ed estendendolo per afferrare il torso di Miki. Io colsi al volo l’occasione e mi tuffai per piantare la fresa a taglio esplosivo in pieno sul fianco del robot, dove aveva il cervello. Azionai la fresa. Non ebbi il tempo di prepararmi e il rinculo mi sbatté all’indietro; per tre secondi si fece tutto buio.
Ero sdraiata sul ponte e dal feed non sentivo altro che umani che gridavano dalla cabina di pilotaggio, umani che gridavano sul canale audio dell’Autorità Portuale e la sirena di emergenza della navetta che si assicurava che tutti sapessero che l’ossigeno era stato espulso di getto per via della breccia nel portellone. Avevo la fresa sopra di me; la spinsi via e mi tirai a sedere. Sapevo di aver sentito, a un certo punto, Abene che gridava in preda all’angoscia – ma non ero sicura di quando fosse successo.
Il robot da combattimento era ancora in piedi ma era immobile, pietrificato. La fresa gli aveva trapassato il torace da parte a parte, estraendo una sezione trasversale perfetta della corazza protettiva e i processori del robot. Il tassello era stato sputato fuori dalla fresa ed era caduto sul ponte. Mi resi conto che era stato proprio quello a colpirmi in testa. Immagino che, nonostante le istruzioni, l’avessi imbracciato nel modo sbagliato.
Miki era accasciato davanti al robot, e c’era qualcosa di sbagliato. Mi stavo rimettendo in piedi, cercando di capire che danno avesse subito Miki, quando mi bloccai. C’era qualcosa di sbagliato perché il petto di Miki era squassato: il suo processore, l’unità di memoria, tutto ciò che lo rendeva Miki era stato schiacciato e ridotto a nulla con una semplice contrazione della mano del robot da combattimento.
Rimasi lì seduta sul ponte. La navetta si avvicinava alla stazione e gli umani comunicavano dalla cabina di pilotaggio con l’Autorità Portuale attraverso il canale audio. Non potevano abbassare il portellone del ponte di comando per via della breccia nella camera stagna e io non rispondevo alle loro chiamate sul feed o sul canale audio. Avevo però continuato a inviare la visuale della mia telecamera sul feed della squadra; avevano assistito al combattimento e agli ultimi istanti di Miki dal mio punto di vista. Prima di interrompere il collegamento con loro, avevo udito Abene che singhiozzava, Hirune che cercava di confortarla e gli altri che mormoravano, sconvolti.
Anch’io avevo bisogno di aria, benché non quanto gli umani, e forse era la sua assenza che mi faceva sentire tanto lenta e disconnessa. Usai il feed della stazione per inviare nuovamente un ping a Nave e le dissi di sganciarsi dalla stazione, poi le comunicai un punto d’incontro. La sua tranquilla conferma di ricezione mi parve inverosimile, come se fosse tutto assolutamente normale e non fosse successo niente di disastroso.
Vibol batteva dall’altra parte del portellone della cabina di pilotaggio, gridando: «SecUnit, sei lì? Per favore, rispondi!».
Dovevo andarmene da lì. Mi tirai in piedi e scesi per il corridoio fino all’armadio delle tute di emergenza. Indossai una tuta completa dotata di propulsori di manovra e la boccata di ossigeno che ricevetti una volta che ebbi sigillato il casco mi rese più cosciente. Ebbi l’accortezza di lasciare aperto l’armadio e sganciare le altre tute, così, quando avessero notato che ne mancava una, avrebbero dato per scontato che era successo durante l’attacco e che la tuta era stata trascinata fuori insieme agli altri detriti. Volevo che pensassero che fosse quel che era capitato anche a me, che fossi stata risucchiata fuori dal portellone durante la depressurizzazione. Poi percorsi il corridoio fino al portellone distrutto, mi tirai fuori dalla navetta e mi allontanai.
Non avevo mai usato una tuta come quella (di solito non permettono alle macchine assassine di andarsene a zonzo per lo spazio senza supervisione) ma le istruzioni integrate erano molto utili. Quando arrivò Nave, fui in grado di spingermi nella sua camera stagna come una professionista navigata.
Alla stazione sarebbe sembrato che Nave si fosse fermata per lasciar passare la navetta e permetterle di attraccare in sicurezza ai moli dell’Autorità Portuale. Non pensavo che qualcuno si sarebbe preso la briga di controllare i sensori in cerca di una SecUnit in fuga con una tuta di evacuazione.
Una volta attraversato il portellone pressurizzato, e dopo aver richiesto a Nave di aumentare un poco la circolazione di ossigeno al suo interno, le diedi istruzioni di procedere sulla rotta abituale verso il varco spazio-temporale e la stazione di HaveRatton. Mi tolsi la tuta, la gettai da una parte insieme al fucile di Wilken e alla borsa di munizioni che avevo portato via dalla cassa. Poi mi sedetti sul ponte e cominciai a controllare meticolosamente tutto l’equipaggiamento per accertarmi che non contenesse congegni traccianti.
Abene aveva provato a modificare le impostazioni di Miki priorizzando la vita del robot, ma quello aveva rigettato la modifica. Il che significava che Abene gli aveva permesso di programmare in autonomia le proprie opzioni, la capacità di far uso delle proprie facoltà di scelta in una situazione di crisi. Miki aveva deciso che la sua priorità era salvare i suoi umani, e forse salvare anche me. O forse sapeva di non poter salvare nessuno di noi ma aveva voluto dare a me la possibilità di provarci. O ancora, forse non aveva voluto che affrontassi il robot da sola. Quale che fosse la verità, non l’avrei mai saputa.
Ciò che però sapevo per certo era che Abene aveva davvero amato Miki. E quello faceva male. Miki non sarebbe mai potuto essere mio amico, ma era stato un amico per Abene e, soprattutto, Abene era stata sua amica. La reazione di quest’ultima in un momento di emergenza era stata dire a Miki di salvarsi.
Dopo aver controllato le cariche e le munizioni nella borsa, trovai una tasca nascosta sul fondo. All’interno c’erano diversi kit di marcatori d’identità e un tipo di scheda di memoria più grande e diverso da quelle che avevo impiantato nel braccio. Mi rimisi in piedi e trovai un lettore nella consolle della stiva.
Be’, interessante.
Detesto avere a cuore le cose. Ma, a quanto pare, una volta che cominci a farlo non riesci più a smettere.
Non avrei semplicemente inviato i dati del modulo geologico alla dottoressa Mensah. Glieli avrei portati di persona. Sarei tornata indietro.
Dopodiché mi sdraiai sul pavimento e ricominciai a guardare Ascesa e declino di Sanctuary Moon dal primo episodio.