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Ho una sfiga tremenda con i trasporti robotizzati.

Il primo mi aveva permesso di salire a bordo in cambio della mia collezione di file multimediali, ed era rimasto talmente concentrato sulle sue funzioni che tra noi c’era stato un livello di scambio interpersonale poco più intenso di quello che si potrebbe avere con un robot trasportatore. Ero rimasta da sola con i miei file per il resto del viaggio, proprio come piace a me. Mi aveva viziato, facendomi credere che tutti i trasporti robotizzati sarebbero stati così.

Poi c’era stata l’Astronave Rompipalle di Trasporto. La designazione ufficiale di ART era “nave di ricerca spaziale”. In momenti diversi della nostra relazione, ART aveva minacciato di uccidermi, aveva guardato con me le mie serie preferite, aveva modificato la mia configurazione corporea, si era dimostrato un ottimo supporto tattico, mi aveva convinto a fingermi una consulente umana aumentata per la sicurezza, aveva salvato le vite dellə miə clienti e aveva dato una ripulita dopo il mio passaggio, quando ero stata costretta a uccidere un po’ di umani (erano dei cattivi). Un po’ mi mancava, ART.

E poi c’era il trasporto su cui mi trovavo ora.

Anche quello era pilotato da un bot, e non aveva equipaggio; trasportava però passeggeri, perlopiù lavoratori di basso e medio livello, umani e umani aumentati, in viaggio tra una stazione di transito e l’altra per contratti d’impiego temporanei. Non era certo una situazione ideale per me, ma era l’unico trasporto ad andare nella direzione giusta.

Come tutti i trasporti robotizzati che non erano ART, quella nave comunicava per immagini e mi aveva accolto a bordo in cambio di una copia dei miei file multimediali. Poiché il manifesto di carico era contenuto nel feed della nave, e dunque a disposizione di tutti gli altri passeggeri, chiesi al bot di inserirmi per la durata del viaggio qualora qualcuno avesse voluto darci un’occhiata. Nel modulo passeggeri c’era un campo dove indicare la propria professione e, in un momento di debolezza, dissi che ero una consulente per la sicurezza.

Trasporto decise che significava che poteva usarmi come personale di bordo per la sicurezza e cominciò a informarmi dei problemi tra i passeggeri. Dato che ero una sciocca, cominciai a rispondergli. No, non so nemmeno perché. Forse perché era ciò per cui ero stata costruita, e si vede che ce l’ho nel DNA che controlla le mie parti organiche (ci vorrebbe un codice di errore che significhi: “Ho ricevuto la tua richiesta ma ho deciso di ignorarti”).

All’inizio era stato piuttosto facile (“Se la infastidisci ancora ti spezzo ogni singolo osso della mano, e poi passo al braccio. Mi ci vorrà più o meno un’ora”). Poi la faccenda si era complicata quando anche i passeggeri che si andavano a genio avevano cominciato a bisticciare. Passavo un sacco di tempo (tempo prezioso, che avrei potuto impiegare a godermi i miei file multimediali) a mediare conflitti di cui non m’importava un cazzo.

Giunti finalmente all’ultimo ciclo di viaggio, eravamo in qualche modo riusciti a sopravvivere tutti quanti ed ero diretta in sala mensa per interrompere l’ennesima rissa tra idioti umani.

Trasporto non aveva droni a bordo; disponeva però di una certa quantità di telecamere di sorveglianza, per cui conoscevo le posizioni di ognuno all’interno della zona di cucina/mensa prima che la porta si aprisse. Avanzai a passo deciso attraverso la sala, oltre il dedalo di umani urlanti e tavoli e sedie ribaltati, e mi frapposi tra i due litiganti. Uno dei due aveva impugnato un utensile da cucina come arma e, con una torsione cauta, facendo attenzione a non strappargli le dita, glielo tolsi di mano.

Potreste pensare che, essendo piombata sul posto quella che identificavano come consulente per la sicurezza della nave e avendo disarmato bruscamente uno di loro, i due umani si fossero fermati e avessero rimesso in prospettiva le proprie priorità in quella situazione – ma sbagliereste di brutto. Indietreggiarono barcollando, strillandosi insulti a vicenda. Gli altri umani presenti smisero di urlare volgarità ai due contendenti e si misero a gridare verso di me, cercando tutti di raccontarmi differenti versioni dell’accaduto. «Silenzio!» gridai (la cosa bella di quando fai finta di essere un’agente di sicurezza umana aumentata invece di un costrutto SecUnit è che puoi dire agli umani di chiudere il becco).

Chiusero tutti il becco.

Poi, ancora ansimante, Ayres mi disse: «Consulente Rin, pensavo che avesse detto di non voler tornare quassù…».

L’altro, Elbik, lo indicava teatralmente. «Consulente Rin, ha detto che voleva…»

Avevo dato istruzioni a Trasporto di inserirmi con il nome di Rin nel manifesto di carico, benché su RaviHyral avessi usato Eden. Ero piuttosto certa che la sicurezza della stazione di transito di RaviHyral non avrebbe avuto motivo di associare quella identità con le morti improvvise che si erano verificate a bordo di una navetta privata, e che, quand’anche l’avesse fatto, non avrebbe perseguito nessuno al di fuori della propria giurisdizione a meno di esservi contrattualmente obbligata. Mi era però parso opportuno cambiare comunque nome.

Gli altri, che cominciavano a uscire da dietro ai tavoli e alle barricate frettolosamente erette con le sedie, cercarono tutti di inserirsi nella discussione, gesticolando e gridando anche loro. La solita storia (se non fosse stato per i programmi che scaricavo dal feed di intrattenimento, avrei pensato che gli umani non sanno fare altro che gesticolare e gridare).

I ventisei cicli oggettivi di quel viaggio a me erano sembrati più simili a duecentotrenta, perlomeno. Avevo cercato di distrarli. Avevo copiato tutti i miei video d’intrattenimento sul sistema di Trasporto accessibile ai passeggeri per far sì che potessero essere diffusi sui loro schermi personali, diminuendo al minimo i piagnistei (di bambini e adulti). C’è da dire che anche le risse erano diminuite notevolmente dopo la prima volta che avevo inchiodato un tipo alla parete con una mano e stabilito regole comportamentali chiare (Regola Numero Uno: non toccare la Consulente per la Sicurezza Rin). Anche così, però, di solito ero costretta a starmene lì impotente ad ascoltare i loro problemi e le loro rimostranze contro gli altri passeggeri, le varie corporazioni da cui erano stati fregati (già, non me ne parlate…) e l’esistenza in generale. Sì, starli a sentire era una tortura insopportabile.

Quel giorno, dissi: «Non m’interessa».

Chiusero tutti il becco, di nuovo.

«Abbiamo ancora tutt’al più sei ore prima che la nave attracchi» continuai. «Dopodiché potrete farvi tutto ciò che volete.»

La mia strategia non funzionò; dovettero comunque parlarmi di ciò che aveva scatenato quell’ultimo alterco (non ricordo di che si trattasse; lo cancellai dalla memoria non appena uscii dalla sala).

Erano tutti umani fastidiosi e profondamente inadeguati, ma non per questo volevo ucciderli. Okay, forse solo un pochino.

Il compito di una SecUnit consiste nel proteggere i propri clienti da qualsiasi cosa voglia ucciderli o far loro del male, e di scoraggiarli con ferma cortesia dall’ammazzarsi, menomarsi e via discorrendo gli uni con gli altri. Detto questo, il motivo per cui cercavano di ammazzarsi, menomarsi e via discorrendo gli uni con gli altri non era un problema della SecUnit in questione: era una seccatura che si doveva smazzare il supervisore umano (che poteva anche, in alternativa, ignorare bellamente la cosa finché l’intero progetto non si deteriorava in un gigantesco puttanaio e la SecUnit di cui sopra non si metteva a pregare di ricevere il dolce sollievo di un’improvvisa decompressione dovuta a una gigantesca esplosione accidentale – non che lo dica per esperienza diretta, eh…).

Ma lì, a bordo di quel trasporto, non c’era nessun supervisore; c’ero solo io. Io sapevo dove erano diretti e loro sapevano dov’erano diretti, anche se s’intestardivano a far finta che tutta la loro rabbia e frustrazione fosse provocata da Vinigo o Eva che avevano preso un pacchetto extra di frutta sintetica. Passavo dunque il mio tempo ad ascoltarli e a far finta di avviare indagini a tutto campo su chi mai potesse aver gettato la carta dei cracker nel lavandino del bagno della cucina e incidenti del genere.

Erano diretti verso uno stabilimento in un qualche merdosissimo mondo. Ayres mi aveva detto che avevano tutti venduto la propria forza lavoro per un periodo di venti anni, in cambio di un cospicuo premio finale. Era ben cosciente che fosse un accordo infame, ma era sempre meglio delle altre scelte che avevano a disposizione. Quel contratto includeva l’alloggio ma stornava una percentuale per qualsiasi altra cosa, come il cibo, l’energia usata ed eventuali spese mediche, misure preventive incluse (sì, lo so… Ratthi aveva detto che usare i costrutti era una forma di schiavitù, ma perlomeno io non dovevo pagare la compagnia per le riparazioni, la manutenzione, le munizioni e la corazza. Ovviamente nessuno mi aveva mai chiesto se avessi voluto essere una SecUnit, ma quella è una metafora del tutto diversa).

(Nota per me stessa: controllare la definizione di metafora.)

Avevo chiesto ad Ayres se quei vent’anni fossero conteggiati secondo i cicli del calendario planetario, secondo quelli del calendario proprietario della corporazione che gestiva il pianeta, o magari gli Standard Raccomandati da Corporation Rim, o chissà che altro… Lui non lo sapeva e non aveva capito perché avesse importanza.

Già. Ecco perché stavo cercando di non affezionarmi a nessuno di loro.

Non avrei mai scelto quel trasporto se avessi potuto evitarlo, ma era davvero l’unico che si dirigesse alla stazione di transito che fungeva da scalo per la mia destinazione. Stavo cercando di raggiungere un luogo chiamato Milu, all’esterno di Corporation Rim.

Avevo preso quella decisione dopo aver lasciato RaviHyral. In un primo momento avevo avuto bisogno di muovermi in fretta e di frapporre più distanza possibile tra me stessa e la stazione di transito (vedi sopra alla voce: umani trucidati). Ero salita a bordo del primo trasporto merci disponibile e, dopo un viaggio di sette cicli, ero sbarcata su un anello di transito affollato – il che era un bene, perché è facile perdersi nella folla, e un male, perché era pieno di umani e umani aumentati ovunque, tutto intorno a me e che continuavano a guardarmi. Un vero inferno (dopo aver incontrato Ayres e gli altri, ovviamente, la mia definizione di inferno è piuttosto cambiata).

E poi mi mancava ART; mi mancavano perfino Tapan, Maro e Rami. Se proprio devi prenderti cura di qualche umano, meglio occuparsi di umanə piccolə e sofficə che sono carinə con te e che pensano che tu sia un mito per aver impedito il loro assassinio (piacevo loro soltanto perché pensavano che fossi un’umana aumentata, ma del resto non si può avere tutto dalla vita).

Dopo RaviHyral avevo deciso di smetterla di cazzeggiare in giro e di andarmene da Corporation Rim; dovevo però pianificare un percorso. Le tabelle orarie e i feed di cui avevo bisogno non erano accessibili a bordo del primo trasporto ma, dopo l’attracco, ero stata inondata da informazioni, perciò avevo dovuto prendermi un po’ di tempo per setacciare il tutto. Per di più, ero arrivata a quel molo da ventidue minuti e avevo già disperatamente bisogno di un po’ di tranquillità. Mi ero quindi rifugiata in un servizio automatizzato per soste temporanee e avevo usato un po’ dei fondi disponibili sulla mia nuova carta valuta per pagarmi un cubicolo di riposo privato. Era grande quanto bastava per accogliere me e la mia sacca, ma era sufficientemente simile a una cassa da trasporto da risultare vagamente confortante. Avevo passato parecchio tempo da sola chiusa in una cassa da trasporto, spedita come merce ai clienti che avevano fatto un contratto. Avevo pensato che un umano doveva essere davvero stanco per potersi riposare lì dentro senza dare di matto.

Una volta a mio agio, avevo controllato i feed della stazione alla ricerca delle ultime notizie su DeltFall e GrayCris. Avevo trovato quasi immediatamente un collegamento a una discussione sull’argomento. Le cause legali continuavano il loro corso, le testimonianze erano ancora al vaglio e via discorrendo. Non sembrava che ci fossero stati molti cambiamenti da quando avevo lasciato RaviHyral – il che era frustrante. Ero felice di leggere che quella fastidiosa SecUnit di cui nessuno voleva parlare era ancora data per dispersa. Difficile capire se i giornalisti subodorassero che qualcuno mi stesse nascondendo. Non sembravano voler dare molto credito all’ipotesi che mi fossi allontanata di mia spontanea volontà. Poi mi ero imbattuta in un’intervista con la dottoressa Mensah, messa in rete sei cicli prima.

Era stato inaspettatamente piacevole rivederla. Avevo ingrandito l’immagine per vederla meglio e mi era parsa piuttosto stanca. Dallo sfondo del video non riuscivo a capire dove si trovasse e, da una rapida ispezione dei contenuti dell’intervista, non ne avevo trovato menzione. Avevo sperato che fosse tornata su Preservation; se era ancora a Port FreeCommerce speravo che avessero messo sotto contratto qualcuno in grado di proteggerli adeguatamente. Sapendo però come la pensava sulle SecUnit (tutti quei pistolotti sulla questione della schiavitù), dubitavo che l’avrebbe fatto. Pur non avendo un MedSystem nel mio feed, capivo che i cambiamenti della pelle intorno ai suoi occhi indicavano una mancanza di sonno tendente al cronico.

Mi ero sentita un po’ in colpa… Più o meno, quasi. Qualcosa non andava, e speravo che non fosse per causa mia. Non era certo colpa sua se ero fuggita, e speravo che non stessero cercando di addossarle la responsabilità per, tipo, aver liberato una SecUnit ribelle con una strage alle spalle in mezzo alla popolazione ignara. Di certo non era stata quella, la sua intenzione. Aveva in mente di spedirmi a casa sua, su Preservation, dove mi avrebbe, chissà… Civilizzato, o educato, o vai a sapere cosa. I dettagli erano piuttosto vaghi. L’unica cosa che sapevo con certezza era che su Preservation non c’era nessun bisogno di SecUnit, e che la loro idea di SecUnit libera e indipendente significava che avrei avuto un “guardiano” umano (in altri posti li chiamano semplicemente padroni).

Avevo ripassato nuovamente il contenuto del notiziario. Le indagini su GrayCris condotte dai giornalisti stavano facendo saltar fuori altri incidenti che suggerivano come l’attacco a DeltFall fosse più simile a un’attività di routine che a un’eccezione (sai che sorpresa…). GrayCris si era attirata da tempo numerose lamentele in materia di contratti poco trasparenti e accordi di esclusiva su vari siti, incluso un potenziale progetto di terraformazione al di fuori di Corporation Rim che era stato abbandonato, benché nessuno sapesse perché. Mandare a puttane un pianeta, anche soltanto una parte del pianeta, senza motivo era una faccenda piuttosto pesante, ed ero sorpresa che gliel’avessero fatta passare liscia. Anzi, no… Non ero sorpresa.

Il giornalista aveva chiesto alla dottoressa Mensah di quell’ultimo incidente, e lei aveva risposto: «Dopo ciò che ho visto su GrayCris, intendo esortare il Consiglio di Preservation a unirsi alla richiesta formale perché venga aperta un’indagine sulla questione di Milu. Un tentativo di terraformazione lasciato a metà è uno spreco inaccettabile di risorse e anche della superficie naturale di un pianeta, ma GrayCris si è rifiutata di dar conto delle proprie azioni».

Il giornalista aveva allegato un link al commento di Mensah, in cui si riportava la notizia che una piccola compagnia esterna ai territori corporativi aveva recentemente presentato una richiesta di recupero del progetto di terraformazione abbandonato da GrayCris. Tale compagnia aveva appena installato un sistema di trazione per prevenire la dispersione in atmosfera della piattaforma abbandonata, e avrebbe presto dovuto iniziare una perizia di conformità. A quel punto l’articolo si faceva drammatico, chiedendosi cosa mai avrebbe scoperto la squadra di rilevamento.

Io me ne stavo lì sdraiata, scartabellando tra feed e tabelle orarie, e pensavo proprio di sapere cos’avrebbe trovato la squadra di rilevamento.

Il motivo per cui me ne andavo in giro libera e la dottoressa Mensah era finita sui notiziari era che quelli di GrayCris erano pronti a uccidere un’intera squadra di ricercatori pur di garantirsi l’accesso ai resti di una civiltà aliena senziente abbandonati nel terreno della nostra zona di ricognizione. Ora ne sapevo molto di più, dopo aver ascoltato Tapan e lə altrə parlare di quel loro software per l’identificazione di materiali sintetici estranei, e anche perché avevo scaricato un libro sull’argomento e l’avevo letto tra un episodio e l’altro delle mie serie preferite. C’erano una miriade di accordi tra le entità politiche e corporative, all’interno e all’esterno di Corporation Rim, riguardanti i resti alieni. In buona sostanza, non potevi nemmeno sfiorarli senza un mucchio di certificazioni speciali, e forse nemmeno con quelle.

Quando me n’ero andata da Port FreeCommerce, l’ipotesi era che GrayCris volesse mano libera con quei resti. Era presumibile che GrayCris avrebbe poi montato un’operazione mineraria o una colonia, o un qualche altro tipo di grosso progetto, come copertura mentre recuperavano e studiavano quei resti.

E se il progetto di terraformazione su Milu non fosse stato altro che una copertura per fare degli scavi e cercare di recuperare resti alieni oppure materiali sintetici estranei, o entrambi? GrayCris aveva completato il recupero e aveva poi fatto finta di abbandonare la terraformazione, che in realtà non aveva mai veramente avuto inizio. Una volta abbandonata, la piattaforma si sarebbe disgregata nell’atmosfera, cancellando ogni prova.

Se la dottoressa Mensah avesse potuto provarlo, l’indagine contro GrayCris si sarebbe fatta molto più interessante. Talmente interessante che, forse, i giornalisti avrebbero dimenticato quella faccenda della SecUnit in libertà. E allora la dottoressa Mensah non sarebbe dovuta restare su Port FreeCommerce e sarebbe potuta tornare a Preservation, dove sarebbe stata al sicuro e io avrei potuto smetterla di preoccuparmi per lei.

Pensavo che trovare le prove non sarebbe stato difficile. Gli umani sono sempre convinti di aver coperto ogni traccia e di aver cancellato tutti i dati, ma si sbagliano molto di frequente. Perciò… Forse avrei dovuto farlo, sì. Sarei potuta andare su Milu, recuperare tutti i dati che riuscivo a trovare e inviarli alla dottoressa Mensah, ovunque si trovasse su Port FreeCommerce oppure direttamente a casa sua, a Preservation.

Avevo ripreso il feed principale e modificato le mie impostazioni di ricerca per trovare un passaggio verso Milu ma, tra le tabelle orarie pubbliche, non avevo trovato niente che passasse dalla stazione di transito su cui mi trovavo. Avevo quindi ampliato la mia ricerca, controllando altre stazioni di transito collegate. Non ero riuscita a trovare nient’altro che un vecchio annuncio, risalente a quaranta cicli prima, in cui si diceva che la piattaforma di terraformazione era stata dichiarata abbandonata dopo che la stazione di transito locale aveva registrato un lungo periodo di inattività. L’informativa riportava che le rotte commerciali verso Milu erano state interrotte, tutte tranne quella in partenza da HaveRatton Station, che si trovava ai confini di Corporation Rim. Non ero però riuscita a trovare nessuna informazione aggiornata sui trasporti che andavano a Milu da HaveRatton, eccezion fatta per alcuni vaghi articoli in cui si diceva che ce n’era ancora qualcuno, di tanto in tanto.

Forse non sarei riuscita ad arrivare su Milu senza un mezzo personale, ma quella era una prospettiva impossibile. Ho un modulo di addestramento per gli hopper e altri velivoli planetari ma non per le navette spaziali, i trasporti galattici o cose del genere. Avrei potuto rubare una nave e un pilota robotizzato ma la cosa si sarebbe fatta un po’ troppo complicata, perfino per me.

Tuttavia, HaveRatton era uno snodo fondamentale per i trasporti diretti verso l’esterno di Corporation Rim, e da lì avrei potuto scegliere centinaia di altre destinazioni possibili. Perciò, quand’anche il progetto di andare su Milu si fosse rivelato irrealizzabile, non sarebbe stato un viaggio a vuoto.

Il primo trasporto senza scali per HaveRatton era una nave catalogata come trasporto merci e passeggeri, ed era così che ero finita con Ayres e il suo gruppo di idioti incastrati da un contratto capestro.

Dopo aver interrotto l’ultima rissa in sala mensa e aver provato a porre fine alla mia breve carriera di consulente di relazioni interpersonali per umani disperati, mi andai a nascondere in cabina. Quando emergemmo dal varco spazio-temporale e cominciammo l’avvicinamento a HaveRatton mi agganciai al feed della stazione.

Avevo bisogno di ottenere le tabelle orarie il prima possibile; e poi non vedevo l’ora di poter scaricare nuovi file multimediali. L’ultima serie che avevo guardato partiva bene ma si era rivelata irritante. Trattava di una spedizione di esplorazione preliminare alla terraformazione (su un pianeta che già presentava un profilo del tutto inadeguato a un processo di terraformazione, ma su quello si poteva anche sorvolare) che si trasformava in una lotta per la sopravvivenza con fauna ostile e predatori mutanti. Gli umani, però, erano troppo indifesi per rendere interessante la serie e non facevano altro che farsi ammazzare. Si capiva subito che la storia si sarebbe avviata verso un finale deprimente e non ero proprio dell’umore giusto. Risultava particolarmente fastidiosa perché, a mio parere, era palese che l’aggiunta di un’eroica SecUnit e magari di un qualche interessante relitto alieno avrebbe potuto trasformarla in un’ottima storia d’avventura.

Senza contare che era impossibile che la loro compagnia concessionaria avesse acconsentito a eseguire i rilevamenti senza la presenza di una qualche forma di servizio di sicurezza professionale. Non era per niente realistica. Anche un’eroica SecUnit sarebbe stata poco realistica ma, come avevo detto ad ART, c’è un non realistico giusto e un non realistico sbagliato.

Avevo smesso di seguire la serie quando i mutanti avevano trascinato via il biologo del gruppo per mangiarselo. Ma dài. Ero stata progettata per prevenire esattamente quel tipo di situazioni!

Peraltro, pensare al probabile destino dei passeggeri di Trasporto mi aveva messo di cattivo umore. Non volevo vedere umani indifesi. Avrei preferito vedere umani intelligenti che si salvavano a vicenda.

Feci una selezione dall’indice delle informazioni disponibili e avviai i nuovi download, poi misi in coda la richiesta di tabelle orarie e guida dei trasporti per arrivare a Milu.

Non c’era niente per quel ciclo, e nemmeno per il prossimo. Nemmeno quando ampliai la ricerca a trenta cicli di distanza. Be’, quello poteva essere un problema.

Avevo riflettuto molto sul mio piano tra una scazzottata e l’altra, e ora mollare tutto mi pesava; volevo danneggiare GrayCris e, se non potevo farlo a fucilate, quello era il modo migliore che mi rimaneva. Poteva darsi che le tabelle non fossero aggiornate; gli umani sono così fottutamente inaffidabili, quando si parla di gestire i dati. Mentre rallentavamo per l’accostamento finale e l’attracco, cercai l’elenco pubblico con i collegamenti da e per quella stazione e – sorpresa! – Milu era nella lista. Come al solito era una compagnia indipendente a gestire la stazione di transito, perciò secondo quell’elenco era rimasta attiva anche dopo che la piattaforma era stata abbandonata. La popolazione della stazione di Milu era variabile e constava di non più di cento unità.

Il fatto che fosse variabile era un bene; significava che c’erano pochi residenti fissi, che la gente andava e veniva in continuazione. Che fossero non più di cento, però, era un male. Quand’anche fossi riuscita ad arrivare fin lì, senza un motivo valido per giustificare la mia presenza, avrei dovuto cercare di passare inosservata.

ART aveva alterato la mia configurazione per far sì che le scansioni non mi identificassero come SecUnit, mentre io mi ero scritta un codice per assicurarmi che i miei comportamenti fossero più simili a quelli di un’umana o di un’umana aumentata (soprattutto rendendo più naturali i movimenti involontari e il respiro). Avrei però dovuto evitare le altre SecUnit e sarebbe stato meglio evitare anche gli umani che avevano visto delle SecUnit senza corazza (come il personale del centro di smistamento). GrayCris aveva assoldato delle SecUnit all’interno di Corporation Rim, ed era possibile che ne avessero fatto uso anche sulla stazione di Milu. In teoria, GrayCris aveva rimosso tutti gli uffici dalla stazione di transito quando aveva abbandonato la piattaforma, ma gli umani che erano rimasti potevano aver visto le sue SecUnit. Era un rischio calcolato – significava che l’avrei fatto comunque pur sapendo che poteva essere come spararsi su una rotula.

Avrei anche potuto abbandonare l’idea. C’erano diversi trasporti che partivano alla volta di destinazioni molto lontane dai territori delle corporazioni, luoghi di cui non sapevo niente. Ma ero stanca di far finta di essere umana. Avevo bisogno di una pausa.

Consultai la tabella oraria delle navi private e non ne trovai nessuna che andava a Milu. C’erano, però, diverse navi che sarebbero partite durante il ciclo successivo o giù di lì senza dichiarare la propria destinazione. Una di queste era una piccola nave mercantile pilotata da un bot, grande quanto bastava da trasportare riserve per cento o centocinquanta umani per un centinaio di cicli. Controllai lo storico dei suoi viaggi nel database e vidi che andava e veniva a intervalli regolari. Era possibile che si trattasse di un terzista privato che riforniva la stazione di Milu, e che non fosse elencato nella tabella oraria perché non volevano nessun umano ficcanaso da quelle parti finché la questione della piattaforma non si fosse risolta.

La nave cargo sarebbe dovuta partire diciotto cicli prima ma aveva chiesto un rinvio. Altri sei trasporti di dimensioni e punto di origine variabili sarebbero arrivati su HaveRatton in contemporanea con il mio. Poteva darsi che la nave di rifornimento fosse in attesa di una di quelle, magari per rispondere a una richiesta di carico speciale. Oppure era possibile che fosse in attesa di riparazioni.

Per saperne di più, avrei dovuto chiederglielo di persona.