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Il problema mi stava aspettando nella lobby dell’albergo principale.

Tapan era seduta su un divanetto rotondo in una delle piattaforme superiori, con la sacca poggiata davanti ai piedi, parzialmente coperta da un’altra scultura olografica di una gigantesca formazione cristallina. Alzò gli occhi e disse: «Oh, salve. Non sapevo se lə altrə fossero riuscitə ad avvertirti».

Senza di me, ART non aveva nessuna visuale dello scompartimento passeggeri all’interno della navetta (in quanto veicolo privato che veniva usato soltanto come trasporto pubblico in maniera tanto opaca, quando non apertamente illegale, la navetta non disponeva di un sistema di sicurezza interno, né di telecamere). ART non poteva quindi essersi accorto che Tapan non era a bordo finché la navetta non aveva raggiunto l’anello di transito. Prendendo molto a cuore il suo incarico, aveva inviato un drone nella zona d’imbarco per controllare l’arrivo dellə mieə clienti e aveva visto Rami e Maro, palesemente in preda all’angoscia e alla rabbia, ma non Tapan. Poi aveva controllato il profilo di Eden sul feed sociale e aveva trovato il messaggio di Rami (Tapan aveva detto loro di sentirsi poco bene e di aver bisogno di usare il bagno della navetta. Si erano resə conto di quel che era successo soltanto dopo che la navetta aveva lasciato il porto).

«Mi hanno lasciato un messaggio» le dissi. Pensavo di restarmene lì a fissarla, impassibile, che è quel che fanno le SecUnit con i clienti che hanno appena compiuto un atto di stupidità talmente enorme da rasentare il suicidio dopo averci ordinato di non provare a impedirglielo. Tapan però sembrava aver capito di aver fatto una stupidaggine e io avevo bisogno di sapere cosa fosse successo: «Cos’è successo?».

Lei alzò lo sguardo verso di me; era chiaro che prevedeva una mia reazione negativa. «Ho ricevuto un messaggio sul feed attraverso il profilo sociale che avevo quando lavoravamo qui. Una persona che lavora per Tlacey – un amico – dice di avere le copie dei file e che è disposto a darcele.» Inoltrò il messaggio al mio feed.

Io lo controllai con attenzione. L’orario dell’incontro era impostato per il ciclo successivo.

Sentivo che quello sarebbe stato il punto in cui un umano avrebbe sospirato, per cui sospirai.

«So che potrebbe essere una trappola» disse Tapan. «Ma magari non lo è… Lui lo conosco; non sarà una cima, però detesta Tlacey.» Esitò. «Mi aiuterai? Per favore… Se ti rifiutassi, lo capirei. So di essere stata… So che potrebbe essere una pessima idea.»

Mi ero dimenticata che potevo scegliere, che non ero costretta a fare quel che voleva lei soltanto perché era lì. Sentirmi chiedere di restare, accompagnato da un per favore e dalla possibilità di rifiutare, mi colpì con la stessa forza di un umano che avesse chiesto il mio parere per poi darmi retta sul serio. Sospirai di nuovo. Mi stavano capitando un sacco di opportunità di farlo, e credo che stessi diventando brava. «Ti aiuterò. Adesso, però, dobbiamo trovare un posto dove nasconderci.»

Dall’anello di transito, Tapan aveva portato con sé una carta valuta che non era collegata a nessun conto di RaviHyral, e che quindi non era tracciabile. Perlomeno così pensava lei, e io sperai che avesse ragione. Non mi avevano mai caricato un modulo formativo sui sistemi finanziari ma, dal momento che i nostri moduli facevano comunque piuttosto schifo, non credo che mi sarebbe stato veramente utile in quella situazione. ART fece una ricerca per me e ne emersero risultati contrastanti. Le carte di valuta pregiata potevano essere tracciabili, ma di norma soltanto da entità politiche non corporative o dalle corporazioni. Decisi che potevamo usare la carta. Se quel messaggio non era una trappola, Tlacey doveva aver pensato che lə miə clienti fossero ormai tornatə sull’anello di transito. Se invece lo era, sapevano di poterci pizzicare nel momento in cui ci presentavamo all’incontro, per cui non aveva senso venire a cercarci prima. Tapan usò la carta per pagarci una stanza temporanea nel blocco vicino al porto. Io rimasi dietro di lei a tenere d’occhio la zona mentre strisciava la carta al bancone di vendita e si faceva assegnare la stanza. Gli alloggi temporanei si trovavano in un angusto groviglio di corridoi ed erano diversi dall’albergo principale tanto quanto una vera nave cargo era diversa da ART. Non c’era nessun SecSystem di cui prendere il controllo e soltanto una telecamera all’ingresso. Cancellai la nostra presenza dalla sua memoria ma ebbi comunque l’impressione che potessero averci osservati – o avermi osservato. Magari era semplice paranoia da SecUnit in fuga.

Tapan ci guidò alla stanza. In quei corridoi fiocamente illuminati c’erano altri umani e alcuni sembravano intenzionati ad avvicinarla ma, quando mi vedevano, cambiavano idea. Ero più grossa di loro e, senza l’ausilio delle telecamere, era difficile controllare la mia espressione.

Di’ all’umana di non toccare le superfici, suggerì ART. Potrebbero esserci vettori d’infezione batterica.

Mentre venivamo lì avevo condiviso la registrazione di quel che avevo scoperto a Ganaka Pit. Ottime notizie, aveva commentato ART. Quindi non è stata colpa tua. In un certo senso, concordavo con lui. Mi aspettavo però che la cosa mi facesse sentire meglio. E invece mi sentivo uno schifo.

Una volta entrati nella stanza e con la porta chiusa, vidi Tapan rilassare le spalle e fare un respiro profondo. La stanza era una semplice scatola quadrata con dei materassini impilati in un armadio, per sedersi o dormire, e un piccolo schermo. Niente telecamere, niente sorveglianza audio. C’era un piccolo bagno annesso con un riciclatore di rifiuti e una doccia. Quantomeno c’era una porta. Avrei dovuto far finta di usarlo almeno un paio di volte. Già, quello sarebbe stato il massimo del divertimento che mi aspettava in quel ciclo. Creai un evento ripetuto e impostai un allarme per ricordarmene.

Tapan gettò lo zaino a terra e si voltò verso di me. «Lo so che sei arrabbiata.»

Cercai di moderare la mia espressione. «Non sono arrabbiata.» Ero furiosa. Pensavo che lə mieə clienti fossero al sicuro, che fossi libera di occuparmi dei miei problemi, e invece ora avevo una piccola umana di cui prendermi cura e che non potevo abbandonare.

Lei annuì e scostò le treccine dalla fronte. «Lo so… Voglio dire, sono sicura che Rami e Maro siano furiose. Ma non è che non sia spaventata, per cui è un bene.»

Sul mio feed, ART chiese: In che senso?

Non ne ho idea, gli risposi. A Tapan chiesi: «In che senso, un bene?».

«All’asilo» mi spiegò lei, «le nostre madri ci dicevano sempre che la paura è una condizione artificiale, imposta dall’esterno. Per cui è possibile combatterla. Devi fare le cose di cui hai paura.»

Se un bot con il cervello grande quanto una nave poteva alzare gli occhi al cielo, era quel che stava facendo ART in quel momento. «Non è questo, lo scopo della paura» obiettai. Non ci avevano dato un modulo formativo sull’evoluzione umana; io però l’avevo cercato per conto mio nelle banche dati degli HubSystem a cui avevo accesso, sforzandomi di capire che diavolo passasse per la testa degli umani. Non era servito a un granché.

«Lo so» disse lei. «Dovrebbe essere un discorso motivante.» Si guardò intorno e andò verso l’armadio con i materassini imbottiti. Li tirò fuori, li annusò con sospetto, poi prese una capsula spray da una tasca del suo zaino e ce li spruzzò. «Ho dimenticato di chiederti se hai poi avuto modo di fare quella ricerca che volevi fare…»

«Sì. Si è rivelata… Inconcludente.» Era stata concludente in maniera incontrovertibile, invece, solo che non aveva avuto l’effetto rivelatore che, stupidamente, mi ero augurata. L’aiutai a tirare fuori il resto dei materassini.

Li sistemammo sul pavimento e ci sedemmo. Lei mi guardò e si morse un labbro. «Sei davvero aumentata, eh? Davvero parecchio, tipo. Tipo più di quanto uno sceglierebbe di fare volontariamente.»

Non era una domanda. «Ehm, sì» confermai.

Lei annuì. «È stato un incidente?»

Mi resi conto che avevo stretto le braccia intorno al corpo e mi stavo chinando in avanti, come se cercassi di mettermi in posizione fetale. Non so perché fosse così stressante. Non avevo motivo di aver paura di lei. Forse era il fatto di essere di nuovo lì, di aver visto di nuovo Ganaka Pit. Una qualche parte del mio sistema organico ricordava ciò che era successo laggiù. ART fece partire la colonna sonora di Sanctuary Moon sul mio feed e, stranamente, la cosa mi fu d’aiuto. «Sono rimasto coinvolta in un’esplosione» risposi. «Gran parte di me non è umana, a dire il vero.»

Entrambe le cose erano vere.

Lei si sgranchì un poco, come se stesse decidendo cosa dire, poi annuì di nuovo. «Mi dispiace che ti sia capitato. So che sai il fatto tuo, però… Devo provarci, devo vedere se questo tizio ha davvero i nostri file. Soltanto un ultimo tentativo; poi tornerò all’anello di transito.»

Sul mio feed, ART abbassò la colonna sonora per dire: I giovani umani possono essere impulsivi. Il trucco è riuscire a tenerli in vita abbastanza a lungo da farli diventare vecchi umani. È ciò che mi dice il mio equipaggio, e quel che vedo pare confermarlo.

Come non concordare con le perle di saggezza dispensate dall’equipaggio assente di ART? Mi tornò in mente che gli umani hanno dei bisogni e chiesi a Tapan: «Hai mangiato?».

Aveva comprato dei pasti con la carta valuta e se li era ficcati nello zaino. Me ne offrì uno e io le dissi che le mie modifiche m’imponevano una dieta speciale e che non era ancora ora di mangiare, per me. Accettò la cosa senza battere ciglio. A quanto pare, agli umani non piace parlare dei problemi all’apparato intestinale, per cui non ebbi bisogno di corroborare la mia scusa con nessuno dei dettagli che ART aveva trovato per me in rete. Le chiesi se le piacevano le serie e lei annuì, per cui trasmisi qualche file allo schermo della stanza e guardammo insieme i primi tre episodi di Saltamondi. ART ne fu compiaciuto; potevo sentirlo che si accomodava nel mio feed e metteva a confronto le reazioni di Tapan con le mie.

Quando Tapan disse che voleva provare a dormire, spensi lo schermo. Lei si accoccolò sul suo materassino, io mi sdraiai sul mio e continuai a guardare la serie sul feed insieme ad ART.

Due ore e quarantatré minuti dopo rilevai un ping che giungeva da dietro la nostra porta.

Mi tirai a sedere così bruscamente che Tapan si svegliò di soprassalto. Le feci segno di restare in silenzio e lei tornò a rannicchiarsi sul materassino imbottito, stringendo la sacca con aria preoccupata. Io mi alzai e andai verso la porta, tendendo l’orecchio. Non udii nessun respiro ma c’era un cambiamento, nel rumore di fondo, che mi confermava la presenza di qualcosa di solido dall’altra parte della paratia metallica. Con prudenza, effettuai un rilevamento locale.

Sì, c’era qualcosa là fuori. Nessun segno di armi, però. Controllai il ping e vidi che aveva lo stesso codice del ping che avevo rilevato nella zona pubblica durante l’incontro con Tlacey.

Dall’altra parte della porta c’era il sexbot.

Non poteva avermi pedinato per tutto quel tempo. Forse mi aveva osservato attraverso le telecamere di sorveglianza, seguendo i miei movimenti in maniera sporadica quando tornavo in vista. Non era un pensiero confortante.

Doveva appartenere a Tlacey. Se aveva tenuto d’occhio me doveva essersi perso lo sbarco inatteso di Tapan dalla navetta privata, ma doveva averla vista di nuovo quando ci eravamo incontrati all’albergo principale, prima di venire in quel posto. Dannazione.

Ora però lo sapevo. Se non mi avesse inviato il ping, non mi sarei resa conto che era in gioco. Perché è qui?, chiesi ad ART.

Immagino sia una domanda retorica, rispose lui.

C’era soltanto un modo per scoprirlo. Accettai il ping.

L’istante parve protrarsi nel tempo. Poi il sexbot si protese verso il mio feed. Era cauto, una connessione quasi esitante. So cosa sei, mi disse. Chi ti ha mandato?

Ho un contratto con un cliente privato, risposi. Perché stai comunicando con me?

Le SecUnit di uno stesso contratto non parlano tra di loro, né verbalmente né via feed, a meno che non siano costrette a farlo per portare a termine i propri compiti. La comunicazione tra unità di contratti distinti deve sempre avvenire tramite gli HubSystem di controllo. E comunque, le SecUnit non interagiscono con le ComfortUnit. Possibile che fosse un sexbot ribelle? Però, se era ribelle, cosa ci faceva lì a RaviHyral? Non capivo perché mai qualcuno potesse volontariamente restare lì, inclusi gli umani. No, aveva più senso che Tlacey l’avesse sotto contratto, e che l’avesse inviato lì per uccidere Tapan.

Se avesse provato ad aggredire la mia cliente, l’avrei fatto a pezzi.

Tapan si era seduta sul materassino e mi guardava preoccupata. Mimò le parole: Che succede?

Aprii un canale sicuro con lei e dissi: C’è qualcuno fuori dalla porta. Non so perché.

Era in gran parte vero. Non volevo dire a Tapan cosa fosse, dal momento che la cosa sembrava portare direttamente a rivelare quel che ero, e non avevo intenzione di farlo. E tuttavia, se l’avessi distrutto davanti ai suoi occhi, avrei comunque avuto parecchie cose da spiegare.

Il sexbot replicò: Questa sei tu, e m’inviò la copia di un notiziario pubblico.

Veniva dalla stazione, da Port FreeCommerce. Stavolta il titolo recitava: Le autorità ammettono l’esistenza di una SecUnit non contrattualizzata, in località sconosciuta.

Uh-oh, disse ART.

Io chiusi di riflesso la storia, come se questo potesse farla svanire dall’esistenza. Dopo tre secondi di shock, mi costrinsi ad aprirla di nuovo.

“Non contrattualizzata” è la definizione di ribelle quando vogliono che gli umani restino a sentire e non si mettano a gridare in preda al panico. Significava che la consapevolezza che avessi hackerato il mio modulo di controllo non era più ristretta soltanto a me e ai membri di PreservationAux. Dovevano essere giunti al punto in cui tutti i sopravvissuti dei due gruppi di perlustrazione venivano interrogati, e dovevano aver sottoscritto delle garanzie per certificare che stessero dicendo la verità.

Per cui la compagnia adesso sapeva che avevo hackerato il mio modulo di controllo. Era un pensiero terrificante, anche se me l’aspettavo. Era uno dei motivi per cui Mensah si era premurata di togliermi dall’inventario e di farmi uscire dal centro di dispiegamento appena finite le procedure di riparazione e ricostruzione.

Aspettarsi qualcosa e vederla succedere erano due cose ben diverse – una lezione che avevo imparato la prima volta che ero stata fatta a pezzi con uno sparo.

Feci scorrere la storia in preda all’orrore, poi la lessi di nuovo, in dettaglio. Gli avvocati delle diverse parti nella battaglia legale e civile che stava continuando a infuriare avevano richiesto a Preservation di fornire la SecUnit che aveva registrato tutte le dannatissime prove contro GrayCris. Era una cosa insolita. Non è che le SecUnit possano testimoniare in tribunale. Le nostre registrazioni sono ammissibili, proprio come le registrazioni di un drone, di una telecamera di sorveglianza o di qualsiasi altro dispositivo inerte, ma non è che si creda che abbiamo un’opinione o un punto di vista a proposito di quel che registriamo.

Dopo aver traccheggiato un po’, l’avvocato di Mensah aveva ammesso che avevano perso le mie tracce. L’avevano formulata così: “La SecUnit è stata rilasciata con il nostro assenso, dal momento che i costrutti sono considerati senzienti legali secondo l’ordinamento giuridico di Preservation”, ma i giornalisti non l’avevano bevuta. Nei link a margine c’erano un mucchio di articoli correlati su costrutti, SecUnit e SecUnit ribelli. Nessuno aveva menzionato il fatto che questa particolare SecUnit aveva avuto un problemino personale, in passato, con il massacro dei clienti che avrebbe invece presumibilmente dovuto proteggere, ma avevo la sensazione che la compagnia avesse già fatto distruggere qualsiasi documento relativo a Ganaka Pit, in modo da non poterli fornire quando fossero stati richiesti tramite un’ingiunzione giudiziaria.

Tapan sussurrò. «Stai parlando con questa persona?»

«Sì» le risposi. Al sexbot dissi: È una storia interessante, ma non ha niente a che vedere con me.

Sei tu, insisté. Chi ti ha mandato?

Qui si parla di una pericolosa SecUnit ribelle, ribattei. Nessuno la manderebbe mai da nessuna parte.

Non te lo sto chiedendo per denunciarti. Non lo dirò a nessuno. Ti sto solo chiedendo… Non sei controllata da nessun umano? Sei libera?

Sentivo ART che, dal mio feed, si allungava cautamente verso il sexbot.

Ho un cliente, risposi io. Se volevo che ART riuscisse a recuperare qualche informazione, dovevo distrarre il sexbot. Anche se era un sexbot era comunque un costrutto, tutta un’altra cosa rispetto a un bot pilota. Chi ti ha mandato qui? È stata Tlacey?

Sì. È una mia cliente.

Come ComfortUnit, e non come SecUnit. Inviare una ComfortUnit in quella situazione era un atto moralmente irresponsabile, oltre che una chiara violazione del contratto. Immagino che il sexbot lo sapesse bene.

Non è ribelle, disse ART. Il suo modulo di controllo è attivo, per cui sta probabilmente dicendo la verità.

Riesci a hackerarlo da qui?, chiesi ad ART.

Ci fu mezzo secondo di pausa mentre ART valutava quella possibilità. Poi mi rispose: No, non posso mettere in sicurezza la connessione. Potrebbe bloccarmi semplicemente interrompendo il feed.

La tua cliente vuole uccidere la mia cliente, dissi al sexbot.

Non rispose.

Hai detto di me a Tlacey, continuai. Doveva aver capito cosa fossi già durante il primo incontro. E, qualora non ne avesse avuta la certezza, il danno che avevo inflitto ai tre umani inviati da Tlacey doveva essere abbastanza da confermare ogni sospetto. Ero furibonda, ma tenni ogni emozione fuori dal feed. Come avevo detto ad ART, bot e costrutti non possono fidarsi gli uni degli altri, per cui non so bene perché la cosa mi facesse tanto arrabbiare. Mi piacerebbe poter dire che essere un costrutto mi rende meno irrazionale dell’umano medio, ma avrete ormai notato che non è il mio caso. La tua cliente ha mandato una ComfortUnit a fare il lavoro di una SecUnit.

Non sapeva di aver bisogno di una SecUnit fino a oggi, ribatté il sexbot. E aggiunse: Le ho detto che sei una SecUnit, non che sei ribelle.

Mi chiesi se potessi credergli. E mi chiesi se aveva provato a spiegare a Tlacey l’inattuabilità di quella missione. Che cosa proponi di fare?

Ci fu una pausa. Una di quelle lunghe – cinque secondi. Potremmo ucciderli.

Be’, quello era un approccio decisamente insolito al suo dilemma. Uccidere chi? Tlacey?

Ucciderli tutti. Gli umani che sono qui.

Mi appoggiai alla parete. Se fossi stata umana, avrei alzato gli occhi al cielo. Anche se, fossi stata umana, sarei anche potuta essere abbastanza stupida da considerarla una buona idea.

Mi chiesi anche se sapesse su di me più cose di quelle poche che erano contenute nel notiziario.

Cogliendo la mia reazione, ART disse: Cosa vuole?

Uccidere tutti gli umani, risposi.

M’immaginai ART che si grattava metaforicamente le funzioni. Se non ci fossero stati umani, non avrebbe avuto nessun equipaggio da proteggere e nessun motivo di fare ricerca e riempire le sue banche dati. È irrazionale, commentò.

Lo so, replicai. Se gli umani morissero tutti, poi chi produrrebbe le serie? Era un’idea talmente ignobile che sembrava una cosa da umani.

Uhm.

È così che Tlacey pensa che i costrutti comunichino tra loro?, chiesi al sexbot.

Ci fu un’altra pausa – stavolta soltanto due secondi. Sì. Poi: Tlacey crede che tu sia rimasta indietro per rubare i file per conto della squadra tecnica. Cos’hai fatto per tutto quel tempo nella zona d’ombra del feed?

Mi nascondevo. Lo so, non era un granché come menzogna. Tlacey sa che vuoi ucciderla? Perché quell’idea di “uccidere tutti gli umani” poteva essere stimolata da lei ma l’intensità che percepivo era reale, e non pensavo che fosse diretta proprio verso tutti gli umani.

Lo sa, disse il sexbot. Poi aggiunse: Non le ho detto della tua cliente; pensa che se ne siano andatə tuttə con la navetta. Voleva soltanto che seguissi te.

Attraverso il feed giunse un pacchetto di codice. Non si può infettare un costrutto con un malware in quel modo, non senza il tramite di un SecSystem o di un HubSystem. E anche in quel caso avrei dovuto installarlo; senza un ordine diretto e un modulo di controllo funzionante, non era possibile costringermi a farlo. L’unico modo in cui si poteva installare quel codice senza il mio consenso era tramite un modulo di combattimento prioritario inserito a forza nella mia porta dati.

Poteva essere un killware ma io non ero un semplice bot pilota, e non avrebbe ottenuto altro se non farmi incazzare a morte. Forse al punto da sfondare la porta e strappare via la testa di una ComfortUnit.

Potevo limitarmi a cancellare il pacchetto ma volevo sapere cosa fosse, per capire quanto dovessi arrabbiarmi. Era abbastanza piccolo da poter essere gestito da un’interfaccia umana, per cui lo inoltrai a Tapan. «Ho bisogno che lo isoli per me» dissi ad alta voce. «Non aprirlo, però.»

Lei inviò il suo assenso tramite il feed e trascinò il pacchetto nella propria memoria temporanea. L’altra caratteristica di killware e malware è che non possono far niente agli umani o agli umani aumentati.

Il sexbot non aveva aggiunto altro e io feci partire un ping appena in tempo per sentire il suo feed che si ritirava. Si stava allontanando lungo il corridoio.

Attesi finché non fui sicura, poi mi allontanai dalla porta. Riflettei se fosse il caso di restare lì o di far spostare Tapan. Ora che sapevo che qualcosa stava hackerando le telecamere per tenermi d’occhio, potevo mettere in campo delle contromisure. Avrei probabilmente dovuto farlo sin dall’inizio ma avrete notato che, pur essendo una temibile macchina assassina, faccio parecchie cazzate.

«È andato» dissi a Tapan. «Puoi controllarmi quel pacchetto di codice?»

Lei assunse quell’espressione concentrata così tipica degli umani quando vanno a fondo nel proprio feed. Dopo un minuto mi disse: «È un malware. Piuttosto comune… Magari pensavano che avrebbe potuto aggredire le tue modifiche, ma mi sembra un po’ troppo amatoriale per Tlacey. Aspetta. C’è una stringa allegata al codice, un messaggio».

Io e ART rimanemmo in attesa. La faccia di Tapan fece una smorfia strana, fino ad assumere un’espressione preoccupata. «Strano.» Si voltò verso la superficie di visualizzazione e fece quel gesto del tutto inutile che certi umani non riescono a evitare quando inviano qualcosa dal proprio feed a uno schermo.

Era una stringa di messaggio. Tre parole: “Aiutami ti prego”.

Decisi di spostarci in una stanza differente, vicino a un’uscita di sicurezza, in un’altra sezione dell’ostello. Il sexbot poteva essere capace di hackerarla, per cui rimossi la piastra di accesso, spaccai manualmente la serratura e rimisi a posto la piastra mentre Tapan teneva d’occhio il corridoio. Una volta all’interno, rivelai a Tapan una parte di ciò che aveva detto il sexbot, in particolare il fatto che mi avesse assicurato che Tlacey non sapeva della sua presenza (non le dissi che avevano mandato un sexbot perché Tlacey aveva capito cosa fossi e non voleva sprecare altre guardie del corpo umane). «Ma non sappiamo se sia la verità, o se adesso questo agente rivelerà la tua presenza a Tlacey.»

Tapan sembrava confusa. «Perché ti ha detto tutto questo?»

Era una buona domanda. «Non lo so. Tlacey non gli piace, ma potrebbe non essere l’unico motivo.»

Tapan si morse un labbro, riflettendo. «Credo che dovrei provare ad andare comunque all’incontro. Mancano soltanto quattro ore.»

Sono abituata al fatto che gli umani vogliano spesso fare cose che potrebbero costargli la pelle. Forse troppo abituata. Sapevo che saremmo dovute andarcene subito ma avevo bisogno di tempo per hackerare quanto bastava il sistema di sicurezza per farla in barba al sexbot. Una volta fatto, mi sembrava un peccato non aspettare quel poco che mancava all’incontro, di cui Tapan aveva la ragionevole certezza che Tlacey fosse all’oscuro. Ragionevole certezza.

Probabilmente era una trappola.

Avevo bisogno di riflettere. Dissi a Tapan che avrei dormito un poco e mi sdraiai di fianco sulla mia parte di materassino imbottito. Il mio ciclo di ricarica non è vistoso ma non somiglia al sonno di un umano, per cui in realtà avrei fatto partire un po’ di musica in background, sul mio feed, mentre lavoravo sulle contromisure di sicurezza e controllavo il mio vecchio modulo per la valutazione del rischio.

Trentadue minuti dopo udii un movimento. Pensai che Tapan si stesse alzando per andare al bagno, poi però si sistemò sul materassino alle mie spalle, sfiorandomi quasi la schiena. Avevo impostato il respiro affinché sembrasse profondo e regolare, come il sonno di un umano, con qualche variazione occasionale per aggiungere un tocco di verosimiglianza, per cui non si accorse che mi ero irrigidita di colpo.

Non mi era mai capitato che un umano mi toccasse – o sfiorasse – in quel modo, prima di allora, e la cosa mi faceva molto, molto strano.

Calmati, disse ART, che non era per niente d’aiuto.

Ero troppo impietrita per rispondere. Dopo tre secondi, ART aggiunse: È spaventata. Tu sei una presenza rassicurante.

Io ero sempre comunque troppo impietrita per replicare ad ART ma aumentai la mia temperatura corporea. Durante le due ore successive, Tapan sbadigliò due volte, respirò profondamente e russò di tanto in tanto. Passate quelle due ore, modificai la mia respirazione e mi spostai un poco, e lei scivolò immediatamente via dal mio materassino per tornare al suo.

A quel punto avevo elaborato un piano, più o meno.

Convinsi Tapan che all’incontro sarei dovuta andare da sola e che lei avrebbe fatto meglio a salire immediatamente a bordo di una navetta privata per l’anello di transito. Lei si mostrò riluttante. «Non voglio abbandonarti» disse. «È soltanto colpa nostra se sei invischiata in questa faccenda.»

Quelle parole mi colpirono con tanta forza che mi sentii un nodo allo stomaco. Dovetti chinarmi e far finta di rovistare nello zaino per nascondere la mia espressione. Il protocollo di emergenza della compagnia consentiva ai clienti di abbandonare le loro SecUnit, se necessario, anche in situazioni in cui la compagnia non sarebbe poi riuscita a recuperarle. Tapan mi stava facendo pensare a Mensah, che aveva gridato di non volermi abbandonare. «Mi aiuteresti di più se tornassi all’anello di transito» le dissi.

Mi ci volle un po’ ma, finalmente, la convinsi che fosse la cosa migliore per entrambe.

Tapan fu la prima a lasciare l’ostello; indossava entrambi i giacchetti di ricambio che aveva nella sacca, per alterare il proprio profilo, e aveva tirato su uno dei cappucci per nascondere i capelli e mettere in ombra il viso (serviva più che altro a rassicurarla, dal momento che non volevo spiegarle come fossi in grado di assumere il controllo temporaneo di una larga parte del sistema di sicurezza di RaviHyral – un sistema che, devo ammetterlo, non era tutto questo granché). La osservai attraverso le telecamere di sorveglianza finché non la vidi raggiungere il molo pubblico un centinaio di metri più in là, scendere la passerella fino alla zona d’imbarco e salire a bordo della navetta che sarebbe partita di lì a ventuno minuti. ART mi confermò di essersi intrufolato nei controlli della navetta per tenere nuovamente d’occhio il bot pilota. Poi lasciai l’ostello.

Avevo preparato un piano di hackeraggio per le telecamere di sorveglianza molto più sofisticato di quello che avevo usato fino a quel momento. Sarei entrata nel codice operativo e avrei impostato il sistema con un decimo di secondo di ritardo, poi avrei cancellato Tapan e avrei sostituito quel ritaglio con altri pezzi presi dalle registrazioni precedenti. Avrebbe funzionato, perché il sexbot avrebbe analizzato le registrazioni proprio come avrei fatto io, usando un rilevatore a configurazione corporea. Io non corrispondevo più alle specifiche delle SecUnit, ma il sexbot aveva avuto tutto il tempo che voleva per scansionare la mia nuova configurazione durante quel primo incontro con Tlacey.

In quel momento volevo che l’attenzione del sexbot fosse concentrata su di me e non sul molo pubblico. Lasciai che le telecamere mi riprendessero mentre uscivo dal porto e tornavo all’accesso del tubo. Poi cominciai l’hackeraggio.

Ero sicura soltanto al novantasette per cento che quell’incontro fosse una trappola.