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Lo ripeto dal principio che la sua faccia tosta e trista non mi è mai andata a genio, ma Radice Quadrata non solo aveva un segreto che restava segreto malgrado i miei sforzi: Radice Quadrata mi aveva salvato. E la somma dei tre fattori, antipatia più curiosità poliziesca più riconoscenza, dava il seguente risultato: Grosso Problema. Un esempio? La mia personalissima classifica Gente che detesto e quell’altrettanto personalissima Gente che adoro: adesso qual era il posto di Radice Quadrata?
Intanto, il suo posto era il reparto di terapia intensiva, ed è là che gli ho fatto visita il secondo giorno dell’anno. E il terzo. Il quarto. Il quinto. Ci andavo in autobus o chiedevo un passaggio a Dario/mamma/uno-dei-miei-due-padri perché, pur avvertendo il prurito ai piedi, sui pedali della bicicletta stentavo ancora.
Di rado la madre di Radice Quadrata lasciava incustodita la stanza del figlio. Cardigan di lana per le ore fredde della veglia, caricabatteria, spazzola, bottigliette d’acqua e biscotti allo zenzero: aveva addirittura posato sul comodino un alberello di Natale. Infermiere e infermieri la chiamavano confidenzialmente per nome, e farmi vedere in sua compagnia rendeva più facile andare e venire dal reparto così strettamente regolamentato. Sergio, il padre, in ospedale non l’ho mai incontrato. Passava verso sera, diceva Anna.
“Da piccolo era un chiacchierone. Estroverso, socievole. Ma poi voi bambini iniziate con le domande, sai? Però almeno a me qualcosa ha continuato a dirla. Per un po’.”
Ho imparato che certe persone, se logorate dall’attesa, non sanno rifiutare un paio di orecchie capaci. E che una madre stremata di speranza e paura, quando sa poco o nulla di chi è suo figlio e di quello che fa, non vede l’ora di riconoscere in qualunque cosa le passi sotto il naso ciò che si augura per lui.
“È incredibile che non mi abbia mai parlato di una bella ragazza come te.”
“Grazie, ma lei lo saprà meglio di me quant’è riservato. E poi è una decisione presa insieme. Di non raccontare di noi, intendo. Ma a me di lei ha parlato.”
Vorrei poter dire di non averla presa in giro, ma è andata proprio così. Ascoltavo in silenzio, e quando aprivo bocca alludevo. La lusingavo. E intanto carezzavo la mano di Radice Quadrata. Al tramonto salutavo poggiando le labbra vicinissimo all’angolo delle sue. Insomma ho lasciato, anzi no, ho fatto credere ad Anna che tra me e il figlio esistesse qualcosa di più che un’amicizia innocente. E allora lei, convinta che il mio dolore, fatte le dovute differenze e proporzioni, fosse simile al suo, una conseguenza dell’amore, giorno dopo giorno si è aperta alle confidenze.
“Credo che studiare non gli piaccia, ma non ci ha mai dato preoccupazioni con la scuola. Ha sempre con sé un libro e quei taccuini. Mio marito ogni tanto gli dice di prendere il tablet, ma lui niente. Una volta usava dei quaderni. È stato mio fratello a regalargli il primo. Ma poi se n’è andato. Te ne ha mai parlato?”
“Sì.” Ancora non conoscevo la storia di suo zio Carlo. Ricordavo vagamente le chiacchiere di Halloween con Luke, che mi aveva raccontato dei naperivi. Poteva bastare. “Quello del bar.”
“Esatto. Carlo. Mio fratello. Lui lo adorava.”
“Come mai?”
“Aveva quel bar davanti al Pronto soccorso, ci sei mai entrata? Era un gioiello, quando c’era lui, e ogni volta che ci trovavamo là con gli amici per un aperitivo, preparava al suo nipotino dei bicchieri di succo di frutta decorati, guarda…”
Aveva decine di fotografie. Nel cellulare e pubblicate on-line. Il marito aveva digitalizzato le più vecchie.
“Ma poi voi ragazzi iniziate con le domande, vi vengono fuori insieme al respiro, e mio marito è una brava persona, ma non un conversatore. Da giovane faceva il calciatore, lo sapevi? Bravissimo. Una promessa. Poi si è rotto i legamenti del ginocchio, e i sogni… puff. Ma la tecnologia gli è sempre piaciuta, ha studiato informatica e trovato un buon lavoro. Quando abbiamo avuto lui ci siamo sposati e Sergio ha provveduto a tutto. Però non è un gran conversatore. Si è occupato di computer e altre cose, poi ha perso il lavoro. Invece mio fratello era insuperabile a parole. Le ragazze facevano la fila. Mai che ne abbia scelta una. Sempre parole, mai fatti. Ma come rispondeva lui alle domande non rispondeva nessuno. È facile, quando non hai la responsabilità di essere genitore… Però tu sei ancora una bambina, non ci pensare. Hai tutta la vita davanti.”
“Invece mi piacerebbe capire. Scoprire qualcosa di lui mentre aspettiamo, sa, mi fa sentire meglio.”
“La verità è che Carlo ci dava una mano. Lo teneva al bar, gli riservava un tavolino, gli preparava il pranzo perché diceva che la mensa della scuola elementare era penosa, e anche quella delle medie. Lo aiutava coi compiti. Poi è successo.”
“E lui come l’ha presa?”
“Era là. Un bambino in seconda media. Circondato da clienti che ridacchiavano perché pensavano che mio fratello fosse semplicemente caduto, o scherzasse come al solito. Invece era un infarto, con tutte le sigarette e l’altra roba, è sempre stato un tipo che amava i divertimenti. Così gli è venuto un infarto e ha sbattuto la testa sul registratore di cassa. Quella sera, quando gli abbiamo detto che lo zio non c’era più, lui non ha pianto una lacrima. Si è chiuso in camera. Ma la mattina dopo è scomparso. Carlo aveva un appartamento nel nostro stesso palazzo, tre piani più su, e da noi tenevamo un duplicato delle chiavi. Ce l’aveva lasciato per ogni evenienza, così lui l’ha preso ed è sparito… due giorni. Quando ci siamo accorti che il duplicato mancava abbiamo controllato nell’appartamento di Carlo. Subito. Ma non l’abbiamo trovato.”
“E allora dov’era?”
“Nella sua cantina.”