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Luci temporizzate, cioè comunissime luci di cantine/scale/eccetera che si spengono dopo un intervallo di tempo predeterminato. Cioè dannatissime luci che decidono di spegnersi quando pare a loro: per tenere imprigionato l’urlo di terrore che minacciava di evadermi dalla gola ho dovuto digrignare i denti e tappare la bocca con entrambe le mani.

Gli occhi però non li ho chiusi: suggestionabile, ma non fifona. E senza muovere fasci di muscoli che non fossero i pochi attorno alle orbite, presto mi sono resa conto che i punti verdi che risaltavano nelle tenebre non erano sguardi mostruosi, ma spie del sistema di illuminazione d’emergenza in stand-by. Invece trovare il coraggio di sbirciare di nuovo nel cunicolo è stata tutt’altra faccenda. In particolare dopo il crudele cigolio che ha squarciato il silenzio tenebroso. Cigolio raddoppiato. La porticina di alluminio che si apriva e richiudeva. Non poteva essere altrimenti, così ho fatto capolino. Invano. Oscurità. Finché là dove avevo scorto Radice Quadrata non si è accesa una riga di luce. Sotto la porticina.

Ora, io non so se vi siete mai trovati in una cantina buia, ma fidatevi: non è il posto ideale dove trascorrere la vacanza che sognate, una bella avventura o l’ora che precede la cena. Di per sé l’ambiente mette già una certa ancestrale paura. E inoltre io mi sentivo come il risultato di due forze contrarie di pari intensità e grossomodo equidistanti: la minaccia della tagliafuoco, cioè di venire scoperta da un inquilino che scendeva nella sua cantina, e la minaccia che la faccia tosta e trista di Radice Quadrata affiorasse dalle tenebre a un palmo dal mio naso. Senza preavviso. E qual è il risultato di due forze di pari intensità e grossomodo equidistanti? Un oggetto inamovibile. O una creatura incapace di muoversi. Cioè la sottoscritta.

Se la forza ostile che proveniva dalla tagliafuoco non ha mutato verso né intensità nei minuti, però, quella emanata dalla porticina dietro cui Radice Quadrata era svanito l’ha fatto. Invece di continuare a respingere, ha iniziato ad attrarre. Regolarizzare il respiro per regolarizzare il cuore, rendersi conto di possedere ancora un paio di gambe, scuotersi e avanzare di un passo, più vicino, così vicino da poter finalmente intravedere la targhetta che, chiara stella in una notte buia, identificava la porticina d’alluminio sotto cui si muoveva una riga di luce: 4-D. E sì, c’era una riga di luce mobile. Indizio che Radice Quadrata aveva attivato la modalità torcia del cellulare e stava ispezionando: un frugare tra cose che produceva rumori indistinti, cioè che non permettevano di capire in cosa Radice Quadrata stesse frugando.

Onestamente non saprei dire quanto sia rimasta accanto alla 4-D, ma ricordo che in quell’eternità di tempo l’educazione ai polizieschi non ha mai smesso di ripetermi: la prova, la prova, la prova. E il ritornello era così insistente che a un certo punto, contro ogni buonsenso, anche se parlare di buonsenso è ridicolo considerata la situazione, insomma a un certo punto mi sono addirittura sollevata per arrivare con gli occhi all’altezza della minuscola grata di aerazione della porticina. Attenta a non toccarla. Io, in punta di Dr. Martens, le braccia allargate per mantenere l’equilibrio, quasi fossi sul ciglio di uno strapiombo dentro cui volevo scrutare.

Poi all’interno della 4-D il suono del frugare di Radice Quadrata è venuto meno, e la riga di luce si è spenta insieme alla grata di aerazione. Infine una rapida sequenza di lampi. Scatti. Tanto lentamente mi ero avvicinata, tanto velocemente sono indietreggiata.

Piuttosto che affrettarmi alla tagliafuoco, recuperare la giacca e dileguarmi, ho imboccato il corridoio principale, in attesa del cigolio raddoppiato. Eccolo. Radice Quadrata stava per arrivare. Nel buio pesto ho ritrovato tentoni il primo cunicolo della F sgangherata. E il locale rifiuti. Dentro. Regolarizzare i polmoni e regolarizzare il cuore. Ho estratto l’iPhone disattivando il flash. Poi, schiusa la porta, ho atteso Radice Quadrata.

Quando la sua ombra è sfilata in corridoio sono scivolata fuori dal nascondiglio, e con due lunghi passi mi sono sporta oltre l’angolo. Senza accorgersi della mia giacca, Radice Quadrata ha afferrato la maniglia della tagliafuoco e ha spinto, permettendo alla fioca luce delle scale di riversarsi nelle cantine. È stato allora, iPhone in pugno, che ho immortalato la sua sagoma. Di spalle. Appesantita da un borsone che prima di intrufolarsi nel civico 21 non aveva. La prova.

I passi che risalivano le scale sono durati finché la tagliafuoco non si è richiusa in un tonfo, senza rumore di cardini. Ero di nuovo immersa nel buio, ma non avrei dovuto restarci a lungo. Radice Quadrata non avrebbe indugiato. Sarebbe uscito. Fuggito. E io avrei dovuto imitarlo. Invece sono tornata indietro.