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Esisteva argomento più adatto per rompere il ghiaccio con Gianluca? Il quale Luke, tempismo esemplare, si è materializzato non appena Evelina si è precipitata a schioccare un bacio sulla guancia imberbe di Paolo detto Vincent detto Vinnie che si aggirava dalle parti del palco. Rum e Cola. Evelina ne aveva bevuto un solo bicchiere. Ma non mangiando granché, come del resto non mangiano granché i sopravvissuti post-apocalittici, va subito su di giri.

“Sì, una presuntuosa, però hai ragione: me-mo-ra-bi-le. Rebecca se lo ricorderà. E senti, com’è che tu e lui vi conoscete?”

“Mi sono trasferito alla Scogliera l’anno scorso. Lo scooter l’ho comprato solo quest’estate. Prendevamo lo stesso autobus per tornare da scuola. Abbiamo iniziato a salutarci, e poi… un giorno sono anche stato a casa sua.”

“E?”

“E cosa?”

“Non so, qualcosa.”

“I suoi sono gente a posto.”

“Non mi dire.”

All’epoca non conoscevo ancora Anna e il signor Sergio, ma immaginavo che fossero la versione cresciuta del figlio per la pigra ragione che se un ragazzo è strambo e inquietante devono esserlo i suoi.

“Non so il tuo, ma mio padre ha avuto più di un problema con il lavoro, anzi non solo con il lavoro, e quando mio padre ha un problema s’incazza. In pratica sta incazzato ventiquattr’ore su ventiquattro. Un troglodita incazzoso. Il suo no. È stato licenziato da un buon posto tre anni fa, ’sta storia della crisi, e ora ha una specie di telelavoro, però non mi è sembrato incazzato. È tipo, boh, un programmatore. E ha un mucchio di videogiochi. Ascolta musica. Esce con sua madre. Lei, poi, non mi aveva mai visto, e mi ha raccontato sia del lavoro del marito, sia una storia esilarante: tu lo sapevi che suo zio gestiva il bar davanti all’ospedale?”

Allora non sapevo nulla di suo zio Carlo.

“Be’, ovviamente i suoi andavano in questo bar. Aperitivo con gli amici. E non si sono mai fatti problemi. Se lo sono portati dietro subito. Lui però frignava. Vedeva quei bicchieroni di ghiaccio e cannucce colorate sul tavolo e strillava perché voleva un ‘naperivo’! Che tenerezza. Invece di servirgli il solito deprimente bicchiere di succo di frutta, lo zio ha provato qualche abbellimento: ghiaccio tritato, ombrellini, bicchierone da cocktail con un velo di zucchero sul bordo. E di questo passato da marmocchio analcolista esistono le prove: se vai sul profilo della madre trovi un intero album fotografico, categoria: ‘naperivo’! Chissà se sporca ancora un bicchiere con lo zucchero e beve succo di frutta con la cannuccia prima di cena.”

Quando Luke ha portato il pollice alla bocca mimando una sorsata non sono riuscita a trattenermi. Sono scoppiata a ridere. Fortissimo. Se n’è accorta persino Evelina che era ad almeno trenta passi da noi. Stazionava a lato del palco perché Paolo detto Vincent detto Vinnie stava per salire, gli Zeroes già accordavano, e io non avevo voglia di raggiungerla in mezzo alla calca per rimediare gomitate e schizzi di sudore. Ma neppure mi andava di vagare in solitudine per la zona rock dello Spazio Cantieri – non avevo intenzione di portare a spasso Il mio paio d’occhi per tutta la notte. Per di più in quella sottoveste di shantung iniziavo a sentirmi un po’ troppo esposta, anche se lo strato di sangue posticcio era una seconda pelle che resisteva alla perfezione: durante il tragitto in auto avevo coperto le spalle con dei sacchetti di plastica perché non si sciupasse o macchiasse l’interno del cappotto. Così, quando ho finalmente smesso di ridere, ho guardato Luke e non c’ho pensato. Gliel’ho chiesto e basta.

“Mi rendo conto che l’ora del naperivo è passata da un pezzo, ma mi andrebbe qualcosa da bere. A te?”