Epilogo
Ottobre è schizofrenico a Charlotte: un giorno si sta in maniche corte, un altro in guanti e giacca a vento.
Il freddo arrivò la domenica e fu un incubo portar dentro le piante con una mano sola.
Il lunedì, mi decisi ad accendere il caminetto. Dopo una stentata coreografia iniziale, le fiamme danzarono dietro l’antico parafuoco d’ottone. Il soggiorno profumava lievemente di pino e fumo di legna.
Avevo fatto il mio dovere il venerdì mattina. Seduta sul sedile posteriore di un’auto della polizia, avevo risposto a una raffica di domande di Slidell, e a qualcuna dei reporter che avevano intercettato la sua radio. Mi ero persino data la pena di avvertire Allison Stallings.
Avevo visto Gross e le sue ex schiave salire sulle ambulanze, sentito Skinny contattare la centrale, per assicurarsi che le ragazze venissero accolte da un interprete e da infermiere specializzate in vittime di aggressioni sessuali, guardato Majerick e Rockett che venivano caricati sul furgone del medico legale e, infine, su insistenza di Slidell, accettato un passaggio al pronto soccorso del Carolinas Medical Center.
Grazie alle minacce telefoniche del detective, ero stata subito presa in cura. Le radiografie avevano rivelato uno scafoide rotto e una frattura lineare del margine radiale distale del polso destro. Il medico di guardia stentava a credere che fossi riuscita a sollevare e maneggiare il tubo in quelle condizioni. Me n’ero tornata a casa con una stecca delle dimensioni di un martello da fabbro.
Forse Slidell sapeva quanto fossero tosti gli antidolorifici che avevo in corpo, oppure era troppo occupato a ricostruire la vicenda di Story e Gross, fatto sta che lasciò passare tutto il weekend prima di venirmi a trovare. Con una composizione floreale grande come una piattaforma petrolifera.
Nel frattempo, aveva scoperto quanto segue.
Il proiettile che Larabee aveva estratto dal cervello di Rockett era partito dalla pistola di Majerick e così i due che gli aveva prelevato dall’intestino, più un altro ritrovato nel muro di mattoni alle spalle dell’uomo.
Il proiettile che aveva ucciso Majerick non richiedeva indagini. Non sarei stata incriminata per lo sparo, ritenuto un atto di legittima difesa… e anche un discreto colpo di fortuna.
In effetti la sorte mi aveva sorriso due volte: una quando avevo premuto il grilletto, l’altra quando lo aveva premuto Gross. Il sottotenente aveva raccolto da terra l’arma del suo compare, mentre m’inseguiva nel magazzino. Probabilmente il caricatore non era già pieno all’arrivo di Majerick sul posto, e lui, poi, lo aveva svuotato su Rockett.
I blitz negli altri centri massaggi di proprietà dei fratelli Story avevano rivelato la presenza in cattività di altre undici ragazze, tutte afghane. Quelle ritrovate nel NoDa erano tenute prigioniere nel seminterrato di un centro estetico chiuso, in condizioni simili alle «colleghe» da me scoperte nel magazzino del South End.
Nessuna parlava inglese. Nessuna aveva un visto o un passaporto regolare. L’età variava apparentemente tra i tredici e i diciassette anni. Tutte erano, al momento, sotto la tutela dell’ICE.
La giovane che Majerick stava picchiando, quando lo avevo sorpreso, si chiamava Huma. Uccellino. Veniva da un villaggio non lontano da Sheyn Bagh. Aveva contusioni, abrasioni e il naso rotto, ma era in via di miglioramento.
Archer Story era stato arrestato e accusato di complicità in omicidio, sia nel caso di Ara sia in quello di Rosalie D’Ostillo, nonché di favoreggiamento della prostituzione minorile e proprietà di locali adibiti all’esercizio della stessa. Pendevano inoltre su di lui innumerevoli capi d’accusa inerenti al traffico di esseri umani.
A John-Henry Gross si contestavano gli stessi reati, più il tentato omicidio nei miei confronti, mentre le donne che avevano in gestione i quattro centri massaggi erano accusate di favoreggiamento e concorso nella tratta di esseri umani.
Secondo le leggi del North Carolina, si commette reato di traffico di esseri umani ove si reclutino, trasportino, trasferiscano o trattengano persone mediante l’uso della forza o d’altre forme di coercizione, a scopo di sfruttamento lavorativo o sessuale. Se la vittima di tale traffico è un minore, si configura un reato di classe C, ovvero molto più grave e per il quale sono previste pene severissime. Calcolando quarant’anni per almeno sedici vittime, i legali degli imputati potevano aspettarsi un totale di seicentoquaranta anni di reclusione solo per le accuse legate alla tratta. Non c’era da sorprendersi che tentassero disperatamente di patteggiare: Archer e le ruffiane cantavano come uccellini strafatti di crack.
Story, in particolare, si proclamava all’oscuro di qualunque traffico o attività di prostituzione. I suoi avvocati offrivano piena collaborazione in cambio di una sentenza che non superasse i quindici anni. La signora Tarzec e le sue colleghe si erano dichiarate colpevoli, sperando in una pena inferiore agli otto.
Il difensore di Gross aveva proposto un’analoga soluzione al procuratore distrettuale, ma quello non pareva abboccare.
«Qualcuna delle ragazze testimonierà?» chiesi.
Slidell sbuffò. «Sono così terrorizzate che non alzano nemmeno gli occhi quando provo a parlarci.»
«Ma Majerick è morto e Gross dietro le sbarre.»
«I porci le tenevano sottomesse minacciando di far del male alle loro famiglie. Majerick faceva circolare la tua foto di Ara all’obitorio e l’altra, scattata da lui alla D’Ostillo. Diceva che chiunque avesse tentato di scappare, sarebbe andato incontro alla stessa sorte.»
«Era lui Citizenjustice?»
«Yeppa. Il viscido bastardello era su un pickup fuori dalla taquería a spiare. Ha telefonato a Gross per dirgli che la D’Ostillo aveva parlato con noi. E Gross ha ordinato che la morte della donna fosse esemplare.»
«La D’Ostillo aveva visto Majerick con Ara e le altre ragazze.»
Skinny annuì con aria cupa.
«Ancora caffè?»
«Riesci a versarlo con quella specie di maglio che hai al posto della mano?»
«Molto divertente. Tre zollette, giusto?»
Andai in cucina, tornai e gli restituii la tazza piena.
«Il tuo pappagallo mi ha appena detto di baciargli il culo.»
Charlie aveva passato buona parte della vita in un bordello d’infimo rango. Ryan lo aveva salvato nel corso di una retata e, in seguito, lo aveva regalato a me. Non mi andava, francamente, di spiegare il tutto a Slidell.
«Perché uccidere Ara?» domandai, rimettendomi a sedere.
«Majerick la stava portando nel locale del NoDa. Secondo la versione che avrebbe raccontato a Story, la ragazza è saltata dal pickup durante il tragitto. Il buon Archer è rimasto sconvolto nell’apprendere l’accaduto. A posteriori, ovviamente.»
«Ovviamente.»
«Majerick era violento e scattava per un nonnulla. Quando la ragazzina si è ribellata, avrà perso le staffe e l’ha investita.»
Rividi mentalmente un’adolescente sbarazzina in un gruppo di sei, le dita scherzosamente sollevate a far le corna, dietro la testa di una compagna. Ara era stata una con la tempra per resistere.
«E quel mostro l’ha lasciata lì, per strada.»
«Ha detto a Story che c’era troppo traffico per raccogliere il corpo senza essere visto. E comunque non l’avrebbe mai portata in ospedale.»
Ricordai il tratto deserto su cui era morta la ragazzina e sentii gli occhi che mi si velavano. La domanda di Slidell mi strappò alle lacrime.
«Come hai capito che c’era di mezzo Gross? Non era mai stato nel mirino.»
«Il suo tatuaggio.»
Le sopracciglia del detective s’inarcarono interrogativamente.
«L’avevo visto all’udienza dell’articolo 32, a Camp Lejeune, ma solo una parte della metà inferiore, sotto il polsino; così ho frainteso: pensavo che la scritta fosse RIP, “Riposa in pace”.»
«Non c’è amico migliore, non c’è peggior nemico» citò Skinny.
Mi stupì che conoscesse quel motto del corpo.
«Lui però è un disonore per le forze armate» osservai.
«Eccome se lo è. Nulla a che vedere con ciò che dovrebbe essere un marine.»
Mi domandai se Slidell avesse un passato nel corpo di cui non ero a conoscenza, ma sapevo che non glielo avrei mai chiesto.
«Comunque, ho rivisto il tatuaggio nella foto di John-Henry Story e Dom Rockett al Tavern… Solo che la mia mente, all’inizio, non l’aveva registrato. L’immagine era riflessa in uno specchio, perciò figurava al contrario. Giovedì sera, riguardando la fotografia, l’ho colta. Avevo già visto lo stemma della Task Force Ripper nel soggiorno di Rockett. RIP. Ripper. Gross era l’uomo riflesso nello specchio, intento a scattare, e ciò lo ricollegava a Rockett e Story.»
«Va’ avanti.»
«Ho controllato l’elenco dei capi d’accusa dell’articolo 32: l’iniziale del secondo nome di Gross era H. Henry. Poi mi sono fatta confermare il nome da nubile di sua madre: Marianna Story. John-Henry Gross era il nipote di John-Henry e Archer Story. A quel punto ogni convinzione precedente è crollata.
«Gross era alla sua quarta volta in Afghanistan. Ho confrontato la foto trovata nel mio zaino con quella che avevo scattato alla vittima del pirata della strada, all’obitorio: i capelli erano stati decolorati, ma si trattava decisamente della stessa persona. Nel primo scatto c’era anche Khandan, la ragazza che aveva tentato di parlarmi a Bagram. Osservando con più attenzione, sono riuscita a identificare una formazione rocciosa assai caratteristica, che è proprio dietro il villaggio di Sheyn Bagh.»
«Il posto in cui hai esumato le ossa dei due afghani.»
«Sì. È stato a quel punto che il tutto ha acquistato orribilmente un senso: l’uomo che avevo aiutato a Camp Lejeune aveva davvero ucciso Aqsaee e Rasekh. Aqsaee aveva visto Gross portare via Ara. Quando ha riconosciuto il sottotenente, durante l’operazione di accerchiamento-e-rastrellamento, è corso verso di lui gridando il nome della giovane scomparsa, e non “Allah”! Gross, in preda al panico, ha approfittato dell’attacco in corso per sparare a lui e a Rasekh, che lo accompagnava.»
«Credi sia stata quella ragazzina, Khandan, a infilarti la Polaroid nello zaino?»
Annuii. «Poco dopo il suo tentativo di avvicinarmi, ci siamo ritrovate praticamente una addosso all’altra in un rifugio.»
«Chi l’aveva scattata?»
«Questo, forse, non lo sapremo mai.»
«E perché ce l’aveva lei?»
«Non ne ho idea, ma la conservava con cura. L’aveva infilata in una cartellina trasparente.»
Stavo per porre anch’io una domanda, quando Slidell mi prevenne.
«Come ci era finita la tessera di Story nella borsa di Ara?»
«Archer ha ammesso qualcosa riguardo al coinvolgimento di suo fratello nell’affare dei centri massaggi?»
«Sostiene di non saperne un tubo.» Grondando disprezzo. «Ma la signora Tarzec ha dichiarato che John-Henry Story era un cliente abituale.»
«Forse John-Henry ha perso la tessera mentre era lì. Oppure Ara gliel’ha presa di nascosto e, per qualunque ragione l’abbia fatto, se l’è tenuta.»
«È stato un bene, comunque: quel pezzo di plastica ci ha messo sulla strada giusta.»
Ponderammo la cosa per un po’, poi: «Sei sempre convinta che Story sia morto nell’incendio?».
«Larabee ha rivisto l’intero dossier» risposi, «e si sente ancora sicuro dell’identificazione.»
Per vari minuti fissammo guizzi arancio torcersi e avviticchiarsi dietro l’ottone lavorato. Charlie ne approfittò per gracchiare uno dei suoi pezzi preferiti.
«I want your sex!»
Lo sguardo di Slidell rimase incollato alle fiamme e proprio non riuscii a non fornire una giustificazione.
«È solo un vecchio pezzo di George Michael.»
«Rispondi a questo.» Gli occhi del detective ruotarono verso di me. «Come hai capito che dovevi andare al magazzino?»
«Un’intuizione fortunata, in realtà. Larabee aveva trovato una scheggia d’avorio nel cuoio capelluto di Ara. Oggi non sono molti gli usi di quel materiale, ma un tempo era impiegato comunemente per i tasti dei pianoforti. L’urto con una tastiera avrebbe potuto spiegare la lesione dal disegno particolare sulla spalla della ragazza.»
Skinny scrollò le spalle. E?
«Il rapporto dell’FBI elencava il difluoroetano tra i componenti dello sbaffo sulla borsa di Ara. Si tratta di un propellente aggiunto alle vernici spray.»
Altra scrollata di spalle.
«Il magazzino di fronte al John-Henry’s Tavern avrebbe dovuto essere riconvertito in una serie di loft, ma il progetto non è mai decollato, perciò il posto è all’abbandono. Il giorno in cui siamo andati a parlare con Sam Poland, avevo visto un vecchio pianoforte tra i rottami sulla piattaforma di carico.»
«Coperto di graffiti fatti con la vernice spray!» Slidell schioccò le dita e puntò l’indice verso di me. «Non male, doc, e, a proposito, è l’ultima volta che te ne vai in giro così, senza di me, sulla base di un’intuizione. Io sono il detective, tu l’antropologa.»
«Agli ordini.»
Annuì energicamente, come se avesse messo a segno un buon punto.
«Ara dev’essere stata al magazzino la sera in cui è morta» proseguii. «Quando Majerick ha cercato di farla salire con la forza sul pickup, probabilmente ha opposto resistenza e, lottando, ha sbattuto contro il pianoforte.»
Nella mente mi balenò l’immagine di Majerick che infieriva su Huma nel buio, poi quella di un cadavere con un berretto calato sulla fronte.
«Rockett non è mai stato parte del traffico, vero?» domandai.
«Dew sta approfondendo la questione, ma sembrerebbe proprio che sia così.»
«Perché aveva mentito sul fatto di conoscere John-Henry?»
«Quel tizio è un cazzone, ma credo sospettasse qualcosa. Era cliente del Passion Fruit e deve aver notato che le ragazze non parlavano inglese. Si sarà chiesto da dove venivano.»
Slidell s’infilò sul naso i Ray-Ban taroccati.
«Dovrai mettermi tutto nero su bianco.» Indicò la mia ingessatura. «Quando starai meglio.»
Sorrisi e alzai tutte e due le mani. «Nessun problema, sono anfibia.»
Non parve cogliere l’allusione alla gaffe anfibio-ambidestro del cestista Charles Shackleford, o comunque non ne afferrò l’umorismo. Lo salutai con la promessa di una dichiarazione via e-mail.
Dopo che se ne fu andato, mi accorsi di un fatto sconvolgente: l’ispettore Callaghan non mi aveva rimbrottato, ridicolizzato o sfottuto in alcun modo.
Un’ora più tardi, passò a trovarmi anche Dew. Portava completo nero, cravatta azzurra e una camicia di un bianco accecante. Di nuovo, niente cappello floscio alla Capote.
Occupammo le stesse posizioni poltrona-divano della chiacchierata con Slidell. A differenza di Skinny, però, l’uomo dell’ICE sedette dritto come un fuso, con i talloni uniti, le mani enormi posate sulle enormi ginocchia, e declinò l’offerta di tè o caffè.
Aveva da riferire quanto segue.
All’inizio del secondo incarico in Afghanistan, John-Henry Gross aveva stretto amicizia con un security contractor francese di nome Jean Pruet. L’uomo aveva passato sei anni nel Paese, depositando, in quell’arco di tempo, quasi due milioni di dollari su un conto svizzero. In quel periodo si apprestava, però, a tornare in Europa e, dietro pagamento di una quota, accettò di far rilevare a Gross la sua rete d’affari.
L’idea non era certo originale, ma redditizia.
Fulcro dell’intera operazione era un afghano di nome Maroof Hayel, l’uomo che avevo visto apostrofare Khandan quando mi si era avvicinata, nel bazar di Bagram. Hayel era il padre di Khandan e lo zio di Ara.
L’uomo attirava ragazzine, promettendo a loro o alle loro famiglie un lavoro negli Stati Uniti. Attingeva soprattutto alle periferie di Kabul, Charikar e Jalalabad, ma talvolta anche ai villaggi delle provincie circostanti.
Veniva pagato duecento dollari a ragazza consegnata. Un mago di Photoshop, a Kabul, forniva passaporti e visti falsi a quaranta dollari il pezzo. Le giovani venivano scortate dall’aeroporto Khwaja Rawash di Kabul al Washington Dulles da una donna afghana di nome Reja Hamidi. Ogni biglietto costava circa milleseicento dollari.
All’arrivo, le ragazze venivano accolte dalla signora Tarzec o da una delle sue omologhe, e portate in auto in varie località del North Carolina. John-Henry Story versava al nipote cinquantamila dollari per ogni «dipendente» fornita ai suoi centri, senza fare domande.
«Contando i biglietti di andata e ritorno per la Hamidi, l’esborso di Gross era inferiore ai cinquemila dollari a ragazza.» Non riuscii a cancellare il disprezzo dalla voce. «Il che colloca il suo profitto a circa quarantacinquemila dollari per transazione.»
«Sì. Pruet faceva più o meno la stessa somma, mandando le ragazze in Francia.»
«Gesussanto. Come può uno vendere la carne della sua carne?»
«Nel caso di Ara dovremmo dire: una.»
«Prego?» Non capivo cosa intendesse dire.
«È stata la sua stessa madre a consegnarla a Hayel.»
«Ha venduto sua figlia?»
Il cotone immacolato della camicia si tese, poi si rilasciò, mentre Dew inspirava, poi espirava lentamente.
«Quella donna si chiama Gulpari. A sette anni ha visto la propria madre violentata dai combattenti talebani e il proprio padre – che aveva tentato d’intervenire – ucciso a colpi d’arma da fuoco.
«In seguito allo stupro, la vedova disonorata fu isolata dalle persone del villaggio. Senza la possibilità di un nuovo matrimonio, riuscì a mantenere le figlie, Gulpari e Noushin, chiedendo l’elemosina e svolgendo lavori umili.
«A quattordici anni, Noushin fu mandata in sposa a un uomo di un villaggio vicino. La famiglia di lui la faceva lavorare sedici ore al giorno e la costringeva a dormire nel granaio, senza riscaldamento. Quando fu sorpresa a tentare di scappare, il marito e il suocero la tennero ferma e la cosparsero d’acido. Due giorni dopo, Noushin riuscì a tornare alla casa di sua madre, morendo poi per le infezioni causate dalle ustioni riportate. Gulpari aveva dodici anni.»
Dew si fissava le mani, continuando il suo racconto.
«Anche Gulpari fu violentata dai talebani, all’età di quindici anni. Come sua madre, venne ostracizzata dal villaggio e trattata con disprezzo. Ara nacque il giorno del suo sedicesimo compleanno.»
«Gulpari voleva una vita migliore per sua figlia» mormorai, controllando a stento la voce.
Dew annuì, gli occhi sempre bassi. «Quando Hayel le parlò di un lavoro in America, Gulpari gli credette. Era suo fratello, perché avrebbe dovuto mentirle?»
«Hayel ha venduto Ara a Gross.»
«Per duecento dollari.»
Mi alzai ad attizzare i carboni ardenti: un gesto inutile, ma avevo bisogno di muovermi, di sottrarmi alla rabbia e al dolore che minacciavano di sopraffarmi.
«Alla morte di John-Henry, Archer ha proseguito tranquillamente gli affari?» Tornando alla poltrona.
Dew si schiarì la gola. Due volte. Poi incrociò il mio sguardo.
«Delle sedici ragazze attualmente in custodia all’ICE, due sono state portate nel nostro Paese dopo che Archer aveva assunto la gestione delle varie imprese del fratello, compresa la SayDo.»
«Lui come lo spiega?»
«Il signor Story sostiene di non sapere niente della vicenda personale delle sue dipendenti. E nega recisamente di aver mai saputo che, negli esercizi di sua proprietà, fosse in atto una qualunque forma di prostituzione, coercitiva o d’altro genere.»
«Lei se la beve?»
Il colorito limonata rosa dell’agente s’intensificò. «Io credo che il testimone più importante nell’inchiesta non si stia sbottonando granché, ma, grazie a lei, le nostre indagini hanno cambiato direzione e scopriremo di più, molto di più.»
«Quanto a Dominick Rockett…?»
Dew rimase in silenzio per un attimo, valutando probabilmente la cosa più opportuna da dire.
«I cani mummificati saranno restituiti alle autorità peruviane. Gli archivi del signor Rockett sono stati requisiti allo scopo di appurare l’eventuale importazione illecita di altri oggetti d’antiquariato.»
«Lui, però, non ha mai partecipato al traffico di esseri umani.» Avevo riflettuto a lungo sulla questione.
«A quanto pare, no.»
«Aveva conosciuto John-Henry Story attraverso il nipote?»
«Il signor Rockett e il sottotenente Gross avevano preso parte insieme all’operazione Tempesta nel deserto. Forse per compassione, forse per le insistenze del nipote, Story assunse poi il veterano sfigurato, pagandolo in parte con quote della S&S. O, almeno, questa è la versione fornita da Archer Story.»
«Cosa faceva Rockett per la società?»
«Tutto quel che c’era da fare. Trasporto. Sicurezza. Assunzione di lavoranti e fornitori per operazioni di manutenzione e riparazione. Rockett vendeva, inoltre, oggettistica nei mercatini delle pulci del gruppo S&S; articoli importati legalmente dall’America Latina.»
«Quindi Rockett non era in alcun modo coinvolto con la SayDo?»
«Così sembra.»
«Ma C.C. Creach lo aveva visto al Passion Fruit.»
Dew sollevò i palmi, poi li lasciò ricadere sulle ginocchia. «Nelle sue condizioni, il signor Rockett aveva un accesso piuttosto limitato alle attenzioni del sesso femminile.»
Per dirla con tatto.
«Perché i suoi viaggi in Texas?» domandai.
«Assisteva Story nella chiusura dei concessionari Saturn. John-Henry stava liquidando tutto e, di tanto in tanto, c’era bisogno di effettuare delle consegne. Rockett allora volava in Texas e portava le auto ovunque fossero destinate.»
«Che ci faceva al magazzino, giovedì?»
«Secondo la versione della signora Tarzec, si è fatto vedere al Passion Fruit, quella sera, ed era molto agitato. Si è messo a curiosare in giro e lei gli ha detto che non c’era nessuno. Ha chiesto di conoscere la verità sulle ragazze. Sosteneva di sapere che erano oggetto di una tratta, perché lo aveva sentito direttamente dalla polizia, poi ha domandato dove fossero. Minacciata con la pistola, la donna gli ha rivelato il nascondiglio. Rockett si è precipitato fuori e, subito dopo, lei ha telefonato a Majerick.»
«Rockett cercava Gross. O forse progettava solo di liberare le ragazze. In ogni caso, ne aveva avuto abbastanza. È morto tentando di riparare almeno in parte ai torti commessi intorno a sé.»
«Credo proprio che sia come dice lei.»
«Che ne sarà delle ragazze, ora?»
«Questo è ancora da stabilire. Se verranno riportate in Afghanistan, c’è un rifugio, gestito da una ONG, per vittime del traffico di esseri umani, che potrebbe accoglierle.»
«Il corpo di Ara farà ritorno a Sheyn Bagh per essere sepolto?»
«Se i fondi disponibili lo permetteranno.»
«Se il problema sono i soldi, sarei felice di contribuire.»
Una triste promessa da mantenere.
«La sua offerta è davvero molto generosa, dottoressa Brennan. Farò quanto in mio potere per evitare che si renda necessario.»
Dew fece un mesto sorriso.
«Facciamo quel che possiamo, ma, in tutto il mondo, la tratta di persone genera annualmente miliardi di dollari. Ci pensi: un grammo di coca o di eroina possono essere venduti una volta sola; un essere umano, invece, può creare introiti per anni. Sapeva che, statisticamente, il North Carolina è all’ottavo posto negli Stati Uniti come sede di simili traffici?»
«Se non altro, recentemente il problema sta ottenendo le giuste attenzioni.»
«Sì, certo, ma il quadro è ancora piuttosto fosco. Nel dicembre del 2012, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine ha pubblicato un rapporto globale in merito alla tratta di persone. Quasi un terzo delle vittime sono bambini, due terzi ragazze.»
Si alzò con la grazia di un Baryšnikov.
«Una nota positiva: 154 governi hanno ratificato il Protocollo sui traffici di persone dell’UNODC e l’83 per cento dei Paesi ha oggi una legislazione contro la tratta di esseri umani, conforme al medesimo protocollo.»
Quell’uomo parlava davvero come un libro stampato.
«Stati Uniti compresi» aggiunsi io.
«Sì. Il Codice penale degli Stati Uniti, articolo 18, sezione 1591, prevede pene severe per chiunque sia coinvolto nella tratta di persone e, come lei certo saprà, anche lo Stato del North Carolina è particolarmente rigoroso in materia. Il difficile, però, è prendere i trafficanti, perché le loro vittime sono così impotenti, spaventate…»
«È un inizio» dissi.
«È un inizio» concordò Dew.
E, con i migliori auguri di pronta guarigione, l’agente dell’ICE si congedò.
In serata fu il turno di Pete. Il suo cesto di frutta da quaranta chili era arrivato il sabato, perciò venne con del cibo cinese da asporto e una porzione di ogni specialità gastronomica in vendita da Dean & DeLuca.
Osservandolo mentre mi riempiva frigo e dispensa, mi domandai perché Summer non fosse con lui. Non chiesi.
Aprì i piccoli contenitori bianchi di cartone e io apparecchiai per due, poi ci servimmo riso integrale, lo mein ai frutti di mare, pollo agli anacardi e melanzane in salsa all’aglio.
Così si fa, Pete! I miei piatti preferiti!
Cenando, parlammo di Katy, poi di Majerick e di Rockett, dei fratelli Story, di Rosalie D’Ostillo, di Ara e di sua madre. E, naturalmente, di John-Henry Gross.
«E dire che sono stato io a trascinarti in questo ginepraio. Mi dispiace tanto, Fiorellino.»
«Non ci pensare.»
«Sembra impossibile che Hunter abbia un nipote capace di una simile crudeltà. È una persona così irreprensibile.»
«Il comportamento di John non getta la benché minima ombra sulla dirittura morale di Hunter.»
Passarono alcuni istanti. Quando Pete parlò di nuovo, il suo tono era teso.
«John Gross ha tradito il suo giuramento, disonorato il corpo.»
«Gross era un’aberrazione. Ha disonorato se stesso, non il corpo. Quando Eggers ha puntato il dito su di lui, il corpo ha gestito la faccenda secondo le regole, non ha fatto favori al suo marine. Il comando ha indagato e operato con correttezza e trasparenza.»
Pete mi ascoltava con la mascella contratta, ma non mi diede torto.
«Lo penso veramente. Il corpo dei Marines ha indagato le azioni di Gross a Sheyn Bagh con onestà. Come ho fatto io, esaminando le ossa delle vittime. Presto o tardi, il suo coinvolgimento nel traffico di esseri umani sarebbe venuto a galla e ciò avrebbe innescato un altro procedimento imparziale.»
«Con risultati migliori, possibilmente.»
«Che ironia, vero?»
Pete piegò la testa da una parte.
«Rockett e Gross. L’uomo che sembrava un mostro, alla fine ha dimostrato di possedere una coscienza; quello che pareva, invece, un patriota, aveva veleno nelle vene.»
Parlammo di Katy, di come le forze armate avessero mutato politica, aprendo alle donne posizioni di combattimento in prima linea.
Intuendo che l’argomento mi agitava, però, Pete non tardò a cambiare discorso.
«Quello strambo di Blanton, quindi, era davvero inoffensivo?»
«Solo un tizio strampalato.»
«E la tensione tra lui e il capitano Welsted?»
«Non si piacevano, semplicemente.»
«Il pappagallo?»
«È qui in visita.»
«Bird dov’è?»
«Grida: “Lo mein” e lo vedrai arrivare di corsa.»
Il giovedì sera avevo chiuso Birdie nell’armadio dello studio, mentre tiravo fuori la lavagna cancellabile. In balia dell’uragano che m’infuriava nella testa, avevo scambiato il suo raschiare con un rumore proveniente dall’esterno dell’Annesso. Al mio ritorno dalla spedizione al magazzino, era rimasto prigioniero per ore e, dal giorno di quella stressante disavventura, veniva di sotto solo per mangiare.
O forse era per Charlie. Quei due non avevano mai veramente legato.
Pete chiamò e, pochi secondi dopo, il gatto varcò la soglia zampettando.
Il mio ex gli mise delle fettuccine con gamberetti su un piatto e, sorridendo, lo guardò che se le divorava. Poi il sorriso svanì e, quando Pete riprese a parlare, c’era un tono, nella sua voce, che non avevo mai sentito prima.
«Quella sera.» Esitò, raccogliendo le idee. «Giovedì. Sono passato. Eri fuori, sul vialetto.»
Ryan. L’abbraccio. I fari che avevano illuminato il viale, proseguendo senza fermarsi.
«Eri tu?»
Annuì.
«Perché non ti sei fermato?»
«Non eri sola.»
Non dissi niente.
Teneva lo sguardo fisso sul tovagliolo, come se non ne avesse mai visto uno, poi gli occhi si levarono a incontrare i miei.
«Ho annullato il matrimonio.»
Ridacchiai. «Come previsto! Aspetta solo qualche…»
«Ho rotto il fidanzamento, Tempe.»
«Che cosa?» Quella era una notizia inaspettata.
«Il matrimonio non avrebbe funzionato. In cuor mio lo sapevo da un pezzo e, quando ti ho visto con…» Alzò una mano. «Non avrebbe funzionato.»
«Dov’è Summer?»
«Tornata a casa sua.»
«Come sta?»
«Non bene.»
«Oh, Pete. Mi dispiace tanto.»
«È meglio così.»
Posò la mano sulla mia (quella non ingessata); i nostri sguardi si incontrarono e prese ad accarezzarmi con il pollice.
Il momento si protrasse in modo imbarazzante.
«Se posso essere d’aiuto in qualche modo…» Sottraendomi al contatto.
«Lo sei già stata.»
Si alzò e se ne andò, lasciandomi seduta a tavola, gli occhi fissi sui cartoni mezzi vuoti del ristorante.
Mentre mi alzavo per sparecchiare, fui colta da un pensiero. Aveva poi depositato l’atto di divorzio? Era definitivamente e ufficialmente il mio ex?
Quando finii di sgomberare i piatti, salii in camera e, stesa sul letto insieme a Birdie, pensai al dolore della perdita.
Aqsaee e Rasekh.
Ara e Rosalie D’Ostillo.
Lily.
Gli agenti dell’ICE si sarebbero occupati delle vittime di Gross; ne avrebbero scoperti i nomi e ricostruite le vicende, rimandando le ragazze alle loro case o fornendo loro gli strumenti per iniziare una vita migliore.
La police nationale avrebbe rintracciato Jean Pruet e le giovani da lui inviate in Francia.
Le autorità canadesi avrebbero indagato sulla morte di Lily, chiudendo la topaia in cui era andata a morire di overdose, arrestando gli spacciatori che l’avevano spinta incontro a quel momento.
Tre indagini che avrebbero comportato incarichi gravosi e strazianti per chi si fosse trovato a svolgerle.
Rannicchiata col mio gatto, presi una decisione.
Il mondo era appestato dal male, dalla sofferenza, ma era anche pieno di persone buone, decise a riparare i torti. Non sarei sprofondata nella tristezza: avrei onorato quanti rifiutavano di arrendersi, quanti lottavano per rendere le cose migliori.
Mi domandai chi avrebbe combattuto per Ryan, nella sua agonia.
Ryan.
Pete.
Avevo bisogno di starmene da sola.
E di tempo, per meditare e digerire quegli eventi.