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«Uccisa?» Il latrato di Slidell rimbalzò sulle superfici in vetro e acciaio inox intorno a noi.

«Legalmente questo implicherebbe l’intenzionalità» disse Larabee.

«Al diavolo le definizioni!» Puntai il dito sul corpo devastato. «Un bastardo ha ucciso questa ragazzina.»

«Di che diavolo state parlando?» Slidell correva con occhi esterrefatti da me a Larabee.

Accennai alle lastre che mostravano le ossa del braccio sinistro. Il patologo si unì a noi e mi porse la penna, con cui indicai la diafisi omerale, dieci centimetri sotto l’articolazione della spalla.

«Vedi la linea scura?»

«Un braccio rotto non significa che la vittima sia stata fatta fuori di proposito.» Skinny scrutava l’immagine bianca e grigia, il dubbio increspava l’espressione già perplessa del volto.

«Certo che no, detective.» Passai a indicare la mano. «Nota le falangi intermedie e distali.»

«Vacci piano con il gergo tecnico, doc.»

«Le ossa delle dita.»

Si sporse a osservare i frammenti illuminati all’estremità della biro.

«Le falangi intermedie dovrebbero somigliare a tubicini, quelle distali – subito prima della punta – a punte di freccia…»

«A me sembrano trucioli di legno.»

«Sono state schiacciate.»

Slidell emise un suono che preferii non interpretare.

Passai alle radiografie del cranio.

«Non ci sono fratture craniche, ma guarda la mandibola, soprattutto la protuberanza mentoniera.» Avrei lasciato la questione delle lesioni dei tessuti molli a Larabee.

Skinny sbuffò a labbra chiuse.

«Il mento» precisai.

«Perché lo chiamano protuberanza mentoniera, se la mente è molto più su?»

«Esiste gente che pensa direttamente con la bocca.»

Larabee sorrise. Be’, quasi. Con Slidell, il mio sarcasmo cadde nel vuoto.

«Bene» tagliò corto il patologo, lo scetticismo del detective cominciava a inasprirgli il tono. «Ha il mento rotto, il braccio rotto, le dita frantumate. Perché il tutto dovrebbe significare omicidio?»

«I segni di battistrada sulle cosce ci dicono che la morte è stata causata da un veicolo, ma non è il classico caso accidentale. La vittima non era fuori dalla carreggiata, non stava facendo l’autostop, non aspettava un amico che le desse un passaggio. Era di schiena quando è stata travolta.»

Larabee annuì a conferma della conclusione che, evidentemente, aveva raggiunto anche lui, ma non ancora espresso.

Slidell teneva gli occhi sulla lastra.

«Prova a immaginare» dissi. «La ragazza sta camminando, o correndo. Un’auto sopraggiunge da dietro. Lei cerca di scappare o forse no. In ogni caso, il veicolo le falcia le gambe.»

Non disse nulla. Larabee seguitava ad annuire.

«Cade a braccia aperte. Il mento sbatte sul selciato. Si ritrova sotto il telaio dell’auto. La mano sinistra finisce sotto la ruota sinistra, che le fracassa le dita.»

«Ne siete sicuri?»

Accennai a Larabee con il palmo, invitandolo a intervenire.

«Normalmente» disse, «il pedone investito da un veicolo finisce contro il parabrezza oppure di lato e verso l’esterno, riportando traumi al cranio, alla parte superiore del tronco o alle gambe. Questa vittima non presenta traumi a livello toracico o craniale coerenti con l’ipotesi del parabrezza o di una rapida decelerazione verso destra o verso sinistra.»

Slidell non sembrava ancora convinto.

Afferrai le foto della Scientifica, ne scelsi due e gliele porsi. Le osservò, poi buttò fuori lentamente l’aria dal naso.

«Nessun segno di slittamento.»

«Esatto. Il guidatore non ha mai sfiorato i freni.»

«Figlio di puttana.»

Mi rivolsi a Larabee.

«Hai fissato l’IPM a sette-dieci ore prima del suo arrivo qui?» L’intervallo postmortem.

«Per sicurezza. Il corpo è arrivato stamattina, poco dopo le nove. Questa notte la temperatura dell’aria è scesa a nove gradi. Ho osservato una certa lividità, ma lo sbiancamento persisteva ancora. Il rigor…»

«Ehi, ehi, facciamo un passo indietro, doc.» Slidell si sfilò una penna e un taccuino a spirale dalla tasca e cominciò a prendere appunti.

Larabee indicò il corpo. «Vede le macchie violacee sul ventre, sulla parte anteriore delle cosce, su quella inferiore delle braccia e sulla metà destra del volto?»

Il detective alzò fugacemente gli occhi, poi riprese a scrivere.

«Tale scolorimento è detto livor, lividità cadaverica dovuta alla stasi del sangue nella parte inferiore del corpo, dopo che il cuore ha smesso di battere. Quando, però, le ho premuto il pollice sulla pelle, scostando i capillari, si è prodotta la classica zona di pallore.»

Skinny storse le labbra da un lato.

«Un segno bianco» semplificò Larabee. «A circa dieci ore dal decesso i globuli rossi e i capillari sono, ormai, sufficientemente decomposti perché il biancore non si produca più.»

«Il rigor, invece, è quando il tizio rimasto secco ci rimane secco in senso letterale» ironizzò Skinny.

Larabee annuì. «Quando questo corpo è arrivato, il rigor era completo a livello dei muscoli più piccoli, ma non di quelli più grandi. Le mascelle erano serrate, ma riuscivo ancora a piegare ginocchia e gomiti.»

«Quindi la ragazza è morta più di sette ore prima del suo arrivo qui, ma meno di dieci.» Slidell fece mentalmente i conti. Ci mise un po’. «Tra le undici e le due.»

«Non è una scienza esatta» replicò il patologo.

«E il contenuto dello stomaco? Voglio dire, quando l’aprirete…»

«Il novantotto per cento del suo ultimo pasto dovrebbe aver lasciato lo stomaco sei-otto ore dopo l’ingestione. Se siamo fortunati potrei trovare dei frammenti – chicchi di mais, bucce di pomodoro, forse – in qualche plica della mucosa gastrica. Le farò sapere» rispose Larabee.

«L’umor vitreo?» domandai. Mi riferivo alla sostanza semiliquida che riempie l’occhio. «Si può valutare la concentrazione del potassio?»

«Ho prelevato un campione, ma non servirà a restringere significativamente l’intervallo.»

«Quanto distava dai binari del tram?» chiesi a Slidell.

«Era dalla parte opposta, sul ciglio della strada.»

«Con che frequenza passano i convogli, in quelle ore?»

«L’ultimo subito dopo l’una del mattino. Il successivo alle cinque.»

«Vernice spray?» chiesi a Larabee. «Olio? Hai trovato depositi sulla pelle o sui capelli? Sugli indumenti?»

Scosse il capo. «Improbabile che i residui arrivino così lontano, viaggiando nell’aria, ma controllerò. A che pensavi?»

«La presenza o assenza di tracce del passaggio del tram restringerebbe la finestra temporale.»

Sollevò le mani nodose a palmi in su. «Vale la pena tentare.»

Mi rivolsi di nuovo al detective. «Come avete saputo dell’incidente?»

«Abbiamo ricevuto una telefonata poco dopo le sette del mattino: un’insegnante diretta al lavoro ha notato quello che credeva un manichino sul ciglio della strada e si è fermata, pensando che le avrebbe fatto comodo per la recita scolastica. Ha vomitato i cereali della colazione e poi chiamato il nove uno uno.»

Ripresi le fotografie della Scientifica e osservai una sequenza d’immagini sempre più ravvicinate.

Le prime mostravano un tratto di strada deserta non dissimile da quello che avevo visualizzato mentalmente. Sulla destra, i binari sopraelevati del tram proiettavano le ombre del giorno nascente sul terrapieno, sul margine della via e sulla carreggiata al di sotto.

Sulla sinistra, a forse otto metri di distanza dal nastro giallo della polizia, sorgeva un piccolo edificio rivestito a stucco, con davanti uno spiazzo coperto di ghiaia.

«Questo cos’è?»

«Negozio di articoli per party. Vuoto da mesi.»

«E quello?» Indicai una struttura a un piano senza finestre.

«Un complesso di depositi a noleggio o roba simile.»

La serie successiva stringeva sul corpo e sulle immediate vicinanze: Rountree Road che arrivava da ovest, la Old Pineville che proseguiva a nord e a sud. Su quest’ultima giaceva uno degli stivali in vinile. I miei occhi percorsero il selciato.

Parallela al margine di destra c’era una striscia d’erba e code di volpe che lasciava il posto a un groviglio di sottobosco, là dove il terreno digradava in un fossato, oltre il muro portante della linea tramviaria sopraelevata.

Tornando sul lato della Rountree notai una chiazza irregolare di terra e una spruzzata di pietrisco sul margine ghiaioso della via, una lattina di birra e quello che aveva l’aria di essere un bicchierino di carta accartocciato. Sprazzi di bianco spuntavano tra le erbacce. Rifiuti?

«Pensi che ci possa essere qualcosa di utile, qui? Impronte sul bicchiere o sulla lattina? Qualcosa in mezzo alle cartacce?»

Slidell si inumidì il pollice, sfogliò le pagine del suo taccuino e scrisse qualcosa.

Nella serie successiva di fotografie, la ragazza era coperta da un plaid di lana rossa, un angolo della minigonna e una gamba visibili lungo il lato sinistro. Accanto a lei c’era il secondo stivale, non calzato.

Il rigonfiamento sotto il plaid appariva penosamente piccolo. Seguendone i contorni, vidi che l’altra gamba era tesa, il piede torto in modo innaturale, verso la testa. Un braccio era teso, la posizione dell’altro impossibile da distinguere.

Una morsa di rabbia e di tristezza mi stritolava il cuore. Inspirai a fondo.

«Chi l’ha coperta?» Sapevo che non era stata la Scientifica: nessun tecnico esperto rischierebbe di trasferire delle fibre o dislocare tracce con valore probatorio.

Slidell sfogliò di nuovo il taccuino, a ritroso.

«Lydia Dreos.»

«L’insegnante?»

«Già, mi ero dimenticato questo particolare. Aveva il plaid nel bagagliaio.»

Nelle altre foto, la ragazza appariva visibile, il plaid ripiegato in un sacco trasparente accanto a lei. La pelle era di un bianco spettrale sullo sfondo di ghiaia scurita dall’olio, bitume e vegetazione.

Mi colse un pensiero.

«Non aveva un giubbotto?»

Percepii il movimento di Slidell che scuoteva la testa.

«C’erano otto gradi» dissi, puntualizzando l’ovvio.

Nessuno rispose.

Proseguii, esaminando primi piani del volto contuso, delle mani schiacciate, degli stivali mestamente vuoti.

«L’altezza dei lividi sul retro della coscia ci permetterà di stabilire quella del paraurti anteriore» osservò Larabee. «Con quel dato, dovremmo riuscire a restringere la scelta dei veicoli.»

«Tracce di vernice per auto sul corpo?» chiesi.

«Nessuna, ma c’è uno sbaffo sulla borsa. Nero. Forse viene dalla carrozzeria. Lo farò analizzare.»

«Graffi sulla schiena lasciati dal telaio?»

«No.»

«Avete la misura massima antero-posteriore del corpo? Per l’altezza del veicolo dal suolo.»

«Bacino 19,1 centimetri. Sdraiata a pancia in giù.»

«E sappiamo che lo era dalle lesioni a dita e mento» aggiunsi.

«Nessun automezzo è più basso di così» commentò Slidell. «A meno che la ragazza non sia stata investita da uno skateboard.»

«Qualcosa da osservare in merito ai lividi sulle cosce?» domandai.

«Cinque centimetri dall’alto in basso» disse Larabee. «Niente striature.»

«Non hanno usato il grill!»

Davvero buona questa, Skinny.

Il detective finì di prendere appunti. Ci mise il punto con un rapido colpetto della penna, poi: «Ricapitoliamo… La ragazza sta correndo…».

«O camminando» precisò Larabee.

«Il paraurti la colpisce dietro la coscia. Lei va giù. Il mento sbatte sul selciato. Le braccia si allargano. Il veicolo le passa sopra, frantumandole le dita.»

Mi pareva di vederla, al buio. La silhouette illuminata dal doppio fascio luminoso dei fari in rapido avvicinamento, i polmoni che bruciavano, il cuore che batteva all’impazzata, la pelle d’oca umida di sudore, il piede malfermo nello stivale a tacco alto.

«Perciò, che cosa l’ha uccisa?»

«Anche se non vedo fratture» disse il patologo, «le radiografie del cranio inducono a pensare a un trauma devastante. Sono sicuro che, aprendo la scatola cranica, troverò un ematoma subdurale, subgaleale e intracerebrale accompagnato da un massiccio edema nella regione parieto-occipitale.»

Slidell si limitò a fissarlo.

«Un colpo in testa le ha provocato un’emorragia nel cervello.»

Lui ci pensò su. «La ragazza viene colpita da dietro e va al tappeto a pancia in giù, ricevendo una brutta botta al cervello. Come ci è finita, poi, così lontano?»

«Forse la violenza dell’impatto.»

«Oppure?» Slidell aveva colto la scarsa convinzione nel tono di Larabee.

«L’ematoma non provoca necessariamente la morte istantanea.»

«Crede che si sia trascinata per un tratto?»

L’altro annuì, cupo.

«Se il bastardo si fosse fermato, la ragazza sarebbe sopravvissuta?»

«Un intervento medico avrebbe potuto salvarle la vita.»

Intenzionale o no, per me quello era omicidio. Non avevo bisogno di altre prove. Vedo ogni giorno casi di morte violenta – so di quanta crudeltà, stupidità e insensibilità sono capaci gli esseri umani – e tuttavia, ogni volta, sorge la stessa domanda.

Come?

Come può una persona investire una ragazzina e lasciarla agonizzare per strada?

A meno che l’intento non fosse esattamente quello.

Sotto gli occhi dei due uomini, arrivai alla rastrelliera e presi la gonnellina in jeans. Arrivava giusto sopra la sede dell’urto.

Mi voltai verso Slidell: «Falla analizzare».

«Per trovarci cosa?»

«Vernice.»

«Quante possibilità…»

«… oppure DNA, prezzemolo, la prova che esiste la vita su Marte! Falla analizzare e basta!»

Molti uomini si imbarazzano di fronte a una forte esternazione emotiva femminile. I più padroneggiano l’arte dell’assenza di reazione, distogliendo gli occhi, ballonzolando da un piede all’altro, tossicchiando.

Slidell ricorse alla scappatoia di guardare il suo orologio da polso.

Larabee tornò al tavolo anatomico e, senza aiuto, riposizionò la ragazza a pancia in su.

«Mi dispiace.» Dicevo sul serio. «Non era mia intenzione…»

«Sono certo che avrai notato questi» proseguì il patologo, come se il mio sfogo non fosse mai avvenuto.

Riappesi la gonna alla rastrelliera e lo raggiunsi; Slidell mi imitò.

Lui sollevò un braccio del cadavere, ruotandolo. Segni rilevati serpeggiavano sulla pelle nell’incavo del gomito.

«Be’, qui forse abbiamo un movente.» Skinny era così vicino che sentivo il suo olezzo di sudore e olio per capelli. «La ragazza, probabilmente, ha fatto arrabbiare il suo pusher e lo stronzo l’ha stesa.»

«C’è dell’altro» sussurrò Larabee.