27
Il martedì mattina mi svegliai prima che partisse lo scampanio della sveglia. L’alba cominciava appena a filtrare dalla finestra, trasformando la mia stanza in uno studio sulle tonalità del grigio. Fuori, i primi tordi emettevano qualche trillo esitante.
Posai occhi assonnati sulla sedia, il comò, l’antica mensola con la sua collezione di ricordi: una conchiglia del Maui, una coroncina da sposa lituana, fotografie in cornice la cui immagine non riuscivo a vedere. Non importava. Le conoscevo come i tratti del mio volto: Katy il giorno della laurea, Ryan e io a Città del Guatemala, Pete e Boyd sulla spiaggia della Isle of Palms, Birdie che si allungava sotto il sole.
Dio, era bello essere a casa.
Mi girai nel letto.
Le cifre sul display della radiosveglia segnavano le sei e dodici.
Cercai di riaddormentarmi. Impossibile. Se almeno avessi avuto Birdie addosso, raggomitolato, a ronfare.
Alle sei e quarantacinque mi arresi. Una lunga, lunghissima doccia calda si portò via le ultime tracce della polvere di Bagram. Benché ancora dolente, la caviglia stava ormai guarendo: il gonfiore era diminuito e il livido appariva meno vistoso.
In cucina, feci il caffè e ficcai due fette nel tostapane. Stranamente c’era del latte in frigo. E formaggio fresco, succo d’arancia, un contenitore per alimenti con una porzione di lasagne, ortaggi freschi, arrosto a fette già pronto e vari altri prodotti che non avevo comprato. Compresa una Heineken.
Più di una dozzina di «Observer» che erano stati ammonticchiati in casa durante la mia assenza: annotando mentalmente di ringraziare la vicina, diedi una scorsa panoramica stile avanti-veloce ai quotidiani, procedendo dal numero più vecchio al più recente. Mi feci così un’idea dei principali eventi accaduti durante la mia assenza. Normale amministrazione.
Uno studente aveva aperto il fuoco sui compagni di scuola nel Montana, sostenendo di essere vittima di atti di bullismo. Quattro morti. Una coppia era stata trovata con un arsenale di armi ed esplosivi nel suo appartamento di Trenton, New Jersey. I due coniugi erano, al momento, in arresto. L’associazione dei detentori di armi da fuoco difendeva il diritto di ogni americano a portare una semiautomatica e metterci un caricatore da trenta colpi. L’industria dei videogame declinava ogni responsabilità per la cultura di violenza imperante.
Nella nostra zona, una fabbrica dell’area di Gastonia era sul punto di chiudere lasciando centinaia di persone senza lavoro. Si erano trovate armi in due scuole medie. Si era scoperta una frode in corso in un college. Un bambino dato per scomparso a Mount Holly nel 2004 era stato ritrovato a casa dei suoi nonni nel Michigan settentrionale. Ora aveva quattordici anni.
Al sesto giornale mi cadde l’occhio su un titoletto. Cronaca locale. Tre colonne alte meno di tre centimetri. Guardai la data. Era stato pubblicato il sabato precedente.
PIRATA DELLA STRADA RICERCATO PER INCIDENTE FATALE
L’articolo cominciava chiedendo l’aiuto dei cittadini per identificare la teenager vittima del pirata. Forniva una breve descrizione della ragazza, la data dell’accaduto, l’ora approssimativa e indicava l’incrocio Rountree-Old Pineville come luogo dell’incidente. Diceva che le autorità cercavano testimoni e qualsiasi informazione utile; si faceva il mio nome e quello di Slidell. Chiunque conoscesse la vittima o sapesse qualcosa dell’incidente era pregato di contattare con urgenza il Dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg.
Accompagnava il testo la mia istantanea, scattata nella cella frigorifera, insieme al numero della Squadra Omicidi.
Firma: Allison Stallings.
Secondo appunto mentale: un ringraziamento alla giornalista. Anche se non facevo i salti di gioia per il mio nome nell’articolo: non mi piace essere citata. L’unico caso in cui vorrei comparire sul giornale è se finissi la Dieci Chilometri di Charlotte in meno di un’ora…
L’edizione della domenica riportava, invece, un richiamo al caso di persona scomparsa cui stava lavorando Slidell quando ero partita per l’Afghanistan. Immagini della donna, Cheryl Connelly, e dei suoi figli; informazioni circa i suoi ultimi spostamenti noti e un accenno a possibili problemi mentali.
Dunque, solo due giorni prima, la Connelly risultava ancora assente ingiustificata. Grandioso. A meno che non l’avessero ritrovata il lunedì, Slidell sarebbe stato tutto preso da lei.
Portai i giornali nel bidone della carta. Sul fondo c’erano due bottiglie di Heineken vuote.
Mmm.
Andai nello studio. Sul mio tavolo c’era un PC inserito nella presa. Un Dell con almeno una decina d’anni sulle spalle.
Pete e io abbiamo visioni opposte in fatto di automobili e computer. Io considero le prime come un semplice mezzo di trasporto, i secondi come un trampolino per conoscere il mondo. La mia Mazda è troppo vecchia per poter essere prezzata, il mio Mac è nuovo, veloce, e sarà soppiantato dalla versione successiva non appena uscirà.
Per il mio ex, al contrario, la velocità di un motore batte quella di un microprocessore ogni giorno della settimana. Sapevo chi era stato in casa mia e ne sospettavo la ragione.
Composi il numero della signora Flowers.
«Ufficio del medico legale, contea di Mecklenburg.»
«Sono la dottoressa Brennan.»
«Oh. Oh, grazie al cielo. Non potevo crederci, quando ho saputo che era andata in quel posto terribile. Come sta?»
«Bene, grazie.»
«Ha visto qualcuno di quegli orribili talebani?»
«Sono rimasta per lo più alla base.»
«Ho pregato per lei tutti i giorni. Tornerà presto in ufficio?»
«Forse più tardi. Sono rientrata solo ieri sera.»
«Disfi subito i bagagli. Se li lascia lì, chissà quali bestie strisceranno fuori e le faranno il nido nei mobili. È successo a una mia amica.» La voce della Flowers si era ridotta a un bisbiglio.
«Lo farò subito, allora.»
«Ha vari messaggi.»
«Li prendo appena arrivo.»
«E un nuovo caso.»
Volle fornirmi qualche anticipazione. Implicava degli hooligans, un cabinotto e una «testina immersa nella pupù». Devo ammettere che il modo di esprimersi di quella donna è uno spasso.
«Grazie. Può passarmi il dottor Larabee?»
«Certamente.»
Una versione senz’anima di Sailing mi tenne compagnia finché il patologo non prese la linea. Che problema hanno le istituzioni con la musica di sottofondo?
«Tempe! Felice di riaverti qui. Com’è andata?»
«Rispetto infinito per le nostre truppe.»
«Così faticoso?»
«Semplicemente sfiancante. E poi gli insetti e il giubbotto antiproiettile che pesa un quintale e le frane che ti seppelliscono viva…»
«Sei riuscita a vedere Katy?»
«Sì. È davvero un fenomeno.»
«Lo è sempre stata. Non ho risposto ai tuoi messaggi perché non volevo distrarti dalla missione.»
«Nessun problema.»
«La pista del DNA non ha dato frutti. La nostra vittima sconosciuta non figura nel sistema.»
«Non mi sorprende.»
«Già, ma non si può mai dire.»
Domandai se avesse letto l’articolo della Stallings. Affermativo.
«Nessuno si è fatto avanti, per ora.»
«Quindi siamo al punto in cui eravamo prima della mia partenza.»
«Au contraire. Ho avuto i risultati dell’analisi del liquido seminale. Avevo ragione: proviene da più di un individuo.»
Drizzai la schiena. «E stai per dirmi che il DNA ha fruttato dei nomi.»
«Il DNA ha fruttato dei nomi. Due ex pregiudicati, proprio qui nel North Carolina. Ho lasciato i referti sul tuo tavolo. Li ho già inoltrati anche a Slidell.»
«Potrebbe essere un bel colpo.»
«Già. E ho scoperto un’altra cosa che forse è un bel colpo, o forse no.»
Attesi.
«Mentre rivedevo le radiografie, mi è caduto l’occhio su una strisciolina di radiopacità vicino alla sutura parieto-occipitale. L’ematoma era parecchio esteso in quella parte del cervello e lì l’osso corticale è molto spesso, perciò all’inizio non l’avevo notata. Ho controllato e, ritraendo il cuoio capelluto, c’era proprio un elemento incastrato. Prob…»
«Che hai trovato?»
«Sembra una scheggia d’osso. Ha perforato il cuoio capelluto, ma non è penetrata nella superficie endocranica. Te l’ho lasciata sulla scrivania insieme ai due referti del DNA.»
Ci fu un bip.
«Un secondo.»
Mentre rispondeva alla chiamata in arrivo, ponderai le implicazioni di un frammento d’osso nel cuoio capelluto della vittima. Una caduta? Un colpo? Un qualche tipo di accessorio per capelli? Prima che arrivassi a una qualsiasi conclusione, il capo tornò in linea.
«Devo andare. Duplice suicidio. E a Myers Park, figurati. Pensavo che la gente bene fosse troppo educata per farsi fuori con il veleno per topi.»
«Verrò in ufficio tra non molto.»
«Fantastico. Hai un cranio estratto da un WC che ti aspetta.»
Riagganciai, eccitatissima. Per il DNA, non per il ritrovamento nella latrina.
Quando avevo lasciato Charlotte, il caso del pirata della strada pareva destinato a una rapida archiviazione; ora c’erano delle piste da seguire, i nomi di uomini che avevano avuto rapporti sessuali con la vittima. Per forza? Per amore? Per divertimento? Per denaro? Poco importava: quegli uomini non si erano fatti avanti per fornirci il nome della ragazza.
Chiamai Slidell. Segreteria. Lasciai un messaggio, dicendogli di richiamarmi appena possibile.
Telefonai all’ICE, convinta che i nuovi sviluppi potessero risvegliare l’interesse di Luther Dew. Segreteria. Altro messaggio.
È irrazionale, ma ci sono alcuni compiti che detesto al punto da addurre qualsiasi scusa pur di evitarli: la spesa, il filo interdentale, la revisione auto…
Disfare i bagagli è in cima alla classifica, ma il consiglio della signora Flowers era azzeccatissimo, ancorché per motivi diversi – motivi sensati –, e sapevo che mi sarei odiata a morte, più tardi, se avessi rimandato.
Sebbene impaziente di vedere quel che Larabee mi aveva lasciato sulla scrivania, andai in camera, aprii la borsa da viaggio e cominciai a smistare. Abiti sporchi per la lavanderia. Articoli da toilette per il bagno. Libri, riviste e materiale di antropologia per l’ufficio.
Fuori, in cortile, rivoltai il borsone, poi lo riposi su un ripiano del ripostiglio. Fiera di me stessa, mi concessi una pausa e controllai la posta elettronica.
Katy aveva scritto, dicendo che era contenta di avermi rivisto, ed esprimeva la convinzione che sarei stata l’unica madre della sua unità ad andare in visita da quelle parti. Prometteva di essere prudente.
Nulla da Ryan. Perché diavolo mi disturbavo a verificare se ricevevo sue notizie?
Tornando frettolosamente in camera, rivolsi le mie attenzioni allo zaino. Avevo appena cominciato quando il telefono squillò.
Pensando che fosse Slidell, o Dew, risposi senza guardare l’identificativo del chiamante.
Clic.
Segnale di libero.
Prima a Camp Lejeune e ora a casa. Due volte in due giorni.
Simpatico.
E tornai allo zaino. Per prima cosa, svuotai il comparto principale: berretto, giacca, occhiali da sole, libri, un cuscinetto da collo che avevo comprato durante il ritardo del volo a Istanbul, il sacchettino di omaggi che le compagnie aeree danno sempre in business class.
Poi mi avventurai nelle tasche esterne. Che negli zaini militari sono un miliardo. L’incursione fruttò una crema per le mani, batterie, due barrette di cioccolato mezze sciolte, almeno una dozzina di tappi per le orecchie usati e tutta la sabbia del deserto.
Dieci minuti dopo l’inizio della perquisizione, infilai la mano nell’ultima tasca laterale. Mi aspettavo solo fazzoletti di carta appallottolati, ma le mie dita si richiusero intorno a un oggetto che pareva di plastica.
Curiosa, lo tirai fuori. Passarono alcuni istanti, mentre lo esaminavo, sbigottita.
Lo rivoltai.
E il mio sconcerto aumentò.