12

 

«Per effettuare una nuova chiamata, si prega riagganciare e…»

Premetti e rilasciai il tasto, quindi composi l’interno della signora Flowers.

Occupato.

Ritentai.

Ancora occupato.

Forza, forza.

La donna mi era parsa allarmata: aveva interrotto lei la comunicazione? O era stato qualcun altro?

«Scusi» ripetei a Dew. «Forse era una segnalazione sulla mia vittima ignota.»

«Non si preoccupi.»

Finalmente la signora Flowers rispose.

«Spiacente per l’at…»

«L’ultima chiamata. Ha il numero?»

Silenzio, poi: «Sì».

Scrissi in fretta le cifre, sotto gli occhi dell’agente Dew. «Grazie ancora, dottoressa Brennan» si congedò lui.

«Le comunicherò quando far ritirare i cani.»

L’uomo era a mala pena uscito, che stavo già telefonando a Slidell con la chiamata rapida.

«Yo.» In sottofondo, Waylon Jennings pubblicizzava un viaggio a Luckenbah, Texas.

«Puoi rintracciare un numero?»

«Fammi indovinare, doc. Ballando con le stelle ti ha finalmente ingaggiato, ma è caduta la linea.»

Gli dissi dei volantini e della chiamata anonima, preparandomi a una ramanzina che non arrivò.

«Spara.»

Gli dettai il numero.

«Dammi cinque minuti.»

Dopo tre, era di nuovo in linea, sans Waylon.

«Telefono a pagamento. Non sapevo che esistessero ancora. Quasi tutte le cabine ormai sono dei piscia…»

«Dove?»

«Shopping center in Seneca Square.»

«South Boulevard, vicino a Tyvola.» Il mio cuore fece un paio di battiti extra. Seneca Square non era lontana dal luogo dell’incidente.

«Yeppa. Chiederò un po’ in giro, ma a meno che la tua informatrice non stesse chiamando nuda e con un diadema in testa, le probabilità che qualcuno l’abbia notata tendono a meno infinito.»

Slidell aveva ragione. Cosa che mi irritava alla grande.

«Novità sul veicolo?»

«No.»

«Lo sbaffo sulla borsa?»

«L’FBI, per lo più, non è altro che un branco di maneggioni fanatici, ma il suo database sulle vernici spacca il culo ai passeri.»

Fine dicitore come sempre.

«Quarantamila stramaledetti campioni, ma nessuna corrispondenza con il nostro.»

«Quindi non era vernice?»

«Era vernice, solo, non veniva da un’auto.»

«Da cosa, allora?»

«Sa il cavolo.»

«Che dice il referto?» Celando a stento l’irritazione.

«Un sacco di chiacchiere su leganti, solventi, pigmenti e additivi. Metil-questo e idrofluoro-quello. Perché i merdaioli non si limitano a parlare in inglese?»

«Richiederai la consulenza di un esperto?»

«Massì, massì.»

«Quanto ci vorrà?»

«Tutto il tempo necessario.»

Congedato Slidell, chiusi gli occhi e ripercorsi mentalmente la misteriosa telefonata: una donna sosteneva che la vittima sconosciuta aveva paura. Parlava con un accento? La comunicazione era troppo disturbata per appurarlo.

Quella donna conosceva la ragazza investita? Se sì, perché non darmi il suo nome?

E paura di che, poi?

Anche lei sembrava spaventata, a dire il vero.

Spaventata da cosa?

Tutti hanno accesso a un telefono, mobile o fisso, oggi. Perché utilizzarne uno pubblico? Per salvaguardare l’anonimato? Pensando, forse, erroneamente, che la chiamata non potesse essere rintracciata?

Era stata la donna a riagganciare o qualcuno l’aveva interrotta? Avrebbe voluto dirmi di più?

In quel momento, fu il mio stomaco a dire di più. E a gran voce.

Mi fiondai a recuperare una Diet Coke, tornai, presi il foglio in cima alla pila nella mia vaschetta e lessi, ruminando la barretta energetica che mi ero procurata durante la rapida incursione al supermercato.

Il modulo riguardava un ritrovamento di ossa umane, avvenuto sulla sponda del Mountain Island Lake. Il test dell’amelogenina, da me richiesto, aveva mostrato che i resti appartenevano a un individuo di sesso maschile: decisamente non Edith Blankenship, la donna scomparsa che i poliziotti incaricati dell’indagine credevano di avere trovato. Ma, allora, dov’era Edith? E chi era l’uomo del lago?

Scrissi una breve relazione, vi allegai il modulo e misi entrambi in una cartellina gialla (non scelta in base a chissà quale codice cromatico, ma per il solo motivo che mi piaceva la tonalità), nella casella in uscita.

Passai, quindi, a declinare un invito alla successiva riunione del FASE, la Società europea di antropologia forense: l’idea del viaggio era allettante, ma chi aveva tempo?

Basta con le scartoffie.

Appallottolai l’involucro della barretta e tornai nella sala autopsia, per dedicarmi a un esame più approfondito delle lastre. Ero concentrata sul bastardino numero tre, quando suonò il telefono.

«Il suo agente speciale è di nuovo qui.» La signora Flowers parlava a labbra semichiuse, schermando il ricevitore con la mano. «Glielo mando?»

«Sì, grazie.»

Dew e io arrivammo al mio ufficio nello stesso momento. Notai ancora una volta come, malgrado la stazza, ogni sua mossa fosse eseguita con grazia.

Mi lasciai cadere dietro la scrivania e indicai la poltroncina di fronte a me: con Dew sopra, sembrava progettata per bambini di tre anni.

«Quanto tempo!»

La battuta gli sfuggì o fu deliberatamente ignorata.

«Ho un’informazione che potrebbe interessarle.»

«Sulla mia vittima non identificata?»

«Su Dominick Rockett.»

«L’importatore non proprio legale?»

Nemmeno l’ombra di un sorriso.

«Dottoressa Brennan, lei è una professionista di acclarata fama. Nel corso del nostro breve incontro, ho avvertito che tiene molto al suo lavoro e, soprattutto, ho maturato la convinzione che sia una persona onesta, dallo spiccato senso morale. Aprire gli involti mummificati avrebbe reso il suo lavoro infinitamente più semplice, ma ha deciso di non farlo. Per questo la rispetto e mi sento indotto a fidarmi di lei.»

Un perfetto Capote. Femmineo e sostenuto.

«Mi sento in dovere di rivelarle alcune informazioni che ho tenuto per me durante le nostre precedenti conversazioni.»

Fece come per appoggiarsi allo schienale. Cambiò idea, diffidando, assennatamente, della capacità di carico della poltroncina.

«Nel corso della nostra indagine, abbiamo scoperto che il signor Rockett ha partecipazioni in una società denominata S&S Enterprises. Poiché la S&S è una realtà privata, sono poche le informazioni disponibili sulla sua struttura, le sue attività, i suoi azionisti.»

«Di che cosa si occupa la società?»

«Non è tanto questo l’importante: ad attirare la nostra attenzione è stata l’entità delle partecipazioni del signor Rockett. Secondo quanto da noi finora accertato, sembra che i suoi interessi ammontino a più di centomila dollari.»

«Bei soldoni.»

«Come dicevamo prima, il reddito ufficiale di Rockett è modesto.»

«Le entrate che gli derivano dalla pensione militare e dall’attività di import.»

L’agente annuì. «Perciò dobbiamo interrogarci sulla fonte di guadagno che gli consente una posizione tanto ragguardevole.»

«L’ICE pensa che il tizio sia poco pulito.»

Dew continuò come se non avessi parlato.

«C’è un altro aspetto che i miei colleghi e io troviamo interessante; un’altra ragione per cui ritengo opportuno farla oggetto di maggiori confidenze.»

Abbassò gli occhi sulle mani, che aveva immobili in grembo, poi tornò a fissarli su di me.

«Fino a poco tempo fa, uno dei proprietari della S&S Enterprises era un imprenditore locale di nome John-Henry Story. Credo non le sia del tutto sconosciuto.»

«Il John-Henry Story morto in un incendio lo scorso aprile?»

«Mi dicono che è stata lei a identificarne i resti.»

Annuii, troppo sorpresa per rispondere.

Piacevolmente sorpresa, però: era l’aggancio che poteva permettermi di coinvolgere l’ICE nella mia ricerca.

«Ho anch’io una cosa da confidarle» dissi. «Ricorda la ragazza che ha visto nella cella frigorifera?»

Gli occhi dallo strano color lavanda si ridussero a due fessure.

«La giovane investita e lasciata a morire per strada?»

Fece per replicare, ma lo zittii levando un palmo.

«Quando è stata ritrovata, aveva una tessera di John-Henry Story nella borsa. US Airways Club.»

Dew si aggiustò un polsino, ma non disse nulla.

«Mi ha sentito, agente Dew? Dominick Rockett, il suo sospetto contrabbandiere era legato alla S&S Enterprises. La S&S Enterprises era, almeno in parte, di proprietà di John-Henry Story. La mia NN aveva la tessera di Story con sé quando è morta.»

Il volto dell’uomo rimase impassibile.

«Sarebbe certo utile alle sue indagini sapere chi sia quella ragazza.»

«Il suo detective…» Dew mi fece un cenno con una rosea manona perché gli sfuggiva il nome.

«Slidell.»

«Il detective Slidell non era convinto che la giovane donna fosse una prostituta?»

«Non riesco a cogliere la pertinenza di questa osservazione.»

«La coincidenza da lei descritta può avere spiegazioni che non coinvolgono Dominick Rockett.»

«Io non credo nelle coincidenze.» Fredda.

Dew attese molto a lungo prima di rispondere.

«Come le ho detto, il mio compito è indagare sull’importazione e distribuzione illecita di beni culturali.» Dalla sua voce trapelava lo sforzo di portare pazienza. «Al momento la nostra attenzione si concentra principalmente sullo status finanziario del signor Rockett, in quanto correlato a un suo eventuale coinvolgimento in simili attività. Qualora dovesse risultare che la sua vittima era in qualche modo implicata, ovviamente, rivedrei la mia opinione, ma… La tessera della zona ristoro di un aeroporto nella borsa di una sospetta prostituta?»

Piegò la testa da un lato e alzò significativamente le sopracciglia. Stava scherzando?

Repressi l’impulso di sbatterlo fuori dal mio ufficio a calci nel voluminoso derrière. Invece, sorrisi.

«C’è qualcun altro che potrebbe forse…»

«Attualmente siamo purtroppo a corto di organico.» Si alzò. «Per ora, mi dispiace dirlo, il suo caso deve rimanere di competenza delle autorità locali.»

Il mio coinquilino era in cucina quando varcai la soglia di casa.

«Ehi, Bird.»

Il gatto si sedette, arrotolò la coda intorno alle zampe e mi guardò con occhi gialli e tondi.

Lasciai cadere la ventiquattrore e mi chinai ad accarezzarlo.

Si alzò, inarcando il dorso con aria… speranzosa? Colma di aspettativa? Forse solo affamata.

Ennesimo senso di colpa. Non avevo ancora comprato leccornie per il mio gatto.

Perché non mi ero fermata al supermercato? O almeno in un alimentari qualunque?

Ecco cosa accadeva a lasciarsi ossessionare dal lavoro, trascurando il ménage domestico: zero provviste. E ora ne avrei pagato il prezzo.

Il felino un po’ meno.

Sapendo che il frigo era zona morta, andai in dispensa. Birdie infilò il muso nello spiraglio, mentre la porta si apriva. Piazzando le zampe anteriori sull’ultimo ripiano, si allungò in tutta la sua altezza e annusò: avena e il tonno che restava.

Guardando Bird divorare il suo secondo porridge à la mer della giornata, non potei impedirmi di sorridere. Dopo due giornate inconcludenti, era bello far piacere a qualcuno.

Rapido check al telefono di casa. Nessun messaggio.

Rapido check ai cassetti degli ortaggi, in frigorifero. Confezione di lattuga romana che dava sul marrone, quattro carote avvizzite, un cetriolo della consistenza della gomma.

Sui ripiani laterali c’erano succo d’arancia, lattine di Diet Coke, conserve di prugne, olive, condimenti vari e un cartone di latte scaduto da dieci giorni.

Il freezer offriva un burrito coperto di brina e un pasticcio di pollo e verdure.

Mentre il pasticcio si scongelava nel microonde, entrai in Gmail.

Nulla da Katy.

Rilassati, sta bene. Niente nuove, buone nuove.

Nulla da Ryan.

Perché Katy non mi aveva contattato? Spedito un’e-mail, un SMS? Sapeva che sarei impazzita per l’apprensione. Comunicare ogni giorno era impossibile, ma lei era sempre stata così attenta. E non era mai mancata a un appuntamento via Skype all’orario convenuto.

L’orologio della nonna suonò le otto. Benché stanca e nervosa, mi tenni volutamente occupata.

Le altre e-mail contenevano pubblicità o questioni della minima urgenza.

Mangiai il pasticcio, che abbondava di verdure, ma era scarso di pollo. Lavai la ciotola del gatto, pagai alcune bollette on-line. Guardai un episodio di Boardwalk Empire – L’impero del crimine, con Birdie che mi ronfava in grembo.

Repressi l’impulso di controllare la posta elettronica ogni dieci minuti.

Alle dieci, mi feci una doccia e andai in branda.

A dormire? Chi volevo prendere in giro?

Senza nemmeno saggiare la superficie con le dita dei piedi o tentare di immergersi gradualmente, il mio cervello si buttò a capofitto in un gorgo d’ansia.

Chi era la ragazza morta? Perché girava di notte senza un documento o una chiave? Qualcuno si era preso il contenuto della sua borsa?

Perché, allora, portare via la carta d’identità e lasciare la tessera di John-Henry Story?

L’ultima risposta la conoscevo: la tessera era infilata nella fodera della borsetta. Ma perché? La ragazza la stava nascondendo? Qualcuno le aveva preso il documento d’identità, ma non si era accorto del pass? L’assassino?

Che valore poteva avere la tessera di un’area ristoro dell’aeroporto? Non era una carta di credito.

Story era morto da sei mesi e, secondo Slidell, la card non era stata usata in quel lasso di tempo; nessuno avrebbe potuto, in assenza del titolare.

Mi sovvenne un’altra possibilità.

John-Henry Story era forse ancora vivo? Aveva simulato il proprio decesso? A che scopo?

E, cosa più preoccupante, se non era morto in quel capannone, di chi erano le ossa che avevo esaminato?

Accesi la luce e controllai l’iPhone, sperando in un messaggio o in una e-mail di Katy.

Merda.

Rispensi la luce.

Neuroni in piena attività.

John-Henry Story aveva cinquantuno anni all’epoca della morte; la mia vittima non identificata circa quindici. Story le aveva forse chiesto di accompagnarlo in un viaggio? O di farne uno per lui? A quale fine?

Le cellule grigie non fornirono un’ipotesi plausibile.

In qualche modo la tessera di Story era finita nella borsa della ragazza.

La borsa rosa che giaceva per terra accanto al corpo.

Immaginai una via deserta dal ciglio in pendenza, fari che squarciavano il buio della notte.

E mi venne un’altra idea.

John-Henry Story era collegato all’incidente?

Era lui il pirata della strada?

Calma! Una conclusione piuttosto azzardata.

E fondata sul nulla. Pura elucubrazione senza alcuna base scientifica. Anche ammesso che Story avesse inscenato la propria morte, l’incendio era avvenuto in aprile, molto prima dell’uccisione della ragazza.

Rinunciando a dormire, buttai indietro le coperte e scesi in cucina. Birdie mi seguì zampettando, confuso ma compiacente.

Scaldai una tazza d’acqua e ci immersi una bustina di tè alla menta, poi versai in un piattino il goccio di latte che rimaneva in frigo. Bird gradì, incurante della scadenza superata.

Mentre sorseggiavo il tè, i miei pensieri seguirono un altro percorso.

Dominick Rockett, l’ex militare dal volto sfregiato. L’importatore colto a trafficare antichità illegali, che aveva investito nella compagnia di proprietà di Story.

Dove aveva rimediato i fondi per aggiudicarsi una quota della S&S Enterprises? Perché proprio quella società? Quando? Prima della morte di Story? Della sua presunta morte? Story aveva avuto parte attiva nella scelta imprenditoriale di Rockett?

Altra coincidenza?

Come no!

Dominick Rockett conosceva John-Henry Story? Lavorava per lui? Con lui? A che titolo?

Rockett era coinvolto nell’incidente che era costato la vita alla ragazza?

D’improvviso, sentii freddo nella stanza.

Ottobre. L’inverno stava davvero arrivando: presto sarebbe stata ora di accendere i riscaldamenti.

Posai la tazza nel lavandino e tornai in camera, il mio amico felino al piede.

Mi rinfilai sotto le coperte, spensi la luce e chiusi gli occhi, cercando di sgomberare i pensieri.

Niente Dominick Rockett, niente John-Henry Story, niente ragazza senza nome.

Ma i miei centri superiori partirono per un altro giro di giostra.

La chiamata di quel pomeriggio.

Chi era la donna al telefono?

Posto che fosse attendibile, di cosa aveva paura la vittima ignota?

Anche la donna al telefono aveva paura? Di chi?

Birdie saltò sul letto, girò su se stesso e si acciambellò nell’incavo del mio ginocchio. Gli passai la mano lungo il dorso, grata della sua incondizionata lealtà.

Un flash. Resti combusti, così fragili che avevo dovuto spruzzarci sopra il poliuretano, prima di tentare di staccarli dalla matrice di cenere in cui erano inseriti.

John-Henry Story?

Se sì, che ci faceva nel suo capannone a quell’ora della sera? Seguiva gli affari così da vicino? Aveva difficoltà finanziarie? In tal caso, era forse arrivato ad appiccare deliberatamente l’incendio? Gli acceleranti prendono fuoco in pochissimo tempo: aveva fatto male i conti e si era ritrovato prigioniero del suo stesso rogo? Ma ciò non sarebbe sfuggito agli investigatori; avrebbero trovato tracce di sostanze, contenitori…

Immaginai una figura incorniciata da fumo e fiamme, movimenti convulsi dettati dal panico, abiti, pelle, capelli che andavano a fuoco.

Se Story non era morto nell’incendio, chi, allora? Un dipendente? Un senzatetto addormentatosi nel posto sbagliato?

Cerchi infiniti.

Domande che portavano ad altre domande.

Nessuna risposta.

E dove diavolo era Katy?