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L’aria della sera era fresca, benché venata di un odore di gasolio e del tanfo di almeno una moffetta incattivita. Una luna piena pendeva in cielo, a est, solcata da esili dita nere.
«Bella serata per un blitz.»
Slidell sedeva al volante di un’auto della polizia, un agente in uniforme di nome Rodriguez accanto a lui, io dietro.
Il nostro era uno dei quattro veicoli che attendevano con il motore acceso in un parcheggio sulla Griffin, giusto una cunetta più a nord e una cinquantina di metri più a est del Passion Fruit Club. Tre grossi Suburban Chevrolet avevano a bordo, ciascuno, tre uomini dei reparti scelti. Skinny era «pronto a fare fuoco e fiamme». Parole sue.
Il cuore mi batteva forte sotto il giubbotto in Kevlar (idea di Slidell: un affare ancora più pesante di quello dei Marines in Afghanistan); la caviglia mi faceva male dentro gli scarponcini.
La radio agganciata al giubbotto di Skinny crepitò. Il detective guardò Rodriguez, che annuì.
Scendemmo. Gli altri fecero lo stesso, con i caschi in testa, i Bushmaster AR15 e i fucili da tiratore scelto Remington 700-P calibro.308, dotati di visore notturno. Fuoco e fiamme.
«Questa bettola ha due ingressi.» Il volto di Slidell era difficile da distinguere nell’oscurità, ma il tono della sua voce diceva chiaramente che era sovreccitato. «Entreremo a tenaglia: Alpha e Charlie dall’ingresso anteriore, Bravo e Delta da quello di servizio.»
«Ci sono armi all’interno?»
«Voi procedete come se ci fosse un arsenale.»
«Sappiamo in quanti sono, là dentro?»
«Negativo. Siete stati informati circa le persone d’interesse. Se Ray Majerick o Dominick Rockett fossero sul posto, arrestateli. Secondo le regole; niente violenza: non vogliamo che qualche avvocatucolo si aggrappi alla brutalità delle forze dell’ordine.»
Tornammo ai veicoli. Slidell accese il motore, ma non le luci. La squadra si mosse, silenziosa, se non per il brontolio sommesso di quattro motori e lo scricchiolio della ghiaia sotto sedici ruote.
Come d’accordo, due unità si fermarono di fronte allo studio del tatuatore, altre due fecero il giro del complesso di edifici. Una sola parcheggiò davanti al Passion Fruit.
Skinny piegò la testa da un lato e premette il pulsante della ricetrasmittente sul cruscotto. «Team Bravo in avanscoperta?»
«Affermativo.»
«Charlie?»
«Affermativo.»
«Delta?»
«Affermativo.»
«Alpha dice: “Luce verde”. Si va in pista.»
Un milione di fari anteriori e posteriori incendiò la sera. La nostra auto partì in avanti e si fermò così in fretta che la coda sbandò a sinistra. Slidell e Rodriguez si fiondarono giù dai sedili.
Aprii la portiera. Skinny girò sui tacchi e mi piazzò l’indice in faccia.
«Le tue chiappe restano incollate su quel sedile!»
«Okay!»
Erano i patti: o resti in macchina o te ne stai a casa.
Slidell e Rodriguez avanzarono di corsa, semiaccovacciati, le Glock impugnate a due mani e puntate verso l’alto, ai lati dei caschi. Il team Charlie li raggiunse all’ingresso del Passion Fruit, due uomini ai lati, uno davanti alla porta.
Skinny parlò nella trasmittente, ora a voce un po’ più alta.
«Via!»
Uno dei ragazzi del team Charlie spalancò la porta con un calcio. Sentii sbattere metallo, vetri infrangersi.
Slidell e Rodriguez irruppero stile panzer, seguiti dal resto della squadra.
Qualcosa rimbombò. La porta sul retro?
«Polizia! Nessuno si muova!»
Ci fu un urlo, forte e acuto.
Uomini gridarono.
Poi più nulla.
Niente proiettili, niente proteste di clienti inferociti, niente strilli di ragazze terrorizzate.
Passarono alcuni secondi. Un minuto. Una vita.
Il silenzio era assordante.
«’Fanculo.» Mi lanciai fuori dall’auto e corsi verso l’edificio.
Dalla porta aperta vidi una sala d’attesa con pareti grigio-bruno, sedie in plastica arancione, felci finte, tavolini bassi, costellati di bruciature di sigaretta.
C’era uno dei ragazzi del team Charlie.
«Via libera?» Ansavo, strafatta di adrenalina.
«Sì.» Puntò la canna del suo Remington verso una porta sulla destra. «La festa è di là.»
Avanzai lungo un corridoio verso la parte posteriore dell’edificio, le pareti erano dello stesso grigio-bruno della sala d’attesa e le porte dipinte di giallo per l’intera lunghezza: tre sulla sinistra e altrettante sulla destra, tutte aperte.
Passando in fretta, gettavo occhiate all’interno.
Le stanze avevano pareti di compensato che non arrivavano al soffitto. Tre erano grandi come un armadio a muro, contenevano solo un letto, accuratamente rifatto, e una sedia dallo schienale diritto; in altre due vidi un lettino standard da massaggi e un impianto stereo. Non c’era anima viva.
Dalla sesta camera, l’ultima sulla destra, provenivano voci attutite. Una apparteneva a Slidell. Altezza e tono mi dissero che il detective tratteneva a stento la rabbia.
Entrai.
Anche quella stanza aveva le dimensioni di un ripostiglio. Dentro c’erano una scrivania, una poltroncina imbottita piuttosto malridotta e una vecchia tivù di quelle con l’antenna incorporata. In un angolo vidi una porta aperta e, oltre quella, una scalinata che scendeva nel buio.
C’era un altro uomo dei reparti scelti (del team Delta, mi parve). I suoi occhi seguirono il mio sguardo da sotto il bordo del casco.
Indicai le scale.
Annuì.
Il seminterrato era umido, tetro, e, con mio sconcerto, sembrava abitato: quattro brande, ciascuna con una coperta logora, un minifrigo, un fornelletto elettrico, una credenza con ante sopra e sotto, una lampada su un tavolo, insieme a una tazza stipata di penne e matite, posacenere vuoti e una pila di riviste.
Alla credenza era accostato uno stender a rotelle, ma gli appendiabiti erano vuoti. Una porta dava su un bagno, all’estremo opposto dello scantinato.
Slidell incombeva minaccioso su una donna alta poco più di un metro e cinquanta e lei ricambiava lo sguardo truce del detective senza indietreggiare. In mano stringeva un foglio di carta. Il mandato, pensai.
C’erano anche Rodriguez e altri due. Il resto del gruppo doveva essere appostato fuori dall’edificio o intento a controllare le proprietà adiacenti.
«E lei gestirebbe questo cesso da sola?»
«Viene qualcuno a fare le pulizie.»
«Dove sono, signora Tarzec?» Skinny torreggiava su di lei. È un torreggiatore straordinario.
«Gliel’ho detto. Non so di chi stia parlando.» La voce della Tarzec era roca da decenni di sigarette. E il suo aspetto si accordava al timbro: i capelli fragili e sfibrati, la pelle giallastra e rugosa per il ridotto afflusso di sangue dovuto al fumo.
«Io credo di sì.»
La donna scrollò le spalle.
Gli occhi di Slidell si spostarono su Rodriguez.
L’agente scosse appena il capo.
Al detective si contrassero i muscoli della mascella, tanto da scostargli quasi la cinghia del casco. «Chi vi ha avvisato?»
«Non ho idea di che cosa stia parlando.» Inglese con un leggero accento. «Facciamo massoterapia, qui. Solo massoterapia.»
«Sì?» Slidell si guardò ostentatamente intorno. «Dove sono le massaggiatrici?»
«È mercoledì. Gli affari vanno maluccio. Tenere le luci accese, la sera, mi costa più di quanto guadagno, così do una serata libera alle ragazze. Alle masseuses, per usare il termine tecnico.»
«Il termine tecnico è “puttane”.»
«Mi piace come fa il macho, detective. Quanto sarà, lei? Centottanta chili?»
«Con la pistola in mano sì.» Il volto del poliziotto era duro, le guance paonazze.
«Sembra teso. Forse le gioverebbe uno dei nostri massaggi.»
«E a lei un po’ di galera.»
La signora Tarzec fece due passi indietro, scosse lievemente il capo e sorrise. I denti erano ingialliti e sembravano troppo piccoli per la sua bocca.
«Ha intenzione di arrestarmi?»
Slidell non disse nulla.
«Io non credo» continuò la donna. «Qualunque cosa stia cercando, non è qui, non lo è mai stata. Non ha niente contro di me. Lo so io e lo sa anche lei. Perciò si riprenda le sue merdosissime armi, le sue merdosissime camionette e se ne vada dalla mia proprietà.»
«Queste masseuses… da dove vengono?»
«Hanno frequentato dei corsi di formazione in massoterapia.»
«Che cos’è la SayDo?»
«Mi scusi?»
«La società che possiede questo cesso. Quella che finanzia il suo hotel a cinque stelle.»
In quel momento, uno dei ragazzi scese pesantemente le scale, il Bushmaster puntato a terra. Mi feci da parte per lasciarlo entrare nel seminterrato e mi ringraziò con un cenno.
Slidell spostò lo sguardo su di lui e, vedendomi, si accigliò ancora di più.
L’agente scelto scosse il capo e alzò un palmo. Niente di niente.
«Perquisite ancora» latrò Skinny.
La dura scorza della signora Tarzec mostrò la prima incrinatura. «Ma questo è accanimento! Non può farlo!»
«Crede?» Slidell indicò il mandato. «Lì sopra c’è scritto di sì.»
Gli occhi di lei si ridussero a due fessure. «Posso prendere le sigarette?»
«No. Non può.» Le indicò una delle brande. «Parcheggi lì le chiappe.»
La Tarzec si sedette incrociando braccia e gambe.
I ragazzi della squadra tornarono di sopra. Istanti dopo, sentii i loro passi sulle tavole del pavimento soprastante. Sapevo che avrebbero ricontrollato solo per scovare l’eventuale presenza di persone, non più di materiale probatorio.
E lo sapeva anche Slidell, il che non migliorava il suo umore. Frugò nella scrivania, scorrendo i fogli che gli capitavano in mano, l’agitazione evidente nella rapidità del respiro, nei movimenti bruschi e pesanti.
Rodriguez andò alla credenza e cominciò a tirar fuori confezioni di preparati per ramen, cibo in scatola, buste di spaghetti e maccheroni disidratati. Svuotato ogni comparto, batté le nocche sul laminato, testando le pareti in cerca di spazi vuoti sotto o dietro.
Skinny rovistò nel cestino della carta. Vuoto. Tolse le coperte dalle brande, le federe dai cuscini. Niente.
Sparì in bagno. Sentii l’asse che ricadeva rumorosamente, la copertura della cassetta che scricchiolava, la tenda della doccia che scorreva, stridendo, sull’asta.
Rodriguez aprì il frigo, trovò bevande gassate e condimenti, qualche confezione di formaggio. Slidell uscì dal bagno.
«Non troverete nulla d’illegale.» Ora la voce della signora Tarzec suonava acuta e stridula. I nervi. O il bisogno di una dose di nicotina.
«Giusta osservazione. Nessun elenco dei clienti né fatture. Nessun libro contabile.» Slidell la trafisse con lo sguardo. «Interessante. Quel che non c’è può essere altrettanto incriminante di quel che c’è.»
«Ne dubito.»
Il detective marciò fino a lei.
«Cos’è la SayDo?»
La signora alzò le spalle.
«Per chi lavora?»
«Dart Fener.»
«Diceva che gli affari vanno male? Vediamo come decolleranno con uno sbirro parcheggiato qui fuori ventiquattro ore su ventiquattro. Crede che Dart le darà un bel premio di produttività?»
«Per questo ci stanno gli avvocati.»
Slidell tirò fuori la foto di Candy.
«La conosce?»
La Tarzec diede un’occhiata frettolosa, ma non disse nulla.
«La ragazza non è proprio al top, così sulla lettiga dell’obitorio.» Skinny sventolò la fotografia. «Guardi meglio.»
Lei accavallò e scavallò le gambe, gli occhi che rifuggivano ostinatamente l’immagine.
«Sì, neanche a me piace guardare i ragazzini morti.» Il tono di Slidell si era fatto più duro del granito. «Ultima possibilità. Dove le ha portate?»
«Lei è matto.»
«Lo dica a Dart: ovunque vi giriate, io sarò lì, giorno e notte. D’ora in poi sarò il vostro incubo peggiore. Siete fottuti.»
Nessuna reazione.
«Ed ecco la parte che non le piacerà.»
«Già pregusto.»
«Ci vediamo domani.» Le strizzò l’occhio ed emise l’aria con uno schiocco.
La donna cominciò a fare su e giù con il piede, nervosa, ma tenne a freno la lingua.
«Andiamocene» disse il detective a Rodriguez.
A me toccò uno sguardo torvo, mentre mi passava accanto per salire le scale.
L’agente in divisa e io arrivammo alla porta d’ingresso. I ragazzi dei reparti scelti stavano già salendo a bordo dei SUV.
Skinny era seduto in macchina quando salimmo. La rabbia emanava da lui come scintille da un cavo dell’alta tensione, nello spazio ridotto dell’abitacolo.
«Chi cazzo li ha avvertiti?» Il suo palmo si abbatté sul volante.
Mi guardai bene dal fiatare. E così Rodriguez.
Il volto di Skinny ruotò verso di me.
«E chi cazzo ti ha autorizzata a lasciare il veicolo?»
«Ho aspettato almeno…»
«Non finisce qui.» Girò la chiave. «Spulcerò ogni documento archiviato in questo posto, indagherò su ogni centesimo incassato o speso. Non potranno schiacciare una mosca, lì dentro, o tirare l’acqua del WC, senza che io lo sappia.»
Lo lasciammo sfogare.
«E basta modi gentili con Rockett: lo stronzo finisce dentro.»
Ingranò la marcia e partì a razzo dal parcheggio.
Mi appoggiai allo schienale, sapendo che la mia punizione doveva ancora arrivare. Lo capivo: Slidell non era solo frustrato perché gliel’avevano fatta sotto il naso; dietro la facciata da duro, provava lo stesso senso di colpa da cui mi aveva messo in guardia. La D’Ostillo era stata uccisa per aver parlato con noi.
Ma non tutto il male veniva per nuocere: uno Skinny incazzato non era tanto piacevole da avere contro.