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L’aula del tribunale era piuttosto spartana: uno scanno rialzato al centro e, di fronte, i tavoli di difesa e accusa; un banco dei testimoni adiacente, rivolto all’uditorio, con davanti la postazione dello stenotipista; i posti – vuoti – della giuria e, nella parte posteriore, quelli destinati al pubblico.
L’ufficiale investigativo, tenente colonnello Frank Keever, era un signore dai capelli grigi, curato e con un’aria pragmatica. Il maggiore Christopher Nelson era biondo, dal taglio a spazzola, e doveva avere un tronco lunghissimo, perché sembrava molto più alto da seduto che in piedi.
Un uomo e una donna erano le sole due persone nelle tre file di panche in fondo alla stanza. E le uniche in abiti civili. Il diligente impegno con cui prendevano appunti suggeriva che fossero della stampa.
Il sottotenente John Gross era già seduto al suo posto, quando arrivai, la schiena dritta come un fuso, le dita intrecciate sul piano del tavolo. Aveva la corporatura di un bulldog, compatta ma possente, con un volto che pareva di granito, ogni tratto affilato, scolpito, non un capello fuori posto.
Fui chiamata al banco.
Gli occhi di Gross mi seguirono, mentre attraversavo la stanza. Per il resto non mosse un muscolo, un pelo, un ciglio.
Hawthorn cominciò passando in rassegna le mie credenziali. Alcune domande erano le stesse che mi ero sentita rivolgere due settimane prima alla selezione della giuria, a Charlotte.
Il maggiore evidenziò che avevo una laurea specialistica in antropologia ed ero un membro abilitato della American Board of Forensic Anthropology, con meno di cento altri esperti nell’intero Paese. Io spiegai che non ero un dottore in medicina, ma ero specializzata nell’esumazione di materiale scheletrico e che lavoravo a stretto contatto con i patologi, analizzando i resti.
Hawthorn menzionò anche la mia collaborazione con il JPAC e la mia dimestichezza con l’ambito militare. Fece inoltre notare che il grosso del mio lavoro si svolgeva per conto dell’accusa, più che della difesa.
Testimoniai che ero appena tornata dall’Afghanistan, dove avevo sovrinteso all’esumazione dei corpi di Abdul Khalik Rasekh e Ahmad Ali Aqsaee, ed eseguito l’autopsia sui due scheletri, presso l’ospedale della base dell’aviazione statunitense a Bagram.
Gross mi guardava con l’intensità di un gatto che osserva un passero. Di quando in quando un lieve spasmo gli faceva contrarre la palpebra sinistra.
Il maggiore arrivò al sodo.
«Quali conclusioni ha tratto riguardo ai punti di entrata e di uscita dei proiettili?»
«Nel caso del signor Rasekh nessuna» risposi. «Nel caso del signor Aqsaee, ho concluso che i proiettili lo avevano colpito nella regione del torace ed erano usciti posteriormente.»
Non una reazione da parte di Gross.
Hawthorn: «Perché non è riuscita a stabilire la traiettoria dei proiettili nel caso del signor Rasekh?».
«La distruzione della materia ossea era troppo estesa per consentire un’identificazione dei punti di entrata e di uscita.»
«Tali punti si sono, invece, potuti identificare nel signor Aqsaee?»
«Sì.»
«Descriva, prego, i risultati che l’hanno condotta alla conclusione espressa.»
«Ve ne sono diversi. Anomalie da me individuate su due segmenti costali, su frammenti ossei dello sterno e su una vertebra mostravano tutte il classico schema di frattura delle ferite d’arma da fuoco con traiettoria antero-posteriore. Frammenti metallici e ossei visibili ai raggi X hanno ulteriormente avvalorato i risultati: il signor Aqsaee è stato colpito al petto.»
Gross rimase assolutamente immobile, il volto una maschera di pietra.
Hawthorn proseguì. «Può spiegare brevemente cosa avviene quando un proiettile entra in collisione con i tessuti?»
Fornii una sintesi in parole semplici della biomeccanica delle lesioni d’arma da fuoco, senza omettere gli effetti di cavitazione, oscillazione e frammentazione del proiettile.
«Ci dica del danno alla materia ossea.»
«Un proiettile che viaggia ad alta velocità sottopone l’osso a un improvviso stress dinamico. Anche se in genere lo si ritiene rigido, il tessuto osseo possiede in effetti una certa elasticità. Come in quello molle, quando vi penetra un proiettile si viene a creare una cavità.»
«Che velocità è necessaria per penetrare l’osso?»
«Gli studi condotti suggeriscono un minimo di sessanta metri al secondo: una velocità assai inferiore a quella dei proiettili sparati da un M16.»
«Ci parli delle lesioni di entrata e di uscita.»
«Quando un proiettile penetra l’osso, nel punto d’ingresso si crea un’apertura ovale o circolare. I suoi bordi sono netti e il diametro può corrispondere approssimativamente a quello del calibro del proiettile. Il foro di uscita tende invece a essere più grosso e irregolare nella forma.»
«Perché?»
«Per una serie di fattori, tra cui la potenziale deformazione e frammentazione del proiettile e la possibile perdita di buona parte dell’energia cinetica dello stesso.»
«Maggiori dimensioni e forma irregolare. Sono le sole differenze?»
«No. Quando il proiettile fuoriesce dall’osso, dalla superficie di uscita si staccano dei frammenti che partono in avanti, accompagnandolo nel suo percorso. Di conseguenza il foro di uscita assume una forma svasata. Ho accluso rappresentazioni schematiche nel mio rapporto, dove si trovano anche fotografie e copie delle lastre radiografiche.»
«Ha trasferito il materiale in un formato digitale che possiamo visualizzare qui, sul nostro schermo?»
«Sì.»
Avviai il mio laptop, aprii la presentazione in PowerPoint e l’immagine di una sezione costale.
«Questa fotografia mostra la faccia anteriore di un segmento della quinta costa del signor Aqsaee, porzione di destra.»
«Il davanti, quindi?»
«Sì.» Passai il cursore lungo il bordo superiore di un’anomalia circolare parzialmente preservata. «Si notino i margini netti e affilati: questo è un foro di entrata.»
Andai all’immagine successiva.
«Qui si vede la faccia posteriore della stessa costa, la parte rivolta verso la colonna del signor Aqsaee. Si notino i bordi svasati. La svasatura indica che questo è un punto di uscita.»
«Che cosa le suggerisce questo particolare andamento della frattura?»
«Mi porta a pensare che la traiettoria della pallottola fosse antero-posteriore.»
Gross restava impassibile, ma mi sembrò che ogni tanto lanciasse un’occhiata allo scanno per sondare le eventuali reazioni del tenente colonnello.
Passai alla fotografia seguente.
«Questa anomalia si situa sulla faccia anteriore della settima costa del signor Aqsaee, porzione di destra, in un punto vicino all’articolazione con lo sterno.»
Hawthorn: «L’osso allungato nella parte centrale del torace».
«Esatto. Si noti come le caratteristiche dell’anomalia siano quasi identiche a quelle viste nell’immagine precedente.»
La foto successiva mostrava una veduta posteriore della stessa costa. Come nel caso del foro di uscita sulla quinta, era evidente una frammentazione ai margini. Proseguii.
«Qui si vede il danno del proiettile su un segmento di quella stessa costa, la settima, in un punto vicino all’articolazione con la colonna vertebrale.»
Hawthorn: «Dove s’incurva a formare il retro della cassa toracica?».
«Sì. Questa è una veduta anteriore. Da notare i bordi puliti dell’anomalia.»
Immagine seguente.
«Veduta posteriore dello stesso segmento di costa. Notare la svasatura.»
Hawthorn: «Quindi un proiettile è entrato sul davanti della cassa toracica all’altezza della settima costa, poi è uscito dietro, attraverso quella stessa costa, vicino alla colonna».
«Sì.» Altra immagine. «Questa è una veduta della faccia anteriore dello sterno, dopo la riarticolazione dei frammenti spezzati.»
«Lo ha ricostruito lei?»
«Sì. Vede l’anomalia circolare dai bordi netti nella parte centrale, a destra? È un punto d’ingresso di proiettile.»
Nuova immagine.
«Qui vediamo l’anomalia sulla faccia posteriore dello sterno. Noti la grandezza significativamente maggiore, la forma irregolare e la frammentazione che espone l’osso spugnoso sottostante. Questo è un punto d’uscita di proiettile. L’andamento della frattura mostrato nelle ultime due immagini indica che una pallottola ha attraversato lo sterno del signor Aqsaee seguendo una traiettoria antero-posteriore.»
Hawthorn: «Insomma sta dicendo che tre proiettili sono entrati nel petto del signor Aqsaee e sono usciti dalla sua schiena».
«Almeno tre. Non so se ce n’erano di più. Io posso osservare solo i traumi visibili sullo scheletro.»
«Le traiettorie di questi proiettili suggeriscono qualcosa per quanto riguarda la posizione del signor Aqsaee rispetto a quella del sottotenente Gross al momento della sparatoria?»
Proiettai una fotografia cui avevo aggiunto una grafica per illustrare la questione. Lo sterno ricostruito, frammenti di coste e frammenti vertebrali erano posti nelle giuste posizioni all’interno di un disegno dello scheletro. Una linea rossa collegava ogni ferita d’ingresso alla ferita di uscita associata, poi si estendeva in entrambe le direzioni dalla gabbia toracica e dalla colonna vertebrale; ciascuna delle linee era grossomodo parallela ai piedi dello scheletro.
«Le traiettorie dei proiettili indicano che il signor Aqsaee era in posizione eretta e faccia a faccia con il sottotenente Gross, quando è stato colpito.»
Le labbra di Gross si serrarono, il mento gli vibrò di un millimetro, poi tornò immobile.
«Posso mostrare anche il materiale radiografico.»
Selezionai un’immagine in cui puntini bianchi splendenti costellavano un segmento di costa e due di vertebre.
«Quando si spara con un’arma, insieme al proiettile può viaggiare attraverso il corpo anche del particolato metallico. Queste particelle appaiono più bianche, qui, per la loro maggiore densità rispetto all’osso.»
Proseguii, mostrando un’immagine che sovrapponeva la radiografia al disegno di una gabbia toracica e andai con il cursore dalla costa alle vertebre.
«Si noti come le tracce metalliche siano più addensate in corrispondenza della costa, meno in corrispondenza delle vertebre. Via via che il proiettile avanzava lungo la traiettoria, si sono perse delle particelle.»
Hawthorn: «Traiettoria dal petto verso la colonna».
«Sì. Oltre alle tracce metalliche, possono spostarsi in avanti anche frammenti ossei, quando il proiettile attraversa il tessuto.»
Posi il cursore a ridosso di una scheggia minuscola, di un bianco meno intenso delle tracce metalliche ma comunque più vivido dell’osso vertebrale in cui era incuneata, quindi passai a un’altra e a un’altra ancora.
«Questi frammenti ossei sono venuti dalla zona dello scoppio sul retro dello sterno, dall’area di perdita ossea che abbiamo osservato prima. L’orientamento dei frammenti suggerisce che viaggiassero in senso antero-posteriore, insieme al proiettile.»
«Perciò, in sintesi, questo elemento avvalora la sua conclusione, secondo cui il signor Aqsaee era in piedi davanti al sottotenente Gross, quando è stato colpito al petto.»
«Sì.»
«Ha stilato un rapporto sulle procedure da lei utilizzate, sulle sue osservazioni e conclusioni?»
«Sì.»
«Mi permetta di mostrarle il reperto numero uno della difesa. È questo il suo rapporto?»
«Sì.»
«Signore» disse Hawthorn, rivolto a Keever, «la difesa chiede che sia ammesso come prova il reperto numero uno. Una copia è stata già precedentemente fornita al maggiore Nelson.»
Nelson non fece obiezioni alla presentazione del rapporto, né mi pose alcuna domanda. Keever annunciò che avrebbe comunicato le sue conclusioni di lì a una settimana e aggiornò la seduta.
Anche se la testimonianza era nettamente a suo favore, Gross non si era mai rilassato, né aveva accennato un sorriso: era rimasto teso e impassibile per tutto il tempo, lottando contro il lieve spasmo della palpebra.
Mentre passavo davanti al tavolo della difesa, però, si staccò da Hawthorn e venne verso di me a grandi passi. Il volto non rivelava niente, ma l’andatura e il portamento emanavano sicurezza.
«Grazie, signora.»
Tese la mano e, senza pensarci, la strinsi.
Il polsino gli salì un poco e rivelò la parte finale di un tatuaggio. Riconobbi il fondo del globo con l’ancora dei Marines, le lettere RIP, sotto, ad arco.
Avevo sentito dire che quella versione del simbolo era la prediletta dei «fanatici figli di puttana»: mettiti contro a un marine e riposerai in pace.
Notando che i miei occhi si soffermavano sul tatuaggio, Gross si mise sull’attenti, fece il saluto e disse: «Semper fidelis, signora».
Quindi arretrò di un passo, si voltò e si allontanò.