Una donna in missione

Elizabeth

“Sei impazzita, Elizabeth. La terapista ti ha avvisato riguardo a quanto tu sia sensibile allo stress e ora guardati. Guarda cosa hai combinato!”.

Invece di proseguire con la mia guerra interiore, mi volto verso il ragazzo che ho accanto. L’ho trascinato via dal locale e sembra in parte divertito e in parte infastidito. Noto anche una punta di curiosità.

Bene, tutti segnali positivi.

E se non fosse fantastico come ha detto il barista? Se quel Luke non fosse in grado di giudicare una persona?

Mentre ci rifletto, finalmente James fa un passo verso la macchina e apre la portiera posteriore.

Sale per primo e mi fa spazio sui sedili.

Mah.

Gli rivolgo un’occhiata sprezzante di superiorità mentre prendo posto accanto a lui e chiudo la portiera, poi esclamo: «Non sei un gentiluomo, eh?».

Un sorriso malizioso gli tende le labbra. A giudicare dallo sguardo sensuale che mi rivolge, sembra abbia molte idee per occupare i nostri venti minuti di viaggio in auto. «E te ne sei accorta al primo pugno della rissa o al secondo? Se stavi cercando un gentiluomo, piccola, sei andata nel posto sbagliato».

Mi irrigidisco quando noto che i suoi occhi si soffermano troppo a lungo sul mio viso, quindi frugo nella borsetta e mi bagno le mani col gel disinfettante, poi le sfrego insieme.

«Ne vuoi?»

«Non di quello, no».

Sobbalzo sul sedile sentendo la sua voce profonda nel piccolo abitacolo della macchina.

L’autista a quanto pare crede di potersi godere lo spettacolo. Sistema lo specchietto retrovisore e ci fissa finché non lo fulmino con lo sguardo. Sposta di nuovo lo specchietto.

Che pervertito.

Cercando di rilassarmi e respirare a fondo, gli comunico l’indirizzo e mi concentro sull’idea che ho in testa. La mia folle idea: se non riesco a trovare l’uomo perfetto, lo creerò.

«Avresti dovuto dirmi subito cosa avevi in mente». La voce di James sembra stranamente roca mentre allunga il braccio sul sedile; posa gli occhi sulla mia bocca e mi cinge la nuca con la grossa mano.

Mi avvicina a sé. Entro nel panico, devo rallentare. «Oh, no… aspetta. Non intendevo questo. Ho una proposta d’affari per te. Affari. Ma prima ti daremo una pulita».

Mi guarda confuso, abbassa lo sguardo sulle mie labbra senza nascondere la bramosia. Ci passo la lingua sopra. Una volta. Due.

«Non vuoi…? Sembra che io ti piaccia, però». Osserva i capezzoli che puntano contro la camicetta che indosso.

«Io… ah…». Cerco di coprirmi il petto e, quando sento una risatina, torno a guardare James. «Potresti smetterla di fissarmi il seno?».

Strizzo gli occhi mentre questo tizio continua a fissarmi. Sposta gli occhi sui miei e sorride. Ha un buon profumo. Maschile. Caldo, eccitante e… pericoloso.

«Cerchi il contatto fisico con me, vero?», domanda, sfiorandomi con il polpastrello la mandibola, osservando le mie labbra che si schiudono in un sussulto.

Mi scosto, creo un po’ di distanza tra noi. «Non sei un gentiluomo». Cerco di ricompormi mentre lui mi rivolge un’occhiata che mi fa capire che non gli interessa.

«L’hai già detto».

«Forse perché è vero».

«O forse perché reagisci al mio tocco in un modo che ti eccita da morire?», chiede senza sorridere, l’espressione seria. «Eccita anche me».

Oh, mio Dio.

E mio Dio di nuovo, perché mio padre mi ammazzerebbe se sapesse cos’ho in mente.

Mi scrollo di dosso lo stordimento causato dalla tequila, a causa del quale ho voglia di saltare addosso a James.

“Elizabeth, abbi un po’ di ritegno. Ricordati che hai raccattato questo tizio in una topaia. Ricordati a cosa ti serve e non perdere tempo”.

Fatico a ricompormi.

«Se sto venendo con te, è perché entrambi sappiamo come andrà a finire». La sua voce profonda e roca è eccitante quanto il resto. Peccato che le sue parole non facciano altro che infastidirmi.

Sollevo il mento e guardo fuori dal finestrino, sperando di arrivare in fretta al mio attico. «No, te lo assicuro. Non hai idea di come andrà a finire».

Mi guarda con un mezzo sorriso. Oh, com’è carino. “Smettila, smettila”. «Quindi, fammi capire… lo faresti davvero per soldi?».

Mi osserva senza capire.

«Intendo… prostituirti».

Ride come se fossi spassosa. «Sei sexy, ti concederei la prima volta gratis».

Sono sconvolta. «Ascolta, chiariamo le cose, James», ribatto.

Annuisce come se mi stesse ascoltando, ma invece mi trascina contro il suo corpo e socchiude la bocca. Stupita, rimango immobile, col fiato corto, mentre avvicina le labbra alle mie.

Sussulto.

Lui brontola piano. E ci riprova.

Mi sfiora.

APRE LA MIA BOCCA

All’improvviso mi ritrovo ad assaggiarlo – sa di caffè e alcol, sento il gusto metallico del sangue in bocca, la lingua umida e scivolosa che gioca con la mia. Sa di proibito. Di oscuro. Di sesso. Mi avvicina a sé. Le nostre bocche ora sono spalancate, le lingue si intrecciano ancora, ci baciamo come se ne avessimo bisogno.

Sento la sua erezione premere contro il fianco e, mentre ci assaggiamo, lui ansima e io gemo. Dall’urgenza nei gesti di entrambi, sembrerebbe che questa sia la nostra unica possibilità di baciarci.

Cerco di ricordare a me stessa che è una pazzia. Non conosco questo tizio ma lo bacio come se fosse l’unico al mondo, gli afferro le spalle, lascio che mi divori la bocca – e mi sento divorata!

La sua lingua accarezza la mia e vengo attraversata da una scarica di piacere. Nessun uomo mi ha mai fatta sentire così con un bacio, non ho mai avvertito questo desiderio disperato, così intenso da inebetirmi. Il mio vuoto non è mai sembrato tanto pieno, tanto doloroso.

Quando ci separiamo, io ho il fiato corto, James ringhia e mi tira di nuovo verso di lui. «Mmh, forse anche la seconda volta sarà gratis, ereditiera. Voglio di più e vale anche per te».

Abbassa di nuovo le labbra. Questo secondo bacio è intenso quanto il primo. Le sue mani mi stringono il sedere e mi fanno impazzire, tanto che mi metto a cavalcioni sulle sue gambe, sfiorandogli le braccia muscolose, i bicipiti e le spalle.

Non avevo mai baciato un ragazzo con la barba. Mi punge un po’, ma gli dà un’aria malvagia e maliziosa. Quando i miei capezzoli turgidi sfregano contro il suo petto, il piacere è terribilmente dolce. Troppo dolce. Troppo entusiasmante.

Mi libero con un gemito, lo osservo e mi manca il fiato.

Ci guardiamo.

Fissiamo l’uno la bocca dell’altra.

Nei suoi occhi che brillano leggo divertimento, desiderio e qualcosa di più oscuro.

Scuoto la testa. Mi rivolge un mezzo sorriso, sicuramente quello di un demone.

Il suo sguardo audace intrappola il mio, poi aggrotta la fronte. «Cosa ti fa tanto arrabbiare?»

«Tu. Davvero vai a letto con le donne per soldi?».

Scuote la testa e si allunga verso di me. «Ma farò un’eccezione, visto che l’offerta viene da te e ti trovo attraente».

Mi irrigidisco. Ma in cosa mi sono cacciata? «No. Non dovremo… Non ti ho invitato a casa mia per… sai che c’è? Chiamami Lizzy, è meno…». Serio. Intenso. Intimo. Cavolo.

Smetto di parlare quando ci fermiamo a un semaforo in centro. Cerco di riprendere fiato, mi guardo intorno come se vedessi la città per la prima volta. Se siamo già qua, vuol dire che ci siamo strusciati sui sedili posteriori per un quarto d’ora.

L’autista sistema di nuovo lo specchietto. È su di giri, ma lo ignoro.

Sbuffando, riporto gradualmente l’attenzione su James. Anche lui è pensieroso. Mi sto proprio chiedendo cosa gli passi per la mente quando mi dà un indizio al riguardo.

Risponde alla mia domanda silenziosa cingendomi i fianchi col braccio e avvicinandomi al suo corpo virile. «Sai come usare quelle labbra, vero, Lizzy?».

Cosa? Cosa mi sta chiedendo? Pensa che glielo voglia succhiare?

“Lizzy”…

Mio Dio. Non è che sia molto meglio quando mi chiama Lizzy.

Con un lamento ritorno sulla mia parte del sedile. James ridacchia e mi osserva.

Mi schiarisco la gola. «Se lei potesse controllarsi, signor Rowan, mi piacerebbe discutere di affari», esclamo, finalmente tornata in me.

«Va bene. Sono curioso, lo ammetto. Gli affari mi interessano molto… signorina Banks». Mi strizza l’occhio alla fine della frase.

Sbatto le palpebre stupita, sentendolo usare il mio cognome.

“Sa chi sono. Mi ha chiamata signorina Banks”.

Rabbrividisco al pensiero che questo tizio mi conosca – o peggio, che conosca mio padre.

«Ci siamo già incontrati o…». No. Non ci conosciamo e io non ho tempo per i giochetti. «Come fai a sapere il mio cognome?».

Mi guarda senza dire una parola. Probabilmente per uno come Jimmy Rowan è una cosa difficile, ma per James, l’uomo che ho intenzione di creare, va bene.

Si può lavorare su questi silenzi.

Incrocia al petto le braccia muscolose. «Forse perché leggo i giornali?».

Alzo le spalle. «Sai leggere?», ribatto. Mi sto divertendo ma sono anche infastidita.

Ignora la mia provocazione. «L’autista ti ha chiamata per cognome. L’ho messo dopo il tuo nome di battesimo e voilà, ecco spiegato perché mi sembrava di averti già vista. Tutti ti conoscono. Sei la povera ragazzina ricca che erediterà una fortuna. L’unica figlia di Harold Banks. L’uomo che compiace facilmente milioni di clienti ma che non è riuscito a soddisfare la piccola donna che aveva a casa».

«Quella piccola donna era mia madre».

«Sto solo ripetendo la storia che ho sentito».

«Una storia che vorrei dimenticare».

Anche se mia mamma se n’è andata tanto tempo fa, quello che James ha detto è vero. La gente del posto non si ricorda se quello appena passato sia stato un inverno freddo o meno e dimentica le previsioni del tempo del giorno dopo. Ma quando si parla di gossip, Atlanta ha buona memoria.

Mio padre è stato uno dei primi uomini a rendere globale la propria azienda con lo shopping online e una promessa mondiale: “Se non siete soddisfatti del prodotto, rispeditecelo e ve ne invieremo uno nuovo”.

A volte mi chiedo se mia mamma non abbia fatto la stessa cosa. Forse ha dato indietro papà per una versione più moderna. A quel tempo, era la battuta che circolava.

«Torniamo agli affari», dico, riconcentrandomi. «Se ti fidi di me, sarai tu quello sorpreso alla fine. Sono la risposta a tutte le tue preghiere».

Mi accarezza il viso. «Non prego».

«Dopo stasera, forse sì».

«Tesoro, se mi ritroverò inginocchiato, sarà solo perché ci saranno le tue belle gambe sulle mie spalle».

Mi manca il fiato. Non posso fingere che la sua grezza virilità non porti i miei livelli di libido alle stelle. L’elettrizzante alchimia tra noi è densa di un pericolo selvaggio.

Cerco di riprendermi, ma è difficile restare distaccata con la tequila nel sangue e questa montagna di testosterone così vicina.

Lui inarca le sopracciglia.

L’autista accosta davanti a casa mia. James alza lo sguardo e ridacchia. «Proprio quello che mi aspettavo». Tira fuori un vecchio cellulare con lo schermo rotto e digita dei numeri. «Charlie, ascolta, ho avuto un imprevisto. No, non quello, non ancora. Comunque, stasera torno tardi. Ci sentiamo dopo». Riattacca e mi guarda.

Non so cosa dire. In tutta la macchina aleggia il suo profumo.

Mi scosto un pochino per evitare che mi penetri nelle narici. Stranamente, però, percepisco ancora le sue mani su di me. Tento di liberarmi da quella sensazione. Mi chiedo come un uomo completamente sconosciuto e che non rientra per nulla nei canoni del mio ragazzo ideale, possa farmi sentire tanto inquieta.

“Concentrati, Elizabeth. Questi sono affari e nient’altro. Certo, come no…”.